LUDOVICO d'Angiò, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUDOVICO d'Angiò (Ludovico di Tolosa), santo

Andrè Vauchez

Secondogenito di Carlo d'Angiò, futuro re di Sicilia, e di Maria d'Ungheria, L. nacque a Brignoles nel febbraio del 1274 e trascorse l'infanzia a Napoli e in Provenza. Dal settembre 1288 all'ottobre 1295 fu trattenuto come ostaggio in Aragona, insieme con i fratelli minori Roberto e Raimondo Berengario, al posto di suo padre, fatto prigioniero al largo di Napoli nel 1284 dalla flotta di Alfonso III d'Aragona comandata da Ruggero di Lauria.

Nell'estate di quell'anno Carlo, in lotta contro Alfonso III per il possesso della Sicilia, aveva attaccato senza successo la flotta aragonese che incrociava nel golfo partenopeo. Catturato, ottenne la libertà solo nel 1288, a patto di consegnare in ostaggio agli Aragonesi tre dei suoi figli.

Nel corso della cattività L. risiedette in diversi castelli della Catalogna (Moncada, Ciurana, Barcellona) e fu in contatto con il grande teologo francescano Pietro di Giovanni Olivi, che il 18 maggio 1295 dal convento di Narbona indirizzò a L. e ai suoi fratelli una lunga lettera di esortazione, in cui spiegava che aveva preferito non incontrarli per non irritare Carlo II, il quale temeva che Olivi facesse di loro dei "beguini" ("eciam dominus pater vester timuerat vos inbeguiniri", cfr. Ehrle, p. 538). Già in quell'epoca, infatti, L. subiva l'influenza della sua cerchia formata da francescani provenzali, in particolare di François Brun e di Pierre Scarrier, quest'ultimo incaricato della sua formazione culturale e spirituale, e fu allora che fece segretamente il voto di entrare nell'Ordine dei frati minori. Nell'ottobre 1294 gli fu assegnata da papa Celestino V, dietro intervento di Carlo II, l'amministrazione dell'arcidiocesi di Lione: come tutte le decisioni del "papa angelico", anche questa nomina fu cassata nell'aprile 1295 dal suo successore, Bonifacio VIII. La morte di Carlo Martello (agosto 1295), suo fratello maggiore e principe di Salerno, fece di L. l'erede al trono, ma una volta liberato vi rinunciò nel gennaio-febbraio 1296 in favore di Roberto, terzogenito di Carlo II. Già ordinato suddiacono da papa Bonifacio VIII nel Natale 1295, L. ricevette in seguito il diaconato e fu quindi ordinato sacerdote dall'arcivescovo Filippo Capece Minutolo il 19 maggio 1296 a Napoli, dove risiedette diversi mesi al Castel dell'Ovo insieme con la sua famiglia.

In seguito a una negoziazione - che sembra essere stata difficile - con Carlo II e il pontefice, fu nominato vescovo di Tolosa, incarico che accettò a condizione di poter indossare l'abito francescano, come fece in segreto il 24 dic. 1296 nella chiesa del convento romano di S. Maria in Aracoeli, prima di essere consacrato vescovo da Bonifacio VIII; il 5 febbr. 1297 compì pubblicamente la vestizione con grande disappunto di Carlo II.

Lasciata l'Italia, si recò dapprima a Parigi dove trascorse la settimana santa (e si distinse lavando i piedi a numerosi poveri nel giovedì santo) e dove si intrattenne con i teologi francescani dell'Università. Poi raggiunse Tolosa e lì prese possesso della cattedra vescovile nel mese di maggio, dopo aver compiuto il solenne ingresso in città; ma non rimase abbastanza nella sua diocesi per imprimervi una traccia determinante. Dopo poche settimane, lasciò Tolosa per la Catalogna al fine di pacificare il conte di Foix e il re Giacomo II d'Aragona, nonché per incontrare sua sorella Bianca, sposa di quest'ultimo; fu in quell'occasione che, il 15 luglio 1297, consacrò la nuova chiesa francescana di Barcellona. Dalla città catalana L. si diresse verso Roma, dove aveva intenzione di presentare al papa le dimissioni dal suo incarico vescovile, che riteneva in contrasto con la sua vocazione religiosa; il 28 luglio era a Tarascona, dove predicò davanti al capitolo provinciale dei domenicani. Nei giorni successivi, indebolito da una malattia, L. si fermò nel natio castello di Brignoles e lì morì il 19 ag. 1297, all'età di 23 anni. Poco prima aveva dettato il testamento, affidandone l'esecuzione a Raymond Geoffroy, un tempo ministro generale dei frati minori, che Bonifacio VIII aveva costretto alle dimissioni nel 1295.

