Scambiarsi informazioni

Enciclopedia dei ragazzi (2004)

Scambiarsi informazioni

Federico Taddia

Gesti e segni per farsi capire

In ogni momento il nostro corpo, attraverso movimenti, comportamenti e sguardi, esprime molte cose. I vestiti, la pettinatura, gli anelli e i braccialetti raccontano molto di noi agli altri. Non comunicare è impossibile e ogni segnale che diamo, anche il più piccolo, ha un significato ben preciso. Il mondo intorno a noi è come un alfabeto segreto che parla a chi lo sa capire.

I segnali del corpo

Parliamo con la voce o con il corpo? Proviamo a pensarci. Molti dei gesti che facciamo di solito sostituiscono le parole. Dire "ciao" o muovere una mano per salutare sono due modi di mandare lo stesso messaggio. Ci sono poi messaggi che mandiamo agli altri senza volerlo. Il nostro corpo, infatti, ha i suoi codici segreti. Per esempio, ci copriamo la faccia per la paura o portiamo una mano davanti alla bocca per lo stupore. Ma che vantaggio ha il corpo a fare la spia? Nessuno, semplicemente non può farne a meno. In ogni momento comunica emozioni di tutti i tipi tramite la comunicazione non verbale, cioè senza parole. Persino la nostra posizione e la distanza che teniamo dagli altri quando parliamo comunicano qualcosa.

La scienza che studia questi comportamenti si chiama prossemica. La prossemica ci dice, per esempio, che se parliamo con il maestro di scuola o con un adulto ci mettiamo di fronte a lui a una certa distanza. Se invece parliamo con una persona con la quale abbiamo più intimità, come un amico o un fratello, ci sistemiamo al suo fianco e a una distanza minore. Ogni nostro piccolo movimento è un'informazione che mandiamo a chi ci sta vicino. E che lui manda a noi. Sta a noi imparare a interpretare quello che il corpo ci vuole dire.

Un corpo tutto da leggere

Capelli colorati di rosso, una maglia stracciata e una bella aquila blu tatuata sulla schiena. Oppure capelli corti, giacca, camicia e cravatta. Ognuno di noi esprime sé stesso anche quando sceglie come vestirsi o pettinarsi. Il vestito possiamo cambiarlo quando vogliamo e i capelli possiamo tagliarli. Ma ci sono segni che rimangono per tutta la vita: i tatuaggi. È probabile che l'abitudine di tatuarsi risalga a epoche primitive; ancora oggi ha grande diffusione soprattutto tra i Polinesiani nell'Oceano Pacifico. Oggi tatuarsi è una moda, ma per quei popoli era ed è qualcosa di molto più importante! Avere un tatuaggio significava essere ricchi o poveri, liberi o schiavi. Polinesiana è anche l'origine della parola tatuaggio, la quale deriva dal termine tatau che vuol dire "marchio". La moda del tatuaggio fu introdotta in Europa a seguito dei viaggi oltreoceano del navigatore inglese James Cook: i suoi uomini, infatti, presero l'abitudine di incidere sul loro corpo le iniziali dei nomi della moglie o dei figli per vincere la nostalgia di casa durante i lunghi viaggi per gli oceani.

Il codice Braille per far leggere i non vedenti

Louis Braille era cieco dall'età di tre anni. Nel 1821 un capitano francese, Charles Barbier, visitò la sua scuola. Barbier aveva inventato un codice chiamato night writing ("scrittura notturna"), che serviva ai soldati per scambiarsi informazioni segrete senza parlare. Era molto complesso da utilizzare ma Braille, che all'epoca aveva 12 anni e un gran desiderio di leggere, capì che il night writing poteva aiutare tutti i non vedenti.

Il codice di Barbier era composto di 12 punti in rilievo decifrabili con il tatto. Passando le dita sui punti, a seconda della loro posizione era possibile riconoscere tutte le lettere. Braille inventò un nuovo codice con soli 6 punti e nel 1829 fece stampare tutto su una lastra di metallo. Da allora anche i non vedenti possono leggere, e non solo libri: infatti nel linguaggio Braille sono state tradotte anche le note musicali e i simboli della matematica.

Chi ha inventato le maschere?

Le maschere sono uno dei modi più antichi di esprimersi senza farsi riconoscere. Attestate fin dal Paleolitico, famosissime restano quelle create dai Greci più di 2.400 anni fa, che coprivano la faccia degli attori di teatro e fungevano da altoparlante, permettendo agli attori di farsi sentire meglio. Dal Medioevo in poi con il Carnevale la maschera ha assunto il ruolo di oggetto scherzoso.

Comunicare con i segnali

Comunicare a grande distanza a volte è l'unico modo per avvertire di un pericolo o chiedere aiuto, una necessità che gli uomini hanno sempre avuto. Oggi comunichiamo con il telefono, ma come si faceva nel passato a scambiarsi le informazioni a distanza? Da migliaia di anni gli uomini hanno trovato modi di comunicare sempre diversi.

