CHIARAMONTI, Scipione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHIARAMONTI, Scipione

Gino Benzoni

Nacque a Cesena, il 21 giugno 1565, da Chiaramonte e Polissena.

Nobile e ricca famiglia quella paterna, originaria, si diceva, di Clermont e trasferitasi di lì ancora nel sec. XIV, essa darà alla Chiesa, con Pio VII, un papa; medico il padre, il C. lo vanterà "di gran celebrità, in tutte le parti di medicina grande, ma nel prognostico mirabile". Quanto al C., le favorevoli condizioni familiari gli permisero di dedicarsi con agio a studi pacati, lontani dall'urgenza d'un'immediata utilizzazione pratica: "ego sum autodidactos - così un'autopresentazione non priva di civetteria -, praeterquam in grammatica, in omni scientia".

Distintosi nel pubblico Studio cesenate come l'"eruditissimus et doctissimus iuvenis" che fornì al concittadino Iacopo Mazzoni (la cui morte gli ispirerà delle commosse Lacrymae in esametri latini) un'ammirata "Aristotelis defensionem" l'esordio, alla luce delle successive vicende, pare già collocarlo nel solco dell'aristotelismo più intransigente e chiuso. E, in effetti, il C. ne sarà un ostinato assertore, traendone stimolo per la sua lunga battaglia culturale di retroguardia, nella quale sciupò - lamenta il Favaro che lo definisce "il più accanito ed il più molesto" oppositore di Galileo - "le belle doti" d'ingegno di cui "era largamente fornito". Ancor più severo con lui il Targioni Tozzetti: "non mancò... di contribuire quanto poté alla rovina di Galileo, non con altro fine che di sfogare la sua invidia professorale". E il Montucla, lo storico settecentesco delle matematiche, addirittura lo bolla come ingombrante pietra d'inciampo al luminoso cammino della scienza tout court: "opprobre des siècles philosophiques et qui semble n'avoir joui d'une vie très longue que pour retarder, autant qu'il étoit en lui, le progrès des nouvelles découvertes".

Sposatosi, ancora nel 1588, con Virginia degli Abbati, che gli darà ben dodici figli (di cui almeno sette maschi), e conclusi, senza fretta, gli studi con la laurea in filosofia conseguita, nel 1592, a Ferrara, il C. ebbe la ventura di farsi apprezzare come "molto intendente delle matematiche" da Galileo, di passaggio, sempre nel 1592, per Cesena alla volta di Pesaro. A Faenza per breve tempo, vi ultima, il 6genn. 1598, una scrittura relativa al Quesito proposto dal signor Martio Colonna,come da una data balla si venghi in cognitione del pezzo a cui serva sì nelle colubrine come nei cannoni. E indubbiamente comincia a godere d'un certo credito, ché, nel 1601, viene assunto, con lo stipendio annuo di 340 scudi, quale "interpres naturalis philosophiae ad peruginam academiam" dai tre "moderatores vulgo sapientes appellati". Alle dipendenze quindi, colla retribuzione annua di 400 ducatoni, del cardinale Alessandro d'Este, fu pel C... trascorsi due anni, cocente umiliazione il negato rinnovo della "entratura libera nella camera"; irremovibile il cardinale nel sostenere che andava concessa ai "servitori quando e quanto le paresse". Miglior stima di lui ebbe, invece, il duca Cesare di cui fu matematico e consigliere e che volle presso di sé come paggi due suoi figli, Virginio e Niccolò; accolse inoltre il suggerimento del C. d'istituire a Modena un'accademia, della quale desiderò fosse membro tra i più illustri. E il C. - che nel frattempo pare sia stato anche al servizio del cardinale Cinzio Aldobrandini e che aveva, all'incirca tra il 1610 e il 1614, già composto un trattato Delle scene e teatri.... (uscito, postumo, a Cesena nel 1675, costituisce una sorta di summa divulgativa in fatto di prospettiva e scenografia teatrale, quasi sussidio integrativo rispetto ai Perspectivae libri sex, Pisauri 1600, di Guidobaldo del Monte), uno dei testi più interessanti, nel suo oscillare tra ambizioni teoriche e intenti operativi, della scenotecnica barocca - espresse al duca la sua riconoscenza dedicandogli il Discorso della cometa pogonare dell'anno MDCXVIII... (Venetia 1619).

