Scompenso cardiaco

Universo del Corpo (2000)

Scompenso cardiaco

Mario Condorelli
Massimo Volpe

Lo scompenso cardiaco, detto anche insufficienza cardiaca congestizia o scompenso cardiaco congestizio, è una sindrome clinica caratterizzata da grave e progressiva compromissione delle funzioni del cuore che conduce, attraverso il coinvolgimento di complessi adattamenti emodinamici, renali e neurormonali, a un quadro clinico nel quale i sintomi legati alla ridotta capacità funzionale e alla ritenzione idrosalina si manifestano in maniera sempre più severa, determinando una ridotta sopravvivenza.

1. Definizione

Le tradizionali definizioni di insufficienza cardiaca si riferiscono perlopiù all'incapacità del cuore di adeguare la propria prestazione e, quindi, la portata cardiaca (volume di sangue pompato dai ventricoli nell'unità di tempo), alle esigenze metaboliche dell'organismo durante l'attività fisica e, negli stadi terminali della malattia, anche a riposo. Tuttavia le definizioni che enfatizzano l'alterato meccanismo cardiaco di adattamento della portata alla domanda metabolica periferica non considerano che una delle principali caratteristiche del cuore insufficiente è la risposta anomala all'espansione del volume sanguigno oltre che all'esercizio. Secondo la definizione che meglio si adegua al tentativo di schematizzare una sindrome tanto varia e complessa, l'insufficienza cardiaca è il risultato di un'incapacità del cuore di aumentare la gettata sistolica dei suoi ventricoli durante l'esercizio o in risposta ad aumenti del ritorno venoso. In altre parole, alterazioni della funzione contrattile e/o della distensibilità (compliance) dei ventricoli possono condurre a una compromissione della capacità del cuore di aumentare la gettata sistolica (volume di sangue espulso da un ventricolo in una singola sistole) quando aumentano il ritorno venoso al cuore (abolizione dell'uso del meccanismo di Frank-Maestrini-Starling, il quale consente al miocardio ventricolare di sviluppare più forza durante la sistole in funzione del grado di allungamento durante la diastole delle fibre miocardiche quando aumentano il volume o la pressione di riempimento del ventricolo) o le resistenze arteriose che si oppongono all'eiezione ventricolare (vasocostrizione), mentre nel contempo si verifica un abnorme accumulo di sangue (congestione o pletora sanguigna) nei territori circolatori a monte del ventricolo insufficiente (circolo polmonare, nell'insufficienza del ventricolo sinistro; sistema delle grandi vene periferiche e della circolazione epatica, nell'insufficienza del ventricolo destro). Queste alterazioni dei meccanismi di funzionamento della pompa cardiaca sono alla base dei due gruppi principali di sintomi che caratterizzano lo scompenso cardiaco: la facile affaticabilità, dovuta a riduzione della portata cardiaca e la sensazione soggettiva di difficoltà respiratoria (dispnea), dovuta ad aumento del volume di sangue e della pressione nel circolo polmonare che rende i polmoni meno distensibili durante la respirazione e maggiore il lavoro della ventilazione polmonare.

