Schizofrenia

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Schizofrenia

Giovanni Manfredi

Per s. si intende una grave patologia mentale caratterizzata da sintomi psicotici, apatia, ritiro sociale e compromissione delle funzioni cognitive. Tale patologia induce il deterioramento nell'attività lavorativa, scolastica, familiare e l'incapacità da parte del malato di prendersi cura di sé, svolgere una vita indipendente e condurre una buona vita di relazione. La s. rappresenta la patologia psichiatrica più grave, maggiormente disabilitante e con i costi più alti per il sistema sanitario; costituisce la maggior causa di disabilità tra le patologie psichiatriche.

Epidemiologia

L'incidenza annuale della s. è dello 0,2-0,4 ogni mille individui, con prevalenza di circa l'1%. È simile nei due sessi; le femmine presentano un'età di esordio più tardiva e un decorso della malattia più favorevole, con un minor numero di ricoveri e con un miglior funzionamento sociale. L'incidenza sembra simile tra i diversi Paesi.

Sintomatologia

La moderna concezione della s. è fondata sugli studi di E. Kraepelin (1856-1926), che aveva focalizzato l'attenzione sul progressivo deterioramento manifestato, nel lungo termine, dai pazienti (Dementia Praecox), e su quelli di E. Bleuler (1857-1939), che aveva caratterizzato i sintomi principali del disturbo in una difficoltà nel pensiero astratto (perdita dei nessi associativi), affettività incongrua o appiattita, perdita dei comportamenti finalizzati, ambivalenza e ritiro in un mondo interiore (autismo). La diagnosi di s. non è stabile nel tempo; una percentuale di pazienti, variabile dal 21% al 30%, diagnosticati al primo episodio di malattia come schizofrenici, non manifesterà successivamente nessuna ricaduta. La s. è caratterizzata da tre principali gruppi di sintomi: i sintomi psicotici, i sintomi negativi e la compromissione cognitiva. I sintomi psicotici sono caratterizzati da perdita del contatto con la realtà e includono convinzioni erronee e illogiche (deliri), percezioni sensitive non condivise dagli altri (allucinazioni) e comportamenti bizzarri. Nella s. possono manifestarsi diversi tipi di allucinazioni, quali allucinazioni uditive, visive, olfattive, gustative o tattili; quelle uditive sono in assoluto le più frequenti. I deliri più comuni nei pazienti con s. sono quelli di tipo persecutorio, di riferimento, di controllo, di grandezza e quelli somatici. La presenza e la gravità dei deliri, nel decorso della patologia, può essere costante nei casi più gravi, ma tende più frequentemente a fluttuare nel corso del tempo. I sintomi negativi sono caratterizzati da una condizione deficitaria, nella quale i comportamenti e le emozioni di base sono assenti o diminuiti. I sintomi negativi più frequenti sono l'appiattimento affettivo e la mancanza di emozioni, interessi o preoccupazioni (apatia), l'incapacità di provare piacere (anedonia) e la mancanza di spontaneità nella parola e nella loquacità (alogia). I sintomi negativi, a differenza di quelli psicotici, tendono a essere più pervasivi e meno fluttuanti nel corso del tempo e sono strettamente associati alla compromissione del funzionamento sociolavorativo. La compromissione del funzionamento cognitivo appare caratterizzata dalla difficoltà nell'attenzione, nella concentrazione, nella psicomotricità, nell'apprendimento, nella memoria e nelle funzioni esecutive. Un peggioramento delle capacità cognitive è presente nella maggior parte dei pazienti affetti da s.; è una condizione deficitaria che tende a essere stabile dopo l'esordio della malattia. La compromissione cognitiva, così come i sintomi negativi, è strettamente associata allo scadimento del funzionamento. I pazienti schizofrenici presentano anche una compromissione delle proprie abilità sociali e alterazioni comportamentali (difficoltà nel trovare lavoro, nel frequentare la scuola, nel gestire i figli, nel portare avanti relazioni affettive significative e nel prendersi cura di sé), che si manifestano spesso prima dell'esordio dei sintomi psicotici. Oltre ai sintomi clinici (sintomi psicotici, negativi e cognitivi) e alla compromissione delle abilità sociali, i pazienti con s. possono presentare problemi e difficoltà anche in altre aree. Sono infatti a maggior rischio nello sviluppare abuso di alcol e sostanze, nel contrarre patologie infettive (per es., HIV, epatite C), nell'essere vittime di soprusi e violenza, nell'essere affetti da patologie respiratorie o cardiovascolari, nel vivere in condizioni abitative disagiate, nel manifestare emozioni negative come ansia, depressione e ostilità. L'esposizione a tali fattori di rischio determina un netto aumento della mortalità dovuta a suicidio, a incidenti e a concomitanti patologie mediche.

