SATIRI e SILENI

Enciclopedia Italiana (1936)

SATIRI e SILENI (Σάτυροι, Σιληνοί)

Giulio GIANNELLI
Goffredo BENDINELLI

SILENI Figure mitologiche fra le più diffuse nella letteratura, nell'arte, nelle credenze popolari della Grecia antica; ne conosciamo bene la natura, l'aspetto, i modi di rappresentazione dalla metà del sec. V a. C. in poi; più incerti e discussi ne rimangono invece per noi l'origine e i più antichi stadî di sviluppo. Certo è che, primitivamente, essi furono figure divine a sé stanti, dovendo riguardarsi il loro collegamento con Dioniso come un fenomeno del tutto tardo e secondario, che trasformò anche la loro natura e la loro figura. Questa prima, sembra, fu quella stessa dei sileni. Nell'età ellenistica e romana, si designano col nome di satiri dei genî teriomorfi, partecipanti della natura caprina e aventi perciò corpo e membra umane, ma orecchie (e spesso anche corna) e coda caprine, orecchie cioè lunghe e appuntite, capelli arruffati, naso rincagnato.

Si vedeva nei satiri la personificazione della vita della natura, così come nelle ninfe, delle quali si consideravano i corrispondenti maschili, viventi anch'essi nelle solitudini dei monti o dei boschi, cacciando, danzando e sonando la zampogna, il flauto o le nacchere. Erano riguardati come demoni sensuali e maliziosi, più spesso ostili che amici agli uomini, cui si credeva facessero spesso del male, assalendone gli armenti, spaventando e perseguitando le donne.

Insieme con le ninfe stesse e con le baccanti si associavano al corteo (o tiaso) di Dioniso. Incerta è l'etimologia del loro nome, che nei dialetti dorici compariva nella forma τίτυροι. Esiodo (in Strabone, X, 471) li dice discendenti dall'argolico Foroneo, del pari che le ninfe e i cureti. Altri mitografi li dissero figli di Ermete e della ninfa Iftime; si parlò di "isole dei Satiri" (Strab., X, 466), dove ai viaggiatori accadeva spesso di incontrarli. Come seguaci di Dioniso, essi diedero occasione alla creazione di quel genere drammatico noto sotto il nome di "dramma satiresco".

I sileni sono anch'essi, dall'età di Pericle in poi, genî teriomorfi, di natura però equina, con le orecchie e la coda di cavallo e spesso anche il caratteristico zoccolo degli equini. Piuttosto che dei monti e dei boschi, i sileni venivano riguardati come genî dell'acqua corrente che irriga e feconda, amanti d' intrattenersi nelle umide praterie, spesso in compagnia delle ninfe, con le quali solevano congiungersi nella fresca ombra delle caverne. Ma l'antica mitologia distingueva, nella moltitudine dei sileni, il Sileno per eccellenza, un vecchio bonario, che si diceva padre dei satiri e balio di Dioniso, che, ancor fanciullino, gli era stato affidato dalle ninfe perché l'educasse. Di questo Sileno si raccontò che fosse figlio di una ninfa e di Pan e re di Nisa: ricevuto in custodia il fanciullo Dioniso, aveva accompagnato il suo allievo nell'Attica, ivi soggiornando qualche tempo con lui, ospite di Pandione, sull'Acropoli. Di Sileno si faceva non solo un demone amico agli uomini, genio tutelare della casa, protettore dei fanciulli, ma anche il sapiente e il maestro per eccellenza fra gli dei, del quale erano note la saggezza e la virtù profetica. Difficile però riusciva ottenere le sue profezie, ch'egli dava solo se posto in stato di ebbrezza.

Anche i sileni si trovavano collegati col dio del vino e col suo tiaso: stanno intorno a Dioniso, lo accompagnano, lo servono, e a poco a poco divengono i capi del comos, partecipano all'orgiasmo, soggiacciono all'estasi bacchica.

Dalla maggior parte degli studiosi meno recenti si è ritenuto che satiri e sileni fossero in origine due distinti gruppi di demoni teriomorfi, indigeni i primi del Peloponneso, e specialmente dell'Arcadia, della Tracia o della Frigia i secondi. L'assimilazione delle due diverse specie di genî sarebbe avvenuta nell'Attica e tosto diffusa in tutto il mondo greco: i satiri, introdotti dai poeti nella tragedia, scambiano la loro natura con quella dei sileni, ne assumono certe caratteristiche equine; sicché a poco a poco, nella letteratura e nell'arte anche se non nelle credenze popolari, satiri e sileni s'identificano, e più tardi Pausania (I, 23, 5) tenterà di fare intendere la distinzione fra queste due nature demoniche, in origine separate e poi del tutto confuse fra loro.

