LEONARDO Murialdo, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LEONARDO Murialdo, santo

Giovenale Dotta

Nacque a Torino il 26 ott. 1828 da Leonardo Franchino, agente di cambio e sensale di commercio, e da Teresa Rho. Con il fratello maggiore Ernesto, trascorse sette anni di studio (1836-43) a Savona, presso il collegio degli scolopi, il cui sistema educativo fu di lì a poco tanto lodato da V. Gioberti.

Il periodo savonese segnò profondamente la vita di L., sia dal punto di vista della sensibilità culturale sia sul versante della spiritualità. Infatti, durante il suo ultimo anno di permanenza in terra ligure, attraversò una dolorosa crisi religiosa, della quale riferì lungamente nel suo Testamento spirituale e che segnò poi tutta la sua vita. Non si trattò della perdita della fede, ma di uno smarrimento psicologico e morale, avvertito più tardi come un vero rifiuto di Dio, smarrimento che si risolse con il rientro in famiglia e con la "conversione", da lui sentita come frutto gratuito della misericordia del Signore.

A Torino proseguì gli studi seguendo il corso di filosofia e, avendo deciso di diventare sacerdote, quello di teologia (1845-50), come chierico "esterno", che si concluse con il conseguimento della laurea presso l'Università di Torino.

Ordinato sacerdote il 20 sett. 1851, L. intraprese il suo apostolato nei primi oratori torinesi, all'inizio come collaboratore in quello dell'Angelo Custode, in Borgo Vanchiglia, poi come direttore, dal 1857 al 1865, di quello di S. Luigi, presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Questa prima fase della sua attività ebbe termine nel settembre 1865, quando decise di trascorrere un anno nel celebre seminario parigino intitolato a S. Sulpizio.

A Parigi approfondì soprattutto la morale e il diritto canonico, conobbe metodi ed esperienze nuove nel campo dell'apostolato giovanile e operaio, arricchì la sua esperienza interiore accostandosi alle dottrine di P. de Bérulle e di J.-J. Olier, affinando così la sua sensibilità spirituale, già alimentata da altre fonti (s. Francesco di Sales, la corrente mistica ignaziana francese, s. Alfonso Maria de' Liguori).

Il ritorno a Torino nell'ottobre 1866 fu presto seguito dall'accettazione di un nuovo e più impegnativo incarico: la direzione del collegio Artigianelli, istituzione che si proponeva di accogliere, assistere, educare cristianamente e addestrare nel lavoro professionale i ragazzi orfani, poveri e abbandonati.

Il collegio era stato fondato da don G. Cocchi nel 1849 e dipendeva da un ente denominato Associazione di carità a pro dei giovani poveri e abbandonati, di cui lo stesso don Cocchi era stato il principale promotore. L'istituto offriva ai ragazzi le scuole elementari, un breve tirocinio in qualche laboratorio interno e poi la formazione professionale vera e propria. Ai primi laboratori per calzolai e falegnami, si aggiunsero con il tempo quelli dei legatori di libri, degli ebanisti-intarsiatori, degli scultori e tornitori in legno, dei sarti, dei tipografi, dei fabbri-ferrai e dei tornitori in ferro, oltre alla rinomata scuola di pittura e scultura diretta dal pittore Enrico Reffo.

Lo sforzo per un costante miglioramento quantitativo e qualitativo fu sostenuto da stimolanti confronti con altre realtà educative, anche europee, mediante numerosi viaggi compiuti da L. e dai suoi collaboratori, don Eugenio Reffo e don G. Costantino, in Italia e soprattutto all'estero, in Francia, Belgio, Inghilterra. Ne beneficiarono le varie istituzioni dell'Associazione di carità, come la colonia agricola, che sempre don Cocchi dirigeva a Moncucco (oggi in provincia di Asti) e che nel 1878 fu rifondata da L. su basi migliori a Rivoli, presso Torino. In quello stesso anno L. aprì a Torino una casa famiglia per giovani operai, poi estesa anche agli studenti: era la prima in Italia e si modellava su vari esempi visti in Francia, cui seguì, nel 1881, la fondazione di un nuovo istituto a Volvera (Torino). Tale spazio accoglieva i ragazzi più piccoli, prima che potessero iniziare l'apprendimento di un mestiere agli Artigianelli o nella colonia agricola. Dalla nomina a rettore, del 1866, alla fondazione della casa di Volvera trascorsero quindici anni, durante i quali L. migliorò le istituzioni già esistenti e ne fondò di nuove.

Quello dell'Associazione di carità era un complesso articolato e armonico, in grado di venire incontro in modo abbastanza duttile ai bisogni dei ragazzi, accompagnandoli dalle classi elementari (Volvera), attraverso la formazione professionale (collegio Artigianelli, colonia agricola), fino all'inserimento nel mondo del lavoro (casa famiglia).

