FORTEGUERRI, Scipione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FORTEGUERRI (Carteromaco), Scipione

Francesco Piovan

Nacque il 4 febbr. 1466 a Pistoia, in cappella di S. Paolo, da Domenico e da Angiolina di Piero. Era nipote del cardinale Niccolò Forteguerri, il quale nel 1473 istituì a Pistoia una fondazione che doveva consentire a dodici studenti pistoiesi (tre dei quali da scegliersi nell'ambito della famiglia Forteguerri) di frequentare per sei anni uno Studio generale. È opinione comune che di questa possibilità abbia potuto approfittare il F. già nel 1476: il 24 novembre di quell'anno infatti inviava da Roma agli Ufficiali della Sapienza pistoiese una "fede" da cui risultava (ma l'informazione è di dubbia attendibilità) che al presente e già da tempo egli e il fratello Antonio seguivano le lezioni nello Studio romano.

A Roma, che egli più tardi ricorderà come "alumna studiorum meorum", rimase a lungo: secondo il Chiti fino al 1483, ma in realtà almeno fino alla metà del 1485. Dal primo registro di prestito conservato della Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 3964, f. 32v) si apprende infatti che egli ebbe dal bibliotecario un manoscritto delle tragedie di Eschilo il 27 apr. 1485 e che lo restituì il 20 giugno. Il 26 maggio 1484 aveva intanto preso la prima tonsura e i quattro ordini minori: ce ne informa una nota di suo pugno a f. 6r del Vat. lat. 3446 e, del resto, sappiamo che alla morte dello zio cardinale aveva ereditato da lui il beneficio di S. Lazzaro a Spazzavento.

È tuttora oggetto di congettura quando il F. si sia trasferito da Roma a Firenze per seguirvi i corsi del Poliziano. L'unico appiglio è, ancora una volta, una deliberazione degli Ufficiali della Sapienza pistoiese, che il 7 dic. 1486 pagano la seconda terzeria della borsa dovuta al F. e a suo fratello Antonio. Di quest'ultimo sappiamo che, almeno dal gennaio 1485, era a Siena a studiare diritto canonico; in quale Studio fosse invece il F. non è detto, ma si può pensare che fosse appunto a Firenze. Della borsa di studio usufruì per tutti e sei gli anni previsti, come dimostrano le registrazioni della Sapienza pistoiese. Il 1° apr. 1492, esercitando il loro diritto, "li homini et famiglia de' Forteguerri" scelsero di nuovo il F. come scolare della Sapienza per i sei anni a venire. Probabilmente già nell'autunno del 1492, all'inizio dei corsi, era a Padova; vi si trovava comunque con certezza all'inizio del 1493. Il 28 apr. 1493 scriveva da Padova al Poliziano perché interponesse i suoi buoni uffici presso Piero de' Medici in favore del monaco Giovanni Benedetto da Foligno, incarcerato per aver ucciso un confratello durante un banchetto. A Padova il F. seguì i corsi di filosofia: nel 1493-94 quelli tenuti da P. Trapolin e da P. Pomponazzi; l'anno seguente quelli di N. Vernia e di A. Nifo.

Non è tuttora chiaro come sia entrato in contatto con Aldo Manuzio: forse il tramite fu il Poliziano. Comunque, un epigramma del F. (che si firma per la prima volta - a quanto pare - "Carteromaco") compare nell'edizione aldina dell'Organon aristotelico uscita il 1° nov. 1495. Il decennio veneziano e il coinvolgimento nel progetto aldino costituiscono il periodo forse più importante e fecondo nella vita del Forteguerri. L'umanista non ancora trentenne, eterno studente, poco propenso a produrre opere proprie e occupato piuttosto nell'esercizio di "intavulare" (di redigere, cioè, indici degli autori classici che man mano andava leggendo), aveva ora l'occasione di mettere la sua riconosciuta abilità di grecista al servizio di un'impresa culturale che doveva sentire particolarmente congeniale.

