SAVOIA CARIGNANO, Tommaso Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SAVOIA CARIGNANO, Tommaso Francesco

Paola Bianchi

SAVOIA CARIGNANO, Tommaso Francesco. – Nacque a Torino il 21 dicembre 1596 dal duca Carlo Emanuele I di Savoia e dall’infanta Caterina d’Asburgo, quinto figlio maschio e ultimo sopravvissuto.

Il Ducato di Savoia si stava preparando a una nuova fase di scontri armati contro l’esercito francese e Torino era allora minacciata da un’epidemia di peste, che spinse il padre, dopo la scomparsa della duchessa Caterina (1597), a trattenere i figli nella capitale, e poi a trasferirli a Fossano e a Mondovì per preservarne la salute. Il piccolo Tommaso, con i fratelli, poté rientrare a Torino solo nel 1601, quando il pericolo del contagio era stato ormai superato. Presente a Cuneo nel 1606 con il padre in occasione del rientro in Piemonte dalla Spagna dei due fratelli maggiori dopo la scomparsa del primogenito Filippo Emanuele (1605), partecipò alla prima cerimonia ufficiale, stando alle fonti note, il 21 gennaio 1607, durante il giuramento di fedeltà al fratello Vittorio Amedeo, erede del titolo ducale; fu il solo tra i suoi fratelli a pronunciare la formula rituale, perché Maurizio (v. la voce in questo Dizionario) era stato avviato alla carriera ecclesiastica ed Emanuele Filiberto, priore di Castiglia, aveva giurato fedeltà al re di Spagna.

Insieme al fratello Maurizio, ebbe, fra gli altri, un precettore d’eccezione, l’abate Giovanni Botero, che aveva già accompagnato in Spagna i tre maschi maggiori. Addestrato, attraverso l’esercizio fisico compiuto in frequenti battute di caccia, al mestiere delle armi, il giovane trascorse l’adolescenza assistendo all’allontanamento della politica paterna dall’alleanza con la Spagna, agli accordi stretti con la Francia e allo scoppio della prima guerra del Monferrato (1613-17), alla quale il duca Carlo Emanuele I partecipò rivendicando i diritti di successione della figlia, moglie del defunto duca Francesco IV Gonzaga.

In questi frangenti, Tommaso fu sul campo a fianco del padre ad Asti, mentre il fratello Vittorio Amedeo, dopo aver presidiato Vercelli, fu inviato in Spagna per rabbonire Filippo III, senza peraltro poter ottenere i risultati sperati. Nel corso della guerra, in assenza del duca e del fratello maggiore, Tommaso controllò da Vercelli (1614) e da Asti (1615) il reclutamento e i rifornimenti delle truppe. Condivise diversi scontri accanto al fratello Vittorio Amedeo fino alla conclusione della pace, che costrinse il duca di Savoia a restituire agli spagnoli tutte le piazze che erano state occupate (1617).

Agli anni della prima guerra del Monferrato seguì un periodo di formazione diplomatica. Tommaso accompagnò il fratello maggiore in Francia in occasione delle sue nozze con Cristina di Borbone (1619). Nel 1620 scortò la sorella Isabella, duchessa di Modena, che aveva partecipato a Torino ai festeggiamenti nuziali per Vittorio Amedeo e Cristina, nel suo ritorno nella città emiliana. Da Modena si spinse, lo stesso anno, fino a Venezia, dove contribuì alla ripresa dei contatti diplomatici fra Torino e la Serenissima, interrotti a causa del conflitto per la successione gonzaghesca a Mantova e in Monferrato. Fu, poi, a Roma, dove fu ospitato al Quirinale da Paolo V. Nel 1621 fu inviato dal padre a Nizza per reprimere la rivolta del potente conte di Boglio, Annibale Grimaldi, e di suo figlio Andrea, barone della valle di Massoins.

Già titolare dei feudi di Boves e di Peveragno, nel Cuneese, nel 1620 Tommaso aveva ottenuto l’appannaggio del marchesato di Busca con annesso mandamento (Racconigi, Cavallermaggiore, Villafranca Piemonte, Vigone, Barge, Caselle, Roaschia, Roccavione); nel 1624-25 si aggiunse quello del principato di Carignano, che dal 1625 conferì la denominazione alla linea dinastica da lui generata. La dotazione dei beni, tuttavia, era destinata, nel corso degli anni, a subire diversi aggiustamenti, risultando completamente disponibile soltanto per brevi e sporadici periodi. La nascita del figlio primogenito (1628), per esempio, fu considerata come un giusto motivo per aumentarne i redditi, ma le fratture politiche insorte all’interno della dinastia nel corso degli anni Trenta portarono presto alla loro confisca.