In questo, che è la sua prima opera a stampa, espone l'opinione, alla quale rimarrà pervicacemente avvinghiato e che ribadirà con accanimento, "essere le comete di sostanza elementare". Non v'era, "contra quelli che la fanno di celeste", altra soluzione accettabile per chi, come il C., non era disposto a deroghe sull'ingenerabilità e incorruttibilità dei cieli; donde la deduzione, di cui il C. volle essere, con accigliata sicumera, intransigente enunciatore e rumoroso banditore, che le cosiddette stelle nuove e le comete erano fenomeni sublunari. "Nimio ardore tuendae aristoteleae antiquaeque de caeli incorruptibilitato sententiae invectus" dirà il Gassendi del C., che, peraltro, riverirà come "virum illustrem" dichiarandosi "imparem" nel suoi confronti. Né si trattava solo di difendere dagli oltraggi la purezza virginea del cielo aristotelico; andava sventata l'aggressione al sistema tolemaico che poteva muovere proprio da un'utilizzazione delle comete quale ulteriore puntello del moto annuo della Terra attorno al Sole. Abbattutasi sul copernicanesimo la condanna ecclesiastica del 1616, restava, pericoloso cavallo di Troia di visioni eversive, il sistema ticonico, proposta subdolamente compromissoria all'ombra della quale parevano occultarsi i transfughi coatti del primo.

Perciò il C., restauratore dell'ortodossia tolemaica, scende ancora una volta in campo con l'Antitycho... in quo contra Tychonem Brahe et nonnullos alios - e tra questi il padre Orazio Grassi è uno dei bersagli principali essendo dedicati ben 10 capitoli dei 65 dell'opera alla sua confutazione - rationibus eorum ex opticis et geometricis principis solutis,demonstratur cometas esse sublunares,non coelestes (Venetiis 1621). Un argomentare vigoroso, dirà il Simplicio galileiano, grazie al quale i "moderni astronomi" inclini a "far celesti le comete" venivano "convinti con le loro medesime armi... per via di paralassi" - da ricordare che il Brahe proprio dal rapporto tra parallasse lunare e cometaria deduceva essere le comete superiori al cielo lunare - e "di calcoli rigirati in cento modi, concludendo finalmente a favor d'Aristotele che tutte sono elementari".

Lo scritto non spiacque in un primo momento a Galilei (questi doveva avere una buona opinione del C. se, ancora nel 1613, aveva suggerito di ricorrere a lui in merito all'opportunità dell'acquisto d'un "orologio sferico" colle "hore in ogni parte del mondo" proposto al granduca da un canonico cesenate), che, pur rilevandone con Mario Guiducci le "debolezze", lo ricorda positivamente nel Saggiatore, probabilmente fuorviato da una troppo rapida e distratta scorsa - ammesso ci sia stata, ché non è da escludere non abbia potuto avere subito il testo tra le mani - che l'aveva indotto a ritenere trattarsi d'una non inutile confutazione di Brahe mossa da premesse copernicane. Immediatamente drastico, invece, nella serrata demolizione fu Keplero, la cui amicizia con Galilei fu momentaneamente turbata dall'eccessiva benevolenza accordata, sia pure per poco, da questo all'opinione del C., sulle comete. "Certat audacia cum futilitate" asserisce deciso in una lettera del 9 sett. 1624, quasi a sintesi del severo Tychonis Brahei Hyperaspites adversus... Claramontii... Anti-Tychonem... (Francofurti 1625), ove impietosamente sono evidenziati i grossolani errori del C.; solo che, mentre Galilei, una volta letta l'opera, la tratterà con sarcasmo nel Dialogo sopra i... sistemi, Keplero parrà pentirsi della sua aggressività quando apprende che il C. era persona d'un certo prestigio sociale: "nescivi - quasi si scusa in una lettera del 24 febbr. 1628 - ...senatorem, legatum, legislatorem esse, putavi iuvenculum esse hominem".

