Bettinelli, Saverio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Bettinelli, Saverio

Mario Fubini

, Letterato e critico (Mantova 1718-ivi 1808). Delle Lettere Virgiliane (o Dieci lettere di Publio Virgilio Marone scritte dagli Elisi all'Arcadia di Roma sopra gli abusi introdotti nella poesia italiana, per citare il titolo con cui comparvero [1759] come prefazione, anonima, ai Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori), la seconda e la terza, dedicate a D., son parse ai primi lettori e ai posteri le più significative, tanto da far ritenere che nella vivace critica della Commedia, come suo motivo precipuo, si risolva tutta l'operetta del B.; mentre essa è un estroso e animoso pamphlet su tutta la nostra letteratura, ispirato al proposito di distogliere gl'Italiani da un pigro ossequio alle fame consacrate e dal vano esercizio dell'imitazione, e come tale uno dei saggi più felici della polemica illuministica per il rinnovamento del costume letterario. Ma se un medesimo spirito di spregiudicata satira informa tutte le dieci lettere, è certo che nelle pagine antidantesche il B. trova la materia più appropriata al suo intento, fin troppo evidente risultando il contrasto tra un'ammirazione d'obbligo per il poeta della Commedia e il gusto razionalistico e classicistico del Settecento.

" E questo è un poema, un esemplare, un'opera divina? Poema tessuto di prediche, di dialoghi, di quistioni, poema senza azioni o con azioni soltanto di cadute, di passaggi, di salite, di andate e di ritorni, e tanto peggio quanto più avanti ne gite? ... Quale idea debbono avere della poesia que' giovani che si vedono a par, d'Omero e degli altri maestri lodar Dante, tanto da quelli diverso? Intendono dire da tutti che il poema vuol esser disegnato ed ordito con parti proporzionate tra loro e tendenti al bello generale del corpo tutto; che dev'essere l'azione una e grande, a cui tutte l'altre abbian termine, interrotta ma non spezzata,sempre crescente e più ricca di bellezza, di forza, di passione, d'impegno quanto più avanza, e cento altre cose che trovano appunto in que' Greci e Latini, che lor si danno a meditare; qual dunque travolgimento d'idee non si fa lor nel capo, al leggere e studiare la divina comedia dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso? ". Nemmeno lo stile può compensare il vizio intrinseco della " gotica " costruzione. " Lo stile elegante, chiaro, armonico, sostenuto, questo è ciò che ricopre ogni altra iniquità d'un poeta, poiché lo stile è quel, poi, finalmente, che fa un poeta. Le imagini dello stile debbono pur essere ben colorite e nobili, e con grazia e venustà contorniate, i pensieri giusti, verisimili, nuovi, profondi, le parole usate e intese, proprie, scelte, le rime facili e naturali, il suono e la melodia quasi cantanti... Or nello stile di Dante quanto v'ha di tai doti indispensabili e necessarie? ". La risposta è ovvia: eppure vi sono, riconosce il B., nella " mostruosa " Commedia episodi, immagini, versi di singolare potenza; basti ricordare per tutti " lo squarcio sì originale e sì poetico per colorito insieme e per passione del conte Ugolino ", in cui la lingua italiana " mostra una tale robustezza e geme in un tuono così pietoso che potrebbe vincere ogni altra ". Di qui la conclusione: " A Dante null'altro mancò che buon gusto e discernimento nell'arte. Ma grande ebbe l'anima, e l'ebbe sublime, l'ingegno acuto e fecondo e la fantasia vivace e pittoresca ". Non adunque a lui bensì al suo tempo ancor barbaro son da imputare i difetti di così strano poema: " Dante è stato grand'uomo a dispetto della rozzezza dei suoi tempi e della sua lingua ". Gioverà perciò della Commedia trascegliere quei pochi episodi, qualche similitudine, qualcuno dei molti bei versi lasciando tutto il resto, e quelli soli leggere e far leggere nelle scuole - il che non spiace, si può aggiungere, al gesuita B., diffidente della libertà di giudizio di D. (" Nulla dico de' papi e de' cardinali posti in luogo di poco rispetto per verità, mentre Traiano imperatore e Rifeo guerrier di Troia sono nel Paradiso "), anche se questo motivo rimane in ombra nelle sue Lettere, che furono accolte subito con caloroso consenso dagli spiriti illuminati.

