SCIPIONI

Enciclopedia Italiana (1936)

SCIPIONI

Alfredo PASSERINI
Antonio Maria COLINI Attilio DEGRASSI

. Il cognome Scipio (= bastone), proprio d'una famiglia della gens Cornelia, appare la prima volta nel sec. IV a. C.: un P. Cornelio sarebbe stato così chiamato perché a lui nel camminare s'appoggiava il padre cieco. Nel sec. III e II molti S. giunsero alle pù alte cariche ed ebbero parte decisiva nelle vicende dello stato. La famiglia, coi suoi varî rami (principali i Nasica), decadde con la repubblica e si spense, pare, totalmente.

I frequenti matrimonî fra consanguinei mantennero puro il sangue della famiglia; anche gli adottati, come l'Emiliano, erano spesso parenti degli S. Molti di essi furono valenti generali, alcuni sommi; in politica estera caldeggiarono sempre un illuminato imperialismo, e divennero il naturale bersaglio dei misoneisti; all'interno avversarono il demagogismo. Primi ad essere conquistati dalla cultura greca, l'adattarono con finezza alle esigenze romane, promovendo la nuova civiltà.

Il sepolcro e gli elogi degli Scipioni.

La famiglia degli Scipioni ebbe il suo sepolcro sulla Via Appia, a sinistra uscendo dalla porta Capena, nel fianco di una collina che guarda la città, a un miglio da questa. Il sepolcro si formò gradualmente: in un primo tempo (principio del sec. III a. C.) non fu costruita, con probabilità, se non una camera sepolcrale preceduta, alla maniera etrusco-italica, da un corridoio, poi nelle pareti di quella e di questo furono scavate nicchie più o meno profonde, quindi bracci trasversali, e tre nuovi corridoi paralleli al primo, l'estremo dei quali venne illuminato con una finestra. Nella prima metà del sec. II a. C., quando la famiglia raggiunse il suo apogeo, la facciata del sepolcro ricevette una decorazione monumentale formata da uno zoccolo, in parte intagliato nella roccia, coronato di cornice tuscanica e sormontato da un prospetto a colonne. Sopra questo zoccolo che sussiste, lungo m. 25 circa, alto m. 2,50, si vedono avanzi di ornamentazioni pittoriche a motivi geometrici e figurati, rinnovate più volte. Avanti ad esso, o tra le colonne, dovevano essere tre statue, dai contemporanei di Livio (XXXVIII, 56) attribuite all'Africano maggiore, all'Asiatico e al poeta Ennio.

Poiché la gente Cornelia praticava tradizionalmente l'inumazione (Cic., De leg., II, 57), i corpi erano raccolti in sarcofagi, ma estremamente semplici, cioè composti di lastroni di tufo o costituiti da casse dello stesso materiale che, unico ma altissimo ornamento, recavano accanto al nome l'indicazione delle cariche ricoperte e delle imprese compiute dal defunto, spesso in forma di elogio metrico. Un solo sarcofago (A) quello del console del 298 a. C., L. Cornelio Scipione Barbato, presenta carattere artistico. Oltre a questo si sono trovati i sepolcri dei seguenti altri personaggi: B) Lucio, figlio del precedente, console nel 259 a. C.; C) Publio, flamine diale, figlio dell'Africano (padre dell'Emiliano); D) Lucio, questore nel 167 a. C., figlio dell'Asiatico il vincitore di Antioco; E) Lucio Asiageno Comato, figlio del precedente, morto a 16 anni; F) Gneo Ispano, pretore nel 139 a. C.; G) Lucio figlio di Gneo (fratello del precedente ?), morto a 20 anni; H) Paulla Cornelia, figlia di Gneo, moglie di un Ispallo; I) uno Scipione non identificabile; L) Cornelia Getulica, figlia di Gneo Lentulo Getulico console nel 26 d. C.; M) M. Giunio Silano, nipote della precedente, morto circa il 100 d. C.; N) sepolcro a cremazione.