Prima del telefono

Noi usiamo il telefono molte volte al giorno: per chiamare amici, parenti, ordinare una pizza o chiedere che film c'è al cinema… Ma come si faceva a comunicare a distanza prima dell'invenzione del telefono? In Africa, in Oceania, nell'America Meridionale, sin dalla antichità molte popolazioni comunicavano tramite il tam-tam. Era un grande tamburo e il suo suono si sentiva a molti chilometri di distanza: ancora oggi si chiama tam-tam la diffusione di una notizia che avviene attraverso lo scambio da persona a persona, senza bisogno di tecnologie. Le popolazioni più abili nel comunicare senza farsi capire dagli estranei erano i Pellirosse, che utilizzavano i segnali di fumo. Muovevano una coperta sopra il fuoco e gli sbuffi di fumo, ora più radi ora più densi, erano come parole per chi sapeva interpretarli. I Pellirosse comunicavano anche attraverso specchi, coperte, frecce infuocate e persino cavalli.

In Asia per informare a distanza si usavano gli aquiloni. Sembra che il primo aquilone abbia più di duemila anni e abbia volato in Cina nel 400 a.C. Fin dalla sua nascita aveva lo scopo di trasmettere informazioni e inviare notizie.

Uno dei più antichi mezzi di comunicazione a distanza usati in Europa sono le campane. Il campanile, collocato al centro del borgo o della città, da molti secoli manda messaggi: avverte i cittadini di un pericolo, suona a festa o a lutto, scandisce le ore del giorno.

Siamo tutti agenti segreti

Biglietti scambiati di nascosto, frasi dette sottovoce, messaggi d'amore da non rendere pubblici. Da sempre esistono i segreti e la necessità di tenerli nascosti. I primi codici segreti risalgono addirittura ai Babilonesi! Uno dei più famosi dell'antichità fu quello inventato da Giulio Cesare: chiamato appunto cifrario di Cesare, era molto semplice. Ogni lettera dell'alfabeto veniva sostituita con quella che la seguiva dopo tre posti. Facciamo un esempio, utilizzando l'alfabeto italiano: la parola amico diventerebbe dpnfr, soldato diventerebbe vrogdwr. La regola del cifrario è semplice, ma per molti secoli è rimasta sconosciuta: infatti pochi sapevano leggere e pochissimi si interessavano dei codici segreti. Nell'Inghilterra del 19° secolo è nato un linguaggio segreto particolare. Si chiama 'linguaggio dei fiori'. Mediante un fiore gli innamorati mandavano (e lo fanno ancora) messaggi alle loro amate. Ogni fiore ha il suo significato. La purezza è simboleggiata dal giglio bianco, la semplicità dalle margherite, e così via. Con un mazzo di fiori si può quasi scrivere una lettera intera!

Samuel Morse e l'invenzione del telegrafo

Samuel Morse, un pittore americano, nel 1832 sentì una conversazione sulla novità scientifica dell'epoca: l'elettricità. Incuriosito, decise di studiarla e tanto si appassionò che nel 1835 costruì il primo telegrafo per trasmettere messaggi a distanza, realizzato con una pila fatta in casa e un vecchio meccanismo a orologeria.

Un telegrafo è formato da due apparecchi collegati a distanza da un filo. Da una parte del filo c'è un operatore che invia il messaggio usando un interruttore, simile a quello che usiamo per accendere e spegnere la luce, che serve a trasmettere e a interrompere l'elettricità. Dall'altra parte c'è un rotolo di carta sulla quale è appoggiata la punta di una penna che si muove quando arriva elettricità e si ferma quando non arriva. L'operatore che invia il messaggio, con l'interruttore fa muovere la penna dell'altro telegrafo. Chi riceve il messaggio vede sulla carta segni brevi e lunghi, uno diverso dall'altro, che compongono parole secondo il codice inventato da Morse nel 1846. In questo codice, a ogni lettera dell'alfabeto o numero è associata una sequenza di linee e punti che un telegrafista sa leggere come noi leggiamo le lettere dell'alfabeto. Oggi l'epoca del telegrafo è tramontata e al suo posto sono stati introdotti i fax e i messaggi di posta elettronica.

Comunicare a voce

Il telefono ha davvero cambiato la vita di tutti. Dovunque e comunque il telefono è con noi e ci permette di comunicare a distanza. La tecnologia dei comandi vocali a distanza tramite computer o telefono si sta rapidamente estendendo. Ma non dimentichiamo che, comunque, parlare direttamente con gli altri resta essenziale.

Voci dal passato e voci dal futuro

Durante il Medioevo girava per le città un personaggio singolare che aveva l'ordine di diffondere i proclami del re: il banditore. Era lui che comunicava se era iniziata la guerra o se la figlia del re si era sposata. Tutti, ascoltandolo, venivano informati da una specie di giornale viaggiante. Con il tempo il banditore diventò uno dei primi strumenti per la pubblicità delle merci. I mercanti utilizzavano i banditori per urlare nelle piazze i pregi delle loro mercanzie richiamando l'attenzione con il suono dei tamburi. Urla che in Italia, specialmente al Sud, si sono sentite fin quasi alla metà del 20° secolo. Ancora oggi non è raro udire nelle città il richiamo modulato dell'arrotino, uno degli ultimi artigiani... viaggianti.