Di fatto l'importanza delle Virgiliane, anche per il particolare problema dantesco, non sta nelle conclusioni, provvisorie, in cui mal si conciliano opposte tendenze dello scrittore e dei suoi lettori, il fondamentale gusto classicistico e gli spunti preromantici, ed è soltanto adombrata una questione essenziale come quella del rapporto tra la costruzione del poema e la poesia dei singoli episodi, bensì nella sua efficacia polemica, attestata non meno che dalle lodi di un Voltaire e degli uomini del Caffè, dalle confutazioni che se ne tentarono, la cosidetta Difesa di Dante di Gaspare Gozzi, l'Epistola al canonico Gioseffo Ritorni sul poema dantesco di Agostino Paradisi, e sopra tutto l'articolo del critico svizzero Johann Jacob Bodmer, pubblicato nel 1763 e rimasto ignoto in Italia, tanto più profondo e nuovo che, superando i limiti classicistici in cui rimaneva chiuso il B., dimostra l'errore di giudicare con gusto moderno e secondo fissi canoni un'opera composta in tutt'altra condizione storica.

Le Virgiliane, " forse l'unica cosa bella " del B., a giudizio del Foscolo, rimangono il documento precipuo della polemica intorno a D., un episodio dei più notevoli del travaglio attraverso cui s'andava formando la nuova critica: non sono però sull'argomento l'ultima parola del B., che tenterà, tralasciando il tono di leggerezza che aveva fatto la fortuna del famoso o famigerato libello, di difendere e chiarire il proprio pensiero in altri scritti, che non ebbero né potevano avere la risonanza di quella sua opera: le Lettere inglesi (1767), che son piuttosto una difesa dell'opera tutta e un attacco al Gozzi e allo spirito retrivo dei letterati italiani, le pagine dantesche del Risorgimento d'Italia dopo il Mille (1775), del Discorso sopra la poesia italiana (1782), delle Lodi del Petrarca (1786), la Dissertazione accademica sopra Dante (1800), scritto quest'ultimo interessante per la storia delle Virgiliane e delle opinioni che l'autore di tempo in tempo ebbe a esprimere sull'opera dantesca. I concetti son pur sempre i medesimi, anche se nella loro ambivalenza diversamente atteggiati, ora in senso positivo ora in senso negativo: ma per ciò stesso meglio risulta da una lettura di tutti nelle sue contradizioni e nei suoi motivi vitali il pensiero del critico mantovano.

Così nel Risorgimento, ove maggiore è l'impegno di comprendere le ragioni della grande fama di D. nel suo secolo, il B., pur sottintendendo le riserve di un gusto più educato e maturo, viene a, giustificare storicamente certi caratteri del poema più ostici ai moderni, " le passioni allor dominanti dell'odio e della vendetta ", comuni al poeta e ai suoi lettori, ispiratrici della cantica meglio riuscita, l'Inferno, e la disparità stessa della varia materia, dottrinale e storica, del poema, che doveva imporsi all'ammirazione dei contemporanei e ancor s'impone per certo rispetto ai posteri. Ma più esplicite si fanno altrove le riserve in nome del credo classicistico, sempre più saldo col passare degli anni nel B.: per lui il colmo dell'arte era stato raggiunto da Virgilio, dal Petrarca, dal Racine e dal settecentesco Pope (il poeta senza difetti!), e la robustezza dell'espressione, l'energia di certi tratti non bastavano a salvare un'opera come la Commedia, opposta per lo stesso suo assunto a quelle dei veri e maggiori poeti.