2. Eziopatogenesi

La notevole eterogeneità dei quadri clinici che possono portare all'insufficienza cardiaca rende molto complessa la fisiopatologia della malattia. Poiché lo scompenso cardiaco rappresenta il comune denominatore finale di tutte le cardiopatie, il riconoscimento, la fisiopatologia e il trattamento variano notevolmente in rapporto alle differenti eziologie. Prima di analizzare le diverse cause appare opportuno discutere sinteticamente dei fattori precipitanti. Infatti, numerose affezioni cardiache sia congenite sia acquisite possono decorrere in maniera del tutto asintomatica per molti anni e manifestarsi inopinatamente nel corso di affezioni generalmente acute o di situazioni fisiologiche che, attraverso l'ulteriore carico imposto al cuore con scarsa riserva funzionale, possono precipitare l'insufficienza cardiaca. Nell'ambito di questi fattori rivestono un ruolo considerevole la gravidanza e, in particolare, il parto. Altrettanto frequentemente possono far emergere le manifestazioni cliniche dell'insufficienza cardiaca le infezioni (attraverso la febbre, la tachicardia e l'aumentata domanda metabolica), le condizioni anemizzanti (anche secondarie a emorragie), l'ipertiroidismo, le embolie polmonari, le tachiaritmie, i blocchi atrioventricolari, lo sviluppo di ipertensione arteriosa, gli abusi alimentari, l'eccessivo esercizio fisico e lo stress emotivo, un infarto del miocardio, una riduzione inappropriata della terapia, l'uso di farmaci che deprimono la funzione contrattile. Il pronto riconoscimento e la rimozione di questi fattori precipitanti può avere una importanza critica per la vita del paziente. Le cause di insufficienza cardiaca si possono suddividere in quattro gruppi principali: 1) sovraccarichi di pressione o di volume e alterazioni della meccanica cardiaca; 2) malattie del miocardio; 3) alterazioni del ritmo e della conduzione cardiaca; 4) affezioni extracardiache. Questa suddivisione ha soltanto l'intento di semplificare e schematizzare l'eziopatogenesi dell'insufficienza cardiaca poiché molto spesso queste condizioni coesistono nello stesso paziente. Inoltre, perlopiù si realizza più o meno sistematicamente una compromissione della struttura e della funzione miocardica che può essere differente nei vari casi. Tra le diverse forme elencate è importante rammentare le condizioni cliniche di più comune riscontro. Fra le miocardiopatie primitive, quelle che più frequentemente danno origine a insufficienza cardiaca sono le forme dilatative, anche se un posto rilevante è occupato dalle forme ipertrofiche e restrittive; fra le manifestazioni della cardiopatia ischemica, la causa principale è rappresentata dall'infarto del miocardio, mentre fra le malattie infettive vanno ricordate le forme reumatica, tubercolare, da virus HIV, da virus dell'epatite C, da coxsackie, da Cytomegalovirus, da Tripanosoma cruzii (malattia di Chagas), da difterite (particolarmente temibile nell'infanzia) e molte altre ancora. Affezioni sistemiche a carattere infiltrativo sono l'amiloidosi e la sarcoidosi. Inoltre sia l'ipertiroidismo sia l'ipotiroidismo (mixedema) si possono associare a miocardiopatia ed evolvere in insufficienza cardiaca, così come l'acromegalia e il feocromocitoma. Le forme iatrogene più temibili sono quelle secondarie a trattamento con citostatici, quali l'adriamicina, la doxarubicina, la ciclofosfamide, oltre che a terapia radiante, mentre tra le malattie a carattere sistemico la più importante è il diabete mellito. Infine, fra le forme tossiche, la miocardiopatia alcolica riveste il ruolo di maggiore impatto sociale.

3. Cenni epidemiologici

L'insufficienza cardiaca è un'affezione molto comune in fase di rapida crescita dal punto di vista epidemiologico. È diventata un problema importante per la sanità pubblica, dal momento che rappresenta una malattia gravemente invalidante, con elevati costi di gestione del paziente. Attualmente, essa costituisce la causa più frequente di ricovero ospedaliero o di visita medica nei pazienti al di sopra dei 65 anni. I dati epidemiologici disponibili più recenti e completi sono quelli statunitensi, secondo i quali oltre 4 milioni di pazienti negli USA sono affetti da questa malattia e circa 400.000 nuovi casi vengono segnalati ogni anno. Inoltre, valutando tre decenni successivi, sono più che raddoppiati i ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca, da 7,5/1000 nel 1960 a 16,3/1000 nel 1989, l'insufficienza cardiaca è stata poi la causa principale di morte in oltre 37.000 casi e una concausa in almeno altri 200.000 casi. Questi dati possono apparire sorprendenti se si considera che la cardiopatia ipertensiva e le valvulopatie, cioè le maggiori responsabili dello sviluppo di insufficienza cardiaca negli anni Settanta del 20° secolo, sono ormai ben controllate, e in netto declino appare anche la mortalità dovuta alla condizione più di tutte causa di insufficienza cardiaca negli anni Novanta, cioè la cardiopatia ischemica (v. anche ischemia). Ciò nondimeno, l'aumentata sopravvivenza dagli eventi ischemici miocardici, i miglioramenti che si sono ottenuti nella cura dell'ipertensione arteriosa, l'aumentata prevalenza della cardiomiopatia dilatativa e, ancor più, l'invecchiamento della popolazione generale potrebbero paradossalmente contribuire a determinare un massiccio ulteriore incremento dell'insufficienza cardiaca nel prossimi anni.