Cosa accadrà in futuro? Già oggi possiamo dare ordini al nostro telefono o al nostro computer semplicemente con la voce. Sono i comandi vocali che permettono di impartire istruzioni a distanza senza dover ricorrere alla scrittura tramite tastiera: così nelle future case 'intelligenti' si potrà accendere il riscaldamento da lontano semplicemente usando il telefono.

La rivoluzione del telefono

Lo strumento che più di ogni altro ha rivoluzionato la comunicazione a voce è il telefono. L'invenzione del telefono ha una storia travagliata: essa si deve al fiorentino Antonio Meucci che lo brevetta nel 1871. Nel 1876 un professore americano, Graham Bell, brevetta a sua volta un apparecchio molto simile a quello di Meucci e si prende tutto il merito dell'invenzione. Meucci cerca di ottenere il riconoscimento legale della sua invenzione, e nel 1886 riesce nel suo intento: tuttavia solo nel 2002 il Congresso degli Stati Uniti lo ha ufficialmente dichiarato l'inventore del telefono!

Come funziona il telefono? Il telefono trasforma le onde sonore emesse dalla voce in onde elettriche che viaggiano attraverso i fili (linea telefonica). Quando si parla al telefono la voce fa vibrare una piccola membrana che provoca variazioni di corrente elettrica. Questi impulsi elettrici corrono lungo le linee telefoniche fino all'altro capo del filo dove vengono trasformate nuovamente nel suono originale.

Il telefono da tasca: il cellulare

Il telefono cellulare usa onde simili a quelle della radio. Queste onde, però, sono capaci di percorrere distanze maggiori e arrivano al cellulare grazie a satelliti e a grandi antenne. La prima chiamata da un telefono cellulare è stata ricevuta nel 1968 dal direttore di un'azienda telefonica. A chiamare era Martin Cooper, di un'azienda concorrente. Martin aveva costruito il primo telefono cellulare e con quella chiamata voleva far morire d'invidia l'avversario!

Il primo cellulare non era comodo: pesava poco più di un chilo, non aveva schermo (in inglese display), la batteria durava solo 35 minuti e doveva essere tenuta sotto carica per dieci ore. Venne messo in commercio nel 1983 e inizialmente le vendite non andarono bene. Poi tutto è cambiato: pensiamo solo che in Italia il numero di cellulari ha superato quello dei telefoni fissi. L'aggettivo 'cellulare' deriva dalla divisione dell'intero territorio nazionale in zone chiamate celle. In ogni cella è presente un ricetrasmettitore radio che riceve e trasmette i segnali necessari a far viaggiare per il mondo voce, messaggi, foto e video.

Comunicare con la scrittura

Una cartolina dal mare, una lettera d'amore, un biglietto d'auguri. Ma anche multe da pagare, bollette della luce o informazioni pubblicitarie. Tutto arriva tramite la posta. Ma chi l'ha inventata? E, soprattutto, nel futuro ci sarà ancora posto… per la posta?

Quanti anni ha la posta?

Non è possibile dire con esattezza quando sia nata la posta. Probabilmente, il primo luogo in cui apparve fu la Cina, dove già nel 4000 a.C. c'erano messaggeri a cavallo, o a bordo di carri merci, che percorrevano le principali vie di comunicazione. Ma il primo a inventare un sistema postale fu Ciro il Grande, imperatore di Persia, nel 6° secolo a.C. La Persia era una regione vasta e Ciro dispose vere e proprie stazioni postali distanti tra loro circa 25 km, dove i messaggeri potevano riposarsi e cambiare cavallo. In questo modo riuscì a coprire un territorio lungo circa 2.500 km. Il metodo persiano fu adottato qualche secolo dopo dall'Impero Romano. Qui le trasmissioni postali, nei periodi di guerra, erano importantissime e sfruttavano il perfetto sistema di strade che collegava Roma alle province.

La posta come servizio a pagamento iniziò alla fine del 13° secolo: fu la famiglia trentina dei Tasso (o Taxis) che cominciò a recapitare lettere dietro compenso. Con il passare del tempo questo servizio divenne sempre più importante: verso l'inizio del 16° secolo i Taxis ebbero dall'imperatore Massimiliano la concessione del servizio postale per tutto l'impero asburgico. Poiché l'influenza di questo impero era in espansione, i Taxis si trovarono a recapitare posta in Italia e per tutta l'Europa settentrionale. Durante il regno di Elisabetta I d'Inghilterra, nella metà del 16° secolo, sorse il primo servizio postale nazionale. Nel 1639 nasce a Boston (in una taverna!) il primo ufficio postale d'America.

Il fax e l'e-mail

Il primo fax venne realizzato dallo scozzese Alexander Bain nel 1843 sfruttando le linee del telegrafo. Oggi il fax usa le linee telefoniche e invia in tempo reale immagini e parole anziché suoni: il testo o il disegno che vogliamo inviare viene trasformato dall'apparecchio in un codice binario, cioè in una sequenza di segnali elettrici che significano "sì" o "no": "sì" dove c'è un segno, "no" dove il foglio è bianco.

