Scienza e tecnica dello sport: le misurazioni dei tempi e delle distanze

Enciclopedia dello Sport (2003)

Scienza e tecnica dello sport: le misurazioni dei tempi e delle distanze

Claudio Gregori

L'imperfezione del giudizio sportivo

Ogni misura è affetta da errore e ogni giudizio umano è imperfetto. Lo prova la finale dei 100 stile libero ai Giochi Olimpici di Roma, disputata alle 21.10 del 27 agosto 1960 allo Stadio del Nuoto. Erano di fronte lo statunitense Lance Larson, miglior tempo in batteria e in semifinale, in corsia 4, e l'australiano John Devitt, primatista del mondo, in corsia 3. L'arrivo fu serrato. Sopra ogni corsia vegliavano tre cronometristi e, a bordo vasca, tre giudici. I tempi erano rilevati in maniera ufficiosa anche da un'apparecchiatura elettronica, collegata alla pistola dello starter. Dei sei giudici coinvolti, tre videro vincitore Devitt e tre Larson. I tempi rilevati dai cronometristi, invece, furono per Larson uno 55,0″ e due 55,1″, per Devitt tutti 55,2″. Per loro Larson aveva vinto in 55″1. Il giudice arbitro, lo svedese Hans Runstroemer, però, attribuì la vittoria a Devitt. Nel regolamento della Federazione internazionale di nuoto (FINA), al comma E dell'articolo 60 si leggeva: "Se in una gara i tempi registrati dai cronometristi non concordano con l'ordine d'arrivo stabilito dai giudici e se i tempi del nuotatore secondo classificato sono migliori, i nuotatori classificati primo e secondo saranno accreditati di un tempo ottenuto attraverso la media dei tempi registrati per i primi due posti". In base a quel comma il giudice arbitro alzò il tempo di Larson a 55″2 e diede la vittoria a Devitt. Più tardi Max Ritter, presidente della FINA, confermò l'errore. In un comunicato ufficiale ammise: "Successive indagini effettuate sulle riprese cinematografiche, pur non potendo cambiare il risultato sancito dalla FINA, confermarono l'esattezza del responso cronometrico, documentando che tra i due arrivi esisteva la differenza di un fotogramma".

Un cammino verso la precisione

Cronometro è una parola greca che significa "misura del tempo", ma per i Greci nelle gare atletiche non contava il tempo, bensì la vittoria. Era importante solo il vincitore; il nome dei piazzati non passava alla storia e nemmeno i distacchi. Le gare avevano una lunghezza che variava da città a città, perché era diversa l'unità di misura fondamentale, il piede. Così la gara principe, lo stadio, che corrispondeva a 600 piedi misurava 192,28 m a Olimpia, 184,96 m ad Atene e 177,55 m a Delfi. L'occhio del giudice, non il cronometro, decideva la gara. Per questo motivo non mancavano le contestazioni. Nel 396 a.C., per es., Eupolemo fu dichiarato vincitore della gara dello stadio a Olimpia. Uno dei tre giudici, però, vide primo Leone di Ambracia, che presentò ricorso. Non ottenne la vittoria, ma fu inflitta un'ammenda ai giudici corrotti.

Tabella 1

Dalla clessidra, impiegata al tempo dei Greci, all'orologio atomico la misurazione del tempo è passata per gradi intermedi: orologi solari, ad acqua, a sabbia, meccanici, elettronici, con precisione sempre maggiore. L'unità di tempo del Sistema Internazionale, il secondo, era definita fino al 1967 come 1/86.400 del giorno solare medio. Poi questa misura è stata sostituita da quella fornita dall'orologio al cesio: oggi il secondo è l'intervallo di tempo durante il quale avvengono 9.192.631.770 oscillazioni di un atomo di cesio (cioè le rotazioni che il nucleo e l'elettrone più esterno di quell'atomo compiono, con uguale periodo, attorno al proprio asse). In Tabella 1 si può osservare come anche in un centesimo di secondo in molti sport si percorre una distanza significativa.

Nel 1665, nella brughiera di Kensington, il fisico Isaac Newton, ventiduenne, misurò una gara di miglio con un cronometro fabbricato dall'orafo Hans Diettmer di Ginevra. Sir Archibald Glover di Nottingham, nobile 'spiantato', aveva scommesso che avrebbe corso il miglio in meno di 5 minuti. Newton rilevò che il miglio era stato coperto in 4′58″1/2.

Il 22 settembre 1796 il francese Alexis Bouvard, astronomo dell'Observatoire de la République, al Champs-de-Mars di Parigi, cronometrò al quinto e al decimo di secondo una serie di prove di corsa a piedi. Negli ippodromi si cronometrava al quinto di secondo già nel Settecento, quando ebbero vita le gare di Epsom (Derby e Oaks) e di Ascot, e le St. Leger Stakes. Furono le scommesse a promuovere l'ippica. Quando a Newmarket, nel 1622, un cavallo di Lord Salisbury batté uno del marchese di Buckingham, la posta era di 100 sterline, una cifra enorme. Con grosse puntate l'esigenza di migliorare la certezza degli arrivi e la qualità dei tempi si fece presto sentire.

Anche in atletica il primo motore fu la scommessa. Le corse sul miglio o suoi sottomultipli erano abituali all'inizio dell'Ottocento. Si partiva con un battito di mani (hand clap) o con la bandiera (drop of a flag, per i francesi start au drapeau) o per mutuo consenso (mutual consent). I cronometri, di solito, erano al secondo, poi al mezzo secondo. Quando presero piede le prove veloci, non bastò più. Infatti misurare una gara di sprint al mezzo secondo comportava che, in caso di un reale 9″6, 9″7, 9″8 o 9″9, il cronometro desse sempre 9″1/2, visto che la lancetta sarebbe scattata sui 10 netti.

Il 10 giugno 1829 nella prima sfida tra gli equipaggi delle università di Oxford e Cambridge sul Tamigi, da Hambleden Lock a Henley Bridge, controcorrente, sulla distanza di due miglia e un quarto, si impose Oxford in 14′30″. Il distacco fu talmente netto che la vittoria avvenne, secondo le cronache dell'epoca, easily. Oxford, insomma, vinse 'bene', cioè con un vantaggio tale da non ammettere contestazioni. Nonostante il sensazionale ex aequo del 24 marzo 1877, ancora oggi la Boat Race è misurata al secondo.

Furono cronometrate al secondo anche le prime gare di nuoto. Il 14 febbraio 1846, ai Robinson Baths di Sydney, W. Redman coprì 440 yards in 8′43″. Ancora nel 1908, il primo record femminile omologato dalla FINA ‒ 1′35″ della tedesca Martha Gerstrung nei 100 stile libero ‒ fu misurato al secondo.

L'atletica, dove la velocità è cinque volte più alta, fu subito più esigente, così le gare del primo dual meet tra le università di Oxford e di Cambridge, nel marzo 1864, furono misurate al quarto di secondo. Alla fine dell'Ottocento si affermarono i cronometri al quinto di secondo. Ma nelle prove lunghe, in terra e in acqua, bastava il minuto. Così, se il 31 maggio 1868 a Parigi, nel Parc de Saint-Cloud, la prima gara per velocipedi sui 1200 m fu vinta dal britannico James Moore in 3′50″, lo stesso Moore il 7 novembre 1869 s'impose nella Parigi-Rouen, di 123 km, in 10h40′. Il 2 febbraio 1870 la prima corsa su strada disputata in territorio italiano, la Firenze-Pistoia, di 33 km, venne vinta dall'americano Rynner Van Heste in 2h12′. La prima traversata della Manica, 24 agosto 1872, fu compiuta da Matthew Webb in 21h45′.