Teorie più recenti giungono invece alla conclusione opposta, probabilmente più vicina al vero. In origine esistette una sola figura mitica del genere sopra descritto: quella del sileno, genio dei boschi, dotato di profonda sapienza, amante della musica e della danza, ora amico ora infesto agli uomini. Per allora, la figura di questo dio boschereccio non ha in sé nulla di grottesco o di procace; è un dio sul serio, anche se del suo culto non si trovano che tracce assai scarse: ma egli è conosciuto in tutto il mondo greco, dove ogni luogo ha il suo Sileno come ha la sua Ninfa. E l'arte lo fa presto anche conoscere all'Etruria. Ma, ancora in tempo assai antico, la sua figura va soggetta a una profonda trasformazione: Sileno diventa allora un demone scherzoso e ridicolo, grottesco nella persona, col petto e le membra villose, grasso e tondo come un otre, incedente spesso a cavallo d'un asino perché incapace di reggersi in piedi: in compagnia delle ninfe, si abbandona a lazzi osceni e triviali. Di frequente, non comparisce più il Sileno singolo, ma sileni a schiere. Su questa prima trasformazione, operatasi dunque per semplice processo di sviluppo dalla figura originaria di Sileno, s'innestò poi l'altra, causata dall'essere venuto Sileno, insieme con Ermete e con le ninfe, in stretto contatto con Dioniso: congiunti così e subordinati a questo dio, i sileni divengono allora personaggi del comos bacchico: questa seconda trasformazione si compì verosimilmente in territorio ionico e prese speciale sviluppo nell'Attica.

Questi sileni sono sempre rappresentati, dall'origine sino alla fine del sec. V a. C., secondo lo stesso tipo: come uomini, cioè, di natura equina. Soltanto nel sec. V sopravviene una prima differenziazione fra sileni vecchi e giovani, e nel Ciclope di Euripide il vecchio è chiamato Sileno, i suoi giovani seguaci hanno il nome di satiri: e così anche nei Cercatori di tracce di Sofocle. È compiuta così la figura di Sileno, babbo e nonno dei satiri (Papposileno). Ma i satiri permangono tuttavia, anche nella tradizione artistica, identici ai sileni, della cui natura equina essi pure partecipano.

Può apparire strano il fatto di trovare demoni identici designati con due nomi diversi, coesistenti l'uno a lato dell'altro; e la cosa non può spiegarsi se non supponendo che gli stessi genî delle acque e delle sorgenti dei boschi fossero designati con nomi differenti in differenti luoghi: e precisamente le testimonianze contenute nella tradizione letteraria (specialmente in Esiodo e in Apollodoro) sembrano additare il Peloponneso, e soprattutto l'Argolide, come la patria del nome di satiri, applicato a quelle stesse nature demoniche che altrove si dicevano sileni. Introdotto, poi il dramma satiresco nell'Attica, si contrappose qui, col nome di satiri, la truppa di sileni al Sileno individuale che conservò il suo nome: e si ebbe così l'attore Sileno e il coro dei satiri.

E quando comparisce la natura caprina dei satiri, e perché? In realtà, mancano dimostrazioni sicure di essa nei monumenti figurati del sec. V e IV; né dimostrazione sicura può fornirci, per questa età, la tradizione letteraria, finché non sia raggiunta la certezza sul significato originario di τράγος in τραγικός e τραγῳδία (Hartmann).

E pertanto, di sicuro resta solo che la figura caprina dei satiri non è che un tardo prodotto della fusione, avvenuta in età ellenistica, del tipo dei sileni e dei satiri con quello di Pan.

Iconografia. - L'età greca arcaica non conosce che un tipo iconografico satiresco. Sul vaso François (metà sec. VI a. C.) si trovano due figure satiresche al seguito di Efesto ricondotto nell'Olimpo da Dioniso. Sono figure lungochiomate e barbate, itifalliche, dai tratti fisionomici caricaturali, dal torso nudo, eretto su zampe equine, e provviste di ampia coda, pure equina. Regge una l'otre sul dorso; dà fiato l'altra alle tibie. Nella coppa vulcente di Fineo, al Museo di Würzburg, coeva del vaso François, satiri-sileni dal corpo villoso e dall'aspetto scimmiesco, dietro il carro di Dioniso, insidiano alcune fanciulle che si bagnano. Si definisce già su questi due esempî il carattere dionisiaco bacchico, il carattere musicale e il carattere lascivo dei satiri-sileni. L'aspetto originario bimembre metà uomo, metà cavallo, di queste figure deriva forse da una certa loro affinità con i centauri, di cui è pure documentata la stretta attinenza con I7ioniso. Si potrebbe anzi pensare che i satiri bimembri, a zampe equine, siano una proprietà del costume teatrale greco: nel senso che non potendosi portare sulla scena i centauri, si provvide a camuffare i coreuti alla maniera che vediamo concepiti i primi satiri-sileni.

Ma già sullo scorcio del sec. VI a. C., in opere di scultura, come sugli stessi vasi dipinti a figure nere, i tipi satireschi, probabilmente sempre in relazione al costume teatrale, pur mantenendo il loro carattere orgiastico, si umanizzano perdendo le forme equine, all'infuori delle orecchie appuntite e della lunga coda. Anche il loro carattere fisionomico mostruoso viene meno col passaggio alla tecnica dei vasi a figure rosse. Nel ciclo di Eufronio le figure satiresche barbate, spesso distinte da accentuata calvizie, portano una pelle ferina (v. nebride) come indumento sugli omeri. Calvi e coronati di edera sono i satiri-sileni all'inseguimento di Iris e di Era in una celebre coppa del ceramista Brigo. Figure di satiri e di baccanti, o menadi, si alternano però ancora in danze lascive nelle pitture vascolari di questo periodo.