Un altro settore in cui si profuse l'impegno di L. fu quello del nascente movimento cattolico. Egli collaborò anzitutto con l'Unione cattolica operaia, fondata a Torino il 29 giugno 1871 principalmente per iniziativa del giornalista S. Scala, con l'appoggio di alcuni laici e di qualche sacerdote. L'Unione era suddivisa in varie sezioni parrocchiali (coordinate dal consiglio centrale) e aveva contatti con le unioni di operai cattolici che man mano sorgevano in altri paesi e città al di fuori del capoluogo piemontese, sotto l'impulso del comitato promotore.

Il suo primo biografo, don E. Reffo, scrisse che L. cominciò a frequentare l'Unione cattolica operaia e "prese a favorirla" fin dai suoi inizi e che "quando cominciò in Italia l'agitarsi dei cattolici per un'azione vigorosa ed efficace, egli poteva a ragione essere considerato come uno dei primi a promuovere quell'agitazione salutare e a farsene apostolo" (Vita del t[eologo] L. M. rettore degli Artigianelli di Torino e fondatore della Pia Società di S. Giuseppe, 2ª ed., Torino 1905, pp. 74 s., 79).

All'interno dell'associazione egli divenne, nel 1876, assistente ecclesiastico del comitato promotore e nel 1880 membro del consiglio centrale, mantenendo l'incarico fino al 1891.

Oltre a intraprendere attività comuni ad altre società di mutuo soccorso liberali o socialiste, l'Unione cattolica operaia diede vita, nel 1876, a un foglio mensile intitolato Unioni operaie cattoliche, divenuto nel 1883 La Voce dell'operaio, trasformato in settimanale nel 1895 e ancora oggi esistente con la testata La Voce del popolo.

L'attività di L. si estese anche all'Opera dei congressi: fece parte del comitato regionale piemontese, all'interno del quale si dedicò soprattutto al settore della stampa cattolica e delle biblioteche popolari. Partecipò ad alcuni congressi italiani, a Firenze nel 1875 e a Napoli nel 1883, a vari congressi francesi, oltre che ai congressi regionali piemontesi, a uno ligure e a qualche adunanza diocesana. A lui, e a pochi altri suoi collaboratori, risale la fondazione a Torino, nel febbraio 1883, dell'Associazione S. Carlo per la diffusione della buona stampa: durante il VI congresso cattolico italiano (Napoli 1883) tentò di avviare una federazione o lega fra le varie società per quel progetto. Qualche mese più tardi, nel gennaio 1884, L. diede vita al bollettino mensile La Buona Stampa, organo dell'Associazione S. Carlo di Torino, ma anche foglio di collegamento della neonata lega, alla quale frattanto avevano aderito le società di Roma, Napoli, Venezia, Ancona, Genova, Palermo, Milano e Savona, oltre naturalmente quella di Torino, società promotrice.

Questi primi, promettenti passi furono interrotti da una grave bronchite, presto trasformatasi in polmonite, che colpì L. alla fine del 1884 e fece seriamente temere per la sua vita. Non fu possibile, come era nei progetti di G. Paganuzzi, allora attivissimo vicepresidente dell'Opera dei congressi, costituire a Torino la sezione stampa dell'Opera stessa sotto la responsabilità di L., che dovette, da quel momento, ridurre di molto la sua attività nel movimento cattolico, anche se le dimissioni formali da ogni incarico giunsero soltanto nel 1891. Così, alla fine del 1885, si chiuse anche la breve stagione del bollettino La Buona Stampa, pur continuando la diffusione di libri e giornali e la fondazione di biblioteche popolari da parte dell'Associazione S. Carlo di Torino. Dal 1885 L. si dedicò quasi esclusivamente alla direzione delle sue opere educative e alla cura e allo sviluppo della famiglia religiosa, la Congregazione di S. Giuseppe, che egli aveva fondato il 19 marzo 1873 per i ragazzi poveri e abbandonati e per dare continuità al collegio degli Artigianelli e alle altre opere dell'Associazione di carità.

La Congregazione prese nome da s. Giuseppe, perché, in tempi di sensibilizzazione ai problemi del mondo del lavoro, L. vedeva in lui l'artigiano e il custode di Gesù fanciullo e adolescente, dunque il modello di ogni educatore, specialmente di chi si dedicava all'apostolato in mezzo ai giovani lavoratori e ne voleva imitare l'umiltà, la carità, la laboriosità. Campo di attività dei primi confratelli, i giuseppini, furono le opere dell'Associazione di carità e le altre che man mano L. venne fondando: l'oratorio del S. Cuore a Rivoli (1880), i patronati (oratori per ragazzi) di Venezia (1883), Oderzo (1889), Vicenza (1890), Bassano (1891), Rovereto (1894), Correggio (1897). Nel 1899 aprì a Modena il collegio S. Cuore e un altro oratorio a Carpi. Spesso l'attività educativa dell'oratorio era accompagnata da quella della scuola elementare. A Oderzo, poi, L. accettò di dare inizio a un "collegio convitto per i giovani di civile condizione", nonostante le forti perplessità sue e di altri confratelli, derivanti dal fatto che "pareva che tale non fosse la missione dei Giuseppini". Egli si piegò alle circostanze e alle richieste del vescovo del luogo, "a condizione che si mantenesse in pari tempo anche il patronato" (Vita…, pp. 154 s.).