Il suo corpo fu traslato a Marsiglia e sepolto nella chiesa francescana della città, dove furono ben presto segnalati miracoli a lui attribuiti, annotati in un Liber miraculorum redatto dal guardiano della tomba (cfr. ed. Processus, pp. 275-332). In seguito alla diffusione in Provenza della sua reputazione di santo taumaturgo, Carlo II nominò, nel gennaio 1300, alcuni procuratori, incaricati di promuoverne il culto e di preparare il processo di canonizzazione, la cui apertura fu formalmente richiesta nel 1304 dai vescovi delle diocesi provenzali. Il 1( ag. 1307 papa Clemente V rispose a quella richiesta ordinando un'informativa sulla vita e i miracoli di L. con la bolla Ineffabilis providentia Dei. L'inchiesta ebbe inizio il 23 febbr. 1308; i testimoni furono interrogati sulla base di una lista di 54 articoli seguendo un piano approssimativamente biografico; fra questi, 33 furono coloro che rilasciarono deposizioni abbastanza lunghe e circostanziate, in particolare i francescani e i pochi laici che avevano condiviso con L. la cattività in Catalogna, oltre a frate Adam - il quale testimoniò in nome di Roberto d'Angiò, di cui era cappellano - e a Raymond Geoffroy, che aveva incontrato L. a Roma nel 1295 e in Provenza nel 1297. Gli atti di questo processo di canonizzazione costituiscono una fonte di primaria importanza per la conoscenza di L. e per la storia delle origini del suo culto (ibid., pp. 1-254).

A Napoli, l'arcivescovo Giacomo da Viterbo, legato agli Angiò, scrisse e pronunciò almeno due sermoni nel 1303 e nel 1304, in occasione dell'anniversario del transito di L., per esaltarne i meriti e sottolineare che L. aveva attinto alla perfezione sia come secolare sia come regolare e pastore, condizione che doveva fargli valere al più presto la gloria degli altari. Questa sanzione ufficiale non tardò ad arrivare, poiché L. fu canonizzato il 7 apr. 1317 ad Avignone da Giovanni XXII, che di L. era stato uno dei suoi più prossimi collaboratori all'episcopio di Tolosa nel 1297, prima di diventare, nel 1308, cancelliere del Regno di Napoli. Qualche anno più tardi un anonimo francescano, che aveva senza dubbio fatto parte della cerchia di L. (l'attribuzione tradizionale a Giovanni d'Orta, attestata da un solo manoscritto, non si fonda su alcun dato concreto), scrisse un'interessante Vita s. Ludovici episcopi Tolosani, ricca di annotazioni spirituali e psicologiche non tutte confluite nel processo di canonizzazione (Processus, pp. 333-380).