Dalle ultime iscrizioni si ricava che, estintosi nell'età augustea il ramo dei Cornelî Scipioni, il sepolcro passò ai Cornelî Lentuli Getulici e poi venne abbandonato, evidentemente perché aveva cominciato a franare e a interrarsi. Separato dalla Via Appia da una fila di colombarî e abitazioni, dovette presto esser dimenticato, e nel sec. III d. C. fu inavvertitamente devastato dalle fondazioni della casa sovrastante; nel Medioevo un altro angolo fu distrutto da una calcara. Il rinvenimento delle iscrizioni (B) e (D) nel 1614 non valse a richiamare l'attenzione sul monumento. La vera scoperta di esso avvenne nel maggio 1780, cui seguì uno scavo esauriente e il trasporto di tutto il materiale trovato nel Museo Vaticano, dove tuttora si conserva, insieme con alcuni titoli di liberti della gente Cornelia, d'età imperiale, trovati verosimilmente nelle vicinanze. Essendo rimasta visibile dell'ipogeo solo una parte e anche questa ingombra di muri di sostegno, esso è stato (1926-1929) completamente riscavato insieme con l'area adiacente, e decorosamente sistemato.

Le iscrizioni degli Scipioni occupano, non solo per l'alta antichità e l'importanza storica, ma anche per la forma, un posto distinto tra le epigrafi funerarie. Le iscrizioni di L. Scipione Barbato console del 298, del figlio suo L. Scipione console del 259 e di due altri Scipioni morti in giovane età sono in versi saturnî, e in questi versi era scritto un altro elogio di cui è rimasto un piccolo frammento; invece l'elogio di Cn. Scipione Ispano, pretore peregrino del 139, è in distici elegiaci. Altre brevi iscrizioni sono in prosa. Le iscrizioni in saturnî comprendono sei versi; in quella che ne comprende sette il primo verso è stato aggiunto dopo. Per importanza storica eccellono gli elogi dei consoli del 298 e del 259, padre e figlio. I tre primi versi ricordano il nome del defunto e le sue virtù; gli ultimi tre le magistrature ricoperte e le imprese di guerra. Ma l'elogio del padre è posteriore a quello del figlio. Mentre l'elogio del figlio fu inciso con tutta probabilità subito dopo la sua morte avvenuta verso il 240 (è interessante notare che in modo eguale cominciava l'elogio di A. Atilio Caiatino, console del 258 e del 254), forme grammaticali più recenti dimostrano che l'elogio del padre è posteriore di qualche decennio. In queste due iscrizioni il nome del defunto è separato dall'elogio e dipinto in minio; in quella del console del 259 al nome è aggiunto l'elenco degli uffici. Uguale disposizione si può supporre anche per le altre iscrizioni in metro saturnio. Evidentemente il nome del defunto con l'eventuale indicazione delle magistrature era dipinto sul sarcofago subito dopo la sepoltura, mentre l'elogio era inciso qualche tempo dopo.

Bibl.: Sugli Scipioni in generale, v.: F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 1426; id., Römische Adelsparteien und Adesfamilien, Stoccarda 1920, p. 100 segg. Sul sepolcro in generale, v.: P. Nicorescu, La tomba degli Scipioni, in Ephem. Duco-romana, I (1923), pp. 1-56; A. M. Colini, La sistemazione del sepolcro degli Scipioni, in Capitolium, V (1929). La prima edizione degli elogi è di E. Q. Visconti, Monumenti degli Scipioni, Roma 1785 con tavole incise dal Piranesi. L'edizione classica è quella del Mommsen, Corpus Inscript Lat., I (1863), nn. 29-39, 2ª ediz., pars. post., fasc. I, 1918, nn. 6-16, p. 372 segg., fasc. II, 1931, p. 718, dove è raccolta tutta la bibliografia; ma la lettura può essere migliorata ancora.