Frattanto la Congregazione andò elaborando, sotto la guida di L. e grazie a don Reffo che ne fu l'estensore, i testi legislativi che ne delinearono l'identità spirituale e l'impegno apostolico. Al cuore della spiritualità di L. stava la scoperta gioiosa della misericordia di Dio. Questa sua certezza di fede divenne il carisma che volle trasmettere ai suoi "cari figli e confratelli", affinché ne attingessero "un'incrollabile confidenza" in Dio misericordioso e diventassero diffusori della "conoscenza dell'amore infinito, attuale e individuale che Dio ha per tutti gli uomini […] e dell'amore personale che egli ha per ciascuno in particolare" (Testamento spirituale, introd., trad. e note di G. Fossati, Roma 1983, pp. 71, 111). Ne derivò un abbandono gioioso alla volontà di Dio, nelle situazioni ordinarie e straordinarie della vita, nel "momento presente" come "luogo" della scoperta e della risposta all'amore di Dio.

Anche la sua pedagogia fu sostenuta da tali convinzioni. I destinatari della sua attività educativa furono i ragazzi e i giovani delle classi popolari: "poveri e abbandonati: ecco i due requisiti che costituiscono un giovane come uno dei nostri, e quanto più è povero ed abbandonato, tanto più è dei nostri" (Scritti, V, p. 6), come affermò in una pagina del 1869; "poveri, orfani o abbandonati od anche solo discoli", come recitava il Regolamento della Congregazione di S. Giuseppe del 1873 (parte V, art. 1). Gli obiettivi dell'azione educativa erano la formazione morale, civile e religiosa. Occorreva lavorare perché i giovani diventassero "onesti cittadini, laboriosi e valenti operai, sinceri e virtuosi cristiani" (Scritti, X, p. 119). Il fine religioso, o come si diceva allora la salvezza delle anime, trovava in L. una forte sottolineatura, compendiata nel motto a lui caro, per quanto non in linea con la più pura tradizione del latino classico: ne perdantur, affinché non si perdano (ibid., II, p. 178; IV, pp. 499, 540; V, p. 4; Epistolario, V, lettere 2156, 2187). Il metodo e lo stile consistevano nello stare in mezzo ai ragazzi, "facendosi a ciascuno di essi amico, fratello e padre" (Regolamento della Congregazione…, cit., parte I, art. 4), cercando di formare, per quanto lo consentissero le modalità educative del tempo, una famiglia con i ragazzi e anche fra gli educatori, in modo che fosse più facile attuare e testimoniare un'altra fra le linee fondamentali della pedagogia murialdina, quella della dolcezza e della misericordia.

L. trascorse gli ultimi anni di vita dedicandosi ai ragazzi delle sue istituzioni e al governo della Congregazione. La sua fibra andava però indebolendosi, con continue ricadute.

L. morì a Torino il 30 marzo 1900. Fu beatificato il 3 nov. 1963 e proclamato santo il 3 maggio 1970. La sua festa liturgica cade il 18 maggio.

Fonti e Bibl.: I manoscritti e le lettere autografe di L. sono conservati a Roma, presso l'Archivio centr. giuseppino e a Torino nell'Archivio storico del collegio Artigianelli; Epistolario, a cura di A. Marengo, I-V, Roma 1970-73 (un ulteriore volume edito nel 1998 raccoglie le lettere rinvenute successivamente); Scritti, a cura del Centro storico giuseppini del Murialdo, I-IX, Roma 1995-2002 (sono previsti altri due volumi, oltre agli indici); A. Marengo, Contributi per uno studio su L. M. educatore, Roma 1964; A. Castellani, L. M., I-II, Roma 1966-68; A. Marengo, Contributi per uno studio su L. M. fondatore e superiore generale, Roma 1969; G. Fossati, L'opuscolo "Della vita di fede" nella sua storia redazionale e nell'esperienza spirituale di san L. M., Roma 1993; A. Marengo, Contributi per la conoscenza della spiritualità di s. L. M., I-IV, Roma 1993-96; G. Dotta, La nascita del movimento cattolico a Torino e l'Opera dei congressi (1870-1891), Casale Monferrato 1999, ad ind.; Id., La figura e l'opera di s. L. M. nel centenario della morte, in Arch. teologico torinese, VI (2000), 2, pp. 173-203; La figura e l'opera di s. L. M. nel contesto della Torino dell'Ottocento. Atti del Convegno, Torino… 2000, a cura del Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della morte di s. L. M., Roma 2001; G. Dotta, La formazione al lavoro nel collegio Artigianelli di Torino al tempo del M. (1866-1900), in Annali di storia dell'educazione e delle istituzioni scolastiche, IX (2002), pp. 227-256; La pedagogia del M., sintesi… del Seminario di studio della Famiglia del Murialdo… 2003, a cura di G. Dotta, Roma 2003; G. Dotta, Problemi di critica testuale nell'epistolario del M., Roma 2003 (su alcune lettere non autentiche confluite nell'epistolario e sul loro utilizzo nella storiografia murialdina).

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