Scienza greco-romana. La storiografia delle scienze e la tradizione dossografica

Storia della Scienza (2001)

Scienza greco-romana. La storiografia delle scienze e la tradizione dossografica

Philip van der Eijk

La storiografia delle scienze e la tradizione dossografica

Gli atteggiamenti degli scienziati antichi nei confronti del passato della loro disciplina

Una caratteristica importante della scienza antica è la sua costante consapevolezza della tradizione su cui si basa; una caratteristica che, in verità, è stata a volte considerata come uno dei suoi maggiori punti deboli, poiché avrebbe portato gli scienziati a guardare all'indietro piuttosto che in avanti, ostacolando in tal modo il progresso scientifico. Spesso si è pensato infatti che l'eredità del passato, i vincoli che derivano dalla tradizione e dall'autorità, la crescente 'testualizzazione' della scienza nella Tarda Antichità, abbiano ostacolato l'indagine empirica e ridotto il dibattito scientifico a una disputa apparentemente del tutto astratta e sterile, in cui la discussione sulla corretta interpretazione delle opere dei maestri del passato era considerata più importante dell'indagine scientifica sul campo e dell'applicazione pratica.

A un simile giudizio, che pure ha in sé qualcosa di vero, si può obiettare che riflette una concezione anacronistica e piuttosto semplicistica delle condizioni e delle modalità della scienza e dello scambio intellettuale nell'Antichità. Tale giudizio però offre anche un'immagine semplificata, o peggio fuorviante, del modo in cui gli scienziati antichi concepivano la storia passata della propria disciplina, e trascura il fatto che essi ne avevano visioni differenti. Il peso esercitato dall'autorità e dalla tradizione infatti era diverso nelle varie aree della scienza; inoltre è importante notare che anche in quei casi in cui la tradizione di fatto prevalse sull'innovazione, si trattava pur sempre di una particolare 'versione' della tradizione, basata su una particolare interpretazione del passato, inevitabilmente selettiva e forse anche distorta, che poteva esser stata determinata da necessità e strategie del presente.

Così è stato evidenziato come l'uso altamente selettivo e discriminante delle concezioni e delle sentenze dei palaioí (gli autori antichi) da parte di uno scrittore di testi medici come Galeno, fosse finalizzato a condurre alcune nascoste battaglie contro i suoi contemporanei. E si può dimostrare che, in modo all'apparenza molto meno retorico e persuasivo, anche un compilatore come Oribasio nelle sue enciclopediche Collectiones medicae compie una scelta deliberata nella selezione e nell'organizzazione dei passi tratti dalle opere degli autori del passato: una scelta basata sul rispetto per l'autorità di Galeno e su una tendenza a integrare i passi tratti dalle opere di Galeno con quelli degli scrittori di argomento medico con i quali egli più probabilmente si sarebbe trovato d'accordo.

Questi esempi danno un'idea della varietà dei modi in cui il passato può essere presente negli scritti degli scienziati antichi (e in certa misura, anche se meno evidente, nell'effettiva pratica di indagine). Si va dall'influenza implicita e non riconosciuta (per es., quella di Eraclito su alcuni scritti di Ippocrate, anche se il suo nome non è mai menzionato), a espliciti ed elaborati resoconti e discussioni riguardanti le concezioni dei predecessori, spesso riportate con tono polemico. Inoltre, così come il fatto di non riconoscere il debito con i predecessori non deve essere inteso esclusivamente come volontà di nasconderne l'influenza, anche la discussione esplicita delle idee degli autori precedenti non deve essere interpretata necessariamente come un'accettazione di queste. In tal modo ‒ per citare un altro esempio dall'ambito della medicina antica ‒ i metodici, la cui scuola di pensiero sembra aver avuto un interesse particolare per la storia della propria disciplina, mostrarono l'atteggiamento più indipendente e perfino più sprezzante nei confronti della tradizione medica, e paradossalmente in particolare nei confronti di quell'Asclepiade di Bitinia dal quale il loro sistema medico era stato influenzato più profondamente.

I diversi modi in cui gli scienziati antichi hanno trattato il passato intellettuale nella propria opera corrispondono a diverse intenzioni e strategie sottostanti. Queste vanno dalla definizione e legittimazione della propria disciplina, del proprio metodo o delle proprie dottrine, alla critica delle concezioni altrui, all'uso dialettico delle 'opinioni prese in prestito' come argomenti a favore della propria tesi, fino all'ostentazione di erudizione e all'interesse di tipo antiquario. Molto raramente troviamo qualcosa di paragonabile a ciò che considereremmo una storiografia intellettuale obiettiva, descrittiva e completa, basata su un interesse intrinseco per il passato in quanto tale.

È importante sottolineare questa varietà di approcci, poiché spesso si sostiene che i filosofi e gli scienziati antichi non possedevano quasi nessun tipo di consapevolezza storica e avevano una comprensione molto limitata della cronologia e della storicità di certi sviluppi della loro materia: in altre parole, si sostiene che nel mondo antico non esisteva una storiografia intellettuale. Così, relativamente, per esempio, ai resoconti biografici concernenti scienziati antichi (presenti nelle opere di scrittori come Plutarco o Eunapio), si crede che la maggior parte del materiale sia di tipo aneddotico e tendente al sensazionale, non rivelando praticamente alcun interesse per il valore degli scienziati in questione dal punto di vista dello sviluppo intellettuale. Un altro esempio riguarda la dossografia ‒ la raccolta e la catalogazione delle dóxai, le 'dottrine' sostenute dagli autori del passato ‒ che spesso si presenta come un'indifferenziata e apparentemente sterile concatenazione di opinioni, riassunte in una forma cristallizzata che sembra aver perso qualsiasi dinamica filosofica. è stato spesso osservato che ciò ha assai poco in comune con la storia della filosofia e della scienza così come la intendiamo oggi, e che i principali difetti della dossografia risiedono nella mancanza di precisione cronologica e di completezza, così come nell'apparente assenza di un reale tentativo di evitare l'anacronismo e di comprendere le idee di un pensatore nel loro contesto sistematico e storico; quest'ultimo aspetto si manifesta, per esempio, nella terminologia con la quale tali idee sono parafrasate e analizzate. Si rileva anche la mancanza di un qualsiasi vero tentativo di spiegazione causale dello sviluppo del pensiero. C'è, anche in questo caso, qualcosa di vero in tali giudizi e non mancano certamente esempi per i quali essi possono essere appropriati, ma bisognerebbe evitare le generalizzazioni e la tendenza ad attribuire un unico scopo a un intero genere di scritti.

Ciò è invece accaduto in modo particolare con la dossografia, della quale recentemente si è tentato di definire la finalità: secondo alcuni essa avrebbe uno scopo dialettico, servirebbe cioè come base per sostenere un argomento in un certo tipo di discussione, mentre secondo altri essa costituirebbe un tipo di storiografia filosofica ‒ opposta a una storiografia 'storica' ‒ tesa ad attualizzare le idee dei pensatori precedenti in relazione alla loro rilevanza per questioni dibattute nel presente. Sebbene queste definizioni possano essere utili per spiegare l'emergere del genere della dossografia, e in qualche caso possano anche risultare corrette, non si dovrebbe negare a priori ai testi dossografici un qualsiasi tipo di valore o intenzione storiografica. La dossografia infatti può servire a una varietà di scopi, specialmente quando è inserita in un contesto più ampio. L'antica biografia (intellettuale) e la dossografia possono dirsi 'storiografiche' non soltanto in quanto descrivono aspetti del passato, ma anche in quanto il modo in cui fanno ciò può essere ricollegato alla teoria e alla pratica della storiografia antica in generale.

