GAETANO Thiene, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GAETANO Thiene, santo

Gaetano Greco

Figlio secondogenito di Gaspare e di Maria di Battista Da Porto, entrambi di nobile famiglia, nacque a Vicenza nell'ottobre 1480; all'età di due anni rimase orfano del padre e fu allevato dalla madre con i fratelli Giovanni Battista e Alessandro. Nel 1500 s'iscrisse allo Studio di Padova: qui ebbe come maestro l'aquilano Sebastiano de' Ricci e si addottorò inutroque iure il 17 ag. 1504. Mentre il fratello maggiore, Giovanni Battista, si sposò (la sua morte precoce, però, gli impedì di garantire alla famiglia una successione in linea maschile), G. mosse i primi passi nella vita ecclesiastica, ottenendo nello stesso 1504 la tonsura dal vescovo di Vicenza Pietro Dandolo: la scelta della condizione clericale da parte di G. rientrava nelle usuali strategie messe in atto da quelle famiglie patrizie che intendevano evitare di suddividere fra più fratelli il patrimonio domestico, specie se esiguo. Agli inizi del 1507 andò a vivere a Roma nei pressi della chiesa di S. Simone in Posterula ed entrò in relazione con personaggi già ben introdotti in Curia, come il genovese G.B. Pallavicini, dal novembre del 1507 vescovo - non residente - di Cavaillon in Francia e poi cardinale per nomina di papa Leone X. Questi rapporti gli spianarono la strada per acquistare, intorno al 1508, un ufficio di protonotaro apostolico per il prezzo di 2600 ducati: negli anni del papato di Giulio II G. esercitò effettivamente l'incarico di scrittore delle lettere apostoliche e sembra che facesse parte della "famiglia" di questo pontefice.

Nell'ottobre del 1508 Giulio II gli conferì il beneficio parrocchiale di S. Maria a Malo (un paese della diocesi di Vicenza), nonché l'"aspettativa" su altri tre benefici; il 20 novembre ottenne anche la parrocchia di S. Maria di Bressanvido e nel 1515 per concessione di Leone X godette, ma solo per sei mesi, della commenda del monastero di S. Colombano di Biandrate nella diocesi di Vercelli. In quegli anni, quindi, G. era ancora un chierico rinascimentale: benché fosse solo un tonsurato, godeva e cumulava benefici curati, senza adempiere di persona ai loro oneri spirituali, e ne cedeva ad altri sacerdoti la gestione effettiva, riscuotendo una rendita e intervenendo di persona solo quando si trovava presente in diocesi. Otto anni dopo, però, grazie a un'opportuna dispensa di papa Leone X, in soli quattro giorni - dal 27 al 30 sett. 1516 - G. percorse tutti i gradi dell'ordine sacro; tuttavia, ritardò la celebrazione della prima messa per altri tre mesi, fino all'Epifania successiva, forse per quel sentimento di inadeguatezza al ministero ecclesiastico che lo accompagnò per tutto il corso della sua vita: da allora la celebrazione della messa divenne per G. una pratica quotidiana.

A spingerlo al sacerdozio in età così avanzata contribuì l'esperienza maturata in quegli ultimi anni: anche a Roma era nato l'oratorio del Divino Amore presso la chiesa dei Ss. Silvestro e Dorotea in Trastevere e G. vi aderì sin dagli inizi (forse fu uno dei fondatori), partecipando attivamente alle sue opere volte all'edificazione spirituale dei confratelli e a un diffuso impegno assistenziale, soprattutto nei confronti di persone emarginate e a rischio. Perciò, come altri membri dell'oratorio, lo troviamo più tardi - nel 1524-25 - fra i custodi dell'ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, uno degli istituti caritativi promossi a Roma, come altrove, dai confratelli del Divino Amore. L'ambiente dell'Oratorio consentì a G. di ampliare la sfera delle sue amicizie in direzione di personaggi impegnati nella cosiddetta Riforma cattolica: dal napoletano G.P. Carafa (vescovo di Chieti e futuro papa Paolo IV) a G.M. Giberti, da G. Contarini a J. Sadoleto, dall'alessandrino B. de' Colli a G.B. Scotti e al bresciano B. Stella. Nello stesso 1517 G. iniziò un rapporto epistolare con la mistica agostiniana bresciana Laura Mignani: a lei rimase legato per anni da un intenso rapporto di figliolanza spirituale.