Ancora al minuto venne misurata la prima Parigi-Roubaix, il 19 aprile 1896, vinta dal tedesco Josef Fischer in 9h17′, in un'epoca in cui i velocipedi avevano già ceduto il posto alle bici.

Il cavallo di Muybridge

Nell'Ottocento la ricerca inventò nuovi mezzi per valutare la prestazione sportiva. Al cronometro, che misura il tempo reale, si aggiunse il cronografo ‒ dal greco crónos, "tempo", e grápho, "scrivo" ‒ che misura intervalli di tempo. Nel cronografo sdoppiante (in francese rattrapante) la lancetta dei secondi poteva essere fermata e riavviata senza fermare l'orologio.

Erano comparsi intanto gli orologi elettrici. Il 10 ottobre 1840 Alexander Bain depositò il primo brevetto. Subito dopo Matthias Hipp inventò il cronoscopio registratore per tempi ultracorti. Alla fine dell'Ottocento si misurava già con cronometri elettrici al centesimo di secondo. Tuttavia non erano ancora molto affidabili. Il 14 novembre 1902, per es., sul campo dell'università di Tokyo, diedero a Minoru Fujii 9,20″ sulle 100 yards (91,44 m) e 10,24″ sui 100 metri: tempi impossibili per l'epoca

Un grande aiuto venne dalla fotografia. Il 15 giugno 1878 Eadweard Muybridge a Palo Alto, in California, fotografò il trottatore Abe Edgington che tirava il sulky. Il proprietario del cavallo, Leland Stanford, magnate delle ferrovie, aveva scommesso che nella corsa c'era un momento in cui le zampe non toccavano il suolo e voleva la prova. Muybridge usò 12 camere stereoscopiche allungando fili nella pista. Il cavallo, rompendo i fili, fece scattare gli otturatori. Le 12 fotografie di quel cavallo, prese in mezzo secondo, diedero ragione a Stanford e regalarono allo sport le prime sequenze di un movimento congelato nel tempo. Su quella pista fu costruita la Stanford University, 'culla' di molti olimpionici.

Muybridge e il fisiologo francese Étienne-Jules Marey, inventore del fusil photographique, capace di fissare il volo degli uccelli, furono i primi a usare le tecniche fotografiche per catturare il moto. Il passaggio dalla ricerca alla pratica fu immediato. Nel 1886, a Hartford, nel Connecticut, nel Grand Prix Circuit Trotting Meeting, fu scattata la prima fotografia istantanea dell'arrivo di una corsa. L'occhio umano era sostituito dalla fotografia. Poco dopo, ai Campionati AAU (Amateur Athletic Union) di St. Louis del 1891, i vincitori segnarono i primi tempi automatici della storia in una gara ufficiale, con la rottura del filo di Muybridge, che azionava meccanicamente un cronografo.

I primi record e la misurazione dei tempi nelle prime Olimpiadi

La prova principale dello sprint nei paesi anglosassoni era rappresentata dalle 100 yards. Il primo grande sogno dei velocisti moderni fu di scendere sotto i 10 secondi su quella distanza. C'erano già oltre cento 10″0, quando, l'11 ottobre 1890, John Owen segnò 9″4/5 ai Campionati AAU. Quel giorno due cronometri segnarono 9″4/5, il terzo non si fermò. Anche se il regolamento imponeva tre cronometri per il record, il tempo di Owen fu egualmente omologato dalla AAU. Sulle 100 yards in acqua, il 'muro' del minuto venne abbattuto dall'australiano Freddy Lane che, nel luglio 1902 a Manchester, nuotò in 59″3/5 in vasca da 33 yards e 1/3.

Ad Atene la prima gara delle Olimpiadi moderne, una batteria dei 100 m, fu misurata da un Longines al quinto di secondo, il 25 marzo 1896 del calendario giuliano ivi vigente, il 5 aprile del calendario gregoriano altrove adottato. Vinse lo statunitense Francis Lane in 12″ e 1/5 sull'ungherese Alajos Szocoly, 12″ e 3/5.

Al quinto di secondo furono misurate ad Atene le gare di corsa, ciclismo e nuoto. In un quinto di secondo, sui 100 metri piani, si percorrevano quasi due metri: un cronometro più preciso sarebbe stato utile. Poco senso avrebbe avuto, invece, usare cronometri più raffinati, per es., nei 1200 m stile libero, nuotati nel mare mosso della baia di Zea, con partenza dalle barche, senza corsie, e arrivo segnato solo da una bandiera rossa. In ogni caso Alfréd Hajos vinse con due minuti e mezzo di vantaggio.

Nel 1904, ai Giochi di St. Louis, i limiti del cronometraggio al quinto di secondo risultarono evidenti. Nelle 50 yards stile libero l'ungherese Zoltan Halmay precedette di un piede lo statunitense Scott Leary, ma i cronometri diedero lo stesso tempo: 28″1/5. Il giudice statunitense ne approfittò per dire che aveva vinto Leary. Si dovette disputare nuovamente la gara. Halmay s'impose in 28″0 contro i 28″3/5 di Leary.

Per ridurre l'errore umano, all'inizio del secolo, in Svizzera, fu sperimentato le système du fil coupé, il sistema del filo spezzato. L'atleta, partendo, rompeva un filo che reggeva un peso: questo, cadendo, stabiliva un contatto elettrico. L'impulso era registrato da un cronografo sulla linea d'arrivo, dove un secondo filo, spezzato dall'atleta, arrestava la lancetta. Questo sistema automatico esordì con successo al concorso ginnico di Basilea nel 1912.

Ai Giochi di Londra del 1908, nei 100 e 200 metri piani venne preso solo il tempo del vincitore al quinto di secondo e i distacchi erano dati in yarde (yards), piedi (feet) e pollici (inches). A quelli di Stoccolma del 1912, si abolirono le corde rette da picchetti per delimitare le corsie, sostituite da righe di gesso, comparve la pistola elettrica e ci fu il primo cronometraggio elettrico. Allo sparo dello starter un contatto chiudeva il circuito e un elettromagnete faceva partire il cronometro, fermato poi a mano sulla linea d'arrivo: i tempi erano al decimo di secondo. Il cronometro del giudice-capo faceva scattare anche una foto istantanea. Grazie a essa, nei 1500 m lo statunitense Abel Kiviat ricevette l'argento a spese del connazionale Norman Taber, arrivato al traguardo insieme a lui in 3′56,9″. Sempre a Stoccolma, il 6 luglio, Donald Lippincott, correndo in 10,6″ nelle batterie dei 100 m, stabilì il primo record del mondo ufficiale ratificato dalla neofondata IAAF (International association of athletics federations).

Il cronometraggio al centesimo di secondo fu usato per la prima volta il 2 febbraio 1924 a Chamonix sulla pista da bob. Quella misura storica fu effettuata con il système du fil coupé nel bob a quattro. Dopo due giorni di gare e quattro discese Svizzera 1 s'impose in 5′45,54″ con oltre 3″ su Gran Bretagna 2 e addirittura 17″ su Belgio 1. L'equipaggio italiano del marchese Tornielli fu sesto con un minuto e mezzo di distacco.