Rappresentazioni letterarie del passato intellettuale

In generale, come hanno mostrato recenti studi sul tema, qualsiasi tipo di discorso storiografico (cioè qualsiasi testo il cui argomento appartenga a quello che si può definire 'il passato') può avere una varietà di intenti strategici e di caratteristiche retoriche che possono essere utilmente studiate. Raramente infatti la rappresentazione del passato è un'attività del tutto neutrale, imparziale e non ideologica, che mira alla ricostruzione di 'ciò che è avvenuto': questo è vero in modo particolare per il mondo antico, in cui la storiografia era un genere 'letterario', al cui interno quindi era permessa, e anche incoraggiata, una notevole dose di retorica, di pathos e di drammaticità, e il cui scopo principale era quello di arrecare un qualche 'utile' al pubblico (una lezione da apprendere, un paradigma da seguire, ecc.). Ciò non significa che per soddisfare i critici gli storiografi antichi non dovessero preoccuparsi di alcuni criteri, come la veridicità e l'esattezza nella loro esposizione del passato; significa solamente che vi era una notevole flessibilità nella misura e nel modo in cui questi criteri erano rispettati. Così, nell'uso del discorso diretto, lo storico non doveva necessariamente riportare le ipsissima verba di colui che stava citando, purché si mantenesse fedele al 'nocciolo' di quanto era stato detto, e questa specie di licenza poetica esisteva anche riguardo all'organizzazione del testo (che coinvolge la questione dell'ordine cronologico) e alla caratterizzazione delle persone. Ciò faceva sì che vi fosse un notevole margine per rimaneggiare, manipolare o persino inventare, nonché la possibilità per gli storici di elaborare descrizioni del passato che si adattassero ai loro scopi o alle aspettative del loro pubblico, per esempio nascondendo, distorcendo o enfatizzando in modo selettivo certi aspetti del passato rispetto ad altri, oppure ponendo il presente in una luce o prospettiva particolare.

Queste considerazioni valgono anche per la storiografia del pensiero (filosofia, scienza, letteratura, e storia culturale in generale). Qui, analogamente, diverse descrizioni del passato possono essere ispirate dal proposito non dichiarato di porre certe idee o certi pensatori in una particolare prospettiva, per esempio di aderire a, o dissociarsi da, alcune linee filosofiche o ideologiche del passato, oppure di seguire schemi consolidati. Ciò si applica anche ai modi in cui fu scritta la storia della filosofia e della scienza nel mondo antico; è probabile infatti che si verifichino distorsioni nel modo di riportare le idee di un pensatore quando si usa il discorso indiretto, qualcosa di cui gli antichi si preoccupavano poco poiché la diánoia, il 'significato' o 'nocciolo' di quello che qualcuno aveva detto, era considerata più importante della léxis, l'esposizione letterale dell'asserzione stessa. Quanto agli schemi, ci colpisce, per esempio, la tendenza di molti antichi a collocare l'origine della filosofia e della matematica in Egitto, o comunque tra i 'barbari', tendenza che è espressione dell'interesse per le culture straniere che sorse nel V e nel IV sec., ma che divenne un dogma nella tradizione successiva. Spesso l'esposizione è colorita da motivi aggiunti o da elementi romanzeschi nel caso in cui brani a carattere storiografico compaiano in contesti per il resto non storiografici (discorsi politici, prefazioni a opere scientifiche, ecc.), e ciò è ancor più frequente, per esempio, nel caso delle rappresentazioni letterarie dell'attività scientifica, come nella descrizione dell'attività di guaritore di Democede fornita da Erodoto (Historiae, III, 129-137), o in quella dei risultati di Archimede nell'ingegneria per scopi bellici data da Plutarco (Marcellus, 14-17).

Al di là di questi aspetti retorici e manipolativi della scrittura storica, la rappresentazione del passato può essere influenzata, o del tutto determinata, anche da fattori che non dipendono direttamente dallo storiografo; le fonti a sua disposizione possono essere scarse, egli può aver avuto un accesso molto limitato agli scritti dei pensatori di cui riporta le idee o può essersi dovuto basare su fonti indirette, così come la sua interpretazione delle concezioni dei predecessori può risultare influenzata dalle tradizioni interpretative su cui si basa (per es., commentari a opere di autori del passato). Questo aspetto assume particolare rilievo nel mondo antico, dove la disponibilità di fonti dirette era generalmente molto limitata e grande era la dipendenza da fonti secondarie. Lo studio della letteratura filosofica e scientifica nell'Antichità infatti era in gran parte basato su un ampio apparato di letteratura comprendente cataloghi dossografici di nomi e dottrine, introduzioni, bibliografie, narrazioni biografiche, compendi, lessici, commentari e altro materiale di tipo introduttivo (che è chiamato 'isagogico'), accumulatosi durante una lunga tradizione. Sebbene la maggior parte di questo materiale sia andata perduta, è possibile dimostrare che esso ha determinato la prospettiva da cui gli scrittori successivi guardavano al passato intellettuale: l'insieme di questo materiale sembra aver esercitato una forte influenza sulle modalità di interpretazione dei testi filosofici e scientifici caratteristiche dell'Antichità.

'Scienza' e 'filosofia'

Finora i termini 'filosofia' e 'scienza' sono stati entrambi impiegati senza una vera e propria specificazione, ma la questione delle differenze tra il concetto antico e quello moderno di scienza, o tra le delimitazioni che caratterizzano attualmente filosofia e scienza e i modi in cui queste aree erano suddivise nell'Antichità, ha implicazioni importanti per lo studio della storiografia di queste materie. Mentre infatti esiste una ricca collezione di testi antichi pervenutici sulla storia di ciò che oggi è definito 'filosofia' (etica, metafisica, principî primi, ecc.), il materiale nell'ambito delle scienze è meno abbondante e per alcune di esse (come, per es., l'astronomia) è quasi sempre inserito in contesti che trattano della fisica o della filosofia in generale. Volendo tralasciare in questa sede gli ambiti che, da un punto di vista moderno, si potrebbero considerare come facenti parte della 'filosofia' piuttosto che della 'scienza' (per es., l'etica, la logica, l'epistemologia e la metafisica), occorre però una consapevolezza del fatto che così facendo si separano materie come l'astronomia o l'ottica dai contesti di cui erano considerate far parte e tenere costantemente presente che le delimitazioni attuali tra la fisica e la metafisica o tra la psicologia fisiologica e la filosofia della mente sono differenti rispetto a quelle del mondo antico.

Un'ulteriore considerazione, forse più pertinente, riguarda il fatto che nel mondo antico stesso erano sostenute concezioni diverse riguardo alla distinzione tra la filosofia e le scienze, e di conseguenza la storiografia della filosofia e delle scienze presentava linee di divisione che non rimasero invariate durante l'Antichità. Andiamo a toccare qui temi che riguardano la specializzazione e ciò che con termine tedesco si può chiamare Selbstverständnis ('autopercezione') delle varie scienze nel mondo antico, vale a dire il modo in cui una disciplina è percepita da coloro che la studiano (o la praticano) in relazione ad altre discipline e all'organizzazione della propria materia, alla metodologia e all'applicazione pratica. In tal modo scrivere la storia della propria disciplina può essere un importante strumento per definirla, e non è un caso che le antiche prefazioni a scritti tecnici contenessero spesso un paragrafo di tipo storico in cui si stabilivano l'origine e lo sviluppo iniziale dell'argomento (per es., i trattati di farmacologia di Dioscuride e Scribonio Largo, o gli Elementa harmonica di Aristosseno di Taranto).