Dal 1621 al 1625 fu governatore della Savoia, territorio strategicamente assai delicato per i ripetuti tentativi di Carlo Emanuele I di riconquistare, invano, Ginevra. Dalla Savoia Tommaso dovette occuparsi, oltre che della questione ginevrina, dei rapporti con il vicino Delfinato, sede di fazioni ugonotte che minacciavano gli equilibri interni alla monarchia francese, cercando alleanze esterne. Gli scarsi introiti provenienti dalla gabella sulla vendita del sale e l’esiguo cespite garantito dalla vendita delle cariche in Savoia costituirono le principali difficoltà amministrative incontrate dal governatore. Nel 1622 si recò due volte a Lione per ossequiare la regina madre Maria de’ Medici e per trattare con il cardinale Richelieu, prima che si concretasse un’instabile alleanza (firmata a Parigi il 7 febbraio 1623) in funzione antiasburgica fra Francia, Venezia e Ducato di Savoia, che illuse il duca Carlo Emanuele I di poter annettere Ginevra e il Vaud. La situazione politica era, in realtà, molto confusa. Nel 1624 il duca di Savoia aveva già raffreddato i contatti con la Corona di Francia. Nello stesso periodo erano state, peraltro, definite le condizioni del matrimonio di Tommaso con Maria di Borbone Soissons (1606-1692), appartenente a una linea dinastica vicinissima per sangue ai regnanti di Francia, giacché, dopo la linea dei principi di Condé, occupava il primo posto nell’ordine di successione al trono.

Le nozze, decise dopo che era stata scartata l’opportunità di dare in moglie al principe sabaudo Eleonora Gonzaga, costituirono un pendant rispetto a quelle celebrate pochi anni prima fra il fratello di Tommaso, Vittorio Amedeo, e Cristina di Borbone. Non si trattava, tuttavia, di un semplice nuovo legame con la Corona francese, bensì – come l’abate Alessandro Scaglia testimoniò scrivendo in qualità di ambasciatore sabaudo a Parigi dopo la firma del contratto nuziale – di un disegno del duca di Savoia per avvicinarsi a Luigi di Borbone Soissons, futuro cognato di Tommaso, titolare dell’ufficio di governatore del Delfinato e allora a capo della fazione avversaria al potente maresciallo e connestabile di Francia François de Bonne de Lesdiguières. Scaglia aveva provveduto a convincere la regina madre, Maria de’ Medici, della bontà della scelta sostenuta dalla madre della sposa, la contessa Anna di Montafià Soissons, e dal padre dello sposo, il duca Carlo Emanuele I.

Le trattative matrimoniali erano procedute nel 1624, parallelamente a quelle per l’acquisto, in nome di Tommaso, del feudo di Neuchâtel, su cui Carlo Emanuele I di Savoia aveva messo gli occhi aspirando a riconquistare Ginevra. La mano di Maria di Borbone Soissons era stata chiesta anche dal primogenito di Carlo Gonzaga duca di Nevers (futuro avversario dei Savoia negli scontri per la successione al Ducato di Mantova e del Monferrato), vicenda che rallentò gli accordi seguiti da Scaglia. La cerimonia fu infine celebrata per procura il 10 ottobre 1624 nel castello di Saint-Germaine-en-Laye, alla presenza di Maria de’ Medici, di Luigi XIII e della regina consorte Anna d’Austria, con tutta la corte. L’abate Scaglia, affiancato dal presidente del Senato di Chambéry, rivestì il ruolo di procuratore per il principe Tommaso, finché questi non giunse a Parigi per il rito ufficiale, svoltosi in forma privata il 6 gennaio 1625 presso la cappella del palazzo dei Soissons, officiato dall’arcivescovo di Parigi.