Il bob fu ancora ‒ a Lake Placid nel 1932 e a Garmisch nel 1936 ‒ l'unico sport olimpico cronometrato al centesimo prima della Seconda Guerra Mondiale. Molti anni dopo, a Grenoble nel 1968, il centesimo di secondo non impedì che Eugenio Monti e Luciano De Paoli, dopo quattro discese, finissero alla pari con i tedeschi dell'Est Horst Floth e Pepi Bader: 4′41,54″. L'oro fu dato agli italiani, protagonisti della discesa più veloce. Ma dopo quell'episodio il regolamento fu cambiato, così, quando a Nagano, nel 1998, i canadesi Pierre Lueders-Dave MacEachern e gli italiani Günther Huber-Antonio Tartaglia realizzarono lo stesso tempo, 3′37,24″, furono assegnate due medaglie d'oro (e nel bob a quattro ci furono due medaglie di bronzo).

La nascita dell'AIC

Nella prima parte del Novecento il cronometro divenne centrale per gli atleti. Paavo Nurmi, miglior fondista del secolo, lo portava in allenamento e in gara. Ma ancora ai primi Europei di canottaggio sul Lago d'Orta, il 10 settembre 1893, i cronometristi non c'erano. Nemmeno i primi due Giri d'Italia d'automobilismo, nel 1901 e 1902, furono cronometrati. Agli Assoluti di atletica del 1903 i cronometristi non arrivarono e le gare furono senza tempi. I cronometristi erano appassionati volonterosi. Qualcuno divenne famoso, come Gilbert Marley, un inglese trapiantato a Milano, campione dell'era dei bicicli, soprannominato 'Castigo di Dio', primo a introdurre in Italia il cronografo al decimo. Altri potevano solo vantare il possesso del cronometro. Nel dopoguerra, però, lo sport divenne così importante, che la sua misura non poté più essere lasciata ai dilettanti.

Il 3 novembre 1921, a Milano, nacque il Sindacato italiano cronometristi ufficiali, i cui fondatori erano Gilbert Marley, Carlo Legnazzi, Leonardo Acquati, Achille Macoratti, Ferruccio Massara, Giancamillo Avezzano, Edoardo Teoli. L'associazione fu riconosciuta dal CONI nel settembre 1925. Dal 1927 si chiamò Associazione italiana cronometristi (AIC) ed ebbe per marchio una clessidra.

Riguardo all'attendibilità dei cronometri agli Europei di nuoto di Bologna, il 31 agosto 1927, il segretario della FINA Leo Donath radunò gli aspiranti cronometristi, diede il via ai loro cronometri e dopo 20 minuti comandò l'alt: i cronometri furono controllati uno a uno e quelli che marcavano uno scarto di qualche quinto di secondo furono rifiutati. Chi superò l'esame ebbe la soddisfazione di firmare il grande record del mondo di Arne Borg, 19′07″1/5 sui 1500 m.

Mancando un'organizzazione internazionale ‒ solo nel 1983 il CIO riconobbe la Federazione internazionale cronometristi ‒ non c'era uniformità. Soltanto ai Giochi di Los Angeles del 1932 gli organizzatori diedero a un'unica ditta, l'Omega, la responsabilità del cronometraggio e per la prima volta si usarono cronometri identici.

In Italia il 19 ottobre 1933 Achille Starace, presidente del CONI, stabilì che tutte le manifestazioni sportive dovessero essere presenziate da cronometristi ufficiali e ammise l'AIC tra le federazioni 'non olimpiche'. Allora un cronometrista di classe A e B ‒ i migliori, impiegati nelle gare nazionali e internazionali ‒ doveva essere in possesso di due cronografi sdoppianti, di cui uno certificato da uno dei seguenti osservatori: Neuchâtel, Physical Laboratory Teddington, Ginevra, Kew, Istituto Idrografico di Genova. Solo i cronometristi di classe A venivano impiegati nei tentativi di record.

Nuovi sistemi di rilevazione

La IAAF insisteva nell'omologare i primati al quinto di secondo, anche quando si erano diffusi i cronometri al decimo. Questo complicò le cose. Così, quando Charles Paddock, il 15 maggio 1926, a Los Angeles, segnò 9,5″ sulle 100 yards, il suo tempo fu omologato come 9″ e 3/5, il che corrispondeva ad aver eguagliato il primato del mondo; in realtà un cronometro al quinto di secondo al 9,4″ reale sarebbe scattato sul 9″ e 2/5 e la lancetta sarebbe rimasta lì fino al 9,6″ reale, attestando che Paddock aveva battuto il record del mondo.

Con il miglioramento del cronometraggio si cominciò a fare attenzione ai campi di gara. Così, ai Campionati italiani del 1°-2 settembre 1928, nel nuovissimo Stadio del Nuoto di Roma, si scoprì che la vasca non era regolamentare. Il presidente dell'Opera Nazionale Balilla, Renato Ricci, in polemica con il CONI, aveva voluto una piscina trapezoidale: i lati misuravano 50,18 e 49,95 m. I primati italiani furono omologati ugualmente.

Nel 1930 la IAAF decise di riconoscere come primati del mondo della velocità solo i tempi al decimo di secondo. Questo decretò la fine dei cronometri al quinto di secondo anche in Italia.

Il 1° agosto 1932, al Memorial Coliseum Stadium di Los Angeles, Eddie Tolan e Ralph Metcalfe giunsero insieme al traguardo della finale olimpica dei 100 m. La decisione, contrastata, fu presa dopo aver consultato un apparecchio nuovo, la Photo-electric Camera, inventata da Gustavus Thaddeus Kirby. Era chiamata anche Two eyes camera, "camera a due occhi", uno fissato sul traguardo, l'altro su un cronografo digitale; l'apparecchio aveva la possibilità di filmare 128 immagini al secondo e permetteva la lettura dei tempi fino ai centesimi. Il nuovo strumento mostrò che la parte dorsale del corpo di Tolan, più inclinato sul traguardo, era un pollice avanti a quella di Metcalfe; tuttavia a entrambi fu assegnato un tempo di 10,38″, arrotondato poi a 10,3″, record del mondo eguagliato. Oggi si considera vincitore chi 'raggiunge' per primo il traguardo con una qualsiasi parte del torso; all'epoca, invece, chi lo 'oltrepassava' per primo. L'analisi del filmato mostra che Tolan e Metcalfe raggiunsero insieme il traguardo con il petto, ma, un piede dopo, i due dorsi non erano allineati: quello di Tolan era avanti. Parecchie ore dopo la gara la vittoria fu assegnata a Tolan. Da allora, però, la regola fu cambiata e venne presa in considerazione la prima parte del torso che raggiunge il traguardo (petto o spalla).

Quel giorno la macchina si era mostrata migliore dell'uomo. Così l'uomo incominciò ad affidarsi alla macchina come a un giudice superiore. La Kirby Camera fu protagonista anche agli Europei di Torino del 1934. L'8 settembre di quell'anno i giudici dei 100 metri videro primo il tedesco Erich Borchmeyer in 10,6″. La folla, invece, aveva applaudito l'olandese Christiaan Berger, che aveva esultato certo di aver vinto. Fu analizzato il film dell'arrivo e il giorno successivo ‒ la pellicola fu inviata a Milano per lo sviluppo ‒ il risultato fu rovesciato.