Si può avere perciò una qualche idea della concezione che gli scienziati antichi avevano di sé e del modo in cui organizzavano le proprie attività scientifiche considerando in quale misura essi concepissero la storia della loro disciplina come parte di un tutto più ampio, come la filosofia, e in quale misura invece la considerassero come qualcosa di distinto con un fondatore, una costituzione e uno sviluppo propri. Per esempio, nella descrizione storica della geometria (che è parte dell'introduzione al suo commentario agli Elementi di Euclide) il filosofo neoplatonico Proclo assegna un ruolo centrale a Platone e all'Accademia, arrivando persino a ritrarre Euclide come un filosofo platonico, avanzando così l'idea di quella che potremmo chiamare una 'filosofizzazione' della matematica, una concezione che non tutti i matematici dell'Antichità avrebbero accettato. Similmente, ma nella direzione opposta, il ritorno del pitagorismo verificatosi nella Tarda Antichità ispirò scrittori come Giamblico e Siriano ad assegnare alla matematica un ruolo centrale nella storia del platonismo e, ancor più, della filosofia in generale.

Nell'ambito medico, è interessante notare che nella prefazione storica al suo De medicina lo scrittore romano Celso parla di Ippocrate, il padre della medicina, come di colui che separò questa scienza, intesa come il trattamento delle malattie (morborum curatio), dalla filosofia (studium sapientiae, rerum naturae contemplatio), una separazione che Celso considera utile e auspicabile. Questa posizione trova una qualche conferma nel trattato ippocratico L'antica medicina, in cui l'autore prende esplicitamente le distanze dallo studio speculativo della Natura e afferma che il solo modo per comprendere la natura del corpo umano è quello di studiare la medicina, piuttosto che basare la medicina sulla filosofia. Dall'altra parte, il legame tra la medicina e la filosofia (naturale) e, ancor più, la giustezza di tale legame erano sottolineati da Aristotele attraverso il riferimento al fatto che "i medici più illustri" basano le loro indagini e la loro pratica medica su principî derivati dallo studio della Natura, mentre a loro volta alcuni dei fisici più seri tengono conto anche dei principî della salute e della malattia (De sensu et sensibili, 436 a 17-b 2; De respiratione, 480 b 22-31). Questa concezione aristotelica fu abbracciata da molti medici (come Diocle di Caristo e Galeno) e filosofi naturali (per es., Teofrasto, Stratone, e Alessandro di Afrodisia), e di conseguenza il reciproco rapporto tra medicina e filosofia naturale si trova riflesso nella storiografia di entrambe le materie. Così, la dossografia medica del cosiddetto Anonymus Londiniensis annovera Platone e Filolao nella sua esposizione dossografica delle cause delle malattie, mentre medici come Diocle, Asclepiade ed Erasistrato figurano in modo preminente nei Libri IV e V della dossografia sulla fisica dello Pseudo-Plutarco.

Una forte autoconsapevolezza unita a una riflessione sul rapporto con la filosofia possono spiegare in parte perché la medicina antica e la matematica abbiano dato luogo a una considerevole attività storiografica (sia dossografica sia biografica), in certa misura indipendente dalla dossografia sulla filosofia naturale. La fisica, d'altro canto, è stata considerata durante tutta l'Antichità parte integrante della filosofia, e questo può essere uno dei motivi per i quali la storiografia di materie correlate come l'astronomia, la meccanica e l'ottica sia stata trattata prevalentemente nel contesto della dossografia sulla filosofia naturale. Ciò ha avuto alcune importanti conseguenze per la selezione degli argomenti e degli autori; così, gli argomenti astronomici sono discussi in modo considerevolmente ampio nei Placita philosophorum dello Pseudo-Plutarco, ma gli autori citati sono principalmente filosofi, mentre autori più specialistici, come Aristarco e Seleuco, sono menzionati soltanto di rado (II, 1; II, 24; III, 17). Inoltre, si manifesta un interesse molto limitato per ciò che avevano da dire gli autori specializzati in materie come la meteorologia e la geografia; le concezioni riportate dallo Pseudo-Plutarco sono attribuite per la maggior parte a filosofi, e soltanto occasionalmente si trovano riferimenti agli 'astronomi', ai 'medici', o, semplicemente, ad 'alcuni'.

Comunque la ragione per cui per materie come l'astronomia, la meccanica e l'ottica non è sopravvissuta alcuna tradizione dossografica specializzata paragonabile a quella di cui disponiamo per la medicina, potrebbe anche ricondursi al fatto che in questi ambiti vi erano minori controversie e quindi una minore necessità di esprimere le divergenze dottrinali nella forma letteraria di opinioni contrastanti sostenute da diverse scuole di pensiero. Inoltre, l'immagine che noi abbiamo di questi fenomeni potrebbe essere distorta a causa della trasmissione testuale lacunosa; esiste almeno una qualche prova frammentaria che attesta l'esistenza di un trattamento storiografico separato dell'astronomia nella scuola peripatetica.

Scuole di pensiero

Un altro elemento rilevante a questo proposito è che la medicina manifestò una differenziazione in diverse 'scuole di pensiero' o 'sette', simile a quella che si aveva nella filosofia. Un aspetto distintivo della tarda (cioè ellenistica e imperiale) storiografia della filosofia e della scienza antiche è la divisione in differenti scuole (gr. hairéseis, lat. sectae) quali, sul fronte filosofico, gli stoici, gli epicurei, gli scettici, i peripatetici, ecc., e, su quello medico, i dogmatici, gli empiristi, gli erofilei, gli erasistratei, ecc. Così, l'opera Vite dei filosofi di Diogene Laerzio è organizzata secondo la divisione in scuole filosofiche, e in medicina si può pensare a Vite, scuole e scritti di medici di Sorano di Efeso. Inoltre, come la più antica storia della filosofia fu descritta dai dossografi in relazione alla comparsa di due (o a volte tre) scuole (i filosofi ionici, quelli italiani e gli eleatici, a volte distinti come una terza scuola) ‒ così si credette ‒ dal periodo ellenistico in poi, che la prima medicina greca si diversificasse in una scuola di pensiero di Coo, una di Cnido e una siciliana.

Non in tutti i casi comunque si può determinare facilmente se tali scuole siano effettivamente esistite e abbiano avuto una qualche forma di organizzazione istituzionale, o se debbano essere considerate solamente, almeno per alcuni aspetti, come costruzioni storiografiche successive. Le testimonianze a disposizione variano da una haíresis all'altra; in ogni caso, la divisione in scuole e la classificazione di singoli pensatori come membri di una particolare scuola ha fornito un utile schema storiografico e ha contribuito probabilmente alla schematizzazione e alla semplificazione di processi di sviluppo intellettuale che nella realtà devono essere stati molto più complicati e diversificati.

Dal momento che la filosofia era stata divisa in tali scuole, anche le scienze fisiche, essendo studiate nel contesto di questi sistemi filosofici, erano considerate riflettere in misura maggiore o minore il retroterra filosofico e le principali dottrine della scuola nella quale erano praticate, e ogni attività che si verificava fuori da questo contesto era in gran parte ignorata. La medicina stessa si differenziò in diverse sette, e queste scuole di pensiero (specialmente gli erofilei) svilupparono tradizioni storiografiche in cui la dossografia della propria scuola, ma anche quelle delle scuole rivali, erano spesso usate per scopi polemici o di autolegittimazione.