4. Storia naturale

La catena di eventi che conduce allo sviluppo dell'insufficienza cardiaca è molto complessa e collegata al meccanismo patogenetico. Un esempio della sequela temporale degli eventi coinvolti nella forma secondaria a cardiopatia ischemica è rappresentato nella fig. 1. Da questa rappresentazione schematica si evince come sia possibile prevenire o comunque intervenire efficacemente sullo sviluppo della malattia a vari livelli, dall'interferenza con i fattori di rischio cardiovascolare modificabili attraverso il trattamento delle lesioni strutturali e funzionali cardiovascolari, fino alla cura della disfunzione ventricolare; comunque con l'obiettivo prioritario di evitare o ritardare l'evoluzione verso l'insufficienza cardiaca conclamata. Infatti, l'evoluzione della malattia conduce, nella quasi totalità dei pazienti, attraverso una progressiva intensificazione dei segni e sintomi clinici, a morte prematura. La causa del decesso è legata in circa il 40% dei casi a morte improvvisa  perlopiù secondaria ad aritmie ventricolari, nel 40% a un peggioramento clinico che può condurre alla sindrome da bassa portata circolatoria; nel 20% ad altre condizioni patologiche, quali, per es., le tromboembolie, l'insufficienza renale ecc. La mortalità annuale varia sensibilmente a seconda della fase clinica, tanto che nel paziente asintomatico essa può essere inferiore al 5%, nelle forme lievi attorno al 10%, in quelle moderate al 10-20%, fino a raggiungere le impressionanti percentuali del 30-40% nelle forme o fasi più gravi. È pertanto evidente quanto sia importante pervenire il più velocemente possibile alla diagnosi di insufficienza cardiaca, addirittura nella fase subclinica, onde poter mettere in opera tutti quegli interventi igienico-dietetici e farmacologici volti non soltanto ad alleviare i sintomi, ma anche ad arrestare o quanto meno a rallentare l'evoluzione della malattia. La progressione dell'insufficienza cardiaca è contrassegnata dall'evoluzione del danno miocardico (specialmente quando esso è conseguenza di un evento ischemico o quando la noxa patogena non è rimossa), dalla progressiva attivazione dei meccanismi neurormonali, dagli adattamenti 'consecutivi' del circolo periferico (in primis la vasocostrizione, dovuta alla patologica attivazione del sistema adrenergico e del sistema renina-angiotensina), dalla compromissione renale ed epatica e dalla progressiva espansione del volume di liquidi extracellulari (volume sanguigno più volume interstiziale dei tessuti), a sua volta largamente secondario alla ritenzione idrosalina. L'aumento delle resistenze vascolari periferiche, dovuto alla vasocostrizione arteriosa e quello della pressione diastolica ventricolare, dovuto all'espansione del volume sanguigno toracico, sono responsabili dell'incremento dello stress delle pareti ventricolari durante la sistole (postcarico) che comporta maggiore fabbisogno di ossigeno per il miocardio ventricolare ed evoluzione peggiorativa del danno miocardico. La partecipazione sequenziale di questi eventi alla progressione dell'insufficienza cardiaca è stata classicamente schematizzata nel cosiddetto circolo vizioso. A seguito della lesione cardiaca che rappresenta l'evento primario in tutte le forme che riconoscono la loro patogenesi in alterazioni delle strutture cardiache, si realizza progressivamente un deterioramento della funzione di pompa del cuore, evidente dapprima in risposta all'esercizio o a un aumentato carico, poi anche a riposo. La conseguente caduta della portata cardiaca e dell'ossigenazione tessutale periferica comporta un'attivazione del sistema nervoso simpatico, risultato principalmente della ridotta perfusione dei barocettori arteriosi e dell'attivazione dei recettori cardiopolmonari con afferenze simpatiche, ma anche di altri importanti meccanismi, quali il sistema renina-angiotensina per l'ipoperfusione della macula densa, la produzione di aldosterone e di ormone antidiuretico e l'iperproduzione di eritropoietina secondaria all'ipossia del tessuto renale. Inoltre, l'incremento progressivo delle pressioni di riempimento cardiache, per l'aumentata pressione transmurale atriale e ventricolare, conduce a iperproduzione e ipersecrezione dei peptidi atriali natriuretici (ANP, Atrial natriuretic peptide, e BNP, B-type natriuretic peptide), che sebbene svolgano una funzione compensatoria per i loro molteplici effetti biologici, possono concorrere a formare l'edema interstiziale aumentando, nel tentativo di preservare l'omeostasi del volume intravasale, la permeabilità capillare e il passaggio di fluidi dal compartimento intravascolare a quello extravascolare. L'integrazione e il concorso dell'attivazione di questi meccanismi neurormonali favoriscono la ritenzione idrosalina e l'instaurarsi di vasocostrizione periferica. D'altra parte, questo adattamento si rivela nel medio-lungo termine antieconomico e controproducente, in quanto conduce a ulteriore lavoro del cuore insufficiente attraverso un incremento del carico anterogrado (aumentato volume circolante e aumentato ritorno venoso) e del carico retrogrado (aumentata impedenza vascolare allo svuotamento cardiaco).