Accolto a corte al Louvre, Tommaso dovette interrompere presto la sua permanenza Oltralpe a causa dello scoppio della guerra mossa da Carlo Emanuele I contro Genova, per rivendicare i diritti di successione sul marchesato di Zuccarello, allora possesso genovese. In febbraio Tommaso era già rientrato a Chambéry, mentre i francesi, guidati dal connestabile Lesdiguières, inviavano truppe alleate ai Savoia al di qua delle Alpi contro la Repubblica genovese. Il rifiuto, tuttavia, di Lesdiguières di combattere a fianco dei piemontesi, spinse il duca di Savoia ad accrescere le responsabilità sul campo dei figli: Vittorio Amedeo e don Felice di Savoia (uno dei bastardi) agirono nelle campagne combattute sulla Riviera ligure di Ponente; Tommaso, caduto ammalato a Torino all’inizio delle operazioni, si occupò soprattutto di questioni logistiche dalle retrovie, nell’Astigiano e nell’Acquese, intervenendo militarmente nella valle del Tanaro e sull’Appennino, fra Mondovì e Ceva, a ridosso della fine della guerra, che terminò con un nulla di fatto per Carlo Emanuele I.

A Torino Tommaso era stato collocato con la moglie in una dimora situata nelle vicinanze del palazzo ducale, con alcune case civili annesse, che furono acquistate nel corso degli anni; tale edificio, accresciuto da un maneggio e da una scuderia situata all’esterno delle mura della città, nelle vicinanze di una delle quattro porte (la porta di Castello, da cui partiva la via che conduceva al borgo Po), fu distrutto durante la guerra civile. Il terreno venne successivamente utilizzato dal figlio Emanuele Filiberto per la nuova, imponente ed elegantissima costruzione che sarebbe stata affidata all’architetto Guarino Guarini: divenuta dimora stabile dei Carignano, poi sede del primo Parlamento subalpino, oggi Museo del Risorgimento. A Torino Tommaso possedeva, a titolo personale, anche una casa civile denominata Mignatta, destinata a restare alla famiglia fino a metà Settecento. A Racconigi, dove era il castello ricevuto come parte dell’appannaggio insieme con quello di Carignano, abitò soprattutto la moglie negli anni in cui fu in Piemonte.

Dalle nozze con Maria di Borbone Soissons nacquero presto diversi figli, non tutti sopravvissuti: Carlotta (morta infante nel 1626); Ludovica Cristina (1627-1689), andata sposa al margravio Ferdinando Massimiliano di Baden Baden; Emanuele Filiberto (v. la voce in questo Dizionario), che gli sarebbe succeduto come secondo principe di Carignano; Amedeo (morto infante nel 1629); Giuseppe Emanuele (1631-1656); Eugenio Maurizio (1633-1673), conte di Soissons e padre del grande condottiero Eugenio di Savoia (v. la voce in questo Dizionario); infine Ferdinando (1634-1637).

Dopo la guerra contro Genova Tommaso aveva ripreso l’ufficio di governatore della Savoia, ma un nuovo conflitto stava maturando: la seconda guerra del Monferrato (1628-31), in cui le alleanze, rispetto alla precedente, furono rovesciate. Carlo Emanuele I scese, questa volta, in campo con gli spagnoli contro i francesi. Nel 1630 Tommaso era a Fossano, in assetto di battaglia, anche se ormai convinto che si dovesse trovare una via per stringere la pace, visto che il Piemonte si trovava flagellato dalle pestilenze e dalle carestie. Conclusasi questa nuova campagna militare, rientrò in Savoia; ma i francesi pretesero di averlo in Francia, come una sorta di ostaggio, con il fratello Maurizio prima che fossero concluse pubblicamente le trattative di Cherasco del 1631, in base alle quali Pinerolo sarebbe passato alla Francia, mentre Trino e Alba sarebbero state annesse al Ducato di Savoia, riducendo gli spazi monferrini in mano ai Gonzaga. Tommaso volle avere con sé la moglie; avrebbe lasciato i figli, per cautela, in Savoia, ma la moglie pretese di condurre con loro anche Emanuele Filiberto. In settembre i principi di Carignano giunsero, così, a Lione; Maurizio li aveva preceduti a Parigi. I due fratelli s’incontrarono a Fontainebleau. A Troyes furono entrambi ricevuti da Luigi XIII, quindi si recarono a Parigi, da dove, una volta concluse le trattative per la cessione dei rispettivi territori, Tommaso ripartì il 3 ottobre alla volta della Savoia. I piani per l’occupazione di Ginevra non erano mai terminati, sicché Tommaso fece riprendere con alacrità i lavori di fortificazione e di reclutamento.

