FILIPPO Neri, Santo

Enciclopedia Italiana (1932)

FILIPPO Neri, Santo

Pericle Perali

Nacque in Firenze il 21 luglio 1515, nel popolo di San Pier Gattolini, da Lucrezia di Mosciano e da ser Francesco Neri notaio, oriundo da famiglia nobile, di mediocre fortuna, passata nel sec. XV da Castelfranco Valdarno a Firenze. Il fanciullo crebbe in tempi avventurosi per la Repubblica fiorentina. Nel 1527, alla discesa del Borbone, aveva 12 anni; ma se, fra le turbolenze della rinnovata repubblica, faceva il biricchino e se dava qualche spintone alle sorelle minori, era dedito a devozioni, e, pur mantenendosi vivacissimo, frequentava con entusiasmo le prediche del famoso fra Balduino degli Umiliati. In quegli anni, tra l'affetto dei genitori e della nonna Benedetta, che gli fu carissima, tra la scuola di un tal Clemente, buon maestro, e le conversazioni di fra Zanobi de' Medici e di fra Servanzio Mini, nel chiostro di San Marco, ancora pieno dei ricordi di S. Antonino, del beato Angelico e del Savonarola, Filippo già si faceva la fama di Pippo buono.

Nel maggio del 1532 cadeva per sempre la Repubblica fiorentina e tornavano i Medici: poco appresso F., quasi diciottenne, lasciava Firenze, chiamato a San Germano (ora Cassino) da Romolo Neri, suo zio cugino, che gli assicurò la successione del suo commercio. Nei due anni che egli si fermò a Cassino, invece delle conversazioni savonaroliane di S. Marco, ebbe guida e magistero dal monaco benedettino Eusebio d'Evoli, patrizio napoletano. Frequenti furono le sue gite ai santuarî della Trinità e del Crocefisso della Montagna Spaccata della vicina Gaeta: su questa sommità, allorché fu sui 20 anni, decise di "darsi tutto e in ogni modo a Dio".

Si licenziò dallo zio; sconosciuto e povero si recò a Roma sulla fine del 1534, quando Paolo III iniziava un pontificato rinnovatore. Galeotto Caccia, gentiluomo fiorentino, l'ospitò in casa sua presso Sant'Eustachio, dandogli a istruire ed educare due suoi figlioli e lasciandogli il tempo di studiare simultaneamente filosofia alla Sapienza e teologia presso gli agostiniani. Cinque anni dopo Filippo andò soggetto a un'intima crisi spirituale, che lo distolse dagli studî. La Roma cristiana, con l'immensità delle sue memorie e dei suoi destini, con la desolazione delle sue miserie morali e materiali, lo aveva ormai preso tutto per sé. Più che dalla vita di studio, egli si sentì attratto da quella di azione per giovare al prossimo e condurlo a Dio: vendé quindi i suoi libri, e ne diede il prezzo ai poveri. Aveva 23 anni, e mentre Paolo III preparava la pace politica necessaria per aprire il concilio della tanto invocata riforma, il giovane laico fiorentino, senza parlare di riforme, con opere e con esempî cominciava il suo apostolato riformatore. Eccolo quindi a visitare e servire gli ammalati negli ospedali, a frequentare le botteghe e le officine tenendovi con serena allegria discorsi morali, edificanti e piacevoli, dai quali traeva pentimenti, conversioni e persino vocazioni sacerdotali.

Dal 1540 al 1550, cioè tra i 25 e i 35 anni d'età, F. compì la sua formazione ascetica. Nelle remote vie che conducevano alle chiese più venerande dell'urbe, sul limitare della Campagna romana, iniziò prima da solo, poi con pochi discepoli, quelle devote passeggiate, che furono il germe della "visita alle sette chiese".

Nelle catacombe di S. Sebastiano temprò con la preghiera e con la meditazione la sua volontà di opere e di esempî, il suo intelletto d'amore per le cose divine. Verso la pentecoste del 1544 quelle catacombe furono testimoni d'un prodigio: un globo di fuoco gli apparve, e sembrò che per la bocca gli entrasse nel cuore; gli mancarono gli spiriti vitali, ché quel terribile ardore gli aveva schiantato e incurvato due costole sul cuore. Da allora il suo sangue ebbe sempre un intimo altissimo calore, e il suo cuore un rapidissimo battito. Quando non si tratteneva nelle catacombe, insegnava qua e là per le chiese e per le strade la dottrina cristiana ai fanciulli, tenendoli allegri con geniali e garbate piacevolezze. Frattanto gli si stringevano attorno affezionati discepoli: e ciò lo mosse a fondare in S. Salvatore in Campo (16 agosto 1548) la Confraternita dei pellegrini e dei convalescenti, per il culto, l'apostolato, la preghiera e l'assistenza agl'infermi; inoltre, benché ancora laico, cominciò a tenere discorsi nelle chiese. Sopravvenne il giubileo del 1550, che per F. e la sua confraternita fu occasione d'un primo vasto esperimento di assistenza ai pellegrini e di pubbliche devozioni popolari.

