FIESCHI, Scipione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIESCHI, Scipione

Maristella Cavanna Ciappina

Figlio di Gian Luigi il Vecchio del ramo di Torriglia della potente famiglia ligure e di Caterina Del Carretto dei marchesi del Finale, nacque probabilmente a Genova intorno al 1480, secondo o terzogenito di quattro maschi: con lui, Girolamo, Ottobono, Sinibaldo.

Alla morte di Girolamo, nel 1513, passarono al F. i titoli e le investiture che erano state del padre, essendo il fratello Ottobono ecclesiastico e vescovo di Mondovì e l'altro, Sinibaldo, più giovane. Nel quadro della politica matrimoniale tradizionalmente perseguita dai Fieschi, volta a mantenere saldi legami con le altre famiglie principesche d'Italia, ed in particolare con quelle confinanti coi loro feudi, il F. sposò, nel 1513 o nel 1514, Leonora, primogenita di Alberico Malaspina, marchese di Massa e Carrara. E nel comune progetto di una concentrazione territoriale che unisse senza soluzione di continuità i feudi orientali ed appenninici del F., conte di Lavagna e principe di Valditaro, con la Lunigiana dei marchesi Malaspina, dopo la prematura morte di Leonora senza figli, Alberico ottenne dispensa papale per dare in moglie al F. l'altra figlia, Ricciarda.

La presenza attiva e certa del F. nella vita politica genovese, assai movimentata nei primi vent'anni del sec. XVI da conflitti interni ed esterni (si pensi, nel drammatico quadro italiano di quel ventennio, al succedersi frenetico di dominazioni francesi e milanesi, di fazioni opposte capeggiate dagli Adorno e dai Fregoso, al tentativo di governo popolare e all'esperienza di Paolo da Novi, tra il 1506 e il 1507, e come il padre del F. fino al 1508 fosse stato costantemente protagonista e spesso provocatore di tutti questi eventi) si riduce all'arco di sette anni, che vanno dalla morte di Girolamo (1513) a quella del F. stesso.

Con una certa precauzione dunque, tenendo conto degli anni di formazione culturale e militare che i giovani Fieschi trascorrevano anche fuori Dominio, ma senza trascurare la presenza di dotti umanisti ospiti del mecenatismo di Gian Luigi nel palazzo di via Lata, si può ipotizzare che l'apprendistato militare del F. coincidesse con le spedizioni del padre a Rapallo e a Monaco, rispettivamente nel 1495 e 1497. È comunque certo che, nel marzo 1498, il F. era presente insieme ai fratelli al solenne ingresso di Ludovico il Moro in Genova.

Nel quadro della regale ospitalità che lo straordinario palazzo dei Fieschi in via Lata, sulla collina di Carignano sovrastante le mura della città ed il palazzo pubblico - simbolo visibile ed invidiato della potenza della famiglia - era in grado di offrire, il F. poté incontrare Luigi XII (che dimorò nel palazzo dei Fieschi durante la sua visita a Genova nel 1502) e tutto il suo corteggio di principi e cavalieri. Analogamente, l'anno successivo, il F. incontrò Isabella, moglie di Federico III d'Aragona, che, in sosta a Genova verso Marsiglia, fu splendidamente ospitata da Gian Luigi. Ma, accanto a questa educazione a trattare alla pari coi sovrani d'Europa, il F. dovette ricevere anche quella ad una gestione ancora essenzialmente feudale e faziosa della politica, dovette partecipare alle riunioni e alle trame con gli Adorno contro i Fregoso e con i governatori francesi contro le forze popolari, e, presumibilmente, fu costretto nelle avversità della sua fazione ai trasferimenti o alle fughe nei castelli di Montoggio, Varese, Uscio, dominanti quei feudi e quelle vaste proprietà fondiarie che, fino a quegli anni, facevano della sua famiglia la più ricca e potente della Liguria: anche se all'esercizio delle pubbliche magistrature, di cui si ritenevano al di sopra, i conti di Lavagna designavano uomini del loro clan.