La posta elettronica è ancora più comoda e rapida: è un sistema per scambiarsi messaggi tra computer utilizzando Internet. L'e-mail è stata inventata nel 1971 dal californiano Ray Tomlinson, il quale, sfruttando ARPAnet (la 'mamma' di Internet), riuscì a inviare messaggi velocissimi. Fu sempre Tomlinson a decidere di usare il simbolo @, che in inglese si legge at e vuol dire "presso". I primi messaggi di posta elettronica erano per lo più scambi culturali fra scienziati, ma in pochi anni l'e-mail è diventata strumento di comunicazione anche fra gente comune, che oggi può scambiarsi messaggi a migliaia di chilometri di distanza.

Gli SMS

Lo Short Message System ("servizio di messaggi brevi") o SMS è un sistema che permette di trasmettere messaggi tra telefoni cellulari. È un servizio che ha avuto inizio nel 1992: da allora il cellulare offre nuove possibilità di comunicare e gli SMS hanno introdotto un nuovo modo di scrivere. I giochi con le parole per risparmiare caratteri si sono moltiplicati. Tra i più usati la lettera k che ha sostituito ch, come in "kiamami" o "ki 6?" per "chi sei?", oppure "80" al posto di "ho tanta" e ancora "tvb" in sostituzione di "ti voglio bene", "cmq" al posto di "comunque". È un linguaggio nuovo, un codice usato prevalentemente dai ragazzi più giovani.

Quando è stato inventato il francobollo?

Ancora nei primi decenni del 19° secolo la posta veniva pagata da chi la riceveva e i pagamenti erano così vari ed esosi che spesso la corrispondenza veniva rifiutata. Rowland Hill, un geniale educatore che si occupava anche di stampa e di sistemi postali, propose un'unica bassa tassazione su tutte le lettere, da applicare alla spedizione. Come segno del pagamento avvenuto venne emesso nel 1840 il primo francobollo della storia, del valore di un penny. E poiché aveva il fondo di colore nero, ancora oggi è noto col nomignolo di Penny black.

Come si fa un giornale

Tutto quello che succede nel mondo è stampato sulla carta! Milioni di persone ogni giorno sfogliano il giornale per leggere le notizie. Ma chi c'è dietro un quotidiano? Dove vengono trovate le informazioni da pubblicare?

Il quotidiano: un giornale giorno per giorno

Il quotidiano è un giornale che esce ogni giorno e ha come scopo quello di informare milioni di persone su ciò che accade nel mondo. Il quotidiano è uno dei mass media, cioè uno dei "mezzi (di comunicazione) di massa": il suo fine, infatti, è farsi leggere dal numero più grande possibile di persone.

Ci sono i giornali di informazione e di opinione, che trattano tutti i temi più importanti del giorno: cronaca, sport, politica, esteri, curiosità. Ci sono poi giornali dedicati a un unico argomento specifico: per esempio lo sport oppure l'economia.

Oltre ai quotidiani esistono i periodici: i settimanali, che escono una volta alla settimana, e i mensili, che escono una volta al mese. Tra i periodici e i quotidiani ci sono differenze sia nel formato, sia nel tipo di informazioni fornite. I settimanali e i mensili sono veri e propri libretti da sfogliare, sono molto colorati e ricchi di fotografie. Non riportano le notizie del giorno e utilizzano altre forme di informazione, come le inchieste e i dossier, ossia uno o più articoli informativi relativi a specifici problemi di attualità e di largo interesse, gli approfondimenti e i documentari fotografici.

Viaggio nel giornale

Ogni giornale viene realizzato da una redazione, cioè da un gruppo di giornalisti, ognuno con compiti diversi. Ci sono i giornalisti sportivi, i cronisti per le notizie di cronaca, quelli che commentano i fatti politici locali e internazionali (i notisti), gli esperti di musica e così via. Tutti i giorni la redazione si riunisce e scrive articoli sui fatti più importanti. Le notizie vengono scovate dagli inviati, ovvero da giornalisti mandati a seguire i fatti in un determinato luogo, dai corrispondenti, giornalisti che hanno il loro ufficio in altri Paesi, e dai collaboratori, giornalisti che, più o meno regolarmente, segnalano fatti di rilievo e propongono articoli. Molte notizie arrivano anche dalle agenzie di stampa: sono redazioni che non scrivono per un solo giornale, ma lavorano per dare le notizie a tutti i giornali. Sono composte da centinaia di giornalisti, sparsi in tutto il mondo, che reperiscono le notizie e mandano i loro testi all'agenzia la quale, immediatamente, provvede a inviarli alle redazioni di tutti i giornali. A questo punto inizia per i giornalisti il vero lavoro di redazione: è necessario innanzitutto controllare che la notizia sia vera e infine, se risulta confermata e importante, bisogna scrivere il pezzo.