Collegato a questa letteratura sulle hairéseis e, in certa misura, alla base di essa è lo schema storiografico delle diadochaí o 'successioni', secondo il quale la storia intellettuale è concepita come una successione continua dal pensiero dell'insegnante a quello dell'allievo, suggerendo una linea quasi genealogica di discendenza. Questo schema è percepibile già nel lavoro dossografico di Teofrasto, ma si è sviluppato poi come genere separato nel periodo ellenistico, con Sozione (III/II sec.) come principale rappresentante. Tale genere ha fortemente influenzato la successiva tradizione dossografica e biografica (per es., Diogene Laerzio), nella quale la parentela intellettuale tra due pensatori è stata spesso descritta in modo romanzato come una relazione personale tra insegnante e allievo.

La storia culturale e la letteratura 'sulle scoperte'

Passiamo ora in rassegna i più importanti documenti rimasti della letteratura antica riguardante la storia delle scienze. Un generale interesse per le origini (archaí) e per l'ulteriore sviluppo delle téchnai (scienze e arti) emerse nel V sec. come parte di una maggiore attenzione nei confronti dello sviluppo della civiltà umana. Trattazioni di storia della cultura (o loro frammenti) si possono trovare in Democrito, nel Corpus Hippocraticum, nel movimento dei sofisti (in particolare in Ippia di Elide), in Platone e Aristotele, in filosofi peripatetici come Dicearco, in Epicuro, Lucrezio, Diodoro Siculo, Porfirio ed altri. A seconda del punto di vista, tali storie culturali possono essere caratterizzate come di tendenza 'progressista' o al contrario 'primitivista'; la comparsa stessa e l'ulteriore perfezionamento delle scienze, infatti, potevano essere viste come il segno, o anche come la causa, del progresso culturale generale oppure, viceversa, come il segno o la causa di una più generale decadenza nel modo di vita. Così, nelle descrizioni poetiche della storia più antica del genere umano (che troviamo, per es., in Esiodo, Opera et dies, 109 segg.; in Virgilio, Georgica, I, 125 segg.; in Ovidio, Metamorphoses, I, 89 segg.) si afferma che la comparsa dell'agricoltura e della navigazione accompagnò il declino verificatosi rapidamente dopo un'iniziale età dell'oro.

Lo stesso giudizio ambivalente può essere osservato al livello delle scienze particolari; nella medicina, per esempio, l'autore dell'opera ippocratica L'antica medicina adotta (forse ispirato da Democrito) una concezione 'progressista' dello sviluppo della disciplina, considerando l'accumularsi e il raffinarsi della conoscenza dietetica empirica da una generazione all'altra come un continuo miglioramento dei modi in cui il genere umano è riuscito a padroneggiare gli effetti dei vari cibi e delle varie bevande sul corpo umano. Tuttavia, in maniera alquanto diversa, il filosofo peripatetico Dicearco riporta che i "medici più esperti" (glaphyrṓtatoi iatroí) hanno creduto in una specie di età dell'oro medica in cui l'uomo godeva di una salute permanente, risultato di una dieta perfettamente appropriata che preveniva la produzione da parte del corpo di quei residui (perittṓmata) che avrebbero a loro volta provocato malattie (Die Schule, I, fr. 49).

Trattati sulle origini e sulla storia delle téchnai o delle artes cominciarono a essere prodotti nel periodo del movimento sofista, quando la cultura umana stessa divenne oggetto di studio. Particolarmente rilevante in quest'ambito è la letteratura 'sulle scoperte' (Perì heurēmátōn) e il topos del 'primo inventore' (prõtos heuretḗs). Anche se alcuni antecedenti di questa nozione si possono già trovare nella letteratura greca arcaica, la ricerca di un primo inventore divenne argomento di uno studio più sistematico nei lavori intitolati Perì heurēmátōn di Ellanico di Mitilene, di Scimone di Mitilene e dello storico Eforo; è inoltre probabile che una vasta letteratura di questo tipo, della quale sono sopravvissuti solamente alcuni frammenti, sia stata prodotta nella scuola peripatetica. In effetti, sembra che gran parte dell'antica storiografia della scienza abbia utilizzato il tema delle scoperte come principio guida di selezione e di organizzazione, attraverso l'elencazione delle principali scoperte in una certa materia, non necessariamente in ordine cronologico, accanto alle quali sono riportati i nomi dei relativi 'scopritori'. Così, sembra che lo storico peripatetico Eudemo (IV sec.) abbia composto la sua storia della matematica in gran parte sulla base di una lista di scoperte simili, sebbene presentate secondo un ordine di tipo finalistico (Die Schule, VIII, frr. 133-149), mentre in modo analogo il filosofo neoplatonico Proclo incentra la sua esposizione della storia della geometria sui contributi forniti da diversi individui per la soluzione di particolari problemi matematici.

È facile comprendere come queste 'storie di scoperte' siano arrivate a costituire il cuore dei resoconti biografici delle attività degli scienziati e abbiano cominciato ad acquisire una vita propria, fornendo così il materiale aneddotico per i paragrafi storici che troviamo a volte negli scritti a carattere tecnico. Ne sono un esempio le descrizioni offerte da Vitruvio dell'organo idraulico di Ctesibio di Alessandria (Vitruvio, De architectura, X, 7-8) e della inattesa scoperta da parte di Archimede della differente densità dell'argento e dell'oro nella vasca da bagno (occasione in cui si racconta che egli pronunciò l'espressione heúrēka, 'ho trovato!') (ibidem, IX, praef. 9-12), o il racconto di Boezio riguardante la scoperta delle armonie e delle corde da parte di Pitagora (Boezio, De institutione musica, I, 10-11).

La dossografia e la discussione delle concezioni dei predecessori

In generale, i filosofi e gli scienziati antichi hanno mostrato fin dall'inizio, generalmente nelle introduzioni ai loro scritti e spesso in maniera polemica, una forte tendenza a considerare il proprio lavoro in relazione ai risultati dei predecessori; un esempio di ciò è l'opera ippocratica Sul regime delle malattie acute, oppure l'opera di Dioscuride sulla farmacologia (come esempi con un intento meno polemico si vedano le prefazioni all'opera ippocratica Sul regime e all'opera di Aristosseno Elementa harmonica). Sembra, tuttavia, che uno studio più sistematico e un'elaborata discussione della letteratura relativa alla storia precedente di un dato argomento siano stati intrapresi per la prima volta da Aristotele e dai primi peripatetici. I testi di Aristotele offrono spesso una rassegna delle concezioni dei suoi predecessori sull'argomento in questione; molte delle sue opere, infatti, cominciano con tali panoramiche storiche e a volte, quando il contesto lo consente o lo richiede, passi a carattere dossografico sono inseriti anche in altre parti del testo. Inoltre, la differenziazione e specializzazione delle scienze che si verificò nella scuola peripatetica subito dopo Aristotele fu accompagnata da progetti di scrittura di rassegne riguardanti la storia precedente delle materie in oggetto, con Teofrasto che scrive sulla fisica, Menone (o forse Aristotele stesso) sulla medicina ed Eudemo sulla matematica e sulla teologia.