La santità di L. diede luogo, subito dopo la sua morte, a divergenti interpretazioni rintracciabili negli atti del processo di canonizzazione; la personalità del giovane principe-vescovo angioino è inoltre stata oggetto di nuove analisi da parte degli storici nel corso della seconda metà del Novecento. Si è sottolineata la particolarità di questo processo riguardante un frate minore destinato a diventare una delle glorie del suo Ordine al quale non fu ufficialmente associato: infatti, nessuno dei due ministri generali in quel periodo ai vertici dell'Ordine - Giovanni da Morrovale (Minio Giovanni), subentrato a Geoffroy nel 1296, e Gonsalvo di Balboa - figura fra i postulatori e tutte le petizioni in favore della sua canonizzazione provengono dalla casata angioina, come anche dal clero secolare di Provenza e del Regno di Napoli. Sulla scorta di questa constatazione Pásztor (1955) e Manselli hanno ipotizzato che L. facesse parte della cosiddetta ala "spirituale" dell'Ordine francescano e che, per l'inasprirsi del conflitto fra gli spirituali e la "comunità" dell'Ordine negli anni successivi alla sua morte, in particolare in occasione del concilio di Vienne (1311-12), la gerarchia del suo Ordine preferisse tenersi in disparte per non apparire in accordo con le posizioni da lui assunte, in particolare sulla questione della povertà. Non è escluso che L. abbia incontrato Pietro di Giovanni Olivi in occasione della sua permanenza in Catalogna, e la lettera che questi indirizzò ai tre principi presuppone che esistevano reali affinità fra loro, anche se in L. non si trova alcuna eco delle concezioni escatologiche dell'Olivi. Sarebbe pertanto eccessivo fare di L. l'incarnazione dello "spirituale" francescano e si può pensare che, se realmente lo fosse stato, papa Giovanni XXII, che lo aveva conosciuto di persona e che, è ben noto, non nutriva alcuna simpatia nei confronti di questa corrente e delle idee dell'Olivi, non gli avrebbe accordato la gloria degli altari, nonostante le pressioni della corte napoletana. I frati minori provenzali e napoletani che furono vicini a L. nella sua giovinezza e che giocarono un ruolo decisivo nella sua formazione - F. Brun, P. Scarrier e Pierre Coccardi - erano certamente molto legati al rispetto della regola francescana, ma non erano degli "zelanti" o dei ribelli, e divennero vescovi di diocesi dell'Italia meridionale.

Inoltre, se L. fu senza alcun dubbio un sostenitore degli ideali evangelici, altre componenti si ritrovano nella sua santità: sembra in effetti che egli abbia praticato un estremo ascetismo e spinto al più alto grado il contemptus mundi, indossando un cilicio a pelle, dormendo con i suoi abiti religiosi e fuggendo la compagnia delle donne; era di una eccezionale sobrietà, contentandosi sovente di poco cibo e di un po' di vino annacquato. La sua stessa rinuncia all'episcopato, presentata dai testimoni al processo di canonizzazione come marchio di umiltà, sembra essere motivata soprattutto dalla paura di non poter perseguire la propria salvezza per la dedizione esclusiva alla cura animarum.

Anche la sua compassione per i poveri, pur essendo conforme all'ideale francescano, si espresse secondo modalità che hanno condotto J. Paul (1999) a parlare di "franciscanisme royal" a proposito di L., il cui modello di riferimento sarebbe stato il prozio, Luigi IX re di Francia, proclamato santo solo nel 1297, ma del quale L. doveva certamente conoscere le biografie. Così, la cura nel lavare i piedi ai poveri e nel servirli personalmente a tavola, al pari dell'abitudine a genuflettersi davanti a loro rinviano all'esempio del pio re di Francia; mentre il bacio che egli avrebbe dato in Catalogna, nel corso di un giovedì santo, a un lebbroso, in seguito dileguatosi, attestato dal cappellano di suo fratello Roberto, fa pensare a un'imitazione del modello del "poverello".

Si deve infine considerare l'importanza che ebbe per L. l'attività intellettuale. Nel corso del processo del 1308, un testimone laico lo definì "magnus clericus" e ricordò le sei o sette bestie da soma necessarie per trasportare i suoi libri nei suoi spostamenti. Benché non avesse seguito un cursus tradizionale di studi universitari, sembra aver avuto uno spiccato gusto per la disputatio e, in generale, per gli aspetti dottrinali. Dopo aver studiato il primo libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, sotto la guida di Guglielmo di Falgar, approfittò della presenza a Napoli, nel 1296, del teologo francescano attivo a Parigi Riccardo di Mediavilla per intrattenere con lui lunghi colloqui a questo riguardo; sappiamo inoltre, da una deposizione del processo di canonizzazione, che era un lettore assiduo delle opere di Bernardo di Chiaravalle. Il testamento di L. conferma in generale i suoi interessi culturali, viste la quantità e la qualità delle opere che vi sono menzionate. Poco prima di morire, L. affidò infatti alcuni libri ai suoi compagni e al vicino convento di Draguignan, mentre i due francescani che gli erano stati vicini fin dalla prigionia, F. Brun e P. Scarrier, ereditarono l'essenziale della sua biblioteca. La rivendettero nel 1299 per 231 libbre a Carlo II d'Angiò, il quale ne fece dono al convento domenicano di St-Maximin, da lui fondato nel 1295.