Nel frattempo il C. pubblica una sua incursione nel mondo della fisiognomica col trattato, ultimato nell'ottobre del 1620, De coniectandis cuiusque moribus et latitantibus animi affectibus σημειωτικὴ moralis seu de signis (che esce a Venezia e, godendo evidentemente di qualche stima, di nuovo, a Helmstadt nel 1665, a cura di Hermann Conring che riporta l'elogio del C. contenuto in una lettera del 1º luglio 1625 dello Zuccolo all'arcivescovo di Palermo e viceré di Sicilia cardinale Doria, a Lipsia nel 1667 e a Lione nel 1704), d'un certo interesse pel nesso tra indole degli abitanti e clima (San Marino, ad esempio, è "locus saluberrimus" che "ad iustam mediocritatem adducit"); lo scritto, che non sfuggirà al La Chambre (l'autore de l'Art de connoistre les hommes... e de Les charactères des passions...), voleva essere la prima parte d'una sistematica ampia trattazione De morali disciplina, peraltro non realizzata, ché sarà seguito soltanto da un opuscolo complementare De atra bile quod mores attinet libritres, uscito a Parigi nel 1641 per interessamento del Naudè, amico ed entusiasta ammiratore del C., al quale, facendogli credito d'una "maxima prorsus incredibilis doctrina", si rivolge come a "philosopho ac mathematico celeberrimo". Non per questo lascia cadere il polemico attacco di Keplero, donde la replica, saccente e prolissa, dell'Apologia pro Antitychone suo adversus Hyperaspitem... Confirmatur.... rationibus ex parallaxi praesertim ductis,contrariisque omnibus reiectis,cometas sublunares esse,non coelestes (Venetiis 1626). E ribadisce la sua "ridicolosa ed impossibile" opinione, a detta del Castelli, che Galilei vanifica in una lettera al Marsili ("snerva tutto quello che egli scrive in materia delle comete e delle stelle" concorda quest'ultimo), coi De tribusnovis stellis quae... 1572,1600,1604 comparuere libri tres,in quibus demonstratur,rationibus ex parallaxi praesertim ductis,stellas eas fuisse sublunares et non caelestesadversus Tychonem,Gemmam,Mestlinum,Digesseum,Santucium,Keplerum aliosqueplures quorum rationes in contrarium solvuntur (Caesenae 1628).

Era troppo: "peripateticuccio freddo e scipito" meritevole d'una "buona ripassata" esplode, sprezzante, il Guiducci. Ciò non toglie che il C., ammanigliatissimo col mondo ecclesiastico (e risulta addirittura consultore del S. Uffizio di Cesena, quando, l'8 ott. 1626 approva la stampa dei Discorsi politici, Cesena 1627, di Giovanni Andrea Salice), potesse giocare una parte d'un certo rilievo. Ben accetto negli ambienti più chiusi ai nuovi indirizzi e più preoccupati delle loro conseguenze, erano molti, a Roma, tra i suoi fautori, i "personaggi principalissimi"; e, tra i suoi più fervidi "parziali", più di tutti si sbracciava il cardinal Scipione Cobellucci, convinto d'aver trovato nel C. il più qualificato restauratore delle minacciate certezze. Andava dicendo, riferisce il Guiducci a Galilei, che forse il C. "potrebbe deciferare questo negozio del moto della terra in favore di Tolomeo", rabberciando la scricchiolante impalcatura aristotelica. Sperava, infatti, "d'aver per suo mezzo a veder Aristotele rimesso nel suo primo ius di definire a suo modo le questioni naturali, senza che nessuno abbia da ardire di opporsi alle sue sentenze". Eloquenti suoneranno in tal senso i roboanti versi di Pier Francesco Minozzi, che conferisce al C., "Aristotele de' nostri tempi", una statura gigantesca: "Aquila più lincea d'occhio linceo / vinse la luce, e de la terra il moto / fermò con l'invincibile Liceo. / E sol per meraviglia il sole immoto / del Chiaramonti a lo splendor cedeo / e divenne d'un huomo il ciel devoto".

"Buon filosofo et buon mathematico et anco ornato di varia et bella eruditione" l'aveva definito, con maggior senso della misura, monsignor Girolamo Sommaja, provveditor generale dello Studio pisano, nel proporlo per "la lettura primaria di filosofia", alla quale il C. veniva eletto, nel 1627, con lo stipendio di 700 ducati annui. Docente, suo malgrado (avrebbe voluto passare, nel 1629 nella più prestigiosa Bologna ad insegnarvi matematica, ma incontrò forti opposizioni specie da parte di Cesare Marsili venendo giudicato "tanto nemico degli astronomi"), a Pisa sino al 1636, salvo l'interruzione del 1631 quando preferì, per la peste, rimanere a Cesena (e qui fonda, in casa sua, il 6 febbr. 1631, l'Accademia degli Offuscati, della quale fu principe e legisiatore), le sue lezioni non suscitarono grande eco. Nella relazione, dell'autunno del 1632, nella quale il provveditor generale propone la sua ricondotta, che gli fu concessa con l'aumento di 50scudi, si insiste sulla sua "indicibile bontà", si ribadisce la sua "molta e varia eruditione", si ricorda il suo "gran nome nella filosofia e matematica"; ma si deve riconoscere che "nelle attioni pubbliche", le dispute circolari, cioè, allora in uso nelle università, "ha poca attitudine".