Finalmente, per imposizione del suo confessore don Persiano Rosa, a 36 anni, il 23 maggio 1551, egli si fece ordinare sacerdote e, lasciata la casa ospitale dei Caccia, passò a vivere con i preti di San Girolamo della Carità. Era da poco sacerdote quando, il 2 dicembre 1552, mori S. Francesco Saverio (v.). Le notizie di questo apostolo e delle sue missioni, infiammarono F., che decise di andare a predicare alle Indie (1557). Ma i consigli di due monaci lo rattennero, e lo persuasero che "le sue Indie sarebbero Roma"; e F. invece di imbarcarsi, come argutamente fu scritto, su una nave diretta all'Oriente, costrusse sopra una delle navi minori della chiesa di San Girolamo della Carità il suo primo oratorio, focolare del suo apostolato, germe della futura congregazione dell'Oratorio (1558). In quella chiesetta e anche altrove egli e i suoi discepoli, tuttora laici, predicavano, come in terra di missione, sopra le virtù cristiane, le vite dei santi e la storia della Chiesa, mentre con le prime poesie e i primi canti già fiorivano ivi le primizie dell'Oratorio musicale, e più frequenti e numerose andavano divenendo le passeggiate devote alle Sette chiese (1559).

Allora F. venne accusato di "far setta", quasicché favorisse segretamente idee protestanti. Ma egli vinse, soffocò la calunnia, continuò a tenere in venerazione il Savonarola, contribuendo efficacemente a impedirne la condanna delle opere e seguitando a diffonderne gl'insegnamenti contro il paganesimo rinascente. Il tumulto popolare, seguito alla morte di Paolo IV, s'acquetò nel nuovo pontificato di Pio IV, nel quale F. ebbe occasione di conoscere il giovanissimo cardinal nipote e segretario di stato, S. Carlo Borromeo, e di stringere con lui riverente e cordiale amicizia.

Nel 1562 i Fiorentini residenti in Roma, dopo molte insistenze, ottennero che Pio IV obbligasse il Neri a prender cura della loro chiesa, San Giovanni dei Fiorentini. Il santo fece allora ordinare sacerdoti alcuni discepoli suoi, tra i quali Francesco Tarugi e Cesare Baronio, e ve li mandò, poi ne aggiunse altri, diede loro delle regole e venne così a formare il primo abbozzo della congregazione dell'Oratorio. Nel 1572 gli riuscì di ottenere per la nascente congregazione la vecchia chiesa parrocchiale di Santa Maria in Vallicella.

La nuova congregazione sorgeva sul solco in quel medesimo secolo tracciato alla vita in comune degli ecclesiastici dai chierici regolari, quali i teatini, i somaschi, i barnabiti e specialmente i gesuiti. F. dopo aver avuto stretta amicizia con S. Ignazio di Loiola e aver favorito la fondazione di una casa di barnabiti in Roma, nell'anno santo del 1575 istituì definitivamente il suo sodalizio col titolo di Congregazione dell'Oratorio. Essa era appena nata e già giungevano al fondatore ripetute insistenze di S. Carlo Borromeo per stabilirla in Milano. Con le istanze del Borromeo gli pervenivano anche quelle del cardinale Gabriele Paleotti, che voleva gli oratoriani in Bologna, e dei vescovi e dei magistrati di Fermo, Genova e Firenze, i quali tutti insistevano per avere i preti dell'Oratorio o filippini. Se non che solo Napoli per allora li ottenne. Ivi presero stanza nel palazzo dei Seripando di fronte al duomo, e l'oratorio napoletano incominciò subito a fiorire per opere feconde di riforma morale e spirituale: quali furono la congregazione dei nobili e dei forensi, quelle dei mercanti degli artigiani, delle donne benefattrici e dei fanciulli nobili. Pensò F. più volte di recarsi a visitare quei suoi figliuoli; ma nel fatto non si mosse mai da Roma, lieto che l'oratorio di Napoli venisse retto con tanto spirito e prudenza dal Tarugi, il primo e più diletto dei suoi discepoli.

Intanto, mentre nell'urbe, sul tronco dell'oratorio, F. tentava invano di far sorgere un Collegio ecclesiastico per i Polacchi, il beato Giovanni Leonardi con i suoi oratorî imitava in Lucca e in altre città di Toscana l'oratorio filippino, e a Palermo, a Fermo, a Camerino e altrove si propagavano i primi germi delle future case oratoriane; le quali però costituivano tante separate famiglie, che con le precedenti di Roma, di Napoli, di Sanseverino e di Lanciano, rimanevano strette e collegate come in una sola famiglia, con unione di viva carità cristiana. La stessa unione con l'oratorio romano mantennero le case filippine stabilite fuori d'Italia, a Cotignac, ad Aix, a Marsiglia, a Hyères, a Tolone, a Grasse e più tardi gli oratorî e gli oratoriani francesi del Cardin e del de Bérulle.