Due anni dopo, il 6 agosto 1936, ai Giochi di Berlino, per decifrare l'arrivo degli 80 ostacoli, si fece ricorso a un apparecchio derivato dalla Kirby Camera, la Ziel-Zeit Kamera, che dava 50 immagini al secondo, ma leggeva un cronometro marino al millesimo. Sotto gli occhi di Hitler quattro atlete arrivarono insieme sul traguardo e due erano italiane. La Ziel-Zeit Kamera, dando il primo responso della storia olimpica al millesimo, le allineò così: 1. Ondina Valla (Italia) 11,748″; 2. Anni Steuer (Germania) 11,809″; 3. Betty Taylor (Canada) 11,811″; 4. Claudia Testoni (Italia) 11,818″. Tutte e quattro furono accreditate dello stesso tempo ufficiale: 11,7″.

La tecnologia dello sport non riguardava soltanto il cronometro. Nella scherma il problema di ridurre l'errore umano era pressante. I verdetti davano luogo a polemiche, risse, duelli. Agli Europei di Budapest del 1934 fu provato un congegno rivoluzionario nella spada: sulla stoccata la punta provocava un contatto elettrico che registrava il punto in maniera automatica. Il sistema, perfezionato ai Mondiali di Losanna del 1935, debuttò sulla scena olimpica a Berlino. Ci vollero vent'anni per introdurre il fioretto elettrico, provato ai Mondiali di Roma del 1955, e poi lanciato ai Giochi di Melbourne del 1956, e addirittura cinquanta anni per la sciabola elettrica, che fece il suo esordio nelle finali di Coppa del Mondo del 1985 a Dourden, in Francia, ma comparve sulla scena olimpica solo nel 1992 a Barcellona. Le armi elettriche rivelavano subito la precedenza della stoccata.

A poco a poco furono messe a punto le periferiche di comando a contatto elettrico: il traguardo a filo, tagliato dall'atleta sulla linea d'arrivo; il pressostato, sollecitato da una variazione di pressione prodotta dallo schiacciamento di un tubo di gomma sul traguardo; il cancelletto di partenza dello sci, in cui un'asta ruotando chiude il circuito elettrico di comando del cronometro; e, soprattutto, la cellula fotoelettrica, nella quale un fascetto di luce sostituisce il filo: l'interruzione del fascio dovuta al passaggio di un oggetto ‒ sciatore, atleta, cavallo, vettura ‒ provoca un impulso elettrico recepito dal cronometro. Già nel 1929 le prime fotocellule comparvero negli ippodromi del Nord America. Nel 1934 furono introdotte le cellule a raggi infrarossi, non sensibili all'influenza della luce esterna. In Italia, nel 1935, l'AIC pubblicò un manuale intitolato Il cronografo Leroy-Brillié e gli interruttori a cellula fotoelettrica. Quel cronografo fu adottato nell'automobilismo, spesso collegato al cronometro Nardin da marina: a ogni passaggio di una vettura tra gli interruttori della fotocellula del traguardo, la stampante registrava su carta i tempi al centesimo. Il 15 febbraio 1935 cronometrò i record di Hans von Stuck sull'autostrada Firenze-Mare: 308,483 km/h sul chilometro (primato nazionale) e 326,975 km/h sul miglio (primato mondiale). Il 15 giugno misurò anche i record di Tazio Nuvolari: 321,428 e 323,325 km/h.

Il 12 maggio 1935, nel GP di Tunisi sul circuito della Mellaha, vinto da Rudolf Caracciola, un grande tabellone elettronico indicò nomi e tempi dei primi cinque. Le alte velocità dell'automobilismo ‒ Caracciola nel 1938, sull'autostrada Francoforte-Heidelberg, raggiunse i 423,3 km/h ‒ pretendevano misure precise. Così il 12 ottobre 1936, la vittoria di Nuvolari nella Coppa Vanderbilt a Long Island fu cronometrata al centesimo: 4h32′44″04.

La IAAF, al congresso di Berlino del 1936 affrontò il problema del vento e stabilì che nelle corse veloci e nei salti per l'omologazione del record la velocità-limite fosse di +2 m/s. Così ai Giochi del 1936, nei quarti di finale dei 100 m, Jesse Owens segnò 10″2: sarebbe stato record del mondo uguagliato, ma non fu omologato per la presenza di un vento di +2,3 m/s. Nel 1970 la IAAF prese la singolare decisione di considerare per pentathlon e decathlon una velocità-limite del vento di +4 m/s, doppia di quella delle gare individuali. Il vento ha spesso fatto discutere. Al Sestriere, il 29 luglio 1995, il cubano Ivàn Pedroso saltò 8,96 m in lungo. Sarebbe stato il record del mondo. L'anemometro registrò un vento di +1,2 m/s. Solo per caso una telecamera mostrò una persona piazzata davanti all'apparecchio, che impediva la misura corretta del vento.

Il 2 settembre 1938 il cronometraggio elettrico al centesimo fu introdotto all'Idroscalo di Milano agli Europei di canottaggio. Due finali furono decise per un centesimo: il 4 con tedesco bruciò l'armo azzurro di Fioretti, Del Neri, Achini, Isella, timoniere Bardelli, 7′01,21″ contro 7′01,22″, mentre il 2 con italiano di Bergamo, Santin, timoniere Bettini, batté la barca tedesca, 8′14,57″ contro 8′14,58″.

In piena guerra le fotocellule furono usate ai Mondiali di sci di Cortina. Il 2 febbraio 1941 cronometrarono la discesa libera vinta da Josef Jennewein, 4′03,97″, e rivelarono le qualità del giovane Zeno Colò: scese da apripista e segnò il secondo tempo assoluto, 4′08,36″. Furono al decimo, invece, le vittorie di Celina Seghi e Vittorio Chierroni nella discesa obbligata, come si chiamava allora lo slalom. A Cortina anche il fondo fu cronometrato al centesimo. Nella 4x10 km gli azzurri furono terzi, con 2h33′50,21″. Quindici anni dopo, alle Olimpiadi Invernali del 1956, sempre a Cortina, i tempi del fondo furono invece cronometrati al secondo.

La prima vittoria italiana ai Giochi Invernali fu al decimo di secondo, il 5 febbraio 1948, quando Nino Bibbia, dopo sei prove, vinse lo skeleton a St. Moritz con il tempo ufficiale di 323″2. Anche Colò, il 16 febbraio 1952, quando trionfò in discesa ai Giochi di Oslo, fu cronometrato al decimo in 2′30,8″. Lo stesso toccò a Toni Sailer nei Giochi del 1956.

Photofinish e blocchi di partenza

L'ippica era all'avanguardia nella tecnologia sportiva. Già nel 1913 a Ellerslie, Auckland, in Nuova Zelanda, era stato inaugurato il primo totalizzatore automatico, completamente meccanico, ideato da George Alfred Julius. Nel 1931 all'ippodromo Hawthorne di Chicago funzionavano cronometraggio e totalizzatore elettrici. Nel 1932 operava già il primo photofinish. Nel 1940 le gabbie, introdotte già alla fine degli anni Venti, ebbero l'apertura elettrica simultanea.

Per una misura corretta la fotocellula non bastava: controllava solo un punto e un concorrente, e poteva cogliere il braccio dell'atleta, invece del petto. Era necessario dunque un apparecchio in grado di riprendere tutti i punti di un corpo o più concorrenti in parallelo. Inventato da Lorenzo Del Riccio, ingegnere ottico del laboratorio di ricerche della Paramount Pictures, a Hollywood, il photofinish produceva una serie continua di fotografie del passaggio in un punto fisso, il traguardo, e permetteva di decifrare l'ordine d'arrivo dei concorrenti. Divenne uno strumento fondamentale per lo sport.