Il culto di L. si diffuse rapidamente e fu sostenuto dai sovrani napoletani: già dal 1306 Roberto d'Angiò, vicario di Carlo II in Provenza, istituì a nome del padre una rendita annuale di 25 libbre per celebrare l'anniversario del fratello L. e, l'8 nov. 1319, assistette alla solenne traslazione dei suoi resti nella chiesa dei frati minori a Marsiglia. In Francia, re Filippo VI di Valois, suo nipote, istituì rendite per le confraternite che si fossero intitolate a L., come quella fondata nel 1329 nella chiesa francescana di Le Mans. Identica iniziativa fu presa in Aragona, dove il culto di L. fu diffuso da sua sorella Bianca e dal figlio di questa, Alfonso (IV), che nel 1355 offrì al convento francescano di Terruel un trittico raffigurante Ludovico d'Angiò. L'aspetto dinastico e familiare del culto fu dunque preponderante, come ben mostra la celebre tavola dipinta da Simone Martini negli anni 1317-20 (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), che rappresenta L. con i paramenti vescovili indossati sopra al saio francescano in posizione frontale mentre incorona con la mano sinistra suo fratello Roberto. Non si tratta di un suo reale ritratto, poiché il vero soggetto della tavola è costituito dalla rinuncia di L. al trono e dal trasferimento dei suoi diritti successori a favore del fratello Roberto; l'aspetto politico di questa rappresentazione è anche sottolineato dal fatto che la scena è contornata da gigli e sormontata dagli stemmi degli Angiò. Il culto di L. conobbe in seguito una certa diffusione in Italia meridionale dove gli furono dedicate diverse chiese e cappelle.

Nel resto dell'Italia esso si propagò soprattutto nelle città e nelle regioni di tradizione guelfa, di cui re Roberto e i suoi successori erano i principali sostenitori. A Firenze, Giotto rappresentò L. nella cappella Bardi di S. Croce, mentre Donatello lo raffigurò in una piccola statua di bronzo per ornare la nicchia della Parte guelfa in Orsanmichele. Inoltre L. è particolarmente venerato nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi, dove il cardinale francescano Gentile da Montefiore, legato pontificio in Ungheria molto vicino alla dinastia angioina, fece erigere due cappelle, decorate dopo il 1312: nella prima, dedicata a S. Martino, Simone Martini ha raffigurato, tra il 1322 e il 1326, s. Luigi di Francia e L., insieme con Elisabetta d'Ungheria; nella seconda, intitolata a S. Luigi, il giovane L. è raffigurato in una vetrata. Al di là di questi esempi, L. è soprattutto presente in polittici e tavole d'altare, dove compare con altri personaggi, antichi e moderni, in quanto terzo santo canonizzato dell'Ordine francescano e autorevole personalità; tuttavia, a differenza di Francesco d'Assisi o Antonio di Padova, nel caso di L. non si conoscono che pochi cicli pittorici consacrati agli avvenimenti della sua vita.

La devozione nei riguardi di L., anche nelle regioni dove era particolarmente diffusa, declinò nel corso del XV secolo; fu un destino paradossale quello del giovane principe-vescovo che aveva ardentemente desiderato rinunciare a ogni forma di potere, politico o ecclesiastico, per condurre una vita secondo i precetti evangelici e che era stato canonizzato senza il sostegno della gerarchia francescana, ma che finì per diventare il simbolo di una "santa alleanza", creatasi all'inizio del XIV secolo tra gli Angiò di Napoli, il Papato d'Avignone, i guelfi italiani e l'Ordine dei frati minori.

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