Nel 1631 la moglie, che si era trattenuta in Francia con Emanuele Filiberto e Giuseppe Emanuele, appena nato, inviò al marito dettagliate notizie sulla situazione politica. L’anno dopo, per arginare i probabili contraccolpi nel Ducato di Savoia (territorio tradizionalmente percorso dalle truppe in movimento fra la penisola italiana e il settore centro-occidentale del continente) dell’intervento armato francese nella guerra dei Trent’anni, Tommaso si recò nuovamente a Lione, per trattare con Luigi XIII e il cardinale Richelieu a nome del duca Vittorio Amedeo I. Lo stesso anno rientrò in Savoia convincendosi sempre più dell’opportunità di osteggiare la politica di Richelieu e dei vantaggi, non solo personali, ad abbracciare il partito filospagnolo. Nel 1633 la morte dell’infanta di Fiandra, Isabella Clara Eugenia, figlia di Filippo II d’Asburgo e perciò zia materna di Tommaso, offrì lo sprone per una più intensa attività diplomatica con la Spagna: il principe vi trovò l’occasione per reagire all’invadente politica di Richelieu. Partì, così, improvvisamente da Chambéry per recarsi nelle Fiandre (1634), destando lo stupore della stessa corte torinese. Tommaso aveva, infatti, deciso di abbandonare la via politica seguita dal fratello ritenendo che la Spagna avesse ancora ottime carte da giocare nel conflitto europeo in corso, contrariamente a quanto pensava il duca sabaudo. Con un seguito di poche persone, lasciò la Savoia per Bruxelles, dove si mise al servizio degli spagnoli, mentre la moglie e i figli partirono, accompagnati da un centinaio di persone, per stabilirsi a Milano. Per smarcarsi dalla scelta di schieramento del fratello, Vittorio Amedeo I gli sequestrò gli appannaggi e ogni fonte d’entrata derivante dagli interessi della dote della moglie (aprile 1634): il principe si vide, dunque, privato non solo delle risorse che gli aveva attribuito il padre, ma anche di quelle che gli erano arrivate dal matrimonio. La riduzione delle entrate e l’aumento delle spese dovute alle continue campagne militari cui Tommaso prese parte dissanguarono le casse dei Carignano, costringendoli a ricorrere a numerosi prestiti privati.

In Fiandra Tommaso fu posto a capo delle truppe spagnole impegnate nella guerra sul Reno, a fianco del governatore Ferdinando d’Asburgo, il cardinale infante. Condusse la campagna del 1636 contro la Francia, appena scesa in campo nella guerra dei Trent’anni. Là fu raggiunto dal fratello Maurizio, che aveva intanto rinunciato al ruolo di sostenitore della Corona francese per assumere quello di protettore dell’Impero.

La dinastia sabauda si era ormai spaccata su due fronti opposti, con una netta prevalenza di quello spagnolo. Mentre il trattato di Rivoli, nel luglio 1635, aveva infatti sancito l’alleanza di Vittorio Amedeo I con la Francia, la sorella maggiore del duca Margherita di Savoia, vedova di Francesco Gonzaga, aveva ricevuto lo stesso anno da Filippo IV d’Asburgo il titolo di vice-regina di Portogallo; e la figlia di Margherita, Maria Gonzaga, ultima discendente diretta del ramo primogenito della dinastia mantovana, divenuta reggente nel 1637, avrebbe operato, a sua volta, a favore dell’alleanza con la Spagna.

Dopo la scomparsa di Vittorio Amedeo I (1637), che era stato posto a capo delle truppe alleate franco-piemontesi, i domini sabaudi furono attraversati dalla guerra civile (1638-42) che oppose Tommaso e Maurizio (appoggiati da pressoché tutti i principi di Casa Savoia) alla reggente Cristina di Borbone. Quest’ultima, sostenuta dalla Francia, era riuscita ad assumere da sola la reggenza, mentre il cardinale Maurizio e il principe Tommaso avrebbero voluto la creazione di un Consiglio di reggenza del quale far parte. Lo scontro fra i cosiddetti madamisti e i principisti, pur intrecciandosi al conflitto fra Francia e Spagna, non si risolse in esso, ma rappresentò una vera e propria guerra fra i ceti dirigenti sabaudi. La Spagna, del resto, era tutt’altro che intenzionata ad appoggiare con convinzione Tommaso e Maurizio di Savoia, mentre Richelieu cercò di approfittare dell’occasione per ridurre l’autonomia del Ducato.