5. Sintomatologia e segni clinici

I sintomi clinici dell'insufficienza cardiaca caratterizzano in maniera differenziata le fasi della malattia e sono il risultato del progressivo coinvolgimento di diversi apparati e organi. I principali, oltre ai disturbi cardiaci, sono la facile affaticabilità e l'astenia, disturbi respiratori, urinari, cerebrali e sintomi collegati allo scompenso destro. La facile affaticabilità e l'astenia, sono largamente aspecifiche, ma classicamente presenti nell'insufficienza cardiaca; talora questi sintomi possono caratterizzare da soli la fase subclinica. Entrambi dipendono prevalentemente dalla ridotta perfusione dei muscoli scheletrici, ma anche dall'alterata riserva funzionale vascolare della muscolatura e dalle modificazioni del metabolismo muscolare che intervengono in relazione all'ipoperfusione. I sintomi respiratori rappresentano una manifestazione clinica cardinale dell'insufficienza cardiaca e sono praticamente presenti in tutte le forme cliniche della malattia. I sintomi predominanti sono la dispnea da sforzo e a riposo, l'ortopnea, la dispnea parossistica notturna e l'edema polmonare acuto. La dispnea, che può essere definita un'inusuale coscienza degli atti respiratori oppure una difficoltà soggettiva a respirare, nelle fasi iniziali dell'insufficienza cardiaca si verifica soltanto in conseguenza di un esercizio fisico (dispnea da sforzo) e, pertanto, può essere difficile discriminarla dall'iperpnea fisiologica che consegue all'esercizio fisico anche nel soggetto normale. Con l'ulteriore progressione dell'insufficienza ventricolare sinistra, l'entità dello sforzo che causa dispnea si riduce proporzionalmente fino al raggiungimento della dispnea a riposo nelle fasi più severe o avanzate. L'ortopnea è quella condizione di dispnea che si manifesta o si accentua nella posizione supina e che si attenua assumendo la posizione semiseduta o seduta. L'ortopnea si determina in quanto nella posizione supina vi è una riduzione del pooling sanguigno nell'addome e negli arti inferiori, e il sangue tende a confluire nei distretti toracici. Il ventricolo insufficiente, che opera nella zona piatta della curva di Frank-Maestrini-Starling, è incapace di 'gestire' questa quota extra di ritorno venoso e, pertanto, aumentano le pressioni intracavitarie, si sviluppa congestione venosa polmonare, cresce la pressione capillare polmonare con conseguente edema interstiziale, ridotta compliance polmonare e incremento delle resistenze ventilatorie polmonari. La dispnea parossistica notturna (o l'asma cardiaco quando si associa il reperto broncocostrittivo) riflette una situazione acuta di abbondante accumulo edematoso nell'interstizio polmonare, mentre nell'edema polmonare acuto il quadro è reso ancor più drammatico e la sintomatologia più vistosa per l'ulteriore massiccia trasudazione di fluidi negli alveoli polmonari per cui l'espettorato appare schiumoso e roseo. La tosse secca, specialmente se associata al decubito supino, può essere interpretata come un equivalente della dispnea. Per l'emoftoe o emottisi si può pensare a un quadro di congestione venosa polmonare