A dire il vero, vi sono elementi per pensare che Aristotele non sia stato il primo a presentare la storia dei vari argomenti considerati; almeno per alcune delle sue rassegne della filosofia presocratica (per es., i suoi resoconti su Talete di Mileto) egli probabilmente non consultò direttamente gli scritti dei diversi pensatori, ma si basò su rassegne dossografiche e su cataloghi di concezioni che erano già disponibili come fonti indirette. Su questo punto sembra che un importante ruolo preparatorio lo abbia svolto il sofista Ippia di Elide nella sua Synagōgḗ. Aristotele in ogni caso elaborò queste rassegne, che erano presumibilmente molto approssimative, e trasformò la considerazione e la valutazione delle concezioni dei pensatori precedenti e contemporanei in parte integrante di molte delle sue indagini; per far ciò egli dovette inserire queste rassegne all'interno della propria argomentazione e mischiare resoconto descrittivo e valutazione critica. Gli esempi più importanti di questo modo di procedere sono la discussione delle origini delle scienze nel Libro I della Metafisica, la discussione della ricerca da parte dei presocratici delle cause e dei principî primi in questa stessa opera e nel Libro I della Fisica, e la discussione delle dottrine psicologiche dei predecessori nel Libro I del De anima. Di particolare interesse per le scienze biologiche (zoologia, fisiologia ed embriologia) sono: le sezioni dossografiche nella Historia animalium (III, 511 b - 513 a), dove egli discute le concezioni di Siennesi, medico di Cipro, Diogene di Apollonia e Polibo (quest'ultimo da identificarsi con l'autore dell'opera ippocratica De natura hominis) sull'anatomia dei vasi sanguigni; la dossografia sui fini della respirazione in De respiratione (470 b 6 - 474 a 24), dove sono discusse le concezioni di Democrito, Empedocle e Platone; la dossografia sulla generazione e sull'origine del seme in De generatione animalium (I, 721 b - 722 a; IV, 763 b - 766 a), che tratta di una serie di concezioni i cui autori, nel testo aristotelico, rimangono per lo più anonimi.

C'è stata molta discussione tra gli studiosi sulla natura e sullo scopo di questi passi dossografici nelle opere di Aristotele, ed egli è stato ripetutamente criticato per avere riportato le dottrine dei suoi predecessori in maniera imprecisa, selettiva e persino distorta. C'è certamente una forte tendenziosità nel suo modo di presentare il pensiero di alcuni filosofi, in quanto egli tende a giudicare le loro concezioni valutando in quale misura esse abbiano contribuito (o non abbiano contribuito) al raggiungimento del risultato costituito dalla sua stessa filosofia. È stato anche osservato che Aristotele usa le dottrine dei suoi predecessori in un modo molto particolare, spesso impegnandosi nell'argomentazione e nella discussione aporematica delle loro posizioni allo scopo di facilitare una certa linea di ragionamento. Per una giusta valutazione bisogna però dire che egli è pienamente consapevole di questo e non intende affatto fornire rassegne complete disposte in ordine cronologico; la giustificazione filosofica che offre per il suo modo di procedere è che le concezioni dei pensatori precedenti contengono verosimilmente alcuni elementi di verità e che più essi sono in accordo più è probabile che abbiano afferrato la verità o parti della verità. Allo stesso tempo, egli dice, i punti dove essi sono in disaccordo o dove le loro asserzioni sono ambigue indicano probabilmente reali difficoltà che hanno bisogno di un'indagine ulteriore. Perciò Aristotele considera l'esposizione delle dottrine degli antichi come un'importante strategia euristica preliminare nella sua ricerca della verità; essa fa parte del suo procedimento più generale che consiste nel "porre i fenomeni" (tithénai tà phainómena), dal momento che le "opinioni" rientrano anch'esse nell'ambito di "ciò che si presenta", analogamente ai fatti empirici e alle osservazioni. Bisognerebbe anche ricordare che Aristotele non è del tutto inconsapevole della dimensione storica e che ha un certo interesse per il retroterra sociale dello sviluppo della scienza (si pensi, per es., alla sua concezione secondo cui la matematica, caso esemplare di un impegno a perseguire la conoscenza per sé stessa, ha avuto origine nella casta dei religiosi in Egitto, nel momento in cui questi ebbero l'agio di dedicarsi interamente agli studi teoretici).

Se Aristotele sia anche l'autore della 'Collezione' (Synagōgḗ) di dottrine mediche conservata in forma indiretta, abbreviata e variamente mutilata nell'Anonymus Londiniensis, è una questione dibattuta, anche se un'origine peripatetica dell'opera sembra certa. Il testo è sopravvissuto su papiro e compare come la seconda parte di un trittico medico, la cui prima parte è costituita da una discussione di diversi concetti e definizioni mediche e la cui terza parte tratta di questioni fisiologiche (nutrizione, sonno, respirazione). Sembra che il papiro sia stato scritto nel I o II sec. d.C. ed è stato identificato come autografo dai papirologi. L'autore del papiro è sconosciuto, ma nella seconda parte del suo lavoro egli si riferisce spesso a un'opera dossografica sulle cause delle malattie "scritta da Aristotele", che sembra essere servita come base per il suo stesso resoconto e che può essere ricostruita a partire da questo testo. A dire il vero, fin dai tempi di Galeno sono stati sollevati dubbi sulla paternità aristotelica di questa base peripatetica e si è pensato che essa dovesse essere in realtà la cosiddetta Menoneia, una collezione di dottrine mediche scritta, o edita, o dedicata a un certo Menone, un allievo di Aristotele per il resto sconosciuto. Recentemente, tuttavia, alcuni studiosi hanno sostenuto che la paternità aristotelica di ciò che è servito da base per la seconda parte del resoconto dell'Anonymus andrebbe considerata seriamente. Quale ne sia l'autore, in questa sezione sono riportate le concezioni di circa venti scrittori medici (molti dei quali non sono attestati altrove) sulle cause delle malattie. Essa è articolata in base alla divisione in due tipi di cause alle quali, secondo quanto è detto, si richiamano i medici: gli 'elementi (stoicheĩa) nel corpo' e i 'residui' (perittṓmata, un concetto tipicamente aristotelico o in ogni caso peripatetico). Un altro aspetto che colpisce (e che sarebbe divenuto poi caratteristico di molti scritti dossografici) risiede nel fatto che le varie concezioni sono semplicemente riportate, senza fornire alcuna indicazione circa la loro correttezza; tuttavia, in un importante passo sulle opinioni di Ippocrate, l'autore anonimo critica 'Aristotele' per aver attribuito a Ippocrate una concezione che sembra corrispondere a quella dell'autore del trattato ippocratico De flatibus e aver presentato poi come la vera posizione ippocratica una concezione che assomiglia di più a quella dell'autore dell'opera ippocratica De natura hominis (un lavoro che era incidentalmente noto ad Aristotele, ma che era da lui attribuito a Polibo). Anche Platone, come si è detto, figura in modo rilevante nell'Anonymus, ed è alquanto significativo che le sue concezioni sulle origini delle malattie, così come sono espresse nel Timeo, appaiano abbastanza autorevoli da essere ricordate (successivamente Galeno fu molto influenzato dalle dottrine medico-fisiologiche di Platone e cercò, soprattutto nella sua opera De placitis Hippocratis et Platonis, di far apparire le proprie concezioni in armonia con quelle). Nella terza parte del papiro, sono discusse le dottrine fisiologiche di Erasistrato, Erofilo da Calcedone e Asclepiade; la discussione sembra basata su una fonte posteriore ad Aristotele, forse Alessandro Filalete da Laodicea (I sec. a.C.), il medico seguace della scuola di Erofilo da Calcedone.