Dalla redazione all'edicola

L'articolo, una volta scritto, deve essere corretto e impaginato, cioè inserito sulla pagina a stampa. È un lavoro difficile, da fare in poco tempo: i giornali, infatti, vengono stampati durante la notte per essere distribuiti all'alba. Se la notizia arriva in redazione la mattina, c'è tutto il tempo per prepararla come si deve. Ma se arriva la sera, vere e proprie squadre di giornalisti esperti dell'argomento devono riuscire rapidamente a dare spazio sul giornale alla notizia appena arrivata, eliminando o riducendo qualche altro articolo. Sfogliando un giornale vedremo che ogni 'squadra' ha le sue pagine: le pagine dello sport, della cronaca, della musica. Soltanto con questa organizzazione i giornalisti riescono a lavorare in poco tempo. E solo così tutte le mattine possiamo trovare i giornali in edicola e conoscere quello che succede nel mondo.

Quando sono nati i giornali?

Anche gli antichi Romani avevano il loro giornale! È uno dei più antichi che la storia ricordi. Si chiamava acta diurna che vuol dire "fatti del giorno". Gli acta diurna erano una specie di gazzetta d'informazione, che tutti i giorni veniva esposta al pubblico e riportava le notizie di interesse pubblico, comprese quelle su nascite, matrimoni, divorzi. L'usanza degli acta diurna è molto antica: sembra che sia stato Giulio Cesare, nel 59 a.C., a rendere giornaliera e accessibile a tutti questa pubblicazione.

Notizie ad alta tecnologia

Dalla invenzione di Guglielmo Marconi a oggi la tecnologia della comunicazione ha fatto molta strada. Radio, TV, Internet: con antenne, cavi, modem e linee telefoniche il mondo è come una grande autostrada su cui viaggiano milioni di notizie.

Silenzio, è l'ora del telegiornale

Il telegiornale (TG) è la fonte più utilizzata dagli Italiani per informarsi. Il primo TG è andato in onda il 3 gennaio del 1954 e da allora è uno dei programmi più seguiti della televisione. Le notizie, fornite dalle agenzie di stampa, dai corrispondenti e dagli inviati, arrivano alla redazione del TG che le lavora proprio come al giornale, ma con un grande vantaggio: le notizie si possono anche far vedere. Scopo del TG è infatti comunicare anche con le immagini, mentre le notizie devono essere date in modo chiaro e conciso.

Oggi esistono reti televisive che trasmettono telegiornali tutto il giorno: si chiamano reti all news, ossia "solo notizie". Ogni quindici, trenta minuti viene trasmesso un breve TG. Nella parte bassa dello schermo c'è uno spazio dove scorrono notizie scritte. Si chiama banner e riporta i fatti più importanti man mano che avvengono.

Notizie dappertutto: la radio

La TV e i computer non hanno diminuito l'interesse per la radio. Anzi, la radio rimane uno dei mezzi più amati dal pubblico. La radio è piccola e non ha bisogno di avere l'attenzione centrata su di sé: la si può ascoltare leggendo o lavorando, può essere portata in qualsiasi posto, anche in auto, permettendoci di ricevere le notizie in ogni momento. Inoltre attraverso la radio possiamo… parlare: possiamo dedicare canzoni, salutare qualcuno, partecipare a discussioni.

Per renderci conto della forza informativa della radio, pensiamo all'effetto che ebbe il programma realizzato dal grande regista americano Orson Welles durante una trasmissione andata in onda il 30 ottobre 1938, alle otto della sera, su una delle maggiori emittenti statunitensi. Tra una canzone e l'altra venivano letti brani, come fossero vere notizie, tratti dal romanzo fantascientifico La guerra dei mondi, dello scrittore inglese Herbert George Wells, relativi a un'invasione marziana sulla Terra. Milioni di persone rimasero attaccate alla radio e si barricarono in casa, terrorizzate da quello che stavano ascoltando.

Internet, la rete virtuale che avvolge il mondo

Internet è il modo più recente di informarsi e di avere notizie. Internet è una parola inglese composta da Inter (national) e net, che significa "rete internazionale" e indica una rete che collega tra loro milioni di computer nel mondo. La prima rete si chiamava ARPAnet e nacque nel 1969 per consentire lo scambio di informazioni tra università e istituti di ricerca, sfruttando le linee telefoniche. Il suo sviluppo risultò utile anche in campo militare: la rete avrebbe garantito la comunicazione anche se fosse stata danneggiata in alcune delle sue parti. Come per la posta elettronica, anche in questo caso l'invenzione ebbe esiti che andarono ben al di là delle aspettative di chi l'aveva ideata. Al giorno d'oggi milioni di computer sono collegati alla rete di Internet e basta un semplice clic per ottenere notizie su tutto quello che ci interessa, come in un grande archivio mondiale.

Cos'è un motore di ricerca?

Un motore di ricerca, per esempio Google®, è un sistema che permette di 'pescare' una informazione all'interno di un grande archivio di dati. Andando nella pagina di Google basta scrivere una parola qualsiasi e si ottengono tutti gli indirizzi di rete che contengono quella parola. Il termine Google nasce da un gioco di parole e deriva da Googol, il nome dato per gioco da un bambino, futuro matematico, al numero 1 seguito da 100 zeri, come fossero una sfilza di o. È impossibile riuscire a immaginare un Googol di qualcosa, ma proprio questo è lo scopo di Google: archiviare il maggior numero possibile di siti e di informazioni. Nel giugno 2000, Google era arrivato a censire 1 miliardo di pagine web. La strada verso il Googol è cominciata!