L'uscita, intanto, del Dialogo sopra i due massimi sistemi, nel 1632 in italiano e nel 1635 in latino, reca un duro colpo alla credibilità scientifica del C., nella quale solo uno "scempio" (tale lo dirà lo stesso C.) come Simplicio può confidare. "Gran filosofo e matematico insieme" lo esalta infatti questi, garbatamente ma fermamente rimbeccato dal Salviati che accusa di scarsa serietà l'Antitycho (il C. vi accomoda "a suo modo" e spaccia "per fallaci" le "osservazioni" restie "al suo disegno") e gli oppone l'incontrovertibile presenza delle macchie solari, giunte, del tutto "importune", ad "intorbidare il cielo e, peggio ancora, "la peripatetica filosofia". Certo il C. esce malconcio dal Dialogo, vi appare ridicolo e presuntuoso: "con troppo scarsa provisione d'arme - così ancora il Salviati - s'è legato questo autore contro a gl'impugnatori della inalterabilità del cielo e con troppo fragili catene ha tentato di ritirar dalle regioni altissime la stella nuova di Cassiopea in queste basse e elementari". Immediata, e anch'essa in italiano e in forma dialogica, la replica del C., con la Difesa... al suo Antiticone e libro delle tre... stelle dall'oppositioni dell'autore de' due massimi sistemi..., nella quale si sostiene che la nuova stella del 72 non fu celeste,si difende Aristotile ne' suoi principali dogmi del cielo,si rifiutano i principii della nuova filosofia e l'addotto in difesa e prova del sistema copernicano (Firenze 1633). Screditata ancor prima di circolare - il C., dice il Castelli, è un "povero vecchio", dal cui cervello non possono uscire che "vanità e debolezze"; è "escremento di humor melancolico" aggiunge Niccolò Aggiunti -, lo diventa ancor di più una volta conosciuta: "materia di riso e di sdegno" per Antonio Nardi; "insipida pedanteria" pel Guiducci; "balordaggine", "palpabil castroneria", "porcheriola" per l'Aggiunti; "presontione" pel Micanzio; è tale, secondo Raffaele Magiotti, che "dall'ugna si conosce la gran bestia". Ma, tuttavia, il momento particolarmente critico per Galilei - in cui, corazzata dalla dedica al cardinale Francesco Barberini, vede la luce l'opera del C. - rende la Difesa insidiosa: "alcuni - rilevava Galilei, impossibilitato ad una controreplica pubblica, in una lettera del 25 luglio 1634 ad Elia Diodoti - vedendosi un larghissimo campo di potere, senza pericolo, prevalersi dell'adulazione per augumento de' propri interessi, si sono lasciati tirare a scrivere cose che, fuori dalle presenti occasioni, sarebbono facilmente reputate... esorbitanti... temerarie".

Pedante e borioso polemista di retroguardia, rimasticatore attardato dei cascami d'una plurisecolare e ormai esangue rilettura d'Aristotele funzionalizzata al bisogno di ribadite certezze, puntellate di citazioni e rinvii testuali, abbarbicato ad un ordine cosmico messo in crisi dall'approccio d'una indagine prescindente dalle spesse cortine delle incrostazioni bibliografiche, il C. ha avuto la sfortuna d'essere un contemporaneo di Galilei; e rispetto alle esigenze espresse e realizzate dalla fulgida figura di questo, appare sprovveduto e plumbeo epigono d'una cultura pateticamente riluttante a staccarsi dai vecchi testi per affrontare, con altri strumenti, l'avventurosa lettura del "libro della filosofia... che perpetuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi". Egli nega, per dirla col Salviati galileiano, cocciuto, "tutte l'esperienze e tutte l'osservazioni del mondo"; questo è "come scrisse Aristotele e non come vuole la natura". Illusioni del telescopio, pertanto, per lui, le macchie solari: "senza dubbio - ebbe, infatti, a scrivere - a volere... trattare delle macchie solari" e, anche, di Saturno tricorporeo, dei satelliti di Giove e delle gibbosità lunari, "bisognerebbe trattar del canocchiale e dimostrar la cagione delle apparenze... da lui somministrate". Ma sarebbe ingiusto infierire sul C., uscito distrutto (non al punto però che anche nel tardo Seicento non ci sia chi, come il Garuffi, non si ostini e chiamarlo "principe de' matematici de' suoi tempi") dallo schiacciante raffronto - da lui peraltro voluto - con Galilei e con Keplero, dimenticando i suoi meriti di trattatista politico cui probabilmente alludeva lo Zuccolo, che al C. intitola un suo dialogo, dicendosi incerto "se... sia vivuto... tra i libri e con le muse o pure nelle corti regie".

