FABIANO, santo

Enciclopedia dei Papi (2000)

Fabiano, santo

Francesco Scorza Barcellona

Successore di Antero nel 236, secondo la datazione del Catalogo Liberiano, più attendibile di quella di Eusebio di Cesarea, che nel Chronicon pone il suo accesso all’episcopato nel 239. Sempre secondo Eusebio (Historia ecclesiastica VI, 29, 1-4) F. sarebbe giunto a Roma dalla campagna e la sua designazione, mentre nessuno faceva il suo nome tra quelli dei possibili candidati, avvenne all’unanimità quando, nell’assemblea riunita per eleggere il vescovo di Roma, una colomba gli si posò sul capo, come nella scena evangelica del battesimo di Gesù: nella sua traduzione della Historia eusebiana, Rufino di Aquileia osserva che questa tradizione era riferita da alcuni a F., da altri a Zefirino.

Poiché con la morte dell’imperatore Massimino gli editti di persecuzione non furono più applicati, il periodo del pontificato di F., sotto Gordiano III (238-244) e Filippo l’Arabo (244-249), fu per la Chiesa relativamente pacifico. Da una lettera di Cipriano di Cartagine (Epistularium 59, 10, 1) si sa che Donato, il suo immediato predecessore, dopo aver fatto deporre Privato, vescovo di Lambesa, ne aveva dato notizia a F., che aveva risposto approvando la sentenza. Secondo la testimonianza di Eusebio (Historia ecclesiastica VI, 36, 4; cfr. Girolamo, ep. 84, 10) Origene aveva indirizzato uno scritto giustificativo a F., all’inizio del suo episcopato: probabilmente faceva parte di questo scritto un frammento trasmesso dalla Suda e da Giorgio Cedreno, in cui Origene parla dell’intensa attività di scrittura cui lo costringeva il suo amico Ambrogio di Nicomedia.

Si ritiene che sia stato F. ad ordinare Novaziano – colui che alla sua morte avrebbe assunto la guida del Collegio presbiterale di Roma, prima di separarsi dalla Chiesa alla elezione di Cornelio come successore di F. – nonostante l’opposizione del clero e di molti laici perché Novaziano aveva ricevuto il battesimo mentre era a letto gravemente malato, circostanza che già allora doveva costituire un impedimento per le ordinazioni: la notizia è riportata nella lettera di Cornelio, successore di F., a Fabio vescovo di Antiochia (cfr. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica VI, 43, 17) ma Cornelio non vi fa il nome di F., forse per non macchiare la memoria del suo predecessore.

Il Catalogo Liberiano attribuisce a F. (Fabius) un episcopato di quattordici anni, un mese e dieci giorni: lo stesso numero di anni, ma undici mesi e undici giorni, gli sono assegnati nel Liber pontificalis. F. fu una delle prime vittime della persecuzione di Decio (Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica VI, 39, 1) nel 250, non nel 252 come affermato nel Chronicon eusebiano, alla data del 20 gennaio attestata dalla Depositio martyrum compresa nella raccolta del Cronografo del 354, mentre il Catalogo Liberiano e il Liber pontificalis riportano erroneamente le date del 19 o del 21 dello stesso mese. Purtroppo non si è meglio informati sulla morte, di cui doveva parlare una lettera del clero romano a Cipriano (cfr. Epistularium 9, 1, 1-2), ma andata perduta. Nella cripta dei papi nel cimitero di Callisto, luogo indicato già nella Depositio martyrum («XIII kal. febr. Fabiani in Calisti», cfr. Codice topografico, p. 17) come quello della sepoltura di F., G.B. de Rossi scoprì nel 1854 i frammenti della lastra sepolcrale del papa, recante l’iscrizione come di prassi per l’epoca, in greco, «Fabianos ep[iskopos] m[a]rt[ys]» (Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, IV, a cura di G.B. de Rossi-A. Ferrua, In Civitate Vaticana 1964, nr. 10694). La qualifica di martire è stata incisa in un momento successivo da una mano diversa, come nel caso dell’epitaffio di papa Ponziano (ibid., nr. 10670), i cui resti furono traslati a Roma dalla Sardegna proprio per cura di Fabiano. Ulteriore conferma della presenza di F. nella cripta papale è data dalla lastra appostavi da papa Sisto III recante i nomi dei vescovi, romani e non, sepolti nel cimitero di Callisto (ibid., nr. 9516). Nessun itinerario altomedievale menziona la presenza di F. nel cimitero; le sue spoglie, insieme a quelle di altri papi, vescovi e martiri sepolti nel cimitero callistiano, al tempo di Pasquale I furono traslate nella chiesa di S. Prassede, come documentato dalla nota iscrizione posta sul primo pilastro della navata destra (cfr. il testo riportato nel Liber pontificalis, II, pp. 63-4). Presunte reliquie del martire sono state trovate nella basilica di S. Sebastiano, in un sarcofago contraddistinto da una lamina del sec. X su cui compare il suo nome.