Età d'esordio e decorso. - L'età di esordio della s. si colloca tra i 16 e i 30 anni. Dopo i 45 anni rappresenta un evento raro. Il disturbo ha generalmente un inizio graduale e insidioso; tra la comparsa dei primi sintomi prodromici e l'estrinsecarsi del quadro conclamato di malattia passano mediamente cinque anni. I primi sintomi che si manifestano sono di solito quelli negativi e depressivi, seguiti da quelli cognitivi e dalla compromissione del funzionamento; successivamente, anche dopo alcuni anni, si manifestano sintomi psicotici. Il fattore prognostico più importante è rappresentato dal livello di funzionamento sociale raggiunto prima del manifestarsi dei sintomi psicotici; tale livello di funzionamento dipende dall'età in cui esordiscono i sintomi psicotici. Dopo lo sviluppo del quadro sintomatologico, la compromissione tende a essere costante, anche se alcuni malati possono evidenziare una remissione dei sintomi nelle fasi avanzate della vita. Il decorso della malattia sembra meno grave nei Paesi in via di sviluppo. I sintomi psicotici tendono a presentarsi episodicamente nel corso del tempo. Al contrario, i sintomi negativi e quelli cognitivi sono stabili, rappresentando l'elemento fondamentale della compromissione del funzionamento dei pazienti.

Eziopatogenesi

Fattori genetici. - La prevalenza della s. è più alta nei parenti di pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale. Studi su gemelli e su soggetti adottati hanno dimostrato come questo aumento del rischio sia genetico, e come il rischio di sviluppare un quadro di s. sia dieci volte maggiore in chi possiede un parente di primo grado affetto dalla patologia. Il rischio aumenta con il grado di parentela, arrivando al 50% in coloro che possiedono entrambi i genitori affetti, e sino al 60-84% nel caso in cui sia presente un gemello monozigote affetto. La trasmissione della patologia non sembra comunque seguire una trasmissione di tipo mendeliano, ma appaiono coinvolti numerosi geni suscettibili, che, interagendo con fattori epigenetici e ambientali, determinerebbero l'insorgere della patologia. Sono stati individuati almeno sette geni associati alla schizofrenia.

Fattori ambientali. - I fattori ambientali coinvolti nella patogenesi della s. comprendono sia fattori biologici sia fattori psicosociali. Il rischio di sviluppo di s. è aumentato dalla presenza di eventi natali e perinatali, quali sindrome influenzale materna, rosolia, malnutrizione, diabete mellito, fumo durante la gravidanza e complicanze ostetriche. Le complicanze ostetriche caratterizzate da ipossia sono particolarmente associate a un aumentato rischio di s. a causa dell'effetto eccitotossico dell'ipossia sul cervello del neonato. Numerosi fattori sociodemografici sono correlati a un aumento del rischio di schizofrenia. La povertà e un basso livello sociale sono stati a lungo associati a una maggiore incidenza; al riguardo sono state formulate due ipotesi: da un lato condizioni ambientali stressanti aumentano il rischio, dall'altro la s. stessa può ridurre il funzionamento sociale e lavorativo. I soggetti nati in aree urbane sviluppano più facilmente la s. rispetto a quelli che sono nati in aree rurali. Nonostante non emergano differenze di incidenza tra i diversi gruppi etnici, un aumento del tasso di incidenza è evidente in alcune minoranze etniche, come i figli degli afrocaraibici in Inghilterra, gli immigrati dalle Antille e dal Suriname nei Paesi Bassi e gli afroamericani. Ciò sembra dipendere dalla condizione stressante di costituire una minoranza etnica, con un aumento della vulnerabilità alla malattia in soggetti predisposti biologicamente.