Sul declinare del sec. V, durante la maggiore fioritura dello stile "bello", le figure satiresche appaiono sempre più ingentilite. Il pregevolissimo vaso policromo di "Pronomos" (Napoli, Museo Nazionale), della fine del sec. V, con figurazione teatrale di soggetto dionisiaco, sembra attestare come non si conoscesse più, ormai, che un unico, canuto, villoso Sileno, in mezzo alla numerosa schiera dei satiri, tradizionalmente barbati, calvi talvolta, ma non canuti, dalla breve coda equina.

Un cinquantennio più tardi Prassitele rinnova radicalmente, in opere statuarie, il tipo iconografico dei seguaci di Dioniso, che egli concreta in figure adolescenti, più che giovanili. Sono queste le statue celebri del Satiro versante e del Satiro in riposo. La popolarità di queste opere prassiteliche è attestata dalle numerose repliche di età ellenistico-romana. I divini adolescenti non serbano delle loro origini semiferine altro che le orecchie appuntite e la capigliatura a folte e ispide masse.

Nel monumento coragico ateniese detto di Lisicrate, di soli pochi anni posteriore (335-334 a. C.), sono fissate in atteggiamenti varî e vivaci, attorno al giovinetto Dioniso, salvato dalle mani dei pirati, figure satiresche numerose, talune giovanili e imberbi, altre adulte e barbate, munite tutte di coda equina e attributi bacchici: tirsi, vasi potorî, fiaccole, con cui perseguitano i ladroni del mare e li fanno cadere in acqua, trasformati in delfini.

L'arte ellenistica abbonda di motivi plastici relativi al ciclo dionisiaco, dei quali taluni rimasti famosi, in gran parte ispirati ai modelli prassitelici. Tipi statuarî di satiri giovani, assai espressivi e individuali, sono: il satiro dormiente della Gliptoteca di Monaco (da Roma); il satiro ebbro (coricato) di Ercolano (in bronzo); il satiro versante dall'otre (bronzo, da Pompei). Un tipo altrettanto caratteristico, giovanile, è il satiro sorridente degli Uffizî (da Roma), appartenente al gruppo ricostruito da W. Klein e definito "L'invito alla danza". Un tipo di Satiro adulto, barbato, è riprodotto nella piccola statua di bronzo rinvenuta in una ricca abitazione di Pompei e già ritenuta degna di dare il nome alla casa: la Casa del Fauno. Si tratta propriamente di un tipo di Satiro danzante e in atto di suonare la doppia tibia (perduta). Frequentemente si trova usato il termine "fauno" come sinonimo di "satiro", con l'unica giustificazione che il "fauno" classico, divinità boscherecchia dei Latini, poté in certo modo corrispondere, dal lato iconografico, ai "satiri" dell'arte greca: nelle cui figure, in periodo avanzato, si aggiunge talora l'attributo delle brevi corna caprine sopra la fronte: espressione della loro natura pastorale e campestre.

Note composizioni in rilievo, di età ellenistica, con figure di satiri e satirelli in compagnia di Sileno, sono tra le altre: il rilievo del Museo di Napoli (con repliche al British Museum, al Louvre e altrove), di Dioniso nella casa del Poeta, il Vaso Borghese del Louvre, il Puteale di Napoli (Museo), con la pigiatura dell'uva. Pure ad età ellenistica si deve attribuire l'originale, infinite volte ripetuto, del Dioniso ebbro, in atto di appoggiarsi pesantemente al satiro o satirello che lo sorregge. Specialmente dal territorio campano provengono esemplari di medaglioni marmorei (oscilla), con figure satiresche isolate, in atteggiamenti varî.

Un ricco materiale di studio offre al riguardo anche la pittura ellenistico-romana, esemplificata in Pompei. Interessanti e tali da ricordare, anche per la tecnica pittorica, i vasi greci dipinti, sono le figure di satiri funamboli, sonanti e danzanti, della cosiddetta "Villa di Cicerone" (Museo di Napoli. Caratteristiche le composizioni del genere nella Villa dei Misteri, dove assai notevole nel grande fregio è la scena del Sileno che abbevera i satiri adolescenti, riuniti alle sue spalle. Nessuna differenza sussiste, qui, tra esseri mitologici ed esseri reali.

Uno dei motivi figurati più comuni, scolpiti su sarcofagi e monumenti sepolcrali in genere di età imperiale, sono i tiasi orgiastici o baccanali con tipi satireschì presentati nella più grande varietà di motivi e di atteggiamenti, per la più gran parte riferibili a schemi tramandati dall'arte ellenistica. Il ricco repertorio delle fantasiose composizioni dionisiache mantiene così tutta la sua popolarità nel mondo antico, greco-romano, sino al completo tramonto del paganesimo.

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