Nel corso del 1495 il F. si trasferì a Venezia, probabilmente dopo la chiusura dei corsi padovani, verso la fine dell'anno. Nel luglio del 1498 - a quanto pare - si recò a Pistoia per una lite che lo vedeva opposto, insieme con Giovanni di Marco Rutati, a Nicodemo di Piero Forteguerri.

Una svolta importante nel progetto di diffusione della cultura greca, che vedeva accomunati il F. e Aldo Manuzio, fu la costituzione della "Neakademia", di cui abbiamo la prima menzione certa nella edizione princeps di Sofocle uscita nell'agosto del 1502. Il F. redasse in greco lo statuto dell'Accademia e, all'interno di essa, ricoprì le cariche di segretario e di presidente della "tribù dei lettori" (una delle sei "tribù" in cui erano divisi gli accademici). Nell'ambito delle attività accademiche il F. tenne anche dei veri e propri corsi pubblici. Siamo ben informati su quello del 1504, che aveva per oggetto le orazioni di Demostene, di cui era imminente la pubblicazione presso Aldo a cura, appunto, del F.: ne parlano Aldo nella lettera a Zanobi Acciaiuoli, premessa all'edizione di Filostrato (maggio 1504), e il F. stesso nell'Oratiode laudibus litterarum Graecarum, pronunciata nel gennaio 1504, ma uscita anch'essa nel maggio seguente ("Demosthenes, quem interpretaturi sumus"). Ma il corso su Demostene non dovette essere l'unico tenuto dal F. se Benedetto Filologo, in una lettera a lui diretta e stampata come prefazione ai Commentarii de honesta disciplina di P. Del Riccio Baldi detto il Crinito editi a Firenze sempre nel 1504, poteva ricordare il successo riportato dal F. "annis superioribus" insegnando "graecas litteras". Non sembra invece avere fondamento l'ipotesi che il F. abbia insegnato pubblicamente lettere greche nella scuola di S. Marco.

Tuttavia, quando nel maggio 1504 usciva l'Oratio de laudibus litterarum Graecarum, il F. non era più, con tutta probabilità, a Venezia. L'11 ottobre di quell'anno, infatti, scriveva ad Aldo da Firenze, chiedendogli di inviargli almeno una decina di copie della sua Oratio, come gli aveva promesso; dal che si può dedurre che era partito prima dell'uscita dell'opuscolo. La stessa lettera ci dà qualche altra, seppur vaga, informazione: il F. era diretto a Roma, dove lo chiamava una "faccenda" e dove contava di fermarsi per tutto l'inverno; i rapporti con l'Accademia e con la stamperia aldina non erano però interrotti, visto che il F. ricordava al Manuzio "quello haviamo pactuito insieme: voi mi aiutate co libri et io collo studio voi" In una lettera successiva, del 2 dic. 1504, il F. comunica ad Aldo di essere a Roma, in casa del cardinale Domenico Grimani, "per insegnare a uno nipote, cioè, il futuro cardinale Marino Grimani; e compare qui anche un primo accenno alla possibilità di spostare a Roma l'Accademia, che stava dando segni di dissoluzione ("Neacademia graviter egrotat" scriveva Bernardo Zorzi al F. il 27 apr. 1505).

Nonostante ne avesse inizialmente manifestato l'intenzione, il F. non tornò a Venezia nell'estate del 1505, e anzi, in una lettera ad Aldo del 19 dicembre, comunicandogli di aver lasciato il Grimani e di essere passato al servizio del cardinale Galeotto Franciotti Della Rovere, nipote del papa, gli scriveva che non sarebbe più tornato stabilmente sulla laguna. Vi tornò per una visita durante l'estate del 1506: a Venezia era sicuramente il 7 luglio. Ma molte cose erano cambiate: l'Accademia si era praticamente sciolta, la stamperia aldina era chiusa e il Manuzio era partito e sarebbe tornato solo in settembre. È incerto se il F. e Aldo si siano visti, e se l'incontro sia avvenuto a Venezia o a Ferrara, di dove il F. probabilmente passò nel suo viaggio verso Bologna (dove incontrò per la prima volta Erasmo) e le Marche. Era allora al seguito del cardinale Alessandro Farnese, che nell'aprile del 1507 lasciò per tornare con il Della Rovere (senza che per questo si guastassero i rapporti col futuro papa Paolo III). Da Bologna aveva scritto ad Aldo, insieme con P. Candido, di un suo progetto di riorganizzare l'Accademia a Roma sotto il patrocinio di alcuni cardinali; ma non se ne fece nulla.