Patofisiologia

L'evidenza neurobiologica di più frequente riscontro è costituita dalla presenza di un allargamento del sistema ventricolare, accompagnato da una riduzione complessiva del volume cerebrale e dalla riduzione della sostanza grigia corticale. Le regioni cerebrali nelle quali tale riduzione di volume è maggiormente evidente sono: i lobi frontali, l'amigdala, l'ippocampo, la regione paraippocampale, il talamo, il lobo temporale mediale, il giro cingolato e il giro temporale superiore. Queste alterazioni della struttura cerebrale non sono imputabili alla durata della malattia o all'effetto dei trattamenti, essendo presenti sia nei pazienti appena diagnosticati sia nei familiari non malati dei pazienti. Per investigare la possibile presenza di circuiti neuronali disfunzionali, è stata utilizzata la tomografia a emissione di positroni (PET), che permette di investigare il flusso ematico cerebrale e la localizzazione dei diversi recettori per i neurotrasmettitori. Nei pazienti schizofrenici, sottoposti a test che indagano le funzioni esecutive, la memoria e l'attenzione, sono state evidenziate, con la PET, alterazioni del flusso ematico cerebrale nelle regioni frontali, nel talamo e nel cervelletto. Una riduzione del flusso ematico a livello prefrontale è stata evidenziata nella s. durante l'esecuzione di test cognitivi; tale dato è correlato a una diminuzione dell'attività dopaminergica, alterazione che si suppone coinvolta nella patogenesi della malattia. La risonanza magnetica funzionale (fMRI) permette di valutare una specifica area cerebrale mentre un soggetto esegue alcune funzioni cognitive. Con questa indagine sono state individuate alterazioni dell'attività cerebrale nelle aree frontali e temporali. La presenza di alterazioni strutturali e del funzionamento cerebrale, in pazienti al primo episodio di malattia e che non hanno mai assunto farmaci, suggerisce che tali alterazioni non siano secondarie al trattamento o alla durata della patologia. L'esistenza di deficit della cognizione sociale (per es., la capacità di processare in maniera adeguata le informazioni sociali così come le emozioni), che sono preponderanti nella s., è correlata ad alterazioni della corteccia prefrontale sinistra. La fMRI è stata anche utilizzata per valutare l'effetto, nel lungo periodo, dei trattamenti farmacologici sul funzionamento cerebrale. Da alcuni dati è emerso come i nuovi trattamenti determinino un miglioramento, in pazienti sottoposti a test di memoria, del funzionamento frontale, probabilmente ascrivibile a un aumento della trasmissione dopaminergica a livello della corteccia frontale. Con la diffusion tensor imaging MRI, tecnica che permette di caratterizzare la struttura della sostanza bianca cerebrale, si è evidenziata la presenza di alterazioni strutturali in numerose aree cerebrali, come la corteccia prefrontale e i fasci frontotemporale e frontoparietale. La presenza di alterazioni della mielinizzazione nella sostanza bianca è correlata ai problemi di connessione tra le diverse aree cerebrali, che sono alla base di alcuni sintomi e dei deficit cognitivi tipici della schizofrenia. La comparsa di demielinizzazione durante l'adolescenza o nella prima età adulta rappresenta un elemento critico rispetto allo sviluppo di quadri di tipo psicotico.