Uno dei momenti cruciali del conflitto fu sicuramente rappresentato dall’assedio di Torino da parte delle truppe spagnole guidate da Tommaso (1639), con la momentanea fuga dalla capitale della duchessa Cristina e dei suoi sostenitori, che si misero in salvo in Savoia. Tra marzo e aprile del 1639 le fortune dei principisti toccarono il culmine. Tommaso ottenne, infatti, il sostegno della maggioranza dell’élite torinese e la dedizione spontanea di gran parte del Piemonte settentrionale, da Biella alla Valle d’Aosta, da Chivasso a Ivrea, mentre il fratello Maurizio manteneva il controllo del Piemonte meridionale. Lo documentò dettagliatamente Emanuele Tesauro (grande sostenitore di parte principista prima di essere riconquistato alla causa della reggente), praticamente in presa diretta. Nel 1640 Torino era di nuovo sotto assedio, e il 24 settembre Tommaso si arrendeva ai francesi uscendo dalla città con l’onore delle armi. Gli articoli della capitolazione furono infine, non a caso, generosi verso la condotta dei principi Tommaso e Maurizio, poiché entrambi avevano dato prova di non risparmiarsi sul campo di battaglia. Rientrata il 18 novembre a Torino, la reggente fu praticamente costretta ad accantonare l’iniziale proposito di punire severamente i fautori della parte avversa.

Tommaso si preparava ad abbracciare, come ultimo suo passaggio di campo, il servizio del re cristianissimo, decisione su cui molto pare aver influito il timore che alla moglie, già trattenuta a Madrid, non potesse esser concesso di tornare in Piemonte, situazione che si verificò solo nel 1644.

Dal 1636 Maria di Soissons era stata accolta a Madrid: inizialmente con favore, rivestendo anche un’importante funzione di mediazione con la corte spagnola a sostegno della parte principista, fino al cambiamento di posizione del marito, che le causò, invece, una permanenza in Spagna con i figli in condizione praticamente di ostaggio.

Altre ragioni, tuttavia, possono spiegare le ultime posizioni di Tommaso: la morte, nel 1641, del cognato Luigi (che lasciava alla sorella Maria la ricca eredità dei Borbone-Soissons), il fatto che gli stessero stretti gli incarichi che gli erano stati conferiti dalla reggente Cristina, infine la volontà di irrobustire la difesa dell’autonomia politica del Ducato sabaudo di fronte alla tendenza egemonica francese.

Nel trattato di pace con la reggente, stipulato il 14 giugno 1642, erano state enunciate le disposizioni relative ai rapporti fra la linea ducale di Savoia e il ramo dei Carignano. A Tommaso, sino al compimento del quattordicesimo anno dell’erede al trono Carlo Emanuele, furono concesse la luogotenenza delle città di Biella e Ivrea, compresi tutti i comuni del Canavese, Biellese e Vercellese al di là del fiume Orco, e la riammissione nel Consiglio ducale. Il 27 agosto 1642 la reggente confermava la fine del sequestro dell’appannaggio di Tommaso e di suo fratello Maurizio, anche se sarebbero stati necessari vari provvedimenti per renderne operativo il reintegro. L’accordo era stato, in realtà, un atto solo di facciata: se, infatti, Maurizio, pago del matrimonio con la nipote Ludovica, primogenita di Cristina e Vittorio Amedeo I, depose la porpora cardinalizia ritirandosi a vita privata, il ruolo di spicco che i francesi riconobbero a Tommaso continuava ad acuire la gelosia e la diffidenza della reggente. Il ritorno a Torino di Carlo Emanuele II, reso possibile nella primavera del 1645 dalla restituzione al governo sabaudo del pieno controllo sulla capitale, rafforzò, perciò, nella reggente la determinazione a voler governare anche dopo la maggiore età del figlio, escludendo dal potere i due cognati.