In questo periodo volse in latino l'Elogio di Roma di Elio Aristide (stampato postumo nel 1519 a Venezia, "in aedibus Aldi") e lo dedicò al Della Rovere. Già nel dicembre del 1505 aveva avuto in animo di tradurre la "Venatione di Xenophonte… perché… voglio… farne un presente al mio padrone", ma si era poi dedicato ad alcune traduzioni da Luciano. Sempre al 1507 risale la prima probabile attestazione di rapporti tra il F. e Angelo Colocci. Il Colocci fu poi allievo del F., ma non arrivò mai a padroneggiare veramente il greco.

Nell'estate del 1507 il F. fu per un breve periodo a Venezia, dove rivide Aldo e G. Aleandro (lettera di Giovanni Fruticeno al Manuzio, da Padova, 15 ag. 1507). L'8 settembre a Roma, stampata dal tipografo Bernardino Vitali a spese del libraio Evangelista Tosino, usciva la Geographia di Tolomeo nella versione latina rivista e corretta dal F. insieme con il monaco celestino Marco da Benevento, con Giovanni Cotta e con Cornelio Benigno.

L'11 sett. 1508 moriva il cardinale Della Rovere e il F. passava al servizio del cardinale di Pavia, Francesco Alidosi, che all'inizio del 1509 fu nominato da Giulio II legato a Bologna. Poco prima della partenza da Roma il F. rivide Erasmo, che scendeva da Siena nell'Urbe. Il 7 marzo entrava col suo nuovo patrono in Bologna. Tre settimane dopo, il 28, scriveva al Colocci: la nostalgia degli amici romani era, almeno in parte, compensata dal favore dell'Alidosi e dai rapporti che andava stringendo o riannodando a Bologna, in particolare con Paolo Bombace, professore di umanità greca e latina nello Studio e amico di Erasmo. Un'altra lettera al Colocci del 3 giugno 1510 ci informa che il F. leggeva allora privatamente - "a certi scholari forestieri" - l'Odissea, come gli era stato chiesto dal Bombace, e che nei giorni precedenti aveva rivisto Aldo, di passaggio in città, con cui aveva discusso dell'Accademia. Nel novembre fu forse, per un breve periodo, a Pistoia; vi era certamente nel febbraio e nel marzo dell'anno seguente. Tra aprile e maggio passò per Venezia, dove fu raggiunto da due lettere del Colocci, la prima delle quali (15 maggio 1511) interessante per l'accenno che vi si rinviene sulla possibilità di rifondare la Neakademia in Roma.