Dopo la morte del padre, mentre il primogenito Girolamo ne ereditava titoli e privilegi, anche il F. dovette assumere un ruolo di maggiore responsabilità nella conduzione politico-militare del "partito dei Gatti", cercando di mantenere coi fratelli la compatta leadership della vita genovese. E infatti nel luglio 1510, durante l'attacco che la Liguria subì da parte dell'armata veneto-pontificia nel quadro dell'offensiva della lega antifrancese che intendeva togliere Genova a Luigi XII, il F., preposto alla difesa di Chiavari, ottenne che Genova, confermata fedeltà alla Francia, gli inviasse rinforzi al comando del capitano Emanuele Fieschi. Comparsa davanti a Chiavari il 17 luglio, la flotta veneto-pontificia, composta di 12 galee agli ordini di Girolamo Contarini e appoggiata via terra da Marcantonio Colonna con Ottaviano e Giano Fregoso, desistette dall'attacco di sorpresa a Genova, grazie anche alla resistenza opposta dal F., oltre che per le esitazioni e i timori del Contarini: e tra il 18 e il 27 luglio esercito e flotta pontificia si ritirarono. Ma due anni dopo nel giugno 1512, i Fieschi non riuscirono ad impedire che Giano Fregoso ottenesse la resa di Genova e se ne facesse eleggere doge.

Il 23 maggio 1513, quando Girolamo Fieschi fu ucciso dai fratelli del doge, Fregosino e Ludovico, il F. era certo lontano da Genova, poiché non era né alla precedente seduta in palazzo pubblico con i fratelli né con Ottobono e Sinibaldo durante la loro fuga dalla città. Perciò sembra probabile che egli avesse già raggiunto, con qualche personale contingente armato, l'esercito francese e gli Adorno che stavano marciando su Genova e che furono raggiunti appunto da Ottobono e Sinibaldo. D'altra parte non è sicuro neppure che il F. fosse con i due fratelli il giorno successivo, quando essi rientrarono, attraverso porta d'Archi, alla testa di un gran numero di montanari armati, subito dopo l'ingresso vittorioso degli Adorno dalla porta di S. Tomaso, e neppure che abbia preso parte alla vendetta consumata ferocemente contro un altro fratello del doge, Zaccaria.

Comunque, dopo la morte di Girolamo, toccò al F., come nuovo capo della famiglia e di tutto il clan, tentare di recuperare l'intaccato prestigio e di difenderlo, sia nella convulsa politica cittadina sia nella insidiata amministrazione feudale. Il F. e Sinibaldo dovettero infatti affrontare subito una controversia con il conte di Lando, il quale rivendicava competenze giuridiche nella cittadina appenninica di Varese Ligure, possesso dei Fieschi. La contesa portò allo scontro armato, che avvenne a Compiano nel luglio 1513, ma fu trasferita poi in sede giudiziaria grazie alla mediazione del Pallavicini, amici di entrambe le parti. Più difficile per il F., la situazione in città. Caduto il governatorato francese di Antoniotto Adorno, dopo la sconfitta francese a Novara il 6 giugno 1513, i Fieschi avevano lasciato Genova per il loro castello di Montoggio nella notte tra il 16 e il 17 giugno, mentre vi rientravano vincitori i Fregoso, questa volta guidati da Ottaviano e sostenuti dalle armi di Spagna. Organizzata la riscossa, ai primi di novembre il F. discese da Montoggio con Girolamo Adorno, alla testa di 500 fanti e 70 cavalli, per occupare Chiavari e Portofino, dove un suo castello dominava strategicamente uno dei migliori approdi della Liguria. La riuscita dell'operazione sembrava preludere alla conquista di Genova da parte del F. e dell'Adorno per conto del duca di Milano, ma il progetto fu inspiegabilmente abbandonato.