particolarmente severa o a quadri associati di pertinenza polmonare. L'edema polmonare acuto rappresenta l'estrema conseguenza della congestione polmonare con franca e rapida trasudazione di liquido negli alveoli. Esso è caratterizzato dalla presenza di rantoli crepitanti (a grosse bolle) che dalle basi polmonari possono progressivamente e bilateralmente invadere tutto l'ambito polmonare ('marea montante') fino a causare l'emissione di espettorato roseo schiumoso dalla bocca. Dei sintomi urinari, il più precoce è la nicturia, fastidiosa e frequente necessità del paziente di urinare anche più volte nel corso della stessa notte; quello più tardivo è, invece, l'oliguria, che dipende prevalentemente dalla riduzione della portata cardiaca e conseguentemente del flusso renale. I sintomi a carico del sistema nervoso centrale possono essere vari e comunque poco specifici (confusione, apatia, amnesia, depressione ecc.).

Nelle forme caratterizzate da prevalente compromissione della funzione ventricolare destra i sintomi respiratori tendono generalmente a diminuire, mentre prevalgono quelli legati alla epatomegalia e alla congestione del territorio epatoportale: nausea, anoressia (talora causate anche dalla terapia con digitale), senso di pesantezza o dolore del quadrante epigastrico o dell'ipocondrio destro e stipsi. La classificazione sintomatologica e funzionale, proposta dalla New York heart association (classi NYHA) nel 1964 e basata sulla relazione fra sintomi clinici ed entità dell'esercizio necessario per provocarli, è largamente utilizzata per identificare e caratterizzare lo stato del paziente al momento della visita, seguire il decorso della malattia o confrontare gruppi diversi di pazienti con insufficienza cardiaca. La classificazione NYHA prevede 4 classi. La classe I comprende i pazienti cardiopatici senza alcuna limitazione dell'attività fisica ordinaria (non compaiono affaticamento, dispnea o palpitazioni); nella classe II si registrano modesta limitazione dell'attività fisica, nessun disturbo a riposo, ma insorgenza di fatica, palpitazioni, dispnea o angina durante sforzi ordinari (scale, corsa, marcia prolungata o veloce ecc.); i pazienti della classe III presentano marcata limitazione dell'attività fisica, nessun disturbo a riposo ma insorgenza della sintomatologia per sforzi lievi (lavaggio mattutino, breve passeggiata, vestizione, pasto ecc.); quelli della classe IV sintomatologia a riposo e compromissione di qualunque attività fisica. L'aspetto generale del paziente varia enormemente in rapporto alla fase e alla gravità della malattia: è possibile trovarsi in presenza di soggetti che appaiono del tutto normali, o di soggetti in cui la dispnea insorge solo in seguito a sforzo o dopo pasti abbondanti o in seguito all'assunzione della posizione supina, fino ad arrivare a pazienti con gravi quadri anasarcatici, itterici o cianotici, talora cachettici. In alcuni casi tendono a prevalere i segni legati all'iperattività adrenergica (pallore, estremità fredde, tachicardia ecc.), in altri quelli legati alla ritenzione idrosalina (giugulari turgide, edemi periferici, ascite ecc.).