L'uccisione del cardinale Alidosi a opera di Francesco Maria Della Rovere duca di Urbino, il 24 giugno del 1511 a Ravenna, lasciava nuovamente il F. senza patrono. Egli non fu però presente all'omicidio: era a Venezia, dove il Colocci gli scriveva ancora il 20 luglio. La sua incerta situazione personale, unita alle difficoltà politiche del momento, indussero il F. a ritirarsi per qualche tempo a Pistoia, dove si trovava già nell'agosto di quell'anno. Fu allora che Denis Briçonnet, vescovo di Tolone, tentò di convincerlo a entrare al suo servizio. In una lettera da Pontremoli dell'11 ottobre il vescovo comunicava al F. che il 20 si sarebbe trovato a Lucca e che lì lo avrebbe atteso. Nella minuta, che ci è stata conservata (Vat. lat. 4103, f. 67v), della sua risposta il F. prometteva che lo avrebbe incontrato a Lucca, ma la cattiva salute gli impedì di muoversi da Pistoia. Il Briçonnet gli riscrisse da Pisa il 10 novembre e poi di nuovo, da Lucca, il 15 novembre: in quest'ultima lunga lettera gli chiedeva di interporre la sua opera per indurre il Bombace a trasferirsi presso di lui; in chiusura lo pregava di comporre per lui un'orazione "heroico stilo", da pronunciare di lì a un paio di mesi a Milano, in concilio, e suggeriva il tema (l'urgenza di una "reformatio Ecclesiae") e i riferimenti scritturali.

Non si sa se il F. abbia poi scritto l'orazione per il suo aspirante patrono (il Chiti riteneva di no). In quegli stessi giorni fu seriamente ammalato. Da Roma lo chiamava il Colocci, e da Siena Bernardino Bellanti lo invitava, con una lettera del 17 dicembre, a fermarsi per qualche tempo presso di lui. Un tentativo, fatto dagli amici, di sistemarlo presso Egidio da Viterbo, generale degli agostiniani, non andò a buon fine. Rimase dunque a Pistoia per tutto l'inverno e la primavera seguenti e solo nel luglio del 1512 si recò a Roma, presso il Colocci. Riannodò i contatti con gli ambienti umanistici della città e prese parte alle riunioni dell'Accademia Coriciana, ma si fermò meno di un anno: verso la fine del mese giugno del 1513 era infatti già ripartito per Pistoia.

È probabilmente durante questo soggiorno romano che il F. entrò in una polemica medico-filologica su un passo di Aristotele (Historia animalium, VIII, 22, 604a, 4-8) sorta tra Niccolò Leoniceno, che sosteneva la necessità di emendare il testo, e il medico veneziano Nicolò Zocca ("Iudecus"), già noto al F. in quanto amico di Aldo e membro dell'Accademia. Il parere del F. fu poi espresso nell'epistola-trattatello De cane rabido, che nella sua redazione definitiva è conservata nel Vat. lat. 6845, ff. 140-156 (da qui, senza nominare la sua fonte, la trascrisse il Ciampi).

Da Pistoia, ma non prima dell'ottobre, passò a Firenze presso Giulio de' Medici, a cui lesse privatamente per un periodo di tempo non precisabile. A partire da questo momento i documenti tacciono; probabilmente la sua salute, piuttosto malferma negli ultimi anni, andò peggiorando. Morì a Pistoia il 16 ott. 1515.

La biblioteca del F. era già parzialmente dispersa durante la sua vita a causa dei suoi frequenti spostamenti: in una lettera da Roma del 15 maggio 1511 il Colocci gli scriveva scherzosamente: "Hieri certi frati di San Piero ad Vincula mi portò uno vostro Euripide greco, quale già gli lassò fra Iolian Francesco, sicché fate bene ad racoglere li libri vostri in uno, che stanno più dispersi che le ceneri delli Pompeii". Proprio il Colocci raccolse una parte dei libri del F., mentre altri rimanevano a Pistoia presso gli eredi: Alla morte del Colocci nel 1549 la sua biblioteca fu depositata nel guardaroba papale, ma non per intero: un gruppo di libri, scelto dal cardinale Guglielmo Sirleto, entrò subito in Vaticana; un altro gruppo fu acquistato da Fulvio Orsini. In seguito, tra il 1565 e il 1566, quest'ultimo riuscì a farsi vendere anche i manoscritti e i postillati del F. che erano in possesso degli eredi, allora in serie difficoltà economiche. Alla morte dell'Orsini, nel 1602, anche questa parte della biblioteca del F. entrò nella Vaticana, dove andò a raggiungere il resto dei libri del Colocci, acquistati intorno al 1558.

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