Intanto, nella primavera del 1518, G. tornò a Vicenza, dove era richiesto per esigenze familiari: unico discendente maschio di suo padre, doveva saldare i rapporti economici con gli altri rami della famiglia, provvedendo anche alla madre gravemente ammalata e alla nipote. Anche a Vicenza, però, gli fu possibile continuare le attività spirituali e assistenziali intraprese a Roma: pochi mesi dopo il suo arrivo, il 9 genn. 1519 entrò a far parte della Compagnia dei Ss. Clemente e Gerolamo, che aveva scopi simili a quelli del Divino Amore. Durante la presenza di G. nuove finalità caritative portarono nel 1520 la compagnia vicentina ad accollarsi la cura dell'ospedale di S. Maria della Misericordia, che fu ristrutturato per accogliere gli incurabili e che venne aggregato spiritualmente all'arciospedale di S. Giacomo di Roma. G. entrò in rapporto anche con il domenicano G.B. Carioni da Crema, che fu la sua guida spirituale in questi anni vicentini: forse su suo consiglio, G., recatosi a Verona insieme con il confratello vicentino G.D. Zanninelli, ottenne di essere ascritto, il 10 luglio 1519, alla Compagnia segreta del Ss. Corpo di Cristo, che poi si confederò con quella vicentina. Sempre seguendo il consiglio del Carioni, nel febbraio del 1522 si trasferì a Venezia; qui, grazie all'appoggio di esponenti del patriziato veneziano, fondò l'ospedale Novo degli Incurabili, che, come gli altri istituti omonimi, avrebbe dovuto accogliere le persone contagiate dalla sifilide, che proprio in quei decenni era esplosa con grande virulenza. Dall'ospedale nacquero poi altre istituzioni, sia caritativoli-assistenziali (un orfanotrofio e un conservatorio per le convertite) sia associative (come l'oratorio veneziano del Divino Amore).

Verso la fine del 1523 G. ritornò a Roma, frequentando di nuovo la casa del cardinale Pallavicino, al quale fu vicino fino al giorno della morte. Intanto, con Clemente VII ancora una volta la Curia romana era in mano ai fiorentini: come già sotto Leone X, G. non utilizzò il suo ufficio di protonotaro apostolico per lavorare nella Cancelleria pontificia. Ormai maturava un altro progetto: con alcuni confratelli del Divino Amore - Carafa, Colli e il romano P. Consiglieri (o Ghisleri) - G. stava fondando la prima Compagnia di chierici regolari. Dopo un incontro con Clemente VII il 3 maggio 1524, il 24 giugno con il breve Exponi nobis venne autorizzata la nascita del nuovo istituto e il 14 settembre, nella basilica di S. Pietro, i quattro fondatori fecero la loro professione solenne nelle mani del vicedatario G.B. Bonciani.

I caratteri di questa fondazione, che ottenne i privilegi dei canonici regolari, erano indubbiamente originali: oltre ai tre voti personali (povertà, castità e obbedienza) i confratelli - tutti ecclesiastici - si impegnavano a vivere in comunità poste sotto la guida di un preposito eletto ogni anno (e confermabile solo per un triennio), prive di un patrimonio stabile e non incardinate strutturalmente né in chiese parrocchiali né in altri istituti pii. Quanto ai loro compiti, i confratelli erano tenuti a un continuo esercizio nelle attività assistenziali e nel culto sacro: nelle prime adottando uno stile personale improntato a modestia e umiltà, nel secondo evitando ogni inutile orpello, per privilegiare invece la frequenza ai sacramenti e alle pratiche liturgiche.