Al principe di Carignano era intanto stato conferito il comando delle truppe franco-sabaude, con le quali combatté (1646-48) contro la Spagna sia in direzione della Lombardia sia nelle spedizioni marittime contro lo Stato dei Presidi (negli assedi di Orbetello, Portolongone, Piombino) e il Regno di Napoli. A Napoli qualcuno immaginò addirittura di poter affidare a Tommaso, in caso di vittoria francese, il ruolo di sovrano; lo scoppio della rivolta di Masaniello (luglio 1647), senza alcun rapporto con i precedenti piani d’intervento della Francia, e, poi, l’arrivo a Napoli del duca di Guisa frustrarono, però, ogni progetto del partito filosavoiardo. In segno di riconoscenza, sin dall’aprile 1653, Anna d’Austria decise, in ogni caso, di conferire al principe Tommaso la carica di gran maestro.

Tale carica costituiva una delle principali posizioni alla corte francese: rimasta ereditaria a favore dei Borbone-Soissons fino al 1642, era passata ai Borbone-Condé, che l’avrebbero mantenuta sino al 1830. Nel 1654, tuttavia, il principe Luigi di Condé (il Gran-Condè) fu condannato a morte per essere stato uno dei leader della Fronda. Fu allora che Anna d’Austria, d’intesa con il cardinale Giulio Mazzarino, fece nominare il principe di Carignano, che prestò il relativo giuramento il 22 febbraio 1654, davanti a Luigi XIV.

L’importante nomina a corte non interruppe quella carriera militare che aveva collocato Tommaso, dagli anni Trenta ai Cinquanta del Seicento, in primo piano nel panorama politico italiano, contribuendo notevolmente a forgiare l’immagine della dinastia. All’inizio del dicembre 1654 egli ripartì per Torino, da dove riprese la guida delle truppe francesi nella nuova campagna in Lombardia del 1655, assediando Pavia, che però dovette lasciare senza successo il 13 settembre. Rientrato a Torino, si ammalò e vi morì il 22 gennaio 1656. Rimase suo erede il figlio Emanuele Filiberto, secondo principe di Carignano.

Diverse testimonianze, più o meno coeve, dimostrano l’ampia e tempestiva eco alimentata dalla fama del principe. È appena il caso di ricordare che Hans Jakob Christoffel von Grimmelhausen, nell’Avventuroso Simplicissimus, pubblicato nel 1668 a Norimberga (v. ed. it. a cura di E. Bonfatti, Milano 1982, pp. 458 s.), scriveva che in Italia i principi di Savoia erano noti per essere «assicurati contro ogni pallottola». L’autore ne deduceva che la leggenda potesse aver fondamento grazie alla continuità dinastica derivante ai Savoia niente meno che dal profeta Davide: un’affermazione, apparentemente senza senso, dovuta probabilmente a una fantasiosa lettura del titolo di re di Gerusalemme, di cui i Savoia si fregiavano in quanto discendenti dei Lusignano.

Ancora oggi una delle più note canzoni militari piemontesi, risalente agli anni della guerra civile e raccolta da Costantino Nigra nei Canti popolari del Piemonte (Torino 1888, pp. 513-515), è dedicata alla Marcia d’ prinse Tomà.

Vale la pena di notare che il Settecento vide nel principe il prototipo dell’instancabile traditore di una linea ‘nazionale’ per puro opportunismo: lo dimostrano, per esempio, alcune pagine di Ludovico Antonio Muratori che, in relazione a una delle ultime campagne combattute dal principe sabaudo (l’assedio di Pavia), sottolineavano la sua «dubbiosa condotta»; «parve franzese allorché servì a gli spagnuoli, spagnolo allorché servì a i franzesi» (Delle antichità estensi. Continuazione, o sia parte seconda, Modena 1750, cap. XVI, p. 567). Al contrario, l’Ottocento esaltò in lui, capostipite di casa Carignano, uno dei principali campioni delle glorie militari sabaude.