Il primo photofinish usato ufficialmente ai Giochi Olimpici, il Racend Omega Timer, fu impiegato a Londra nel 1948 nel ciclismo, sulla pista di Herne Hill e a Windsor Great Park. In atletica, invece, servì solo come supporto dei giudici, però diede la vittoria a Harrison Dillard su Barney Ewell nei 100 m.

Fu ancora il photofinish a delineare l'arrivo della finale dei 100 m alle Olimpiadi di Helsinki del 1952: quattro uomini si proiettarono insieme sul traguardo nel più serrato arrivo della storia. Lindy Remigino, oriundo piemontese, appena arrivato disse: "Sono sicuro di essere stato battuto da McKenley". Ma il photofinish mostrò chiaramente che la sua spalla destra aveva raggiunto il traguardo un pollice prima del petto di Herb McKenley.

I blocchi di partenza fecero la loro prima comparsa ai Giochi a Londra 1948. Già nel 1927 gli americani George T. Breshnahan e William W. Tuttle li avevano messi a punto per le gare veloci. Secondo i due ricercatori i blocchi di partenza davano un vantaggio di 34 millesimi di secondo. L'8 giugno 1929 i blocchi furono usati a Chicago ai campionati universitari. George Simpson corse le 100 yards in 9,4″, ma il tempo non fu omologato dalla IAAF, che ammise i blocchi nel 1937 e li rese obbligatori a Mosca 1980. Così Owens vinse 100, 200 e 4x100 olimpici partendo da buchette che si era scavato nella pista.

Gli starting blocks non risolsero il problema delle partenze simultanee. Già negli anni Venti gli starter tedeschi erano diventati celebri per la partenza fertig-bum, la partenza volante: azionavano la pistola (bum!) subito dopo il segnale "pronti!" (fertig!). Armin Hary sembrava figlio di quella scuola. In realtà aveva riflessi pronti e un'accelerazione straordinaria. Un buon velocista reagisce in 15/100 di secondo allo sparo. Hary era più rapido. La sua partenza divenne nota come Blitz-Start, partenza-fulmine, un'ossessione per gli starter. Fu Hary, primo atleta a correre i 100 in 10″0, medaglia d'oro ai Giochi di Roma, a stimolare la ricerca sui tempi di reazione.

A Città del Messico '68, dietro a ciascun atleta venne posto un altoparlante, per avere segnali di partenza simultanei: il suono nell'aria si propaga a 340 m/s, quindi due atleti distanti 10 metri possono percepire lo stesso segnale con 3/100 di ritardo (nei 200, nei 400, in staffetta le distanze sono molto maggiori). Quattro anni dopo, a Monaco '72, i tecnici della Junghans piazzarono nei blocchi dei sensori a pressione per misurare i tempi di reazione allo sparo: al di sotto dei 100 millesimi di secondo era falsa partenza.

A Montreal '76 i sensori mostrarono che Guy Drut aveva vinto i 110 ostacoli grazie al miglior tempo di reazione: 0,135″ contro 0,223″ del cubano Alejandro Casañas (tempi finali: 13,300″ e 13,330″). Per lo stesso motivo, invece, Carl Lewis il 14 giugno 1991 mancò il record del mondo, bruciato da Leroy Burrell: 9,91″ contro 9,90″, primato mondiale, con tempi di reazione di 0″166 contro 0,117″.

All'inizio del Novecento non c'era limite alle false partenze. Il vincitore dei 100 m di Stoccolma 1912, Ralph Craig, ne subì 16 negli ultimi due turni, 9 in semifinale e 7 in finale: Craig stesso ne causò tre in finale. Una cosa impensabile nell'era della TV, in cui non ci devono essere tempi morti nella programmazione. Così dal 2003 la IAAF consente una sola falsa partenza: poi scatta la squalifica.

Vittorie al centesimo e al millesimo di secondo

Nel 1950, quando nacque il Campionato del Mondo di Formula 1, si usavano cronometri al decimo di secondo. Nella prima prova, a Silverstone, in Inghilterra, il 13 maggio, Giuseppe Farina, su Alfa Romeo, conquistò la pole position in 1′50,8″, poi vinse la gara alla presenza di re Giorgio VI.

La prima gara del Campionato del Mondo di motociclismo, il Tourist Trophy, si era già svolta all'isola di Man il 17 giugno 1949: nella classe 250 aveva vinto la Guzzi dell'irlandese Manliff Barrington in 3 ore 23′13,2″.

Nel mondo dei motori, caratterizzato da alte velocità, i progressi furono rapidi. Già nel GP d'Austria, 23 agosto 1964, vinto da Dan Gurney, si cronometrò al centesimo. A Watkins Glen, 3 ottobre 1971, fu introdotto il millesimo. Nella stagione 1982, per la prima volta, tutti i Gran Premi di F1 furono al millesimo. Il Motomondiale seguì a breve distanza: il centesimo fu introdotto nel 1974, poi, nel 1990, si passò al millesimo di secondo. Il millesimo, però, non risolse ogni problema. Il 25 ottobre 1997, nel GP d'Europa a Jerez de la Frontera, tre piloti ‒ Jacques Villeneuve, Michael Schumacher e Heinz-Harald Frentzen ‒ segnarono lo stesso tempo, 1′21,072″ nelle prove di qualificazione. Villeneuve ebbe la pole position, avendo ottenuto per primo quel tempo, Frentzen, che lo aveva realizzato per ultimo, partì in seconda fila.

Il primo oro individuale al centesimo della storia dei Giochi Olimpici fu conquistato nel ciclismo da Sante Gaiardoni il 26 agosto 1960, quando vinse il chilometro da fermo in 1′07,27″, primato del mondo. Al Velodromo Olimpico all'Eur e al Lago di Albano, campo di gara di canoa e canottaggio, furono installate fotocellule collegate a un apparecchio scrivente al centesimo.

In atletica e ciclismo, ai Giochi di Roma, il photofinish, collegato alla pistola dello starter, impressionava cento fotogrammi al secondo. Non ci furono dubbi nel decifrare l'arrivo dei 400 m, quando lo statunitense Otis Davis e il tedesco Karl Kaufmann tagliarono insieme il filo di lana: il photofinish mostrò che i due erano divisi da un centesimo di secondo, 45,07″ contro 45,08″, anche se ebbero lo stesso tempo ufficiale, 44,9″, record del mondo.

Ai Giochi di Innsbruck del 1964 anche lo sci alpino ebbe tempi ufficiali al centesimo. Il cronometraggio automatico, però, si mostrò subito insufficiente: nel gigante non riuscì a separare Christine Goitschel e Jean Marlene Saubert, 1′53,11″, medaglie d'argento dietro Marielle Goitschel. Alle Olimpiadi il decimo di secondo nel fondo fu introdotto nell'edizione di Lake Placid del 1960. Fondo e pattinaggio di velocità furono misurati al centesimo solo a Sapporo nel 1972. Il ritardo fu grave per il pattinaggio, inflazionato dagli ex aequo. A St. Moritz, nel 1928, cinque pattinatori erano saliti sul podio dei 500 m. Per quattro volte si erano avuti tre atleti a pari merito sul podio. Un solo pattinatore, il sovietico Yevgeni Grishin, aveva collezionato tre medaglie olimpiche ex aequo.