I confratelli furono subito designati con il nome di chietini o teatini - chiaro riferimento alla diocesi del Carafa - ed è noto che vi furono difficoltà e incomprensioni nei loro confronti. Per queste ultime ci sono rimaste testimonianze letterarie sulle reazioni incredule rispetto a una scelta di vita talmente austera da mettere in pericolo la sopravvivenza degli adepti; la presenza del Carafa, inoltre, induceva a sospettare che tanta conclamata santità costituisse una scorciatoia per incarichi e posizioni prestigiose ai vertici della Chiesa cattolica. Le regole della nuova congregazione vietavano di cumulare benefici residenziali e di assentarsi dagli uffici curati; perciò, come aveva già fatto il Carafa per i suoi vescovadi (conservando però il titolo e gli onori vescovili), G. rinunciò sia all'ufficio di protonotaro sia, verso gli inizi del 1525, ai benefici parrocchiali vicentini. Nel primo capitolo generale della congregazione, tenuto il 14 febbr. 1525, fu eletto preposito il Carafa, già nominato superiore della congregazione all'atto della sua nascita e poi confermato nei due anni successivi. La piccola comunità teatina nei primi tempi viveva a Roma in una casa posta in via Leonina, già di proprietà del Colli, e dalla fine del 1525 si trasferì in una casa sul Pincio, donata dal Giberti. Durante i primi anni i teatini si dedicarono ai compiti previsti dalla loro regola: le funzioni religiose, svolte nella chiesa di S. Nicola in Campomarzio, e il servizio assistenziale, prestato nell'ospedale di S. Giacomo degli Incurabili. Rimasero saldi anche i rapporti con l'oratorio del Divino Amore.

Durante il sacco della città da parte dell'esercito imperiale (maggio 1527) G. fu catturato insieme con i suoi compagni e venne barbaramente torturato. Liberato dalla prigionia, dopo un viaggio avventuroso riparò con i confratelli a Venezia: qui i teatini si insediarono prima nell'isola di San Clemente, poi nelle vicinanze della chiesa di S. Eufemia alla Giudecca e presso l'abbazia benedettina di S. Gregorio, finché - il 29 novembre - non presero stabile dimora nei locali della Confraternita di S. Nicola da Tolentino. Intanto, nel capitolo del 14 settembre, G. era stato eletto preposito, carica che gli fu confermata per altri due anni. A Venezia, dove rimase dal 1527 al 1533, riprese contatti sia con l'ospedale degli Incurabili sia con i confratelli delle compagnie del Divino Amore, non solo della Dominante, ma anche di Padova, Vicenza, Verona e di Salò sul Garda: all'oratorio di Salò appartenevano anche i fratelli G.B. e B. Scaini, che sono fra i destinatari di cinque lettere rimasteci del Thiene. In quegli anni, oltre a prodigarsi per i colpiti dalla carestia e dalla peste, G. appoggiò la riforma promossa dall'amico Giberti a Verona, ma il primo tentativo di introdurre la Congregazione teatina nella diocesi del Giberti si concluse con un fallimento; così pure non decollò l'iniziativa di impiantare a Venezia - con l'opera del bresciano P. Paganini - una tipografia specializzata nella stampa di libri per la riforma del clero e per combattere la diffusione delle opere eretiche. Infine, G. fu in stretto rapporto con il veneziano G. Miani (fondatore nel 1534 dell'Ordine dei chierici regolari somaschi), di cui fu consigliere nell'opera a favore dell'infanzia abbandonata presso l'ospedale della Misericordia.

Il 2 ag. 1533 G., insieme con il bergamasco G. Marinoni (accolto fra i teatini nel 1528), fu inviato a Napoli con l'incarico di verificare se vi sussistessero le condizioni per fondare una nuova casa della Congregazione teatina. A Napoli dimorò prima presso S. Maria della Misericordia fuori porta S. Gennaro (settembre 1533 - marzo 1534) e poi presso l'ospedale degli Incurabili - fondato da E. Vernazza e diretto allora da Maria Lorenza Longo - celebrando la messa nella chiesetta di S. Maria del Popolo; successivamente, dal 31 luglio 1534, si trasferì in una nuova casa, procurata dalla Longo e da Maria d'Ayerbo (un'altra ricca devota, vedova del duca di Termoli) e da lui restaurata, ricavandovi anche una chiesetta (S. Maria della Stalletta). Infine, quando parevano insormontabili le difficoltà di impiantarsi stabilmente nella città partenopea, grazie all'interessamento del viceré Pedro de Toledo, dal 19 apr. 1538 i teatini trovarono la sede definitiva nella chiesa di S. Paolo Maggiore: poiché questa era un'antica chiesa parrocchiale cittadina e la regola dei teatini vietava ai confratelli di assumersi la cura d'anime, con il consenso dell'arcivescovo la giurisdizione e gli oneri parrocchiali vennero trasferiti in una chiesa vicina.