Ipotesi del neurosviluppo

Numerose evidenze suggeriscono che le alterazioni strutturali presenti nella s. dipendono da un anormale sviluppo del sistema nervoso centrale. L'insorgere dei sintomi psicotici dopo numerosi anni dallo sviluppo delle alterazioni della struttura cerebrale indica come la s. sia un disturbo del neurosviluppo. La presenza di alterazioni strutturali nei pazienti al primo episodio di malattia e nei familiari di primo grado dei pazienti, indica che queste alterazioni non sono limitate al processo patologico alla base del disturbo, ma costituiscono una manifestazione di alcuni fattori di rischio familiare, forse legati a geni che regolano il neurosviluppo. Nei pazienti schizofrenici sono spesso evidenti alterazioni morfologiche tipiche delle prime fasi dello sviluppo cerebrale, come la stenosi dell'acquedotto, le cisti settali e aracnoidee, l'agenesia del corpo calloso e l'assenza o l'alterazione della normale simmetria della struttura cerebrale. Va considerato, inoltre, che l'assenza di reazioni gliali, nei pazienti schizofrenici, suggerisce come i cambiamenti della struttura cerebrale siano prenatali piuttosto che postnatali. Da studi istologici post mortem sono emerse anomalie della citoarchitettura cerebrale, in particolare dell'organizzazione corticale, alterazioni che si manifestano solamente nelle prime fasi dello sviluppo cerebrale. Le alterazioni della organizzazione laminare della corteccia sono imputabili a una compromissione della corretta migrazione dei neuroni dalle zone periventricolari alla corteccia, migrazione che si sviluppa nel secondo trimestre di gravidanza. Queste anomalie della citoarchitettura cerebrale costituiscono la base dell'anormale connessione neuronale che sottende la malattia. Il meccanismo eziopatologico che determina l'insorgere della malattia nell'adolescenza o durante la prima età adulta rimane poco chiaro. Una delle ipotesi più accreditate coinvolge il pruning sinaptico, che diventando eccessivo determinerebbe lo sviluppo della malattia. Durante l'adolescenza si manifesta, inoltre, una sostanziale eliminazione delle sinapsi. L'età di esordio può risultare più precoce nel caso vi sia una interazione tra la vulnerabilità genetica e la perdita neuronale legata all'ipossia conseguente a complicanze ostetriche.

Il modello stress-vulnerabilità

Il decorso della s. può essere adeguatamente spiegato dal modello stress-vulnerabilità. Secondo tale modello, la s. sarebbe determinata da una vulnerabilità psicobiologica causata, nelle fasi iniziali della vita, dall'interazione di fattori genetici e ambientali. Una volta che la vulnerabilità si è instaurata, l'esordio della malattia e il suo decorso sono determinati da una interazione dinamica di fattori biologici e psicosociali. Tra i fattori biologici che modulano il decorso della malattia, i trattamenti farmacologici e l'abuso di sostanze rappresentano le due variabili più critiche. I farmaci antipsicotici possono ridurre la gravità dei sintomi e prevenire le ricadute, mentre l'abuso di sostanze agisce in senso contrario. I fattori psicosociali che influenzano maggiormente la malattia sono lo stress, le strategie di coping (ossia il modo in cui si affronta una situazione di stress) e il supporto sociale a disposizione del paziente. Lo stress agisce sulla vulnerabilità biologica, peggiorando il quadro clinico e determinando lo sviluppo di riesacerbazioni della malattia, mentre il possesso di buone capacità di coping permette di minimizzare l'impatto negativo degli eventi e delle situazioni stressanti. La presenza di un buon sostegno sociale può, infine, ridurre l'effetto dello stress e aumentare le capacità di coping. Il modello stress-vulnerabilità, oltre a fornire un solido supporto per la comprensione dell'esordio e del decorso, permette di guidare gli interventi terapeutici. Obiettivi della terapia sono infatti la riduzione della vulnerabilità biologica, attraverso l'impiego dei trattamenti farmacologici, la riduzione dell'abuso di sostanze, l'aumento delle capacità di coping del paziente nonché il miglioramento del sostegno sociale.

