SANZIONE

Enciclopedia Italiana (1936)

SANZIONE

Fulvio MAROI
Giorgio BALLADORE PALLIERI
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Il termine "sanzione" nel campo del diritto ha varî significati.

a) In rapporto alla formazione delle leggi: sanzione è l'atto con cui il sovrano, come capo del potere legislativo, dà alla legge, già approvata dalle due Camere, la sua approvazione: è un atto libero nel senso che il re può sempre negare la sua sanzione a una legge; una volta però sanzionata è tenuto, come capo del potere esecutivo, a promulgarla, a renderla cioè esecutoria. Quindi i due atti, quantunque entrambi compiuti praticamente dal capo dello stato nello stesso momento (Testo unico 24 settembre 1931 n. 1256, art. 1: "Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato, noi abbiamo sanzionato e promulghiamo"), sono due atti distinti e idealmente successivi.

b) In rapporto alla teoria generale del diritto. È stato affermato che il momento giuridico del precetto consiste essenzialmente nella sua sanzione: questo è l'elemento caratteristico, imprescindibile e inseparabile dal diritto nel suo aspetto obiettivo. Sanzione in senso lato è il mezzo con cui vien garantita l'imperatività della norma giuridica: in senso tecnico è la comminatoria di un male che il legislatore predispone per chi trasgredisce la norma di diritto: essa è diretta sia a riparare il male dell'illecito (così il risarcimento dei danni che è la sanzione tipica nei rapporti del diritto privato), sia ad infliggere un nuovo male al colpevole per la trasgressione compiuta (così la pena, sanzione tipica nei rapporti di diritto pubblico). In questo senso la pena, considerata, come diceva Grozio, malum passionis quod infligitur ob malum actionis (De iure belli ac pacis, lib. II, cap. XX, § 1,1), è la più grave di ogni altra sanzione giuridica, anche perché coercibile sulla persona (si consideri che la stessa pena pecuniaria si può convertire in pena restrittiva della libertà personale; art. 136 cod. pen.). A torto, peraltro, si è voluto insistere sul cosiddetto carattere sanzionatorio solo in riguardo del diritto penale; tal carattere, è invece, proprio del diritto obiettivo in generale: quand'anche la sanzione non possa estrinsecarsi in una materiale coercizione della prestazione secondaria (la coercizione alla prestazione primaria o esecuzione in forma specifica, in quanto è attuazione diretta del precetto legislativo, non ha carattere sanzionatorio), può ben consistere soltanto "nella qualifica di illiceità del comportamento del soggetto inadempiente" (A. Levi).

Con speciale riguardo al diritto privato aggiungiamo che, se sanzione tipica è il risarcimento del danno (che è sanzione e non pena anche se la legge usa il termine di "pene convenzionali, clausola penale"), non mancano vere e proprie sanzioni consistenti in pene (pene civili): così in tutti i casi in cui la legge stabilisce speciali cause di indegnità (art. 724 cod. civ.) o di revoca della donazione per ingratitudine (art. 1081 cod. civ.) o di perdita di stati familiari o rimozione da determinati uffici di diritto privato (art. 233, 269, 516 cod. civ.) o di decadenze (numerose in materia successoria). Non costituiscono, invece, sanzioni in senso tecnico le cosiddette sanzioni di invalidità (di nullità o di annullabilità dei negozî giuridici disformi dalle regole di diritto): questo diniego di tutela è un mezzo con cui si attua direttamente la norma giuridica (così è a dire della prescrizione). Né costituisce sanzione contro l'inadempienza l'esecuzione forzata: suo scopo, infatti, è semplicemente quello di procurare al creditore l'oggetto del proprio credito (F. Invrea, La parte generale del diritto, Padova 1934, p. 97 segg.).

Quanto alle sanzioni tipiche di diritto pubblico (pene), loro natura, loro distinzione e loro scopi (pene restrittive della libertà personale, pene pecuniarie, pene disciplinari, pene di polizia, pene fiscali, sanzioni amministrative) v. pena.