Il progresso non fu immune da errori. A Tokyo 1964 nelle corse veloci i tempi elettrici vennero abbassati di 5/100 e arrotondati al decimo. Così il 15 ottobre 1964 Bob Hayes vinse i 100 m in 10,06″, che fu letto 10,01″ e arrotondato a 10,0″, record del mondo uguagliato. Ma i cronometri manuali segnarono 9,8″, 9,9″ e 9,9″.

Il 20 giugno 1968 a Sacramento Jim Hines vinse la prima semifinale dei Campionati AAU su Ronnie Ray Smith. Charles Green s'impose nell'altra semifinale. Tutti e tre ebbero 9,9″. Ma i tempi elettrici furono 10,03″ e 10,14″ per Hines e Smith, e 10,10″ per Green. I tempi manuali non erano più credibili. Grazie a essi Smith, che non lo meritava, divenne primatista del mondo. Il primo storico 'meno dieci' sui 100 m fece molto discutere. La IAAF, poche settimane dopo, valutò il vantaggio del cronometraggio manuale su quello elettrico in 24/100. Come dire che a Bob Hayes fu negato il primo 'meno dieci' della storia e che Jim Hines aveva corso in 9,8″ a Sacramento.

Nel nuoto il photofinish non serve poiché la mano tocca il bordo della piscina sott'acqua, dove la visione è artefatta. Furono quindi realizzate piastre sensibili al tocco della mano e non al moto ondoso, che non potevano avere uno spessore superiore a 1 cm, per non superare il limite di tolleranza della vasca (3 cm). Le piastre di contatto, già presenti a Tokyo 1964 e agli Europei di Utrecht 1966, furono usate ufficialmente ai Panamericani di Winnipeg: lì, il 27 luglio 1967, Ken Walsh, nuotando i 100 m stile libero in 52,58″, stabilì il primo record del mondo al centesimo. Le piastre di contatto trasformarono il nuotatore in cronometrista. Era la mano dell'atleta a fermare il tempo.

Le piastre erano salite agli onori della cronaca già ai Giochi di Tokyo 1964. Nei 100 m stile libero il tedesco Hans-Joachim Klein e lo statunitense Gary Ilman toccarono contemporaneamente, in 54,0″, dietro a Schollander e McGregor. Per assegnare il bronzo si consultò l'impianto automatico. I due avevano lo stesso tempo anche al centesimo di secondo, ma Klein era di un millesimo più veloce. Dopo 35 minuti di discussione i giudici decisero che bastava, anche se il cronometraggio elettronico non era ufficiale, e diedero il bronzo a Klein. Un millesimo di secondo, però, equivaleva a meno di 2 mm e la tolleranza nella misura della vasca, da percorrere due volte, era di 3 cm.

Ai Giochi Olimpici, fino al 1972, nelle corse veloci e in vasca, i tempi ufficiali continuarono a essere arrotondati al decimo, nonostante la presenza di sistemi elettronici affidabili. Nell'atletica, però, si registrarono ancora primati manuali fino al 1° maggio 1977: da quel momento ebbero valore solo i record elettrici al centesimo. Ai Giochi Olimpici il cronometraggio al centesimo di secondo integrale incominciò a Monaco 1972. Fu usato nella prima edizione dei Mondiali di nuoto a Belgrado 1973, così, il 9 settembre 1973, firmò il record del mondo di Novella Calligaris sugli 800 stile libero: 8′52,97″. Nel 1974 si cronometrava già al centesimo nei Campionati italiani di atletica a Roma e di nuoto a Firenze.

Già a Monaco nel 1972 il centesimo si mostrò insufficiente. Nei 400 m misti, al termine di una grande battaglia, lo svedese Gunnar Larsson e lo statunitense Tim McKee toccarono con lo stesso tempo: 4′31,98″. Tra i due c'erano due millesimi di differenza, 4′31,981″ per Larsson contro 4′31,983″ per McKee. Come a Tokyo i giudici decisero che quella differenza bastava e assegnarono l'oro a Larsson. Fu una scelta sbagliata: due millesimi di secondo equivalgono a meno di 4 mm. Con otto vasche da percorrere basta una differenza della lunghezza delle corsie di 0,5 mm a produrre quello scarto. Considerare il millesimo in una vasca che ha una tolleranza di 3 cm su 50 m ‒ quindi di 240 mm su 400 m, 60 volte il distacco di McKee ‒ era assurdo. Così la FINA decise che dal 1° gennaio 1977, in caso di tempi uguali al centesimo, si assegnasse l'ex aequo.

Questa circostanza si verificò nella finale dei 100 m stile libero femminile ai Giochi di Los Angeles 1984: Nancy Hogshead e Carrie Steinseifer ottennero 55,92″ e per la prima volta nel nuoto furono assegnate due medaglie d'oro. Non si trattò di un episodio unico. A Seul 1988 furono assegnate due medaglie di bronzo a Katrin Meissner e Jill Sterkel nei 50 stile libero femminili. Ai Giochi di Sydney 2000 gli ex aequo furono due: l'oro dei 50 stile libero fu spartito tra Anthony Ervin e Gary Hall jr, 21,98″, e il bronzo dei 100 stile libero fu diviso tra Dara Torres e Jenny Thompson, 54,43″.

Ai Giochi di Monaco del 1972 la Zeiss introdusse la misura elettronica delle distanze nei salti e nei lanci. Il nuovo sistema, che sfruttava un tacheometro elettronico per la triangolazione e un computer portatile che calcolava la misura applicando una formula trigonometrica, fu subito al centro di un caso nel lancio del giavellotto. Il tedesco Klaus Wolfermann, al quinto lancio di finale, raggiunse 90,48 m e balzò in testa. Al sesto e ultimo lancio del primatista del mondo, il lettone Janis Lusis, fu attribuita la misura di 90,46 m, due centimetri in meno, il minimo scarto possibile: la polemica s'infiammò. La rotella metrica, dopo Monaco, non finì in museo. Pur sostituita dal laser, dai raggi infrarossi, dal computer, ogni tanto si rivelò ancora necessaria. Nel salto con gli sci, ai Giochi di Nagano del 1998, per es., quando Masahiko Harada, dopo un volo magnifico, atterrò a 136 m, fuori dell'area di misura elettronica, fu necessario misurare manualmente.

Ai Giochi del 1976 il sistema di cronometraggio ed elaborazione dati era ormai così sofisticato che i tempi di passaggio, parziali e finali comparivano all'istante sugli schermi televisivi. I tabelloni elettronici luminosi, controllati dal computer, illustravano i campi di gara. L'elettronica migliorò in modo incredibile la visibilità delle misure e dei giudizi. Il telespettatore misurava in diretta la prestazione. Il suo quadrante era il video: diventava cronometrista e giudice.

I tempi erano maturi per l'introduzione del millesimo di secondo. Quando lo slittino venne ammesso ai Giochi, nel 1964, fu cronometrato al centesimo. La qualità della misura era alta, ma non impedì che a Sapporo 1972, nel doppio, si registrasse l'ex aequo tra gli italiani Hildgartner-Plaikner e i tedeschi dell'Est Hoernlein-Bredow, entrambi vincitori con 1′28,35″. Perciò nell'Olimpiade successiva, a Innsbruck, il cronometraggio passò al millesimo. Così, ai Giochi di Nagano del 1998, Silke Kraushaar ha potuto vincere l'oro per due millesimi di secondo.