Per quanto riguarda gli altri peripatetici, una posizione privilegiata andrebbe assegnata al lavoro di Teofrasto sulle Physikaì dóxai (Dottrine relative alla Natura), come è più probabile che sia il titolo, e non Physikõn dóxai. Il lavoro non si è conservato, anche se si pensa che un testo ancora esistente sulla percezione sensibile (indicato con il nome De sensu) sia derivato da questo, o che ne sia una parte (nella concezione peripatetica la psicologia era considerata una parte della fisica). La maggior parte delle testimonianze riguardanti le Physikaì dóxai deriva dal commentario di Simplicio al Libro I della Fisica di Aristotele, e ciò spiega l'enfasi notevole posta sulla fisica teorica. Sembra infatti che Teofrasto abbia discusso la questione dei principî primi del mondo naturale, ossia se essi siano uno solo o molti, di numero finito o infinito, materiali o immateriali, quali altre caratteristiche abbiano e così via; sembra inoltre che le dottrine dei presocratici che egli riporta ‒ Anassimandro, Anassagora, Democrito, Senofane, ecc. ‒ siano organizzate secondo uno schema dicotomico (quel 'principio di divisione', diaíresis, che caratterizzò molta della letteratura dossografica), tenendo tuttavia in considerazione anche il loro ordine cronologico. Altri frammenti dell'opera suggeriscono che Teofrasto abbia trattato anche questioni astronomiche e il problema dell'origine del Cosmo, in particolare riguardo alla spiegazione fornita da Platone nel Timeo. Quanto al De sensu, che ci è pervenuto, esso tratta delle modalità della psicologia fisiologica. Teofrasto riporta le concezioni di una serie di filosofi presocratici e di Platone; in modo tipico, egli opera una suddivisione in due gruppi principali, coloro che sostengono che la percezione abbia luogo in base a una similarità tra il percipiente e l'oggetto percettibile, e coloro che sostengono che essa sia basata su una differenza tra i due. Teofrasto sottopone entrambi i gruppi di pensatori a una critica severa; contrariamente ad Aristotele, tuttavia, non esprime il proprio accordo con alcuno di essi e nemmeno espone la sua concezione (questo carattere aporematico era destinato a diventare un aspetto ricorrente del discorso dossografico).

Le conseguenze e l'influenza dei lavori dossografici di Teofrasto sono state un importante argomento di discussione tra gli studiosi. Teofrasto è stato ritenuto da alcuni il punto di partenza della successiva tradizione della letteratura sugli aréskonta o placita (dottrine), consistente in un catalogo che riuniva concezioni filosofiche e scientifiche e nomi di autori, che era utilizzato e integrato dalle generazioni successive e aveva una notevole influenza sui modi di percepire la storia intellettuale del passato. Tracce di questa tradizione (associata al dossografo Aezio, di cui però abbiamo perso l'opera) si possono trovare in scrittori come Cicerone e in compilazioni e brani più tardi dello Pseudo-Plutarco, dello Pseudo-Galeno, di Teodoreto di Cirro, di Giovanni Stobeo e in diverse altre fonti minori. Per quanto riguarda la funzione, o l'uso, di tali rassegne dossografiche ‒ che a prima vista sembrano cataloghi piuttosto sterili, monotoni e indiscriminati, privi di qualsiasi interesse filosofico ‒ è stato suggerito che il riunire insieme le 'opinioni prese in prestito' (tà éndoxa) quale si ritrova nella scrittura di dossografie possa essere stato uno stadio preparatorio per il ragionamento 'dialettico' operato sulla base di tali concezioni (così come è richiesto da Aristotele nei suoi Topica e messo in pratica in molte delle sue opere), mentre la presentazione delle concezioni secondo una schema dicotomico (diaíresis) serviva all'analisi logica di una questione nelle sue componenti specifiche. Secondo quest'idea, erano importanti le posizioni dottrinali più che i nomi degli autori a cui erano attribuite. Un uso più specifico del discorso dossografico sarebbe apparso più tardi, con il filosofo scettico Enesidemo (I sec. a.C.); la distinzione delle varie posizioni assunte dai diversi autori rispetto a una particolare questione serve ora all'esposizione del 'disaccordo' (diaphōnía, dissensio) tra gli autori stessi e questo procedimento è utilizzato, per esempio, dai filosofi scettici per dimostrare l'incertezza di tali questioni, e poter quindi giustificare la posizione scettica dell'astensione dal giudizio.

Su questo sfondo, si possono valutare meglio diverse caratteristiche delle collezioni di dóxai che troviamo, per esempio, nello Pseudo-Plutarco e nelle altre fonti menzionate. L'opera dello Pseudo-Plutarco sopravvive in cinque libri, i quali trattano i principî primi e la fisica teoretica (Libro I), la cosmologia (II), la meteorologia (III), la psicologia (IV), la generazione e l'embriologia (V); in essa ogni capitolo comincia con una questione (del tipo 'come crescono le piante e se sono esseri viventi'), per la quale sono brevemente formulate varie risposte possibili attribuite a pensatori precedenti senza che il dossografo stesso esprima accordo o dissenso. Perciò le varie concezioni sono soltanto citate (o piuttosto riassunte) in virtù della loro attinenza con una particolare questione; sembra che non ci sia alcun tentativo di trattazione esaustiva dell'argomento, di esattezza cronologica o di analisi filosofica approfondita delle concezioni in oggetto (occorre comunque osservare che non tutti i capitoli si adattano con la stessa uniformità a questo schema 'dialettico'). È probabile che le rassegne dossografiche di questo tipo abbiano avuto un'influenza notevole sulla successiva storiografia della filosofia e delle scienze, e diversi resoconti, come quelli sulla filosofia naturale presocratica (forniti per esempio da scrittori cristiani come Ippolito di Roma e Teodoreto) sono basati non su una diretta conoscenza degli scritti dei filosofi stessi ma su esposizioni fortemente selettive e semplificanti, appartenenti alla tradizione dossografica, o su antologie, raccolte di citazioni e così via. L'opera Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, per esempio, deve molto a queste tradizioni dossografiche, alla letteratura sulle 'successioni' e a un'ampia tradizione biografica di opere 'sulle vite' (perì bíõn). L'opera di Diogene Laerzio è sui 'filosofi', non sugli scienziati, e adotta come principio di organizzazione la suddivisione in scuole filosofiche (anche se il Libro VII contiene un ampio resoconto riguardante la cosmologia stoica, e il Libro X ha conservato, nella forma del discorso diretto, le concezioni di Epicuro sulla fisica e sulla psicologia, così come sono esposte nelle sue Lettere). Diogene presta molta attenzione alla vita, al carattere e all'aspetto fisico dei filosofi, fornisce cataloghi delle loro opere e cita ampiamente dai loro scritti (lettere, testamenti, ecc.); le dottrine hanno un ruolo secondario: esse sono riassunte in modo molto breve e sono chiaramente basate su fonti indirette.

Sviluppi nella medicina

Nel campo della medicina, sembra che una notevole attività storiografica si sia sviluppata durante il periodo ellenistico nel contesto delle scuole alle quali si è già fatto riferimento. Nell'ambito di questa attività, un altro tipo di scritto che deve essere menzionato è l'enciclopedia. Celso (v. sopra), nella prefazione al suo De medicina (l'unica parte che ci rimane della sua voluminosa opera sulle Artes), tratta in maniera abbastanza estesa la storia della medicina dagli inizi nell'epoca omerica fino al suo tempo. Alcuni interessi alla base della descrizione storica di Celso sono facilmente individuabili: in primo luogo la spiegazione della comparsa delle sette mediche e la continua tensione tra teoria e pratica in medicina. Una simile tendenza può essere riscontrata nell'esposizione di Plinio il Vecchio sulla storia della medicina nel Libro XXIX della sua Storia naturale, che si ispira a una glorificazione 'primitivista' della medicina tradizionale 'naturale', romana, in quanto opposta alla medicina artificiale greca.