Il periodo trascorso a Napoli fu forse il più operoso e fecondo nell'attività di G., anche se non fu affatto facile per il gruppetto di chierici regolari far accettare il proprio stile di vita assai sobrio, austero e ritirato. Su richiesta del Carafa a partire dal 1533 G. svolse - seppure in modo informale - la funzione di direttore spirituale delle monache del monastero della Sapienza: un istituto di domenicane osservanti, che era stato fondato nel 1530 - con l'assistenza di un altro teatino, padre B. de' Colli - da suor Maria Carafa, sorella del vescovo di Chieti. Nel 1534 fu nominato correttore della Compagnia dei Bianchi di Giustizia, una confraternita laicale composta per lo più da nobili, che si erano assunti l'onere di assistere i condannati a morte. Nel 1535 guidò spiritualmente la Longo nella fondazione del monastero di S. Maria in Gerusalemme, detto poi delle Cappuccine. Sull'esempio di analoghe iniziative intraprese dai membri dell'oratorio del Divino Amore, con l'altra sua figlia spirituale d'Ayerbo G. si attivò anche per l'istituzione di una casa-rifugio per le convertite: questo nuovo monastero ebbe sede presso l'ospedale degli Incurabili (nei locali già in uso prima ai teatini e poi alle clarisse della Longo) e ottenne la conferma papale nel dicembre 1538. Infine, secondo la tradizione tramandata dai teatini, G. e il Marinoni avrebbero partecipato, almeno indirettamente per il tramite di laici a loro devoti, alla fondazione del Monte di pietà napoletano.

Proprio in questi anni della sua permanenza a Napoli, nella città fioriva l'insegnamento del castigliano Juan de Valdés, fratello di Alfonso (membro della segreteria dell'imperatore Carlo V). La sua casa di Chiaia era frequentata da molti intellettuali italiani di formazione erasmiana e sensibili alle tematiche del suo insegnamento religioso: da P. Carnesecchi a M. Flaminio, da P.M. Vermigli a B. Ochino. Secondo la tradizione, G. non si sarebbe lasciato ingannare dalle cautele adottate dagli evangelici durante le loro apparizioni in pubblico e avrebbe prontamente denunciato alle autorità gli errori dottrinali del cappuccino senese, del Vermigli e dei simpatizzanti napoletani del cenacolo valdesiano, anche se con scarsi risultati. Del resto, la religiosità di G. si esprimeva secondo canoni più consoni alla tradizione cattolica italiana: devoto - come s. Francesco d'Assisi - del mistero del Natale, è indicato dai suoi biografi come il rinnovatore in Napoli della devozione popolare verso il presepio, il cui culto avrebbe arricchito con l'introduzione di particolari usanze, come l'impiego di suonatori di zampogne, di pifferi e di altri strumenti musicali tipici del mondo pastorale.

G. partecipava pure all'attività organizzativa della sua Congregazione: il 14 sett. 1534 fu a Venezia per partecipare al capitolo generale in cui venne eletto preposito di Napoli, e a Venezia tornò pure nel settembre dell'anno successivo. Nel 1540 venne eletto preposito della casa di Venezia, dove restò fino all'aprile 1543. In questo periodo lo troviamo impegnato nel 1541 con altri confratelli - fra i quali quel milanese G.A. Prato di cui ci è rimasta la testimonianza - nell'insediamento dei teatini a Verona, nuovamente presso la chiesa di S. Maria di Nazareth e stavolta con maggiore successo. Nel 1543, nominato preposito della comunità di S. Paolo Maggiore, ritornò a Napoli, dove tenne l'ufficio di preposito fino all'aprile del 1544, cedendolo poi al Marinoni. Nel 1545 partecipò al capitolo generale a Venezia, ritornando quindi a Napoli, nella primavera del 1547, al capitolo generale che si tenne a Roma e che stabilì l'unione - che durò solo otto anni - fra l'Ordine teatino e i chierici regolari somaschi fondati da s. Gerolamo Miani nel 1534. Nel capitolo romano fu deciso che a G. toccasse ancora una volta l'ufficio di padre superiore della casa napoletana di S. Paolo, per cui egli tornò nella città partenopea in tempo per assistere alle violente vicende che seguirono al tentativo messo in atto dal viceré Pedro de Toledo per introdurre nel Regno il tribunale della Suprema Inquisizione spagnola. Pare che in quelle giornate abbia tentato di svolgere un'opera di mediazione fra le autorità spagnole e i ribelli ma senza apprezzabili risultati.