Deve peraltro riconoscersi che talune norme (e proprio quelle che sono in ogni tempo a base del sistema giuridico di ogni stato) sono formalmente sprovviste di sanzione: la storia insegna che la violazione di esse è atto rivoluzionario e la sua sanzione è negli ulteriori atti rivoluzionarî che vengono suscitati dall'avvenuta lacerazione della convenzione su cui la società si fonda, oppure è l'inizio della formazione di un ordine nuovo che sostituisca l'antico, non più rispondente alle esigenze della comunità" (V. Arangio-Ruiz, Ist. dir. rom., 3ª ed., Napoli, 1933, p. 17, n. 1).

Bibl.: A. Rocco, Sul carattere sanzionatorio del diritto penale, in Giur. it., 1910; G. Zanobini, Sanzioni amministrative, Torino 1924; E. Iannitti, Pena e sanzione disciplinare, in Studi in onore di P. Lucchini, Città di Castello 1925, p. 82 segg.; D. De Martini, Le sanzioni civili nei codici di diritto e di proc. penale, in Giust. pen., II (1933), p. 321 segg., 433 segg.; R. De Ruggiero, Ist. dir. civ., Messina 1933, I, § 7; A. Levi, Ist. di teoria generale del diritto, Padova 1934, I, p. 260 segg.

Diritto internazionale.

Lo statuto della Società delle nazioni elenca sanzioni da prendere contro lo stato, membro di questa società, il quale violi una delle norme del patto sociale, vietanti in certi casi il ricorso alla guerra (art. 16).

L'articolo s'inizia disponendo che: "Qualora uno dei membri della Società ricorra alla guerra in violazione dei patti di cui agli articoli 12, 13 e 15, sarà considerato ipso facto come colpevole di aver commesso un atto di guerra contro gli altri membri della società, i quali si impegnano a interrompere immediatamente ogni rapporto commerciale e finanziario col medesimo, a proibire ogni traffico tra i proprî cittadini e i cittadini dello stato contravventore, e a interdire ogni rapporto finanziario commerciale o personale fra i cittadini dello stato contravventore e i cittadini di qualsiasi altro stato, sia o non sia membro della Società. Sebbene l'articolo si inizi in modo da lasciar desumere che la violazione del patto commessa da uno stato importi automaticamente la guerra contro di esso da parte di tutti gli altri membri, la 2ª assemblea della Società delle nazioni, nella sua risoluzione del 4 ottobre 1921, ne ha dato quest'altra interpretazione, divenuta ormai certa e concorde: "L'atto unilaterale dello stato colpevole non può creare uno stato di guerra; esso non fa che dare agli altri membri della Societa la facoltà di procedere ad atti di guerra o a dichiararsi in istato di guerra con lo stato in rottura del patto. Ma è nello spirito del patto che la Società delle nazioni cerchi, almeno dapprincipio, di evitare la guerra e di ristabilire la pace con una pressione economica. I membri sono adunque non già obbligati, ma solo autorizzati a ricorrere alla guerra contro il violatore del patto, e inoltre, per restare fedeli allo spirito di questo, devono attendere che ogni altro procedimento meno violento si sia inutilmente esaurito. Quanto invece al cosiddetto "blocco finanziario ed economico" e all'interruzione dei rapporti con i cittadini dello stato violatore, si tratta di veri obblighi dei membri, i quali devono prendere quelle misure, se non vogliono violare a loro volta il patto. Questa norma è però temperata dall'interpretazione ufficiosamente ma concordemente data all'art. 16 dagli stati interessati, interpretazione per cui ogni membro ha libertà di stabilire esso, secondo il suo solo e sovrano apprezzamento, se violazione del patto si sia o no avuta da parte di un altro membro. Solo dopo questo spontaneo e libero riconoscimento incomincia, da parte dello stato che così abbia ritenuto, l'obbligo di applicare le sanzioni dell'art. 16. La deliherazione del consiglio al riguardo, anche se presa all'unanimità, non contiene che semplici suggerimenti, e non vincola i membri i quali restano arbitri di determinare ciascuno individualmente se la violazione davvero sussista.

L'art. 16 prosegue disponendo che, nel caso di violazione del patto, sarà dovere del consiglio di raccomandare ai varî governi interessati quali forze militari, navali e aeree dovranno esser fornite da ciascun membro della Società per proteggere i patti sociali. Si tratta di mere "raccomandazioni" da parte del consiglio, non vincolanti per gli stati membri, e di raccomandazioni inoltre che il consiglio può fare solo ove la pressione economica non abbia dato gli attesi risultati.