Un'ulteriore fase molto importante della storiografia medica è quella costituita dalla scuola dei metodici, i quali svilupparono una considerevole attività nella scrittura di biografie e dossografie di medici famosi, di commentari e di studi lessicografici sugli scritti dei loro precursori. Come si è detto, si crede che il loro esponente più rappresentativo, Sorano, abbia scritto una serie di Vite, scuole e scritti di medici in dieci libri, che è andata sfortunatamente perduta, ma della quale è possibile avere qualche idea attraverso successivi sommari del periodo bizantino (l'opera trattava molto probabilmente di alcuni medici famosi come Ippocrate, Desippo, Nicomaco, ecc.). Il vivo interesse dei metodici nei confronti del passato non implica però necessariamente da parte loro il rispetto per la tradizione e l'accettazione della sua autorità; in Sorano, così come in Celio Aureliano, troviamo infatti nei confronti del passato un atteggiamento fortemente critico. Nella sua unica opera che si è conservata, Gynaecia, Sorano inserisce spesso passi dossografici (a volte seguendo lo schema della diaphōnía), ma il suo atteggiamento è sempre critico o persino ostile, sia riguardo alle credenze di tipo più popolare, potremmo dire 'folcloristiche' (la cui presenza è notevole in materia ginecologica), sia riguardo alle opinioni di esperti affermati come Diocle, Erofilo, Ippocrate, Temisone di Laodicea e Asclepiade. Si ritiene anche che Sorano abbia scritto un'opera intitolata Aetiologoumena comprendente un'esposizione critica delle spiegazioni causali delle malattie proposte da altri medici, probabilmente dogmatici; l'opera in quanto tale è andata perduta, ma si è pensato che le sezioni eziologiche del testo del cosiddetto Anonymus Parisinus Fuchsii siano in qualche modo collegate a essa (v. sotto). Sorano è noto anche per un De anima che è servito come base allo scrittore cristiano Tertulliano per il suo trattato dallo stesso titolo; anche in questo caso l'opera è andata perduta, ma è probabile che essa non soltanto offrisse un'esposizione elaborata (e forse una confutazione) delle concezioni dei filosofi e dei medici greci sulla psicologia fisiologica, ma esponesse anche una dottrina materialista dell'anima sostenuta da Sorano stesso.

Una rappresentazione più dettagliata della dossografia medica in ambito metodico è fornita da Celio Aureliano, che scrisse in latino nel V sec. d.C., ma la cui opera è basata sostanzialmente su quella di Sorano. Nell'opera De morbis acutis et chronicis Celio, oltre a esporre le proprie concezioni metodiche sul trattamento delle malattie, considera l'intera storia della patologia prima di Sorano: egli fa spesso riferimento ai lavori dei predecessori, cita letteralmente dalle loro opere, e tratta, in quello che sembra essere un ordine cronologico fedele, le concezioni dei più importanti autori medici sul trattamento delle malattie. I passi dossografici sono utilizzati da Celio in tre diversi contesti: la sintomatologia, la questione della parte affetta e la terapia. Riguardo al primo punto, egli cita normalmente soltanto le concezioni attinenti alla sua discussione; riguardo al secondo, presenta spesso le opinioni di scrittori medici del passato nella forma di una dissensio (ciò era particolarmente appropriato in quanto i metodici consideravano la questione della parte affetta un punto su cui si doveva sospendere il giudizio); quanto al terzo punto, la terapia, i suoi resoconti sono molto estesi, completi e sistematici (per es., riporta spesso che un certo medico non ha detto nulla su un particolare argomento); anche qui, tuttavia, egli sottopone i suoi predecessori a una critica severa e spesso pedante.

Vi sono altre due dossografie mediche che meritano di essere menzionate, in primo luogo l'opera del cosiddetto Anonymus Parisinus forse contemporaneo di Sorano. L'identità e le date dell'autore di questo trattato sono sconosciute, ma egli rientra probabilmente nella tradizione metodica o pneumatica. Il testo tratta delle malattie, discutendo prima le cause, quindi i sintomi e infine (in modo più elaborato) la terapia. Nelle sezioni sulle cause l'autore cita spesso le concezioni di quattro "antichi" (palaioí) medici, vale a dire Ippocrate, Diocle, Prassagora di Coo ed Erasistrato. Il suo modo di riportare le opinioni mostra somiglianze con la letteratura dei placita; le posizioni sono riassunte in maniera molto concisa, l'autore non prende posizione (anche se ogni tanto fornisce qualche informazione esplicativa preliminare), cita parecchie opere e la descrizione delle diverse concezioni è molto precisa.

Una seconda fonte dossografica è l'autore (a volte identificato con Vindiciano Afro) di un trattato intitolato De semine, che oltre alle questioni della generazione e dell'embriologia tratta anche delle malattie, della nutrizione e della psicologia fisiologica. L'opera è basata esplicitamente su una precedente raccolta dossografica (perduta) di Alessandro Filalete. La prima sezione tratta la questione dell'origine del seme umano e presenta una dissensio tra Diocle ed Erofilo, rappresentata nella forma di un dibattito nel quale il primo si trova ad argomentare contro il secondo, nonostante il fatto che Erofilo sia vissuto dopo di lui (tali incongruenze cronologiche sono, anche in questo ambito, una caratteristica ricorrente del discorso dossografico). Il resto del trattato ha la forma di un resoconto delle concezioni di un autore anonimo (probabilmente Ippocrate).

Per quel che invece riguarda Galeno, il suo atteggiamento nei confronti della tradizione medica è nell'insieme molto ricettivo; egli rispetta l'autorità 'degli antichi' e spesso incoraggia i suoi lettori o i suoi allievi a studiare i loro scritti. Il suo giudizio è sfumato e si differenzia in relazione alle diverse aree della medicina, mentre il suo rispetto per l'autorità non gli impedisce il dissenso o anche la critica. Egli assegna una primaria autorità a Ippocrate e a Platone (anche se la sua versione della medicina ippocratica è molto peculiare). Aristotele è particolarmente apprezzato per il suo contributo alla logica, per la sua filosofia della scienza e per le sue concezioni teleologiche sulle parti del corpo; sia Aristotele sia Teofrasto sono invocati in materia di fisiologia elementare. Anche Diocle e Prassagora sono presi in considerazione, sebbene spesso siano semplicemente menzionati più come nomi famosi che come autori distinti con una loro propria identità. Erofilo è un'autorità in materia di anatomia e di studio del battito cardiaco; Erasistrato e Asclepiade sono presentati in modo molto sfavorevole: il primo per colpa delle sue concezioni fisiologiche e del suo rifiuto dogmatico del salasso, il secondo a causa delle sue concezioni materialiste e atomiste.

Galeno si occupa in modo esteso anche dei dibattiti tra le sette sulla natura della conoscenza medica, e rappresenta sotto forma di dibattito, nel suo De sectis ad eos qui introducuntur, le posizioni delle varie scuole di pensiero. Anche se molto ricettivo nei confronti della tradizione ippocratico-aristotelica 'dogmatica' della fisiologia elementare e umorale, egli tratta ampiamente anche l'empirismo e spesso sottolinea il primato dell'osservazione empirica sulla speculazione teorica. Il suo atteggiamento nei confronti dei metodici è invece molto più critico; egli rifiuta il loro apparato teorico e le loro idee riguardo alla terapia, rimproverandoli per il loro atteggiamento arrogante nei confronti della tradizione.