Il Catalogo Liberiano afferma che F. «regiones divisit diaconibus et multas fabricas per cimiteria fieri iussit». Il primo provvedimento potrebbe essere consistito nella assegnazione delle quattordici regiones romane, due a due, ai sette diaconi della Chiesa locale, a meno che non si voglia vedere in questa notizia il tentativo di retrodatare al sec. III l’istituzione delle sette regioni ecclesiastiche, attestata a partire dal sec. V. Quanto all’attività edilizia nei cimiteri, G.B. de Rossi pensava, tra gli altri lavori, alla costruzione della seconda area del cimitero di Callisto, con la sovrastante esedra triabsidata.

La notizia su F. nel Catalogo Liberiano termina riferendo che dopo il suo martirio furono arrestati e gettati in carcere i presbiteri Mosè e Massimo e il diacono Nicostrato, e che in quel periodo venne dall’Africa Novato, il quale dopo la morte di Mosè, rimasto in prigione undici mesi e undici giorni, riuscì a separare dalla Chiesa Novaziano e altri confessori. Sempre dal Catalogo Liberiano, nella successiva notizia su Cornelio, si è informati che in seguito questi confessori, tra cui il presbitero Massimo, ritornarono alla Chiesa. Su questa vicenda si hanno informazioni contemporanee agli eventi, principalmente nell’epistolario di Cipriano. Questi (Epistularium 27, 4) parla di lettere dei confessori romani Mosè, Massimo e Nicostrato ai confessori cartaginesi Saturnino e Aurelio, ed egli stesso si rivolge ai presbiteri Mosè e Massimo e agli altri confessori definendoli come quelli che in qualità di avanguardia e condottieri hanno mosso le insegne della milizia celeste nella battaglia che allora si combatteva, manifestando il suo apprezzamento per la lettera ai confessori cartaginesi in cui si faceva appello ai precetti evangelici (ibid. 28, 1, 1; 1, 2). A detta di Cipriano (ibid. 55, 5, 1-2), il presbitero Mosè era stato uno dei firmatari di una lettera (ibid. 30) scritta da Novaziano a nome del clero romano, che però nell’attuale intestazione figura come inviata dai «presbyteri et diaconi Romae consistentes»: vi si affrontava la questione dei lapsi, cioè di coloro che avevano ceduto durante la persecuzione, macchiandosi di un peccato di apostasia, rinviando un giudizio su di essi alla fine della persecuzione. La lettera 31 dell’epistolario ciprianeo è invece quella inviata al vescovo di Cartagine dai presbiteri Mosè e Massimo, da Nicostrato e Rufino e dagli altri confessori, per ringraziare Cipriano degli incoraggiamenti ricevuti, elogiandone le attività episcopali.