Trattamento

Terapia farmacologica. - La terapia farmacologica rappresenta il punto cardine del trattamento della s., senza il quale non sarebbe possibile utilizzare la maggior parte degli interventi psicosociali. I farmaci antipsicotici costituiscono il trattamento di prima scelta per la s., determinando una riduzione dei sintomi psicotici e la prevenzione delle ricadute. Il loro effetto risulta, al contrario, modesto sui sintomi negativi e sulla compromissione cognitiva. Gli antipsicotici tradizionali, i cosiddetti neurolettici, nonostante dimostrino una buona efficacia nel trattamento dei sintomi psicotici, possono indurre effetti collaterali come sintomi extrapiramidali, discinesia tardiva, aumento della prolattina e peggioramento del quadro depressivo. Dagli anni Novanta in poi sono stati sviluppati diversi farmaci antipsicotici, definiti atipici, che presentano un miglior profilo di tollerabilità. Non sono comunque acquisite evidenze certe su una maggiore efficacia degli antipsicotici tipici rispetto a quelli tradizionali. La clozapina è il farmaco più efficace nel trattamento dei sintomi psicotici resistenti, dei sintomi negativi e nel ridurre il rischio di suicidio. Sono frequentemente utilizzati altri trattamenti farmacologici come gli stabilizzanti del tono dell'umore, gli antidepressivi e le benzodiazepine. Nel trattamento della s. l'utilizzo di una polifarmacoterapia è prassi comunemente adottata, nonostante le evidenze della sua efficacia siano scarse. Uno dei principali problemi è la non aderenza al trattamento, che risulta presente in circa il 50% dei casi, con livelli ancora più alti immediatamente dopo l'esordio della malattia.

Interventi psicosociali. - Obiettivo degli interventi psicosociali è quello di migliorare la gestione della malattia nel suo complesso (controllo dei sintomi e prevenzione delle ricadute) e il funzionamento dei pazienti in alcune aree, come la capacità di essere autonomi e avere relazioni con gli altri, e la possibilità di avere una occupazione. Appartengono all'ambito degli interventi psicosociali diverse forme di intervento, quali la psicoeducazione dei pazienti e delle famiglie, la social skills training (una specifica tecnica psicologica volta a sviluppare le competenze sociali degli individui al fine di migliorare la propria vita e le proprie relazioni), la psicoterapia cognitivo-comportamentale, le psicoterapie basate sull'insight (l'apertura, l'intuizione su di sé che avviene grazie a uno sguardo esterno che aiuta a 'guardarsi dentro', nel bene e nel male), la psicoterapia sistemica e la psicoterapia a orientamento dinamico. I pazienti schizofrenici che usufruiscono di un intervento psicosociale evidenziano una prognosi migliore rispetto a quelli trattati con la sola terapia farmacologica. L'integrazione dei trattamenti, farmacologico e psicosociale, costituisce una necessità assoluta nella terapia della schizofrenia.

Intervento precoce nella schizofrenia. - Uno degli obiettivi principali nella terapia della s. è quello di riuscire a intervenire il prima possibile, durante la fase prodromica, o immediatamente dopo l'esordio della malattia. La necessità di intervento precoce deriva da tre evidenze: primo, più è lungo il periodo di malattia non trattato, maggiore sarà la durata del trattamento prima di raggiungere la remissione clinica; secondo, i sintomi, in particolare quelli negativi, tendono a peggiorare nel corso del tempo; terzo, l'insorgere della s. determina un arresto nello sviluppo delle capacità sociali, che, se si manifesta precocemente, causa un netto peggioramento della prognosi clinica e sociale. Alla luce di ciò è necessario migliorare le strategie per individuare il primo episodio della malattia e instaurare rapidamente un intervento farmacologico e psicosociale. L'efficacia a lungo termine dell'intervento precoce è ancora sconosciuta, ma i dati preliminari hanno fornito risultati incoraggianti. L'attenzione primaria dei ricercatori si focalizza sull'individuazione e sul trattamento dei sintomi prodromici, prima dell'esordio conclamato della malattia, per intervenire precocemente e prevenire lo sviluppo della malattia in soggetti predisposti.

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