I segni clinici più importanti e specifici sono i seguenti: 1) segni respiratori: reperto auscoltatorio umido a carico dei due campi polmonari con evidenza di rantoli a piccole e medie bolle, localizzati prevalentemente alle basi polmonari o, nelle fasi più avanzate, ai campi medi e superiori; 2) segni di ipertensione venosa sistemica: turgore delle vene giugulari che si accentua con l'esercizio (segno di Kussmaul) o, più raramente, di altri distretti venosi del capo e degli arti superiori; presenza di reflusso epatogiugulare (la compressione dell'ipocondrio destro per circa 1 min provoca o accentua il turgore giugulare); 3) segni epatici: specialmente nello scompenso destro si può manifestare epatomegalia evidente alle manovre di percussione e palpazione dei quadranti superiori dell'addome, con consistenza parenchimatoso-elastica del margine epatico inferiore, talora dolente, che tende a divenire duro-elastica nel corso della malattia; pulsazione epatica durante la sistole nell'insufficienza tricuspidale; pulsazione epigastrica nelle forme con marcata ipertrofia del ventricolo destro; 4) edema: si tratta di una manifestazione caratteristica anche se non esclusiva dell'insufficienza cardiaca a carattere congestizio, ed è il risultato di numerosi eventi patologici che si verificano nel corso della malattia; 5) segni cardiaci: accanto ai segni specifici di ciascuna cardiopatia alla base dello stato di insufficienza cardiaca, esistono alcuni rilievi che frequentemente caratterizzano la diagnosi di insufficienza cardiaca. Fra questi, va ricordata la cardiomegalia, la presenza di toni cardiaci aggiunti (III o IV tono). Quando questi toni aggiunti sono presenti in caso di tachicardia, si parla di 'ritmo di galoppo'.