Lo stesso gruppo è destinatario delle lettere 37 e 46 di Cipriano, indirizzate la prima a Mosè, Massimo e gli altri confessori, la seconda a Massimo, Nicostrato e gli altri confessori. Del gruppo dei confessori romani, oltre a Mosè, Massimo, Nicostrato e Rufino, facevano parte anche Urbano, Sidonio e Macario citati in una lettera di papa Cornelio a Cipriano (ibid. 49, 1, 3; cfr. Cipriano, ibid. 51, 1, 1), e l’africano Celerino (cfr. Cipriano, ibid. 37, 1, 1) che di ritorno a Cartagine sarà ordinato lettore (ibid. 39), autore di una lettera al confessore cartaginese Luciano, e destinatario della sua risposta (ibid. 21; 22). Contro l’affermazione del Catalogo Liberiano, «post passionem eius […] comprehensi sunt», in base all’epistola 27 di Cipriano è verosimile che l’arresto dei confessori sia avvenuto contemporaneamente al martirio di F., in quanto Cipriano li chiama «primores et duces ad nostri temporis proelium», e sicuramente Mosè era ancora in carcere dopo un anno dal suo arresto (cfr. Cipriano, Epistularium 37, 2, 2: «Sic apud seruos Dei annus euoluitur»), quindi più o meno tra la fine del 250 e gli inizi del 251, se si deve credere alla notizia del Catalogo Liberiano secondo cui sarebbe rimasto in carcere undici mesi e undici giorni. Meno bene si spiega con la cronologia degli eventi l’affermazione di Cornelio nella sua lettera a Fabio di Antiochia, secondo cui Mosè quando era ancora in vita avrebbe scomunicato Novaziano e cinque presbiteri che contemporaneamente a lui si erano separati dalla Chiesa (Eusebio, Historia ecclesiastica VI, 43, 20), in quanto la separazione di Novaziano avvenne dopo l’elezione di Cornelio nella primavera dello stesso anno, quando Mosè era già morto, notizia confermata dallo stesso Catalogo Liberiano («postquam Moyses in carcere defunctus est»), anche se non si sa quanto sia effettivamente da mettersi in rapporto con la venuta di Novato di Cartagine a Roma. Cipriano (Epistularium 55, 5, 2) afferma che dopo la sua morte in prigione Mosè fu considerato martire, e sicuramente la sua fine conferì maggior prestigio al gruppo dei confessori romani. Alla sua morte fu Massimo che assunse il ruolo di guida nel gruppo. Ciò non impedì tuttavia che Massimo con altri confessori si schierassero con Novaziano dopo la sua separazione dalla Chiesa, sia pure per un breve periodo: Cornelio accenna a questo episodio nella sua lettera a Fabio di Antiochia facendo il nome del presbitero Massimo, di Urbano, Sidonio e Celerino (Eusebio, Historia ecclesiastica VI, 43, 6), di Massimo, Urbano, Sidonio e Macario nella lettera che scrisse a Cipriano (in Cipriano, Epistularium 49, 1, 3; 2, 2). Questi ultimi indirizzarono una lettera a Cipriano dopo il loro ritorno alla Chiesa (ibid. 53), e il vescovo di Cartagine replicò con la lettera successiva della sua raccolta. Se la lettera con cui Cipriano annuncia l’ordinazione di Celerino risale alla fine del 251, l’adesione di questi confessori allo scisma di Novaziano sarà durata solo pochi mesi. Del gruppo dei confessori romani, si sa da Cipriano che il solo Nicostrato restò fedele a Novaziano (ibid. 49, 2, 5).

Il Liber pontificalis aggiunge poche notizie a quelle del Catalogo Liberiano. F. sarebbe stato romano, figlio di Fabio, avrebbe esercitato il ministero episcopale per quattordici anni, un mese (undici mesi nella seconda redazione) e undici giorni. Avrebbe ordinato ventidue presbiteri, sette diaconi e undici vescovi, e la sua morte sarebbe stata seguita da sette giorni di sede vacante. Il Liber pontificalis riprende dal Catalogo Liberiano la notizia sulla assegnazione da parte di F. delle quattordici regiones romane ai diaconi, aggiungendo che F. istituì sette suddiaconi preposti ai sette notai che dovevano raccogliere fedelmente e integralmente gli atti dei martiri. Il fatto che i suddiaconi siano sette indica che essi sono in relazione con le sette regioni ecclesiastiche di cui lo stesso Liber pontificalis attribuiva l’istituzione a Clemente: sarebbero dunque suddiaconi regionarii, distinti da quelli soprannumerari, compresi nella categoria dei sequentes cleri, cioè precisamente il clero soprannumerario, che il Liber pontificalis, nr. 15, afferma essere stato istituito da papa Vittore: ma è logico pensare che l’istituzione dei sette diaconi regionarii sia anteriore a quella dei diaconi soprannumerari. I sette suddiaconi di Roma sono nominati nella lettera di papa Cornelio a Fabio di Antiochia (Eusebio, Historia ecclesiastica VI, 43, 11): ma di suddiaconi si parla in varie lettere di Cipriano di Cartagine, e si ha motivo di pensare che l’istituzione di questa categoria di chierici sia anteriore alla data indicata dal Liber pontificalis. I notai a cui questi suddiaconi si dicono preposti sono quelli che secondo il Liber pontificalis erano stati istituiti da Clemente. I suddiaconi, benché di istituzione più recente, sono ad essi superiori in quanto membri del clero, ma si sa che già all’epoca di Gregorio I in quella che si può definire la corte papale i notai avevano la precedenza su ogni membro del clero inferiore ai diaconi.

La commemorazione di F. alla data del 20 gennaio è passata dalla Depositio martyrum al Martyrologium Hieronymianum e di qui ai martirologi successivi. Nella collezione delle decretali pseudoisidoriane tre sono sotto il nome di Fabiano.

fonti e bibliografia

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