In effetti la sua opera Della ragion di Stato..., nel qual trattato da' primi principii dedotto si scuoprono appieno la natura,le massime e le specie de' governi buoni e de' cattivi e mascherati (Fiorenza 1635), stesa, forse, durante gli anni del soporifero magistero pisano, in tre libri dedicati, rispettivamente, al "giusto di Stato", all'"utile di Stato" e a precisazioni definitorie in polemica con Botero Ammirato Bonaventura e Frachetta, ha un indubbio rilievo nella fitta trattatistica, avviata e stimolata da Botero, da un lato preoccupata di superare, in qualche modo, la frattura tra politica e morale, dall'altro attenta a cogliere la complessa realtà dello Stato in una considerazione allargata ai problemi specifici connessi col suo funzionamento e sensibile, altresì, all'esigenza di delimitare l'ambito del potere opponendo ai suoi paventati arbitri il necessario rispetto del "vivere civile".

Agevolato dall'abitudine e dall'attitudine alla diligente consultazione e interpretazione dei testi (l'argomento lo salva, diversamente che nelle polemiche astronomiche, dalla chiosa cavillosa), il C. argomenta non senza sottigliezza e con acuta sensibilità terminologica, percepibile anzitutto nella discussione delle varie accezioni di "Stato", nella cui polivalenza ed equivocità s'addentra con sicurezza, scartando subito l'equivalenza boteriana fra "Stato" e "dominio". Al solito Aristotele gli è di bussola, ma non esclusiva; si colgono pure gli echi d'una meditata lettura, peraltro non dichiarata, dello Zuccolo e del Settala. Tesi centrale del libro il rifiuto d'un'unica ragion di Stato, laddove invece ne esistono di molteplici, non racchiudibili in una definizione onnicomprensiva. E, assieme, v'è tutta una serie di spunti (la distinzione dei tributi in reali personali e misti; la differenza tra ricchezze naturali e artificiali; i benefici del commercio; le asserzioni antiassolutistiche, come la ripulsa del "pestifero fondamento" del concetto di "princeps legibus solutus", indicativo d'un'adesione al dottrinarismo politico della Controriforma) e di prese di posizione (l'esistenza dei governi misti di contro alle negazioni bodiniane; le molte e autonome critiche al Botero) che lo fanno non solo il meno meritevole di dimenticanza fra i tanti troppi scritti del C., ma anche uno dei più individuati nell'eccessivamente prolifico filone postboteriano.

Lasciata Pisa nel 1636 e sfumata l'ipotesi d'una cattedra a Padova (il C. avrebbe voluto ottenerla senza mettersi "in concorso con altri" e con lo stipendio superiore a 600 zecchini annui), egli trascorre i suoi ultimi anni nella natia Cesena. "Scipio siderei Clarus cognomine Montis /in propria mavult delituisse domo", commenta Agostino Coltellini. Lo assorbe, dapprima, l'illustrazione degli "illustria facta" della città, già ultimata, forse, alla fine del 1638 ché, il 17 novembre, il municipio l'omaggia con un pubblico e solenne encomio per questa sua ponderosa fatica. Si tratta della Caesenae historia... ab initio civitatis ad haec tempora in qua totius interdum Italiae universae fere semper provinciae communis status describitur, che esce a Cesena nel 1641 (e ne esiste alla Malatestiana una traduzione italiana, incompleta, manoscritta, dovuta a Gioseff'Antonio Aldini), ristampata, in un'"editio... ab innumeris naevis purgata indiceque meliori aucta" nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae (a cura di I. G. Graeve, VII, 2, Lugduni Batavorum 1722).