La corsa verso il 'sempre più preciso' subì una brusca inversione nel fondo, dopo che nella 15 km dei Giochi Olimpici di Lake Placid 1980 il finlandese Juha Mieto fu battuto dallo svedese Thomas Wassberg per un solo centesimo: 41′57,63″ contro 41′57,64″. Quella sconfitta indusse i dirigenti a un clamoroso passo indietro: il ritorno al decimo di secondo, che produsse subito, ai Campionati del Mondo di Oslo del 1982, un clamoroso doppio ex aequo nella staffetta 4x10 km (dopo quasi due ore di gara). Il sovietico Alexander Zavjalov arrivò insieme al norvegese Oddvar Braa, mentre, anche per il terzo posto, Juha Mieto e il tedesco dell'Est Frank Schroeder giunsero appaiati. Allora fu introdotto il photofinish, che nella combinata fu decisivo nel dare l'oro a Bjørn Daehlie su Vladimir Smirnov ai Mondiali di Falun del 1993 (1h01′45,0″) e a Elena Vjalbe su Stefania Belmondo (39′13,5″) a quelli di Trondheim del 1997.

Nel 1988 a Seul anche nel ciclismo furono introdotti i blocchi di partenza per l'inseguimento e il chilometro da fermo. Costruiti da Gastone Capacci, erano stati presentati ai Mondiali juniores di Bergamo nel 1987, e provati a quelli di Odense nel 1988. Tenevano verticale la ruota posteriore con morsetti che, collegati alla pistola, liberavano la bici allo sparo.

Il cronometraggio al millesimo di secondo nel ciclismo fu allargato alla velocità e all'inseguimento a Barcellona 1992, fu adottato dalla canoa a Lake Lanier 1996 e dallo short track a Nagano 1998. Al Giro d'Italia è comparso nella crono di Marostica il 6 giugno 1996, quando Berzin precedette Olano di 1,137″ e Tonkov salvò la maglia rosa per 54 centesimi.

I blocchi di partenza della canoa, che fecero l'esordio olimpico a Barcellona 1992, erano anfibi: tenevano perfettamente allineate le prue e, comandati da un impulso elettrico, scomparivano sott'acqua al colpo di pistola. Quel sistema automatico, che sostituiva quello tradizionale, un po' romantico, dei ragazzi sdraiati sui pontoni a tenere le punte delle barche, era stato introdotto ai Mondiali di Vaires-sur-Marne nel 1991. I blocchi furono subito adottati anche nel canottaggio ai Mondiali di Praga del 1993 e poi a Lake Lanier ai Giochi del 1996. Garantendo partenze simultanee, resero possibile nella disciplina l'introduzione delle gare-sprint. Nella storia della disciplina c'erano stati spesso arrivi serrati: il 3 agosto 1975, per es., Oreste Perri aveva vinto il titolo mondiale nel K1 1000 metri alla pari col polacco Grzegorz Sledziewski in 3′43,55″. Con le gare sui 200 m ci volle il cronometraggio al millesimo.

Tabella 2

L'uso del transponder

Già nel 1976, sulla pista di Fiorano, sulle Ferrari venne messo un piccolo trasmettitore di onde radio a bassa frequenza (transponder): il suo segnale, captato da un apparecchio ricevente sul traguardo, consentiva di registrare il tempo al giro. Nel 1978 questa tecnologia debuttò nel GP di Long Beach e da allora si è affermata ed evoluta. Il sistema principale di rilevamento dei tempi è costituito da antenne interrate nel circuito in cinque punti, tra cui la linea di partenza e d'arrivo, un punto dove si registra la velocità massima e lungo la pit lane, che delimita lo spazio riservato a ogni scuderia. I transponders sulle auto sono impostati su frequenze diverse. Le antenne captano il segnale, identificando il veicolo e ne memorizzano il tempo. Lungo il percorso quattro speed traps, coppie di rilevatori ‒ in pratica due antenne distanziate di 30 m ‒ misurano la velocità. Una videocamera ad alta definizione sul traguardo riprende i passaggi con una frequenza di cento fotogrammi al secondo e a ogni fotogramma è associato il tempo. Nella zona del via, sotto il manto stradale, un sistema di sensori segnala il minimo spostamento delle vetture e rivela le false partenze: una novità introdotta nel GP di Spagna del 1995. Altri sensori sulla pit lane misurano il tempo impiegato dai meccanici durante le soste ai box e valutano eventuali penalità dei piloti, mentre antenne all'ingresso e all'uscita della pit lane misurano la velocità (il limite è 120 km/h) consentendo ai giudici di intervenire: un sistema complesso ‒ 38 km di cavi ‒ che necessita di tre Boeing 747 per il trasporto.

I transponders, provati nelle maratone di Rotterdam e Berlino del 1994, hanno risolto il problema costituito dai passaggi e degli arrivi nelle corse di massa. Nel 1996 hanno fatto il loro esordio olimpico ad Atlanta. Ai lacci delle scarpe di ciascun concorrente era attaccato un chip, piccolo disco di plastica contenente un trasmettitore con il codice di identificazione dell'atleta. Il transponder restava passivo finché non entrava nel campo magnetico di due antenne, che generando una corrente elettrica lo attivavano, così che poteva inviare il codice alle antenne. I vari codici con i tempi venivano immagazzinati nel computer ed elaborati. Con questo sistema, alla maratona di Boston del centenario, nel 1996, sono stati presi i tempi di 36.000 atleti. Nel 2000 i transponders sono entrati anche al Giro d'Italia. Sono inoltre usati nel triathlon, fondo, biathlon, marcia, perfino nelle corse di cani e cammelli.

Nel 2002 nelle gare di fondo a Salt Lake City, grazie ai transponders, i tempi apparivano in TV un decimo di secondo dopo il passaggio nei punti di controllo. Diverso il sistema usato nello sci alpino. Nell'istante in cui il concorrente tocca la barra collegata al cancello di partenza, un segnale elettrico viene inviato al sistema di cronometraggio, che inizia a funzionare e a mostrare il tempo progressivo sui tabelloni. I tempi intermedi e finali, oltre alle velocità, sono dati da coppie di fotocellule. Sulla linea d'arrivo una videocamera ad alta velocità prende 2000 fotogrammi al secondo a colori. Lo sci è abituato ad arrivi serrati. In supergigante Hermann Maier ha diviso la vittoria con Lasse Kjus ai mondiali di Vail 1999 (1′14,53″) e il secondo posto con Body Miller a quelli di St. Moritz 2003. Del resto, già nella prima stagione di Coppa del Mondo, nel 1967, nella discesa del Sestriere, Giustina Demetz e Marielle Goitschel furono classificate insieme al primo posto in 2′01,75″. Fu la prima di una serie di dieci vittorie ex aequo: questa sorte nel 1997 toccò a Isolde Kostner, nella discesa di Cortina, e a Lara Magoni, nello slalom di Vail. Il 26 ottobre 2002 sul ghiacciaio di Rettenbach, sopra Soelden, nel primo gigante di Coppa tre sciatrici si divisero la vittoria: la norvegese Andrine Flemmen, l'austriaca Nicole Hosp, la slovena Tina Maze segnarono tutte 1′49,91″. Tre concorrenti sullo stesso gradino del podio si erano già visti nel pattinaggio e anche nel nuoto: agli Europei in vasca corta del 2000, Fioravanti, Malek e Warnecke vinsero a pari merito i 50 rana. Ma nello sci è stata una prima storica.

Punteggi e misure fantasma

Tecnologie raffinate riducono la possibilità d'errore, ma non la eliminano. La storia dello sport è ricca di punteggi e misure 'fantasma'.