Infine gli stati membri si obbligano a prestarsi mutua assistenza sia nei provvedimenti finanziarî ed economici, per attenuare le perdite e gl'inconvenienti che risultassero all'uno o all'altro membro per effetto delle sanzioni da lui applicate, sia per resistere contro i provvedimenti speciali presi contro uno di essi dallo stato contravventore. Inoltre i membri s'impegnano a facilitare il transito attraverso il loro territorio delle forze di qualunque membro della Società che partecipi a un'azione comune per fare rispettare gli impegni della Società. Quest'ultimo obbligo riguarda solo le azioni "svolte in comune" dai membri della Società, non quella isolatamente intrapresa da un membro o per conto loro da più membri, sia pure per far rispettare gl'impegni sociali.

Infine il membro della Società che ne abbia violato le norme può essere espulso dalla Società stessa, per voto di tutti gli altri membri rappresentati nel consiglio.

L'art. 16 del patto, sebbene dopo la costituzione della Società delle nazioni si siano avuti diversi conflitti che hanno dato luogo a ostilità fra stati membri, è stato per la prima volta applicato nel caso del conflitto italo-etiopico. In seguito alle operazioni militari iniziate dalle forze italiane il 3 ottobre 1935 oltre i confini dell'Eritrea, il consiglio della Società delle nazioni - già investito, dal 4 settembre 1935, dell'esame della controversia italo-etiopica agli effetti del procedimento previsto dall'art. 15 del patto, e aggiornatosi in attesa che il comitato, a tal uopo nominato, preparasse il suo rapporto - si riunì il 5 ottobre, su istanza del governo etiopico, il quale invocò l'applicazione dell'art. 16 del patto. Il consiglio, dopo udite le dichiarazioni dei rappresentanti delle due parti, nominò un comitato con l'incarico di esaminare la situazione risultante dagli avvenimenti di cui era stato informato, e di presentare entro un brevissimo termine al consiglio un rapporto al riguardo. Il comitato, nel suo rapporto presentato il 7 ottobre, arrivò alla conclusione "que le Gouvernement italien a recouru à la guerre contrairement aux engagements pris à l'article 12 du Pacte de la Société des Nations". Nel rapporto del comitato, agli effetti di valutare se le misure prese dall'Italia costituissero ricorso alla guerra in violazione dell'art. 12 del patto, non furono prese in considerazione le ragioni che il rappresentante dell'Italia, nella seduta del consiglio nella quale era stato nominato il comitato, aveva esposte per giustificare l'azione militare italiana come imposta dalla necessità di provvedere alla difesa delle colonie italiane contro la provocazione etiopica, di cui ultima manifestazione era stato l'ordine di mobilitazione generale emanato dal negus. Il rapporto del comitato non formò l'oggetto di una deliberazione collegiale del consiglio. Il presidente invitò i membri del consiglio a esprimere individualmente la loro opinione sulle conclusioni del comitato, e in seguito a tale consultazione si limitò a dichiarare di constatare "que quatorze Membres de la Société des Nations représentés au Conseil considèrent que nous nous trouvons dans le cas d'une guerre engagée contrairement aux obligations de l'article 12 du Pacte". Il rapporto del comitato e il verbale della seduta del consiglio furono comunicati a tutti i membri della Società e al presidente dell'assemblea, che, essendosi aggiornata senza chiudere la sua sessione ordinaria, era stata convocata per il 9 ottobre. Anche nell'assemblea, come nel consiglio, i delegati degli stati membri furono invitati a esprimere individualmente l'opinione del rispettivo governo sulle conclusioni del rapporto del comitato del consiglio, intendendosi che il silenzio sarebbe stato interpretato "comme un acquiescement de leur gouvernement à l'avis déjà exprimé par quatorze membres du Conseil". L'assemblea, come organo collegiale della Società, non adottò una decisione su tale punto. Il presidente si limitò a constatare che cinquanta fra i cinquantaquattro stati membri partecipanti all'assemblea avevano dato, con dichiarazione espressa o tacitamente, il loro assentimento alle conclusioni formulate nel rapporto del comitato del consiglio, mentre tre stati (Austria, Italia, Ungheria) si erano pronunciati in senso contrario e uno (Albania) si era pronunciato contro l'applicazione di sanzioni. L'assemblea, dopo ciò, adottò, con un voto contrario e due astensioni, una risoluzione nella quale "prenant en considération les obligations qui incombent aux membres de la Société des Nations en vertu de l'article 16 du Pacte et l'utilité d'établir une coordination des mesures que chacun d'eux envisagerait de prendre", emise il voto che i membri della Società (escluse le parti) costituissero un comitato per lo studio e il coordinamento dei provvedimenti che i singoli stati avrebbero adottato in applicazione dell'art. 16 del patto. Tale comitato, che si riunì immediatamente a Ginevra con la partecipazione di 52 stati, non ebbe il carattere di un organo della Società delle nazioni, ma dallo stesso presidente dell'assemblea fu definito "une conférence d'états membres qui se réunissent pour se concerter en vue de l'application des dispositions de l'article 16. Il comitato di coordinamento, per mezzo di sottocomitati, elaborò un insieme di proposte da sottoporre ai governi degli stati membri per concretare, in maniera uniforme, i provvedimenti da applicarsi nei riguardi dell'Italia in base all'art. 16. Le misure così concretate furono le seguenti: 1. proibizione dell'esportazíone, della riesportazione e del transito di armi, munizioni, e materiale bellico a destinazione dell'Italia e revoca di analoghi divieti che fossero stati precedentemente adottati nei riguardi dell'Etiopia; 2. rifiuto di crediti al governo italiano, a enti pubblici, a persone fisiche o giuridiche stabilite in territorî italiani; 3. divieto d'importazione di merci di origine italiana; 4. divieto di esportazione o riesportazione in Italia di alcuni prodotti essenziali per l'industria di guerra. I governi degli stati membri furono invitati a comunicare la loro decisione circa l'applicazione delle misure così proposte. Non tutti i governi si dichiararono disposti a prendere tali misure o alcune di esse: varî fecero delle riserve. Sulla base delle risposte dei governi, il comitato fissò la data del 18 novembre per l'entrata in vigore delle misure economiche e finanziarie, che già non fossero in applicazione. Il comitato di coordinamento adottò, inoltre, alcuni criterî per attuare, in conformità al paragrafo 3 dell'art. 16 del patto, il mutuo appoggio fra gli stati membri nell'applicazione delle misure economiche e finanziarie decise. Con una nota diplomatica presentata l'11 novembre 1935 a tutti gli stati partecipanti alle sanzioni contro l'Italia e comunicata anche agli altri stati il governo italiano formulò una fiera protesta contro l'applicazione di tali sanzioni, illustrando largamente le ragioni giuridiche e politiche che ne infirmavano il fondamento.