La trasmissione delle immagini

Per qualcuno è un semplice elettrodomestico, per altri una baby sitter, per altri ancora un'amica o un passatempo. Qualcuno non riesce a spegnerla, altri non riescono ad accenderla. Ma pochi potrebbero farne veramente a meno. Ecco a voi la scatola parlante… la televisione.

Gli inizi della 'scatola parlante'

La televisione è stata probabilmente il più importante mezzo di comunicazione del 20° secolo ed è, tra i mass media, quello che ha avuto la maggiore affermazione e la più grande diffusione. La TV informa, fa divertire, tiene compagnia, senza che si debba uscire di casa.

I primi tentativi di trasmettere immagini a distanza risalgono all'inizio del 20° secolo, ma le prime trasmissioni sperimentali ebbero inizio solo a partire dal 1926. Da quel momento prese corpo la TV moderna: molte persone contribuirono alla sua creazione e non è possibile dire chi ne sia stato l'inventore. La commercializzazione degli apparecchi televisivi iniziò negli anni Trenta e il primo grande avvenimento a essere ripreso in diretta dalle telecamere furono le Olimpiadi di Berlino nel 1936. In Italia, invece, le trasmissioni sono iniziate solo nel 1954. Al principio pochi possedevano un televisore e quindi si andava al bar, all'osteria, in un luogo pubblico per poter vedere le trasmissioni insieme ad altri. Inoltre i primi programmi trasmessi erano in bianco e nero. Gli studi sulla televisione a colori iniziarono intorno al 1950 ma in Europa si dovette aspettare fino alla seconda metà degli anni Settanta per poter vedere le prime trasmissioni a colori.

Tanti modi di fare tv: reality show, sit-com, giochi a quiz

Il reality show è uno spettacolo basato sulla messa in onda della vita quotidiana di alcune persone che vivono insieme in un luogo delimitato (per esempio una casa, un'isola, ecc.) e vengono riprese dalle telecamere 24 ore su 24. Il pubblico da casa può decidere, settimana dopo settimana, un concorrente da eliminare fino a farne rimanere uno solo, che risulterà essere il vincitore. Il reality show più famoso di inizio secolo è il Grande Fratello. Questo nome è stato ripreso dal romanzo 1984 dello scrittore inglese George Orwell, che immaginò uno Stato i cui abitanti sono tenuti ininterrottamente sotto controllo dalle telecamere di un grande capo, chiamato appunto Grande Fratello.

La sit-com è un telefilm a puntate che ha per argomento situazioni di vita quotidiana: i protagonisti, però, a differenza del reality show sono attori professionisti che seguono un copione.

Un altro spettacolo molto seguito dal pubblico televisivo è il gioco a quiz, che permette a concorrenti di vincere premi anche molto ricchi rispondendo correttamente alle domande del conduttore. Il primo quiz in Italia è stato realizzato nel 1955: si intitolava Lascia o raddoppia? ed era presentato da Mike Bongiorno.

Musica e video: i videoclip

I videoclip sono i video che accompagnano le canzoni: si tratta di brevi filmati realizzati con un montaggio veloce e frammentato e utilizzati per la promozione di un prodotto, generalmente un brano musicale. Il videoclip è diventato oggi una specifica forma di espressione e sempre più spesso attori e registi professionisti fanno videoclip realizzando filmati di grande qualità. Il primo videoclip è stato girato dal gruppo musicale inglese dei Queen nel 1975. Nel 1981 è nata in America MTV, la prima rete televisiva interamente dedicata alla musica. MTV ha rivoluzionato il modo tradizionale d'ascolto della musica e ha permesso la nascita di nuove figure professionali come quella del vj (video jockey), ovvero il presentatore dei video in onda.

Che cos'è lo share degli ascolti?

Quante persone guardano un certo programma in un dato momento? Questa informazione è fornita in Italia da una società che ogni giorno rileva i dati di ascolto della televisione. La società sceglie come campione un certo numero di telespettatori ai quali viene fornito un apparecchio elettronico chiamato meter da applicare al televisore. Questo apparecchio comunica in ogni momento quali programmi stanno guardando i telespettatori campione. Partendo dai risultati del campione si può determinare la distribuzione percentuale degli ascolti, vale a dire lo share di ogni programma.

Consigli per gli acquisti

La pubblicità fa ridere, fa sognare, fa nascere voglie e desideri. Ma soprattutto… fa venire voglia di acquistare! Cartelloni, spot televisivi, messaggi radiofonici, banner su Internet: siamo circondati dalla pubblicità. Ecco qualche consiglio per conoscere meglio i… consigli per gli acquisti.

Cos'è la pubblicità

La pubblicità è una comunicazione fatta per convincere: che un gioco è meglio di un altro o che una bibita è la più buona del mondo. Per prima cosa ogni pubblicità sceglie un target, parola inglese che vuol dire "bersaglio". Se, per esempio, si vuole pubblicizzare una nuova moto lo si farà su un giornale per motociclisti: gli appassionati delle moto che leggono il giornale sono il target adatto a interessarsi di quella pubblicità. Esistono vari tipi di pubblicità a seconda del mezzo usato. Gli spot televisivi sono i più utilizzati, ma troviamo la pubblicità alla radio, per la strada, sui giornali e anche quando navighiamo in Internet. La caratteristica comune a tutte le pubblicità è quella di avere a disposizione pochi secondi per inviare messaggi allo spettatore e per fornire informazioni riguardo a un determinato prodotto commerciale in modo da suscitare l'interesse.