Viziata da un poco controllato orgoglio municipale, per cui, ad esempio, la città è data come capitale dei Senoni e da una troppo credula e indiscriminata accettazione di leggende e miracoli, l'opera ha, tuttavia, il pregio d'una gran ricchezza di dati e notizie tratti, sia pure alla rinfusa, da varie cronache locali, alcune delle quali sono andate poi smarrite. Un'eccessiva fretta di stesura e il troppo spazio dedicato alle origini e ai primi tempi hanno, purtroppo, sacrificato la parte di per sé più sostanziosa, quella dell'epoca malatestiana e del Valentino.Tuttavia le ricerche di storia cittadina, le incombenze attinenti alla prediletta Accademia degli Offuscati, la partecipazione alla vita pubblica coi relativi incarichi e missioni a Ravenna, a Roma e in altri luoghi, gli acciacchi derivanti dall'età ormai avanzata non indussero il C. a desistere dal riproporsi come scienziato - "grand philosophe et mathématicien" lo lusinga il Naudé, usando, inconsapevole, della stessa definizione di Simplicio - e dal ribadire il suo credo peripatetico, prendendosela, pure, con peripatetici devianti, a suo avviso, dalla completa ortodossia. Non pago d'aver aggredito lo scomparso Ticone, d'aver battagliato con Keplero e Galilei, s'impelaga in un'acida disputa con Giovanni Camillo Gloriosi, il quale, a proposito della "differentia" tra loro intercorrente, aveva lapidariamente rilevato come il C. "Aristoteli est addictus, ego autem, nemini".

Offesissimo il C. gli scagliò contro l'Examen censurae Gloriosi in librum de tribus novis stellis... Claramontii (Florentiae 1636), venendo immediatamente rintuzzato dall'avversario colla Castigatio examinis... Claramontii in secundam decadem... Gloriosi (Neapoli 1637). Riattacca, a sua volta, con la Castigatio... Gloriosi... castigata... (Caesenae 1638), senza per questo chiudere la controversia ché il Gloriosi la ravvivò con una Responsio... (Neapoli 1641), rispetto alla quale il C., pur essendo morto l'autore, volle avere l'ultima parola tornando sull'oggetto del dibattito - la determinazione della nuova stella del 1572 e le conclusioni del Gloriosi sulle comete del 1618 - in una quindicina di pagine dell'Opus... de universo (Coloniae Agrippinae 1644), riepilogo dei suoi argomenti contro i novatori e trattazione riassuntiva attorno al cielo, i corpi celesti, i quattro elementi.

Del pari prolungato e acrimonioso il dissenso tra il C. e Fortunio Liceti, di cui rimane traccia anche nel carteggio di Galilei che, richiesto dal secondo, dovette esprimere un parere; ed egli, pur riconoscendo al Liceti un'estesa conoscenza d'Aristotele, non riuscì a celare la sua diffidenza nei confronti di dispute condotte a suon d'Aristotele, mentre, ribadiva, "il libro della filosofia" è "perpetuamente aperto", "scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto".

Aveva mosso l'attacco per primo il C. (sarcastico Bonaventura Cavalieri osserva, in una lettera del 28 dic. 1638 a Galilei, che, "doppo credere di havere abbatuti tutti gl'astronomi, non avanzandoli altri viene hora alle mani con i peripatetici; onde aspetto che presto, non havendo con chi combattere, venga, qual valoroso Ruzante, anco alle mani con se stesso"), quando, nel Libellus apologeticus (che risale al 1624 e che figura come terzo nei De sede sublunari cometarum opuscula tria in supplementum Anti-Tychonis cedentia..., Amstelodami 1636), rimproverò il Liceti d'essersi "indegnamente" - così il Cavalieri nella citata lettera a Galilei - accinto "a voler conciliare gl'astronomi che mettono le comete sopra la luna con Aristotele o a difendere le parti di Aristotele in... astronomia e matematica, là dove, non essendo... matematico, non havea da farlo". Il redarguito ribatte con un'operetta in forma di dialogo, De regulari motu minimaque parallaxi cometarum coelestium... (Utini 1640), ove il C. stesso è uno dei tre interlocutori, e più polemicamente con un'altra De Terra unico centro motus singularum coeli particularum... (ibid. 1640); risponde il C. con la Defensio... ab oppugnationibus... Liceti (Caesenae 1644), subito criticata dal Liceti nel De anulis antiquis... (Utini 1644), cui il C. replica nei De sede cometarum et novorum phaenomenorum libri duo... (Forolivii 1648), il primo contro il gesuita Nicolò Cabeo reo d'essersi espresso diversamente dal C. nel suo In quatuor libros meteorologicorum Aristotelis commentaria et quaestiones (Romae 1646), il secondo, appunto, contro il Liceto. E nella contesa tra i due dirà la sua anche il figlio del C. Simone (l'autore del poema eroico Li santi martiri d'Egea Cosmo e Damiano, Cesena 1648 e del De Rubicone antiquo, Caesenae 1643, riprodotto anche in Thesaurus antiquitatum... Italiae, VII, 2) con Cesena trionfante. Tenzone apologetica per le contradizioni di... Liceto..., uscita postuma a Cesena nel 1661 e in veste latina nel Thesaurus... (VII, 2), nella quale difende l'opera storica paterna, ché il Liceti se n'era discostato compilando una Prourbis Caesenae antiquitate apologia (pure questa in Thesaurus..., VII, 2).