" Alla gloria scientifica Dante mirò adunque più che alla poetica ", egli scrive rifacendosi all'autorità del Bembo e anticipando in certo senso, verbalmente almeno, il De Sanctis. " Poeta sarebbe immortale come i passi dimostrano, che quasi suo malgrado e al dottrinale suo intento ascondendosi gli sfuggirono dalla penna meravigliosi... ". Né alcunché di comune hanno l'Eneide e la Commedia, essendo l'una " il poema epico più perfetto ", l'altra " il più dotto e profondo trattato sui tre stati dell'uom cristiano " con ammirabili versi e tratti che splendono come in un " notturno lampeggiamento ". Perciò non a D. bensì al Petrarca spetta il titolo di " primo vate per verissima poesia del nostro Parnaso " (Lodi del Petrarca); e soltanto un'aberrazione può indurre nel secolo XVIII a imitare la Commedia: " Così pur Dante è oggi alla moda dopo tre secoli per chi non nacque poeta e vuol esserlo invitis diis " (Discorso sopra la poesia italiana) - evidente allusione al Varano. E se quest'ultimo B., fattosi difensore della tradizione, può anche compiacersi nel noto sonetto al cardinale Valenti Gonzaga di avere giurato, contro l'invasione del gusto forestiero, " eterna fede al buon Petrarca e a Dante ", i moderni dantisti col loro stesso idolo, gli autori stranieri e i loro fautori e lo zelo di libertà in letteratura e in politica coinvolge in un medesimo atto d'accusa nella Dissertazione accademica sopra Dante. Con l'eccezione solita su alcune doti del genio dantesco (il B. fa proprio a un certo punto anche l'accostamento a Omero), vi sono ribadite, anzi aggravate, le accuse delle Virgiliane, e della Commedia è tracciata un'analisi ancor più fortemente satirica, che mira a metterne in luce non soltanto la difformità estetica ma le gravissime sconvenevolezze morali e religiose.

Bibl. - Si veda l'accurata, esauriente nota di V. E. Alfieri all'ediz. da lui curata per gli " Scrittori d'Italia " delle Lettere Virgiliane e altri scritti critici, Bari 1930; cfr. pure la precedente ediz. moderna delle Virgiliane, a c. di P. Tommasini Mattiucci, Città di Castello 1913 (Collezione di opuscoli danteschi, ecc., n. 123-124). L'ediz. più completa delle opere del B. è quella di Venezia, presso Adolfo Cesare, 1799-1801 (tomo VI Delle lodi del Petrarca; tomo IX Il Risorgimento, parte II, cap. III; t. XII Lettere di Virgilio e Inglesi; t. XVI Discorso sopra la poesia italiana; t. XXII Dissertazione accademica sopra Dante). L'articolo di J.J. Bodmer, Von dem Werte des Dantischen Dreifachen Gedichtes, uscito anonimo nel giornale letterario di Zurigo " Freymüthige Nachrichten ", è stato ristampato in Schriften ausgewählt von F. Ernst, Frauenfeld 1938: anteriormente l'aveva pubblicato tradotto, col titolo Sulla trilogia di D., il Croce nella " Critica " XVIII (1920). Sulle Virgiliane e la polemica dantesca si vedano gli scritti giovanili (1882) di B. Croce, ristampati nell'opuscolo Il primo passo (1910) e ora nel vol. Nuove pagine sparse, II, Bari 1966: Le Lettere Virgiliane del B., e B. e D. ; M. Barbi, La fama di D. nel Settecento, in Problemi I 455 ss. (ristampa di una recensione del 1901 a studi sullo stesso argomento di G. Zacchetti e F. Sarappa); G. Federico, L'opera letteraria di S. B., Roma-Napoli-Milano 1913; L. Capra, L'impegno e l'opera di S. B., Asti 1913 (cfr. recensioni di C. Calcaterra, in " Giorn. stor. " LXIV [1914] 210 ss., e di G. Natali, rist. nel vol. Idee, costumi e uomini del Settecento, Torino 19252); C. Calcaterra, La questione storica delle Lettere Virgiliane, in " Giorn. stor. " XCII (1931) 108 ss. (recensione alla citata edizione di V.E. Alfieri); Id., La questione estetica delle " Lettere Virgiliane ". Dante gotico e il Petrarca " creatore dell'Italica poesia ", in " Archivio Storico per le Province Parmensi " XXXIV; Id., Il Parnaso in rivolta, Milano 1940 (cap. VII: L'assalto a D.); M. Fubini, Introduzione alla lettura delle " Virgiliane ", e Arcadia e illuminismo, ristampato nel vol. Dal Muratori al Baretti, Bari 1968; W. Binni, Preromanticismo italiano, Napoli 1947 (cap. II: Tra illuminismo e romanticismo: S. B.); E. Bonora, L'abate B., nel vol. miscellaneo La cultura illuministica in Italia, a c. di M. Fubini, Torino 19642; A. Vallone, La critica dantesca nel Settecento, Firenze 1961; M. Fubini, D. e l'età del razionalismo, in " Terzo programma " IV (1965).

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