In un primo momento Ottaviano Fregoso aveva inviato contro il F. Nicolò Doria con 1.500 fanti, ma questi non erano riusciti ad andare oltre Recco; neppure i rinforzi portati da Federigo Fregoso, fratello del doge, erano riusciti ad avere la meglio, subendo anzi consistenti perdite, sicché dopo due giorni di inutili tentativi, il F. e l'Adorno si diressero a Genova scortati per mare dalle galee di Andrea Doria. Il 15novembre, a capo di un esercito di 10.000 uomini, in gran parte mercenari e truppe svizzere fornite da Massimiliano Sforza, presero posizione sotto le mura di Genova, tra le porte degli Archi e dell'Olivella. Indice del momento di paura in città fu la deliberazione, presa il 17 novembre dal doge e dal Senato, di chiudere i tribunali a tempo indeterminato. Ma poco dopo, durante la notte del 25 novembre, senza aver dato inizio alle ostilità, il F. e l'Adorno levarono l'accampamento. La vera causa di questa decisione rimase ignota: si ipotizzò un rifiuto dei mercenari a combattere senza aver ancora ricevuto la paga o, al contrario, di dubbi del F. e dell'Adorno sulla fedeltà delle truppe svizzere, su cui certo non potevano esercitare l'autorità cui erano abituati coi loro fedeli montanari.

Di certo, il F. e l'Adorno rimasero nei rispettivi castelli fino all'anno successivo quando tornarono all'attacco nel tentativo di portare soccorso al contingente francese asserragliato nella fortezza della Lanterna. Assoldati 500 fanti scelti e il capitano napoletano G. C. De Montibus, il F. e l'Adorno scesero verso Genova, sperando in un attacco notturno al palazzo pubblico e in una sollevazione dei loro partigiani all'interno della città. Ma l'informazione giunta tempestivamente al Fregoso e l'ammutinamento di alcuni soldati, che costrinse a rinviare l'attacco, fecero naufragare il tentativo: un rapido scontro si accese attorno al palazzo con le truppe capitanate dallo stesso doge, che, sebbene ferito a una mano da una fucilata, ebbe rapidamente ragione del F. e dei suoi. Il F., con l'Adorno e il De Montibus, fu fatto prigioniero e rimase detenuto nel Castelletto alcuni mesi, fino a quando l'avvicinamento del doge alla Francia non comportò la sua liberazione.

Il "buon governo" del Fregoso e, sopra tutto, la trasformazione del suo ruolo, da doge a governatore in nome di Francesco I, vanificavano la funzione proconsolare del F., che con il nuovo re non poteva neppure vantare i legami familiari esistenti con Luigi XII. Ritornato comunque in libertà, riprese i progetti politico-matrimoniali del fratello Girolamo, ma anche questi rimasero frustrati: i due successivi matrimoni non consentirono al F. discendenza maschile, poiché da Ricciarda ebbe solo una femmina, Isabella.

Morì a Massa, dove venne sepolto, all'inizio del 1520.

Il 27 aprile di quello stesso anno la vedova faceva procura al proprio zio materno, Ercole di Sigismondo d'Este, alla presenza di Ottobono, fratello del F., e di Silvestro de Benetti, vescovo di Sarzana, grazie alla quale Ercole sottoscrive (segretamente, per volontà delle parti) in Roma, il successivo 14 maggio, i capitoli del matrimonio fra Ricciarda e Lorenzo Cibo. Questo atto, nuovamente redatto, per ordine di Leone X, fu reso pubblico il 3 giugno; la sposa recava in dote il marchesato di Massa e Carrara. Mentre Isabella sposerà il conte Vitaliano Visconte Borromeo e non avrà figli, per la sua sorellastra Eleonora sarà concluso l'infausto matrimonio con Gian Luigi Fieschi, figlio di Sinibaldo e nipote del F., protagonista della congiura del 1547.

Fonti e Bibl.: B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Italk. Script., 2 ediz., XXIV, 8, ad Indicem; F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, Genova [1646], p. 88; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1833, III, p. 6; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1854, II, pp. 659, 663 ss.; M. G. Canale, Nuova storia della Repubblica di Genova, Firenze 1864,pp. 363 ss.; L. Staffetti, Il "Libro di ricordi" della famiglia Cybo, in Atti della Soc. ligure di storta patria, XXXVIII (1910), pp. 69,265, 317; C. Bornate, La visita di Ludovico Sforza a Genova, Novara 1919, p. 18; C.Bornate, I Fielschi commendatari dell'abbazia di Sannazzaro Sesia, in Arch. della Soc. vercellese di storia e arte, XI (1920), p. 17.

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