Prolifico, prolisso il C. non si esaurisce nelle occasioni di scrittura offertegli dalle polemiche dirette. Si cimenta anche in trattazioni sistematiche come i De methodo ad doctrinam spectante libri quattuor,in quibus tum controversiae omnes de ordine et methodis inter graves philosophos cogitatae singillatim discutiantur,tum novae praxes traduntur ex Aristotelis penetralibus erutae,quae certum exhibent inventarum doctrinarum iudicium et additum aperiunt ad novas inveniendas (Caesenae 1639) riaffermanti la validità dell'indisturbato procedere del sillogismo non scalfito dagli stimoli dell'investigazione diretta, e la Philosophia naturalis methodo resolutiva tradita de principiis et communibus affectionibus rerum naturalium... (Caesenae 1652, e, di nuovo, Venetiis 1668), analitica esposizione del moto e delle sue specie, soprattutto di quella locale, placidamente sorda rispetto alle pagine galileiane "intorno a due nuove scienze". E il C. volle nuovamente e ingenerosamente - cogliendo il pretesto dell'uscita in veste anonima (l'autore, comunque, è Ismael Boulliau) di Philolai sive dissertationes de vero systemate mundi libri quattuor (Amstelodami 1639) - attaccare Galilei coll'Antiphilolaus ..., in quo Philolao redivivo de motu Terrae et Solis ac fixarum repugnatur,rationesque eius,quas ipse pro demonstrationibus affert, fallaces deteguntur. Insuper positio eadem de re Copernici confutatur et Galilaei defensiones reiiciuntur (Caesenae 1643).

Balza, tra i tanti argomenti, quello decisivo della impossibilità d'assegnare alla Terra la qualifica di primo mobile ché, in tal caso, si preoccupa di spiegare il C., "herebit illi primus motus et, sicut anima praesertim in corde animalis residet, primus motor residebit in Terrae centro", proprio laddove la "comunissima piorum ac fidelium sententia" situa, invece, l'inferno. Quanto al Boulliau scrisse al Marsenne il 19 dic. 1644: "i'ay esté estonné de ce qu'il allegue contre moi une bulle dont iamais on n'a ouy parler en France, que... les nonces... n'ont point signifiée a... nos prelats ny a la faculté de theologie".

Cavillosissimo nell'esposizione, iperbolico nella conclusione il De altitudine Caucasi liber unus, consegnato al Naudé nel 1646 e da questo pubblicato a Parigi nel 1649, servì pure, assieme ad altri quattro scritti del C., De phasibus Lunae,De horizonte..., De usu speculi pro libella..., Ex inspectione imaginis subiecti per reflexionem ex aqua quiescente in vase investigare quanta sit diameter Terrae a formare la raccolta postuma d'Opuscula varia mathematica... (Bononiae 1653). Atto d'omaggio all'idolatrato Aristotele, infine, i due Commentaria, rispettivamente in Aristotelem de iride,de corona,de pareliis et virgis (Caesenae 1654 e Venetiis 1668) e in quartum metheorum... (Venetiis 1668), già inseriti entrambi nella raccolta di Opera varia del C. (s. l. né d., ma Colonia, senz'altro prima del 1644) che comprendeva pure i De universo libri XVI e i De tribus novis stellis libri III.