Le armi segrete dello spot

Come funziona la pubblicità? Ecco alcuni mezzi che usa per convincere. Il primo è l'immagine, che ci colpisce molto più delle parole. A volte il nostro cervello la registra senza che noi ne siamo coscienti. Poi c'è lo slogan, cioè una piccola frase in rima, o comunque buffa o sorprendente, fatta apposta per attirare l'attenzione. Creare slogan è difficilissimo: con poche parole devi convincere chi legge o ascolta che un certo prodotto è il migliore. Simile allo slogan è il tormentone, una semplice frase che rimane impressa e che ripetiamo involontariamente anche quando parliamo di altri argomenti.

Molte pubblicità coinvolgono persone famose (in inglese testimonials) e anche questo è un altro mezzo per convincere, perché uno slogan recitato da un personaggio noto è molto più efficace: in genere ci si fida del cantante o del calciatore preferito. Anche la musica che accompagna la pubblicità ha una grande importanza nel farci ricordare il prodotto. è sicuramente capitato a tutti di sentire una canzone che ha fatto tornare in mente una pubblicità famosa, anche se magari la musica era nota da molto tempo prima! Molte volte le pubblicità sono accompagnate da canzoncine e musica fatte 'su misura'. Non a caso il nome inglese di questi piccoli brani, jingle ("tintinnio"), ci risuona nell'orecchio, proprio come un campanello!

Quando nasce la pubblicità?

Pompei è una città vicino a Napoli che nel 79 d.C. fu distrutta dall'eruzione del Vesuvio. Gli archeologi scavando sotto Pompei hanno trovato anche... 'cartelloni' pubblicitari: grandi pitture che dovevano richiamare l'attenzione sui negozi di panettieri, sarti e barbieri! Ognuno aveva un proprio marchio. Il sarto le forbici, l'oste la bottiglia di vino, il barbiere una bacinella. Queste insegne che riempivano le strade della città sono di certo tra le più antiche pubblicità del mondo.

La pubblicità può essere disinteressata?

La pubblicità può essere utilizzata anche per mandare messaggi che forniscono informazioni utili a comprendere alcuni aspetti della vita. Si tratta della pubblicità progresso. La pubblicità progresso usa tutti i modi propri della pubblicità per lanciare messaggi importanti quali il rispetto degli altri, la difesa della vita, il pericolo che si corre quando ci si droga o quando si sfreccia in automobile. Altre pubblicità usano immagini di fatti realmente accaduti, come quelle di bambini costretti a lavorare, per sensibilizzare noi spettatori ai grandi problemi che ci circondano.

Biblioteca fantastica

""Ehi, salve! Sei nei guai, eh?". Nessuna risposta. Tom ripassò il pennello su un punto non ancora ben coperto di calce, esaminò il risultato con aria da intenditore, fece ancora un piccolo ritocco e tornò a osservare il risultato. Ben si avvicinò fin quasi a sfiorarlo. Lui, per quanto avesse l'acquolina in bocca per la mela, mantenne un'aria impassibile e concentrata. … "Senti, io vado a fare una nuotata, perché non vieni anche tu? Ma già, che sciocco, non ci avevo pensato: devi restare qui a finire il lavoro, eh?". Tom lanciò un'occhiata distratta al ragazzo. "Di quale lavoro stai parlando?"". Tom osserva l'amico incredulo e costruisce abilmente la sua bugia: non crederà mica che verniciare l'intera staccionata di zia Polly sia una punizione, e tantomeno un lavoro! È una vera delizia!

A confronto, andare al fiume a fare i tuffi o a nuotare è una vera noia. Verniciare, questo sì che è divertimento! Ben osserva perplesso, ma il viso radioso dell'amico e lo slancio delle pennellate sembrano confermare le parole. Quasi quasi, invece di andare al fiume, si potrebbe chiedere il permesso di una verniciatina, anche piccola magari. Tom, magnanimo e di animo nobile, la concede in cambio di un debito pagamento. Così, alla fine del pomeriggio, la staccionata è candida, le tasche di Tom sono piene di regali e tutti i ragazzini del paese sono impiastricciati di bianco. Non c'è bambino, ragazzo o adulto di St. Petersburg che non sia cascato nei tranelli di Tom. In effetti non esiste maestro della bugia migliore di lui: potrebbe quasi fondare una scuola!

A pensarci, non è facile dare informazioni false. Non bastano le parole, ci vuole attenzione per tutto ciò che usiamo per comunicare: i gesti, il tono della voce, l'espressione del viso. Solo così si può essere convincenti. Ed è meglio essere ben preparati quando mangiamo di nascosto la cioccolata, infiliamo il dito nel vasetto di marmellata o ci fingiamo malati per non andare a scuola. Altrimenti rischiamo di farci scoprire, se ci chiedono qualcosa.