Fonti e Bibl.: E. Tesauro, De’ campeggiamenti del Piemonte (stampati fra il 1640 e il 1643 senza indicazione di luogo prima, a Bologna e a Venezia poi, lontano dalla corte, a lungo riveduti fino alle redazioni di Colonia 1673 e di Torino 1674, con la raccolta cronologicamente ordinata delle parti uscite in precedenza); F. Sclopis, Documenti riguardanti alla storia della vita di T.F. di S., principe di C., Torino 1832; G. Carignani, I tentativi di T. di S. per impadronirsi del Regno di Napoli, in Archivio storico per le province napoletane, VI (1881), pp. 663-731; C.E. Patrucco, La duchessa di Savoia e il principe T. di C. durante la guerra civile in Piemonte (1637-42), in Bollettino storico-bibliografico subalpino, III (1898), pp. 58-68; J. Vallier, Journal de Jean V. maître d’Hotel du Roi (1648-57), IV, Paris 1918, pp. 293 s.; S. Foa, Vittorio Amedeo I, Torino 1930, pp. 25, 28, 47, 52, 64, 99-101, 105, 115, 158, 169, 181, 211, 214, 220, 222, 230, 236, 239 s., 242, 246, 249, 251, 253, 264; R. Quazza, La giovinezza di T. I di C., in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XXXVII-XXXVIII (1935-1936), pp. 259-338; Id., Guerra e pace nei giudizi di T. principe di C., governatore della Savoia: da documenti inediti. 1628-1629-1630, in Convivium, 1935, n. 3, pp. 375-423; Id., Una pagina di storia diplomatica franco-sabauda: da documenti inediti, ibid., 1936, n. 3, pp. 292-331; Id., Il pronunciamento antifrancese di T. di S.-C., ibid., n. 5, pp. 528-564; Id., Come ebbe origine la casa Carignano, ibid., 1937, n. 2, pp. 171-192; Id., T. di S.-C. nella guerra contro Genova, in Giornale storico e letterario della Liguria, XIII (1937), 1, pp. 1-14, 2, pp. 104-113, 3, pp. 175-181; Id., I primi anni di governo in Savoia del principe T. (1621-1625): da documenti inediti, in Convivium, 1938, n. 5, pp. 552-594; Id., T. di S. C. nelle campagne di Fiandra e di Spagna: 1635-1638, pagine di storia europea diplomatica e militare (da documenti inediti), Torino 1941; C. Rosso, Il Seicento, in P. Merlin et al., Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Torino 1994, pp. 214, 234, 237 s., 242-244; Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 205, 249, 278, 338, 650, IV, La città fra crisi e ripresa (1630-1730), a cura di G. Ricuperati, 2002, pp. 10, 19, 20-30, 35, 55-60, 63 s., 69, 97 s., 129, 132, 145, 150, 187, 209, 293, 298, 313 s., 330, 377, 393, 403, 419, 429, 438, 442, 471, 487-489, 500 s., 503, 507, 528, 576, 592, 607, 615 s., 620-622, 624, 634, 637, 639, 671 s., 674, 1044; L. Picco, Il patrimonio privato dei Savoia. T. di S. C. 1596-1656, Torino 2004; L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo Medioevo e prima età moderna, a cura di P. Bianchi - L.C. Gentile, Torino 2006 (in partic. A. Merlotti, Disciplinamento e contrattazione. Dinastia, nobiltà e corte nel Piemonte sabaudo da Carlo II alla Guerra civile, pp. 227-284: 251-254, 277; P. Merlin, La struttura istituzionale della corte sabauda fra Cinque e Seicento, pp. 285-304; P. Bianchi, Una riserva di fedeltà. I bastardi dei Savoia fra esercito, diplomazia e cariche curiali, pp. 305-360); D. Maffi, Il baluardo della Corona. Guerra, esercito, finanze e società nella Lombardia seicentesca (1630-1660), Firenze 2007, pp. 25-28, 30-34, 38, 40, 42-44, 159, 171, 198, 216, 261, 385; A. Spagnoletti, T. di S.: un principe cadetto nel gioco delle potenze europee della prima metà del Seicento, in Casa Savoia e Curia romana dal Cinquecento al Risorgimento, a cura di J.F. Chauvard - A. Merlotti - M.A. Visceglia, Roma 2015, pp. 231-258; A. Fraganillo Alvarez, Servicio y deservicio a Felipe IV. Los príncipes de Carignano, entre Francia y la monarquía Hispánica (1634-1644), in Hispania, 2017, vol. 77, n. 255, pp. 91-115; Ead., Il principe di C. T. di S. e la sua lealtà verso i Savoia, la Francia e la monarchia spagnola (1634-44), in Il potere dei Savoia. Regalità e sovranità di una monarchia composita. Atti del Convegno..., Torino... 2017, a cura di A. Merlotti - M. Vester, in corso di stampa.

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