6. Diagnostica strumentale

Il corretto inquadramento diagnostico del paziente con insufficienza cardiaca deve tendere a determinare: 1) la causa dell'insufficienza cardiaca; 2) il grado di compromissione anatomica e funzionale del cuore; 3) il grado di impegno degli organi e apparati che risultano interessati dalla congestione venosa; 4) la funzione renale. Per quanto riguarda la diagnosi eziopatogenetica, pur senza voler entrare nel merito della diagnostica delle singole cause, va ricordata l'importanza di eseguire sempre, nel paziente con insufficienza cardiaca, l'esame elettrocardiografico (per svelare turbe della conduzione, aritmie, ipertrofia, sovraccarichi atriale e/o ventricolare) e l'esame eco-cardiografico. Quest'ultimo, accanto alle fondamentali informazioni di carattere morfologico (alterazioni valvolari, dilatazione ventricolare, anomalie del pericardio ecc.) e funzionali (ipo- e acinesie ventricolari regionali o globali, difetti di riempimento ventricolare, riduzione della performance sistolica ecc.), essenziali ai fini della diagnosi, rappresenta ormai strumento insostituibile per la stadiazione e il follow up dell'insufficienza cardiaca. L'eco-cardiografia doppler, o meglio ancora color-doppler, consente di ottenere angiogrammi ecografici che mettono in evidenza l'esistenza e l'entità di una stenosi valvolare, di un rigurgito valvolare o di un cortocircuito (shunt) intra- o extracardiaco. Il monitoraggio dinamico dell'elettrocardiogramma (esame Holter) è utile per valutare la presenza delle aritmie (la più frequente causa di morte nei pazienti che presentano insufficienza cardiaca) e l'efficacia dell'eventuale trattamento di queste. Per la valutazione funzionale, accanto all'eco-cardiogramma, lo strumento diagnostico più prezioso per la valutazione della funzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro è rappresentato dall'angiocardiopneumoscintigrafia con 99mTc, mentre la miocardioscintigrafia con 201Tl (v. il capitolo La medicina nucleare, Scintigrafia miocardica) e la PET (Positron emission tomography) con traccianti metabolici può essere riservata a quelle condizioni di insufficienza cardiaca postischemica in cui sia indispensabile valutare la vitalità del miocardio preliminarmente a una procedura di rivascolarizzazione. Di grande importanza è la misurazione clinica della pressione venosa centrale che si può effettuare mediante manometria liquida, ponendo il livello circa 5 cm al di sotto dell'angolo sternale. Tale parametro è spesso elevato (>12 cm H₂O) ed è comunque utile ai fini dell'orientamento terapeutico specialmente nelle condizioni critiche. Lo studio radiografico dell'apparato cardiovascolare o anche la semplice radiografia del torace con telecuore forniscono informazioni su dimensioni e forma del cuore sia dal punto di vista della cardiopatia alla base dello scompenso, sia riguardo all'entità della dilatazione ventricolare sinistra, attraverso la determinazione del rapporto cardiotoracico e il calcolo del volume cardiaco. Inoltre, con queste tecniche si possono identificare un edema interstiziale polmonare perivascolare in sede parailare e declive, o un edema settale con la presenza di opacità lineari (strie di Kerley) dovute alla imbibizione dei setti interlobulari. La radiografia del torace può anche dimostrare la presenza di versamento pleurico. Il profilo biochimico del paziente con insufficienza cardiaca deve prevedere un'accurata valutazione della funzione renale (azotemia, creatininemia e clearance della creatinina, uricemia, esame delle urine) alla luce della sua frequente compromissione secondaria alla riduzione della portata e alla terapia diuretica, nonché la determinazione degli elettroliti sierici (sodiemia e potassiemia) che risultano frequentemente alterati tanto dall'attivazione neurormonale quanto dalla terapia diuretica. La valutazione ematochimica nell'insufficienza cardiaca deve essere anche estesa a un accurato esame relativamente alla funzione epatica, la quale può essere compromessa a causa della congestione. L'attivazione di alcuni sistemi neurormonali è importante, specie nelle fasi avanzate dell'insufficienza cardiaca. In primo luogo, l'attivazione simpatica progressiva che accompagna l'evoluzione dell'insufficienza cardiaca si riflette in un incremento delle catecolamine. In particolare, nei pazienti in III e IV classe funzionale NYHA si osserva un aumento della noradrenalina plasmatica direttamente proporzionale al livello di scompenso e inversamente all'aspettativa di vita del paziente. Un comportamento parallelo si ha nelle modificazioni dell'attività reninica plasmatica, nei livelli plasmatici di angiotensina II e di aldosterone. Va infine ricordato che recentemente sono stati descritti nei pazienti con insufficienza cardiaca incrementi dei livelli plasmatici di eritropoietina e di endotelina, proporzionali rispetto al peggioramento della condizione clinica.