L'obiettivo delle misure economiche e finanziarie così concertate doveva essere quello di mettere l'Italia in condizione di dover cessare le ostilità. Ma i provvedimenti di difesa economica adottati dal governo italiano e la resistenza disciplinata della nazione costituirono un fattore, la cui portata sull'efficienza delle sanzioni non era stata prevista o adeguatamente calcolata. Le sanzioni, infatti, non tardarono a manifestarsi inefficaci rispetto allo scopo per il quale erano state adottate, mentre si rivelavano una causa di perturbazione delle correnti commerciali che contribuiva ad aggravare la crisi di cui soffriva l'economia mondiale. Fra gli stati che avevano aderito alle sanzioni, l'Ecuador, esercitando il suo diritto sovrano, con decreto del 4 aprile 1936 decise di abrogare i provvedimenti che aveva adottato per applicare le sanzioni, motivando tale sua decisione col fatto che il governo italiano aveva, per parte sua, accettato l'invito a entrare in negoziati di pace, rivolto alle due parti dal comitato incaricato dal consiglio della Società delle nazioni di seguire lo svolgimento del conflitto. Nonostante l'applicazione delle sanzioni, le operazioni militari intraprese dall'Italia in Etiopia poterono svolgersi fino al completo annientamento delle forze militari dell'Etiopia. Il 5 maggio 1936 le forze italiane occupavano Addis Abeba, che il negus aveva abbandonato rifugiandosi all'estero. L'impero di Etiopia per la distruzione di tutte le sue forze militari e per la disgregazione della sua organizzazione aveva cessato di esistere e il suo territorio era stabilmente occupato dalle autorità italiane. In queste condizioni, l'Italia con r. decreto-legge 9 maggio 1936 proclamava la sua sovranità sull'Etiopia, notificando tale atto agli altri stati. In seguito a questi avvenimenti, il governo cileno, con una lettera inviata il 14 maggio al segretario generale della Società delle nazioni, esprimeva l'opinione che, essendo finita la guerra, le sanzioni non dovessero avere ulteriore applicazione. Sebbene il consiglio della Società delle nazioni, in una risoluzione adottata il 12 maggio in assenza del rappresentante dell'Italia e con le riserve del rappresentante del Chile e dell'Ecuador, esprimesse l'avviso che in attesa delle deliberazioni sulla questione etiopica "il n'y a pas lieu de modifier les mesures prises de concert par les Membres de la Société des Nations", diveniva sempre più generale l'opinione che il primo esperimento di applicazione di misure economiche e finanziarie contro un membro della Società delle nazioni in base all'art. 16 del patto dovesse considerarsi fallito, perché le misure adottate, per un complesso di circostanze, non avevano raggiunto lo scopo di colpire l'economia dello stato contro il quale erano applicate, in modo da costringerlo a sospendere le ostilità, mentre avevano dato luogo a gravi ripercussioni economiche in danno dei paesi che le avevano applicate.