Non che ci cresca il naso come a Pinocchio, ma basta poco per tradirci: un risolino fuori luogo, le orecchie che diventano rosse, l'agitazione dei piedi che quasi vogliono scappare da soli. Ma non è per questo che il Gatto più bugiardo del mondo chiede un paio di stivali al padrone disperato e ridotto a un'assoluta povertà.

"Non ti affliggere, padrone, non devi far altro che darmi un sacco e farmi confezionare un paio di stivali, per andare nei cespugli spinosi, e vedrai che non hai ereditato così poco come credi".

Non sono parole di consolazione: il Gatto ha in mente una vera truffa e ha una bella faccia tosta. Comincia a cacciare conigli selvatici e pernici e a portare le prede in dono al Re, facendole passare per i regali del misterioso Marchese di Carabas. Il Re si incuriosisce, ringrazia e ricambia la sua benevolenza. Un giorno decide con la sua bella figlia di fare una passeggiata in carrozza e il Gatto perfeziona il suo piano. Fa incontrare loro per strada il misterioso Marchese. E chi può essere se non il suo povero padrone?

La Principessa, soprattutto, è colpita dalla bellezza e dalla cortesia del giovane ed è ancora più stupita quando scopre che tutte le terre della contea sarebbero del sedicente Marchese. Anche i contadini che ci lavorano dicono la stessa cosa, perché il Gatto ha usato parole piuttosto convincenti: "Brava gente che falciate, se non direte al Re che questo prato è del Marchese di Carabas sarete tutti tritati a piccolissimi pezzettini come carne da ripieno".

Infine il Gatto trova un castello abitato da un orco, se ne sbarazza con un abile stratagemma e dona la reggia al suo padrone. Così il Re e la Principessa possono essere ospitati e non ci vuole molto perché si pensi a un futuro matrimonio. Le bugie del Gatto si sono dunque trasformate in realtà, l'informazione da falsa diventa vera! Il finto Marchese e la Principessa sono infatti ancora insieme e vivono felici e contenti.

Il grosso problema nel dire le bugie non è solo quello di essere scoperti. Al massimo si viene sgridati, o si prende uno scapaccione. La punizione più dura è quella di non essere mai creduti, quando tutti ci conoscono come persone… un po' troppo fantasiose. È quello che succede a Peter, chiamato dagli amici il Wauga. In casa tutti sanno che Peter tende a colorire eccessivamente le sue storie. "Spesso la mamma diceva: "Allora, passerotto, stai di nuovo raccontando frottole!". Spesso il papà diceva: "Allora, bocia, mi vuoi proprio prendere in giro!". Spesso la nonna diceva: "Burli, dì la verità una buona volta!". Spesso il nonno diceva: "Stai raccontando ancora delle sfacciate bugie!". Spesso la sorella maggiore diceva: "Piccolino, va' a raccontarlo a qualcun altro, ma non a me!"".

Perfino il fratellino minore non crede più alle parole di Peter. E non importa che lui si sforzi di dire che invece è vero, una storia garantita! Niente da fare: a esagerare si perde il controllo delle bugie. Non che lui si diverta a prendere in giro gli altri o, peggio ancora, a truffare la gente. Semplicemente gli piace colorare un po' la realtà, per renderla più avventurosa. E poi, inutile negarlo, non è male essere ammirato dagli amici che lo ascoltano a bocca aperta, gli unici a prenderlo ancora sul serio. Soprattutto quando il protagonista dei suoi racconti è l'amico misterioso, il Wondruska, agente segreto sprezzante del pericolo come James Bond. Corse in macchina, intere domeniche passate di nascosto nei negozi di giocattoli, montagne di premi vinti al Luna Park: queste sono bazzecole per il Wondruska!

I guai iniziano quando una bimba di nome Ulli chiede di conoscere questo grande eroe e il Wauga fatica a inventarsi una scusa. La bambina capisce di essere stata presa in giro e si arrabbia. Nel giro di una settimana anche gli altri compagni cominciano a ignorarlo. Inutile dare spiegazioni o chiedere perdono. Il Wauga è davvero disperato, fino a quando non gli sorge un dubbio: e se il Wondruska esistesse per davvero? All'angolo della strada, in effetti, c'è un docile sartino che si chiama proprio così! Basta colorire un po' la sua storia e il gioco è fatto. In fondo chi può dire con precisione cosa è vero e cosa è falso? E non venitemi a dire che non aggiungete piccoli particolari inesistenti ai vostri racconti. Non c'è niente di male se serve a rendere le cose più avventurose. (Giordana Piccinini)

Bibliografia

Christine Nöstlinger, Il Wauga, Salani, Firenze 1990 [Ill.]

Luigina Battistutta, Il gatto con gli stivali: una fiaba di Charles Perrault, Nord-Sud Edizioni, Zurigo 1999 [Ill.]

Charles Perrault, Il gatto con gli stivali, in Fiabe, Fabbri, Milano 2002

Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, Fabbri, Milano 2002

Mark Twain, Tom Sawyer, Giunti, Firenze 1994 [Ill.]

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