7. Decorso e prognosi

L'evoluzione naturale dell'insufficienza cardiaca è largamente sfavorevole. La progressione della malattia dalla semplice disfunzione ventricolare o valvulopatia sintomatica, attraverso le fasi sintomatiche, fino allo scompenso conclamato, è associata a un progressivo e drammatico incremento della mortalità (nonché della morbosità con intensificazione delle complicanze, dei peggioramenti e delle malattie intercorrenti e, di conseguenza del numero di ospedalizzazioni per anno). Ciò si verifica spesso a dispetto degli interventi terapeutici; pertanto è necessario riconoscere precocemente e trattare tempestivamente e adeguatamente anche gli stadi lievi della malattia limitandone la progressione. È noto, infatti, a tutti i medici quanto sia difficile trattare il paziente con scompenso conclamato, definito, in alcuni casi, addirittura refrattario, quando tutti i presidi terapeutici disponibili risultano insufficienti ad alleviare i sintomi e a prolungare la sopravvivenza. Le principali complicanze, che di frequente possono condurre all'exitus il paziente con insufficienza cardiaca, sono rappresentate dalle aritmie ventricolari (tachicardia e fibrillazione ventricolare) e sopraventricolari (fibrillazione atriale), turbe della conduzione cardiaca (blocchi atrioventricolari, arresto cardiaco), progressione della malattia con episodi di insufficienza ventricolare sinistra acuta (edema polmonare acuto e shock cardiogeno) e infezioni broncopolmonari, episodi tromboembolici acuti polmonari o sistemici, insufficienza renale acuta o cronica di severa entità, insufficienza epatica ecc. La sopravvivenza individuale è molto variabile e numerosi indicatori prognostici sono stati utilizzati al fine di poter predire l'evoluzione della malattia nel singolo paziente. Fra gli indicatori prognostici clinici, il maggior impatto va ascritto alla classe funzionale NYHA e alla ridotta tolleranza all'esercizio. Fra i fattori emodinamici, quello prognostico più strettamente associato a un'evoluzione negativa è l'aumento del volume telesistolico ventricolare sinistro, sebbene anche la riduzione della frazione di eiezione, la crescita delle pressioni di riempimento e l'incremento delle resistenze periferiche (V•o₂) siano indicatori sfavorevoli. Potenti correlazioni inverse con la sopravvivenza sono state descritte per numerosi fattori ormonali: noradrenalina, renina, ADH (Antidiuretic hormone) e ANP. Anche l'iposodiemia, l'ipopotassiemia e l'ipomagnesiemia sono correlate alla mortalità nell'insufficienza cardiaca, ma non è ben definito se l'insorgenza o l'esacerbazione delle aritmie rappresenti semplicemente un indicatore del peggioramento della funzione ventricolare sinistra o, viceversa, siano queste stesse alterazioni biochimiche responsabili dell'evoluzione verso quelle aritmie fatali che determinano circa il 50% delle morti nei pazienti con insufficienza cardiaca. 8. Basi razionali della terapia La strategia globale del trattamento dell'insufficienza cardiaca deve mirare a: ridurre la progressione della malattia; alleviare la sintomatologia e migliorare la tolleranza all'attività fisica; prolungare la sopravvivenza. Al fine di conseguire questi fondamentali obiettivi si possono prospettare tre strategie di intervento che talora possono essere utilizzate nello stesso paziente. Rimozione della causa dell'insufficienza cardiaca: questo intervento è senz'altro da considerare il più efficace ed è generalmente basato sulla chirurgia di alterazioni valvolari o congenite o delle coronarie o su interventi più radicali come la rimozione di un aneurisma ventricolare o, come ultima ratio, il trapianto cardiaco. Più recentemente, la rivascolarizzazione miocardica mediante angioplastica transluminale coronarica può essere intrapresa come misura di grande utilità in quelle condizioni di insufficienza cardiaca secondarie a ischemia miocardica cronica. Altri interventi eziopatogenetici possono essere rappresentati dall'evacuazione mediante pericardiocentesi di un versamento pericardico, dalla terapia antibiotica nelle endocarditi, dalla riduzione della pressione arteriosa nella cardiopatia ipertensiva ecc. Rimozione dei fattori precipitanti, in particolare aritmie, infezioni, tromboembolie. Controllo dello stato congestizio: in quest'ultimo settore di intervento sono complessivamente inclusi i moderni interventi terapeutici per il trattamento dell'insufficienza cardiaca.

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