Il 4 febbraio 1924, a Chamonix, Anders Haugen era finito quarto nella combinata nordica con 17.916 punti contro 18.000 del terzo, il grande Thorleif Haug. Molti anni dopo il secondo di quella gara, Thoralf Stromstad, ebbe tra le mani il libro dei risultati ufficiali e si accorse di uno strafalcione aritmetico: scoprì che Haug aveva totalizzato solo 17.821 punti. Così il 12 settembre 1974 a Holmenkollen la figlia di Haug, erede delle medaglie del padre, consegnò a Haugen, 85 anni, il bronzo che meritava.

Anche quando Fausto Coppi batté il primato dell'ora al Vigorelli, il 7 novembre 1942, la misura, 45,871 km, era sbagliata: sei anni dopo, la distanza fu corretta in 45,798 km.

La vittoria del lettone Dainis Kula nel giavellotto ai Giochi di Mosca 1980 fu figlia di un errore diverso. Nel terzo lancio di qualificazione (88,76 m) l'attrezzo toccò terra con la coda: il lancio era nullo. Avendo già registrato due nulli, Kula doveva essere messo fuori gara. Invece venne graziato. Poi, in finale, trovò il lancio vincente (91,20).

L'errore compiuto all'Olimpico di Roma il 5 settembre 1987 fu invece premeditato. Nella finale del salto in lungo dei Mondiali, Giovanni Evangelisti, al sesto e ultimo tentativo, fu gratificato di un 8,38 m, che gli diede il bronzo. In realtà aveva saltato mezzo metro in meno, ma il giudice Tommaso Ajello, mentre pubblico e atleti erano distratti da una cerimonia di premiazione, aveva piantato il prisma ottico su quella distanza e lo aveva inquadrato con l'apparecchio per favorire l'atleta di casa.

Il photofinish si è rivelato utile per stabilire il vincitore in alcuni casi controversi. Il 16 agosto 1993, nella finale dei 100 ai Mondiali di Stoccarda, la giamaicana Merlene Ottey aveva segnato 10,82″ come Gail Devers, ma era stata battuta al photofinish. Il 27 luglio 1996 la finale di Atlanta le offrì l'occasione della rivincita, invece la Ottey ottenne di nuovo lo stesso tempo di Gail Devers, 10,94″ ‒ perfino il tempo di reazione, 0,166″, fu uguale ‒ e l'identico, crudele verdetto: sconfitta al photofinish. Nemmeno il photofinish, però, può risolvere tutti i casi. Il 9 agosto 2001, ai Mondiali di Edmonton, nella finale dei 200 m, non riuscì a separare Shawn Crawford e Kim Collins, cronometrati in 20″198, 20″20 ufficiale, terzi a pari merito. Ancora più clamoroso fu l'ex aequo che si registrò ai Giochi Olimpici di Salt Lake City, il 14 febbraio 2002, su una distanza cento volte più grande: un photofinish da 2000 fotogrammi al secondo non poté separare Frode Estil e Thomas Alsgaard, 49′48,9″, nella volata per l'argento della combinata.

Nel dicembre 2002 la Federazione francese ha cancellato sei record di Francia ottenuti nelle vasche di Rouen, Wattrelos, Amiens, Lione. Quando furono costruite erano regolari. L'inserimento delle placche elettroniche aveva però fatto sì che le vasche risultassero troppo corte.

Lo sport moderno pretende onestà e precisione non solo nella misura finale. Il record di Tim Montgomery nei 100 m, 9,78″ del 14 settembre 2002, fu ottenuto con un tempo di reazione di 0,104″ e un vento di +2,00 m/s, due dati al limite, decisivi per il record.

I vantaggi della tecnologia

Anche se la perfezione non appartiene all'uomo, la tecnologia computerizzata ha portato nelle misure precisione, equità, rapidità, sicurezza, visibilità, universalità.

Il moderno photofinish può stabilire ordini d'arrivo istantanei con una precisione di un decimillesimo di secondo. I sistemi elettronici di misura della distanza sbagliano di 1 mm su 100 m.

Anche la possibilità di errore grossolano si è obiettivamente ridotta grazie al photofinish. Le gare importanti sono filmate. Nel 2002 l'NBA ha introdotto la prova TV al fine di stabilire se il tiro è partito prima del tempo zero.

La misura dei lanci, con la rotella metrica, richiedeva tempo, oggi è istantanea. Nelle gare di massa, grazie ai transponders, la classifica è immediata. I computer hanno tempi di elaborazione minimi. La rapidità è così importante che in atletica viene immediatamente mostrato il tempo rilevato da due cellule fotoelettriche, mentre si analizza febbrilmente il photofinish: il risultato ufficiale viene comunicato entro 45 secondi.

Per motivi di sicurezza gli ufficiali di gara non entrano più in pista. Nel GP di Germania del 1926 la Mercedes di Adolf Rosenberger uccise tre cronometristi. Troppi lanci hanno prodotto vittime, dopo il mitico disco di Apollo, deviato dal Vento dell'Ovest, che uccise Giacinto. Ormai il controllo è centralizzato ed esterno alla competizione.

Le gare sono immediatamente leggibili grazie a tabelloni elettronici e display. In atletica, dai Mondiali di Stoccarda del 1993 vengono dati perfino i tempi di reazione nelle gare veloci. Le tenute da gara diventano più trasparenti: nel 1999 nella scherma è stata adottato la maschera visibile che consente di vedere gli occhi dello schermidore.

Anche la televisione e il Web sono tabelloni elettronici. A partire dagli anni Novanta, grazie a Internet, le misure del tempo sono entrate in un sistema globale computerizzato di informazione. Lo stadio si è allargato al mondo intero: con un clic del mouse si può conoscere tutto da ogni angolo della Terra.

In questo contesto l'essere umano, apparentemente messo ai margini dalla tecnologia, è sempre l'elemento decisivo. Un photofinish male allineato può dare differenze di alcuni millesimi di secondo, come accadde al primato del mondo dei 1500 m di Noureddine Morceli a Rieti nel 1992; da questo, in caso di black-out, tocca dunque all'uomo intervenire. È l'uomo che costruisce la tecnologia ed è lui a stabilirne le regole del gioco.

riferimenti bibliografici

A. Anghileri, Alla ricerca del nuoto perduto, Milano, SEP, 2003.

The ATFS Golden Jubilee book. Celebrating the 50 year history of the Association of Track & Field Statisticians 1950-2000, ed. R. Quercetani, B. Phillips, Londra, ATFS, 2000.

G. Bonacina, I più veloci, Milano, Longanesi, 1977.

C. Dionisio, L'attimo fuggente. I 75 anni della Federazione Italiana Cronometristi 1921-1996, Bari, Adda, 1996.

E. Kamper, B. Mallon, Il libro d'oro delle Olimpiadi, Milano, Vallardi, 1992.

M. Martini, Storia dell'atletica italiana, Roma, FIDAL (Federazione italiana di atletica leggera), 1995.

R. Quercetani, Atletica. Storia dell'atletica moderna dalle origini ad oggi (1860-1990), Milano, Vallardi, 1990.

K.A. Scherer, 100 Jahre Olympische Spiele, Harenberg, Dortmund, 1995.

D. Wallechinsky, The complete book of summer Olympics, Sydney 2000 Edition, Woodstock (NY), The Overlook Press, 2000.

CATEGORIE
TAG

Opera nazionale balilla

Seconda guerra mondiale

Sistema internazionale

Università di oxford

Étienne-jules marey