La sua fine, intanto, si avvicinava: ammalatosi (secondo gli agiografi a causa della grande afflizione provata di fronte a eventi tanto luttuosi), rifiutò le poche comodità che il medico gli consigliava e si spense, a Napoli, nella serata di domenica 7 ag. 1547.

Il suo corpo, tumulato prima nel cimitero conventuale, si venera oggi nel "soccorpo" della chiesa napoletana di S. Paolo Maggiore. Solo tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento venne abbandonato il riserbo dei primi teatini e fu avviato nell'Ordine il processo di ricostruzione della propria memoria storica con il recupero delle testimonianze sui primordi e sugli artefici dei chierici regolari. La figura di G. fu al centro di questa svolta nel clima della cosiddetta Controriforma devozionale, ben prestandosi come modello ideale di quelle "eroiche virtù" che la nuova apologetica proponeva quale paradigma di santità: beatificato da papa Urbano VIII con decreto dell'8 ott. 1629, fu canonizzato, previo decreto del 12 nov. 1670, da Clemente X il 12 apr. 1671. La sua memoria è celebrata dalla Chiesa il 7 agosto, giorno della morte.

La riservatezza tipica di G. e la presenza fra i primi teatini della personalità assai più appariscente di G.P. Carafa hanno contribuito a tenere in ombra G. durante la sua vita e negli anni successivi alla sua morte, con il risultato che sono state raccolte poche testimonianze da chi lo aveva conosciuto direttamente e che i suoi scritti - limitati all'epistolario e a qualche appunto - sono andati in gran parte perduti. Dal poco che è rimasto emergono i caratteri della spiritualità gaetaniana, confermati anche da uno stile di scrittura assai sobrio con espressioni concise e stringate, intercalate da brevi citazioni in lingua latina. Nonostante i frequenti richiami alla Madonna, la spiritualità di G. era profondamente cristocentrica: nelle sue lettere espresse ripetutamente il desiderio di conoscere Cristo e la volontà di unirsi a lui, fino all'annichilimento della propria individualità. Da questo cristocentrismo derivavano uno stile di vita ascetico, basato sulla povertà e sulla rinunzia totale ai beni materiali e alle pulsioni fisiche, e una condotta di vita attivamente impegnata nell'operare sia nel nome e per la gloria di Dio (e della sua Chiesa) sia a beneficio specialmente degli individui più emarginati e abbandonati (come gli "incurabili"). Dal distacco nei confronti dei beni temporali è venuto a G. quell'appellativo di "santo della provvidenza", con il quale è conosciuto dai suoi fedeli e che vuole indicare l'abbandono fiducioso e filiale di G. alla volontà di Dio e al soccorso proveniente da lui nelle tante difficoltà - spirituali e materiali - della vita. Dal punto di vista sacramentale, inoltre, G. fu un convinto sostenitore delle pratiche della celebrazione quotidiana della messa per i sacerdoti e della comunione frequente per i fedeli. Questa intensità della pratica sacramentale combacia perfettamente con il carattere fondamentalmente clericale dell'Ordine regolare da lui fondato. G. e i suoi compagni avrebbero dovuto presentarsi come il modello dei nuovi sacerdoti: viventi in comunità povere e rigorosamente disciplinate, obbedienti verso i superiori, dediti alla preghiera e all'attività liturgica, impegnati nell'apostolato e nell'assistenza nei confronti dei laici. In conclusione, nella personalità spirituale di G. si può individuare l'influsso esercitato dall'esperienza della Compagnia del Divino Amore e dal suo programma: la santificazione personale nella preghiera e nelle pratiche sacramentali, la restaurazione di un modello sacerdotale "apostolico" e l'assistenza caritativa verso il prossimo, senza indulgere nell'esibizionismo, ma anzi coltivando il riserbo delle opere.

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