Rimasto vedovo nel 1644, il Naudè, che incontrò il C. nel 1646, ne tracciò un piccante schizzo: un C. ottantenne risposato "à une jeune... femme dont il se sent encore fort bien car il est de complexion fort amoureuse; est enim libidinosus et salacissimus". Ritratto d'un vecchio eroticamente attivo che malamente si concilia (a meno che non si supponga sia rimasto rapidamente vedovo una seconda volta; il che comporterebbe, peraltro, un problema di date) con la notizia d'un C. smanioso d'indossare, appena morta la moglie, il saio cappuccino ad imitazione di ben quattro dei suoi figli Chiaramonte, Gregorio, Francesco, Niccolò, tutti, appunto, cappuccini e predicatori. Vivamente sconsigliato dal figlio Niccolò perché i disagi della regola cappuccina erano eccessivi per la sua tarda età, il C. volle comunque lasciare egualmente lo stato laicale: abbandonate le incombenze pratiche, ceduto il seggio senatorio al figlio Giacinto (dottore in legge e lettore nello studio cesenate), si fece, sempre nel 1644, sacerdote, fondando, così il Villarosa, l'istituto dell'Oratorio ed erigendo a proprie spese una chiesa, dedicata a s. Filippo e a s. Cecilia, per gli "esercizi" dell'avviata "congregazione" filippina. "Scelti... pochi compagni", visse con essi in una casa a questa contigua, sempre a detta del Villarosa, "perfettamente a tutti gli obblighi dell'istituto filippino, esercitando il sacramento della penitenza... colla gente più rozza, insegnando i primi rudimenti della fede a' poveri contadini; né sdegnava con le proprie mani spazzar la chiesa". Un C., dunque, immerso in pratiche di devozione e di carità; tale la sua ultimissima immagine.

Morì a Cesena il 3 ottobre 1652.

Dei suoi molti figli, oltre a quelli menzionati, si ricorda pure Virginio, morto, appena ventottenne, nel 1622, che fu uomo d'arme e appassionato di studi matematici. Ma il più noto resta Niccolò divenuto cappuccino col nome di Stefano, commissario apostolico in Svizzera nel 1667, generale dell'Ordine nel 1671-78 e grande di Spagna.

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Storia e testi, a cura di C. Muscetta, V, 1, Bari 1974, p. 269; M. L. Soppelsa, Genesi del metodo galileiano e tramonto dell'aristotelismo nella scuola di Padova, Padova 1974, pp. 26-27, 40, 56-57, 73 s., 78, 95 s., 120; W. R. Shea, La rivoluzione intellett. di Galileo, Firenze 1974, pp. 116 n. 20, 118 n. 25, 186; F. Marotti, Lo spazio scenico, Roma 1974, pp. 7, 51-56, 58 s., 63, tav. VII; Id., Structure de l'espace... dans les représentations... d'après les traités italiens..., in Les fêtes de la Renaissance, III, Paris 1975, pp. 231, 234, 238; Id., Lo spazio... del melodramma, in Venezia e il melodramma nel Seicento, a cura di M. T. Muraro, Firenze 1976, p. 353; Illusione e pratica teatrale... Catalogo della mostra, Vicenza 1975, p. 171; E. Gamba, L'attività scientif. nel ducato di Urbino ..., in Studi urbinati, n. s., XLIX (1975), 2, p. 167; V. Titone, La storiografia dell'illuminismo in Italia, Milano1975, pp. 70-71; G. Benzoni, Gli affanni della cultura, Milano1978, pp. 88, 179; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica..., XI, pp. 135, 165 s.; J. C. Poggendorff, Biogr.-lit. Handwöterbuch zur Geschichte der... Wissenschaften..., I, col. 435; G. Mazzatinti, Inventario dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, XXIX, p. 37 n. 8 (dev'essere senz'altro il C. l'autore del Discorso politico sopra le scritture ... a favore dei ... Venetiani ... contro ... Paolo Quinto, e, allora il "card." va corretto in "cav."); LV, p. 125; P. O. Kristeller, Iter Italicum..., I, pp. 147, 291, 366, 376, 385; II, pp. 455, 456, 561, 563; Enc. dello Spettacolo, III, coll.628-629.

Per l'attribuzione al figlio del C. Simone del De Rubicone... uscito come Dissertatio "Vincentii civis Caesenatis", vedi G. Melzi, Dizionariodi opere anonime e pseudonime..., III, Milano 1859, pp. 224, 401. Su Niccolò, altro figlio del C., divenuto cappuccino col nome di Stefano, oltre alla monografia di Scarpellini sopra ricordata, Bernardo da Bologna, Bibliotheca scriptorum... capuccinorum, Venetiis 1747, p. 234; G. Melzi, Dizionario..., I, Milano 1848, p. 200; Sigismondo da Venezia, Biografia serafica..., Venezia 1856, p. 706; Melchor de Pobladura, Los generales de la orden capuchina grandes de España..., in Collectanea franciscana, XIII (1943), pp. 281-284; Salvatore da Sasso Marconi, La provincia cappuccina di Bologna..., Budrio 1946, pp. 181-226 passim; Donato da San Giovanni in Persiceto, Biblioteca dei... cappuccini della provincia di Bologna..., Budrio1949, pp. 187, 200, 381; P. Carlini, F. M. Casini..., Roma1969, pp. 131 s., 139, 225 s.

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