Galeno non scrisse lui stesso opere dossografiche o storiografiche (il trattato De historia philosophica che gli è attribuito è spurio). Tuttavia, scrisse ampi commentari alle opere di Ippocrate ed era consapevole dei problemi relativi alla paternità dell'opera; nella sua visione della storia passata della propria materia mostra inoltre una chiara consapevolezza della dimensione cronologica e dei problemi di periodizzazione. Spesso descrive lo sviluppo di un particolare argomento e valuta i contributi di singoli filosofi e medici; così, nel Libro II della sua opera Anatomicae administrationes, offre una breve esposizione dell'antica storia dell'anatomia, in cui ritrae tale materia come un'arte che consisteva, nella sua più antica fase ippocratica, in un'abilità manuale trasmessa da una generazione all'altra, che cadde però in declino nel momento in cui si estese al di fuori dei circoli degli asclepiadi. Questo rese necessaria la codificazione della conoscenza anatomica nella forma di trattati letterari (syngrámmata), e si riporta che Diocle sia stato il primo a produrne uno. Tuttavia, commenta Galeno, queste opere, in quanto isolavano l'anatomia come materia separata, non furono in grado di descrivere la struttura del corpo in modo da tenere presente anche il suo essere finalizzato, ed egli critica spesso Aristotele e Diocle per la mancanza di precisione nelle descrizioni anatomiche.

Galeno fornisce anche diversi esempi di quello che può essere chiamato un uso 'dialettico' della dossografia, per esempio nella sua opera De usu respirationis. Il testo si apre con la questione dello scopo della respirazione; egli distingue diverse posizioni assunte da autori precedenti e le riordina in due gruppi, riflettendo sulle ragioni che possono averli indotti ad adottare queste posizioni, indicando i pericoli insiti in esse e confrontandoli con l'evidenza empirica. Una delle sue opere più importanti è il De placitis Hippocratis et Platonis. Essa affronta la questione del luogo ove risiede l'intelletto (la "parte reggente dell'anima"); Galeno argomenta contro la posizione stoica e aristotelica che situa l'intelletto nel cuore e difende la concezione encefalocentrica che si trova in Platone e che egli attribuisce anche a Ippocrate. L'opera abbonda di citazioni e di interpretazioni relative a una varietà di fonti, e riflette una visione sofisticata della storia dell'argomento e una concezione precisa e articolata dei differenti gradi di autorevolezza.

Una fase finale nello sviluppo dell'antica storiografia medica è rappresentata dalle grandi enciclopedie create da Oribasio, Aezio di Amida e Paolo d'Egina, nelle quali le grandi opere del passato sono citate, riunite in compilazioni o riassunte, in modo da conservare ciò che è considerato più apprezzabile. In Oribasio, sono ancora menzionati i nomi degli autori illustri, in Aezio di Amida e in Paolo queste identificazioni sono scomparse e il materiale della tradizione è presentato come semplicemente autorevole di per sé.

Matematica e meccanica

Nella matematica e nella meccanica una consapevolezza storica emerge da alcune prefazioni a trattati di tipo tecnico (come quello di Filone di Bisanzio sulle macchine belliche da lancio quali baliste, ecc., e quello di Erone di Alessandria sulla pneumatica), da riferimenti occasionali ad autori del passato (per es., i riferimenti di Archimede a Eudosso, quelli di Pappo a Erone e ad Archimede) o da resoconti di trattazioni precedenti relative a un particolare problema (per es., la descrizione di Eratostene, così come è riportata da Eutocio, del problema della duplicazione del cubo). Non è sopravvissuta nessuna tradizione dossografica paragonabile a quelle che riguardano la fisica e la medicina. Della storia della matematica di Eudemo possediamo solamente pochi frammenti, anche se si pensa che la seconda introduzione di Proclo ai suoi In primum Euclidis elementorum librum commentarii sia derivata almeno in parte dal lavoro di Eudemo. Proclo afferma che la geometria fu scoperta in Egitto, nascendo dalla necessità di rimisurare i terreni dopo ogni inondazione del Nilo, e che essa fu introdotta in Grecia da Talete in seguito alla sua visita in Egitto. Contrariamente alle osservazioni di Aristotele nella Metafisica, Proclo esprime l'idea che essa ebbe origine da una necessità pratica ma si sviluppò fino a divenire una scienza astratta, evolvendosi in tal modo "dall'imperfetto al perfetto"; egli traccia inoltre un paragone con l'aritmetica, che fu scoperta dai Fenici avendo origine dalle loro attività commerciali. Di Pitagora è detto che trasformò la geometria in un'"arte liberale" e collegò i suoi principî primi alle "idee ultime"; quindi varie altre scoperte e sviluppi nella materia sono attribuiti a diversi autori (la maggior parte dei quali non sono attestati altrove). L'Accademia di Platone è individuata da Proclo come centro di attività in campo matematico, e il punto massimo di questo sviluppo è rappresentato da Euclide.

Biografie

Un ultimo cenno va fatto alla biografia. Anche in questo caso, sembra che il Liceo sia stato la culla di gran parte dell'approccio biografico alla filosofia e alla scienza (nonché alla storia letteraria), con Aristosseno di Taranto che spicca per le sue Vite (su autori come Pitagora, Platone, Socrate e altri), un'opera della quale restano soltanto alcuni frammenti (Die Schule, II, frr. 11-68). Anche in questo ambito il materiale sopravvissuto nel tempo è più ricco nell'area della filosofia in generale, e Diogene Laerzio rappresenta la fonte più rilevante; ciò si è verificato probabilmente perché una delle principali ragioni per cui si scrivevano biografie di filosofi era quella di poter trattare il tema della coerenza tra vita e dottrina, che era naturalmente assai più rilevante nel caso della filosofia morale che nel caso della scienza. Ciò spiega d'altra parte anche lo sviluppo di una considerevole tradizione biografica in campo medico, dove gli aspetti morali dovevano essere connessi con la personalità e il comportamento dei medici più illustri. Così l'integrità morale di Ippocrate e le virtù attribuitegli di philanthrōpía e cháris erano ritratte in racconti biografici, o perfino agiografici, riguardanti la sua attività di guaritore e la sua reazione sdegnosa di fronte alle offerte di denaro da parte del re di Persia. In relazione a questo merita di essere ricordato il gene-re delle lettere e dei discorsi pseudoepigrafici attribuiti a Ippocrate e ad altri autori in campo medico. Benché chiaramente spuri e fantasiosi, questi potrebbero continuare a essere definiti 'storiografici' in due sensi: le lettere in quanto tali forniscono una descrizione ipotetica di aspetti o di parti della storia della medicina (come, per es., la lettera 17 di Ippocrate che descrive il suo incontro con Democrito) e, in secondo luogo, esse costituiscono finti documenti storici che danno luogo a un 'racconto in lettere'. Così, le lettere ippocratiche 10-17 sono state considerate piuttosto come un 'romanzo epistolare'; gli storici moderni della medicina antica hanno da tempo abbandonato l'idea che questi testi possiedano un qualche valore storico come documenti relativi alla vita e alle attività di Ippocrate; chiaramente non sono testi suoi e non è nemmeno certo che siano stati scritti da medici che avevano avuto a che fare con la scuola ippocratica, anche se si tratta di testimonianze sulla reputazione di Ippocrate e sulla mitologia e l'agiografia che lo circondavano nella Tarda Antichità.

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