Con la sua congregazione S. Filippo proponeva ai sacerdoti un regime, che, mentre non li legava con i tradizionali vincoli degli ordini religiosi, li faceva egualmente partecipi dei benefici spirituali che si hanno presso i medesimi. Gli oratoriani infatti possono possedere, non avendo il voto di povertà; non hanno neppure quello di obbedienza, né sono obbligati sotto pena di peccato mortale all'osservanza delle loro regole e a restare tutta la lor vita nella congregazione, dalla quale possono uscire quando vogliono senza pregiudizio di sorta.

Gli ultimi trent'anni della vita di F. si possono riassumere in poche parole: nella congregazione, umiltà, disciplina, studio assiduo, fraterna amicizia, serena allegria, continua vigilanza sopra sé stessi e gli altri. Crescevano a un tempo la biblioteca Vallicelliana, le sagge industrie per promuovere la cultura e la scienza, le schiere cristianamente educate dei ragazzi e le folle dei devoti alla visita delle Sette chiese. F. e gli oratoriani, spendendosi con zelo nell'insegnare la dottrina cristiana ai fanciulli, venivano nello stesso tempo richiesti di consiglio da papi, da cardinali, da famiglie principesche, e prima Cesare Baronio coi suoi Annali ecclesiastici (v. baronio, cesare; centuriatori) e la porpora, onde Clemente VIII lo volle onorare, poi Antonio Bosio (v.) con i lavori sulle catacombe, Giovanni Animuccia (v.) con le sue laudi, Pier Luigi da Palestrina (v). con le sue meraviglie musicali accreditavano mirabilmente la congregazione romana. La cui influenza sulla vita sociale, artistica, scientifica della Roma contemporanea, e attraverso questa di tutto il cattolicismo, fu certamente assai grande.

F. fu anche a fianco di S. Pio V (v.) nella preparazione della lega che condusse alla vittoria di Lepanto. Nel lungo pontificato di Gregorio XIII ottenne l'approvazione della congregazione, costruì la vasta chiesa della Vallicella (Chiesa Nova 1575-1577), e fu d'ammirazione a Roma e al mondo con le pubbliche devozioni e con le opere di assistenza ai pellegrini del giubileo del 1575.

A questo medesimo tempo appartengono le esortazioni della sua mistica: State allegri! e i dettami della sua pratica evangelica È, è; non è, non è; e anche la domanda rivolta a un suo discepolo, cui l'eletto ingegno e i forbitissimi studî lasciavano fondatamente sperare onori e grandezze: E poi? Nell'operetta del card. Valier: Filippo, ossia il dialogo della letizia cristiana, in molte memorie manoscritte, in gran parte inedite, conservate nelle biblioteche e negli archivî dell'oratorio di Roma, di Napoli, e in quelli del Vaticano, troviamo ritratto al vero l'ambiente romano della seconda metà del sec. XVI, sul quale tanta luce di bene irradiava Filippo.

Con Sisto V egli non s'intese troppo. Gregorio XIV (che ebbe il pontificato men breve tra i brevissimi degli anni 1590-1592), gli fu amico, come gli era stato divoto discepolo, e invano gli offerse la porpora cardinalizia. Il cardinale Ippolito Aldobrandini, un tempo suo penitente, divenuto papa Clemente VIII, ne seguì i consigli ribenedicendo Enrico IV re di Francia.

Circondato dall'ammirazione e dalla venerazione di santi (S. Ignazio di Loiola, S. Francesco Borgia, S. Felice da Cantalice, S. Camillo de Lellis, il beato Giovanni Leonardi) di prelati, di principi e di tutto il popolo di Roma, il "padre Filippo" visse nascosto negli ultimi anni della vecchiaia e rinunciò all'ufficio di preposito della congregazione. Sul finire del marzo 1595 ammalò gravemente. Ricevuta l'estrema unzione dal Baronio, il viatico da Federico Borromeo, F. nella sua stanzetta alla Vallicella morì il 26 del seguente maggio ed ebbe onorata sepoltura nella contigua chiesa. Paolo V il 25 maggio 1615 lo proclamò beato, e Gregorio XV il 12 marzo 1622 lo ascrisse nell'albo dei santi. La sua festa, rimasta a Roma di precetto fino agli ultimi anni del secolo scorso, cade il 26 maggio.

Bibl.: A. Gallonio, Vita Beati P. Philippi Nerii florentini congregationis Oratorii fundatoris in annos digesta, Roma 1600; P. I. Bacci, Vita di S. Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, Roma 1622, e più volte in seguito: Acta Sanctorum, Maggio VI, Anversa 1688, pp. 460-656; G. Marciano, Memorie historiche della Congregazione dell'Oratorio, voll. 5, Napoli 1693-1703; A. Capecelatro, La vita di S. Filippo Neri, 3ª ed., voll. 2, Roma e Tournay 1889; L. Ponnelle e L. Bordet, Saint Ph. N. et la société romaine de son temps, Parigi 1928, traduz. italiana, Firenze 1931; L. v. Pastor, Storia dei papi, trad. it., IX, Roma 1929, pp. 119-142.

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