A tale opinione finì con l'accedere lo stesso governo inglese: il 10 giugno, in un discorso ch'ebbe risonanza larghissima, il Cancelliere dello Scacchiere, Neville Chamberlain, prese nettamente posizione contro la "follia canicolare" dei sanzionisti a oltranza; il 18 giugno il ministro degli Esteri, A. Eden, e il primo ministro, S. Baldwin, annunziarono ufficialmente alla Camera dei comuni che nell'imminente assemblea della Società delle nazioni, convocata per il 30 giugno, il governo inglese avrebbe preso l'iniziativa di proporre la revoca delle sanzioni. Nello stesso senso si pronunziarono pure i governi francese e belga (19 giugno) e altri governi; mentre la Polonia decise senz'altro, esercítando il proprio diritto sovrano, l'abolizione immediata delle sanzioni (27 giugno).

Con sua nota del 29 giugno 1936 al presidente della XVI Assemblea della Società delle nazioni il ministro degli Affari Esteri italiano, conte G. Ciano, sintetizzava la situazione quale si era venuta determinando dopo gli ultimi avvenimenti di Etiopia, e, per quanto riguarda le sanzioni, concludeva col dichiarare che il governo italiano, mentre si attendeva che da parte della Società delle nazioni la situazione prodottasi in Etiopia fosse apprezzata con spirito di giusta comprensione, non poteva non ricordare l'anormale situazione in cui l'Italia era stata posta e la necessità che fossero senza indugio rimossi gli ostacoli che si erano frapposti e tuttora si frapponevano all'opera di cooperazione internazionale sinceramente auspicata dall'Italia.

Il 4 luglio, l'assemblea della Società delle nazioni approvò, con 49 voti favorevoli, 4 astensioni, 1 voto contrario, una risoluzione con la quale emise il voto che il comitato di coordinamento facesse ai governi tutte le proposte utili allo scopo di mettere fine ai provvedimenti presi in esecuzione dell'art. 16 del Patto; il 6 luglio, il comitato di coordinamento propose che i governi abrogassero alla data del 15 luglio i provvedimenti presi. L'assedio economico si concluse così dopo 241 giorni, con la completa vittoria militare e diplomatica dell'Italia.

Bibl.: Oltre alle numerose opere sulla Società delle nazioni, che tutte si occupano largamente anche del problema delle sanzioni v.: Ch. Tyde, The Boycott as a sanction of international law, Proceedings of the american Society of international law, 1933, pp. 34-40; l'opuscolo Sanctions, edito dal Royal Institute of International Affairs, Londra 1935; G. Bosco, L'iniquo processo di Ginevra, in Riv. di studi politici internazionali, 1935, fasc. IV.