SEBASTIANO del Piombo

Enciclopedia Italiana (1936)

SEBASTIANO del Piombo

György Gombosi

Sebastiano Luciani, detto S. del P., pittore, nacque a Venezia verso il 1485, morì a Roma il 21 giugno 1547. Per una firma mal letta, e creduta sua, di una Deposizione di Cristo nella Galleria nazionale di Londra, fu creduto allievo di Cima da Conegliano, ma sicuramente il Vasari è nel vero rappresentandolo come il più vicino, almeno personalmente, a Giorgione fra tutti gli allievi e amici. Non pare tuttavia che Sebastiano si sia molto approfondito in quell'arte idillica e poetica; neanche nell'unica sua composizione di tal genere, la Morte di Adone, agli Uffizî. Già negli esordî predilesse il ritratto e le composizioni religiose. Oltre i ritratti di donne, molto giorgioneschi, ma distinti per il loro carattere più rigoroso, più classicistico (Hannover, Budapest, Richmond e Londra, questo datato 1510), gli è stato attribuito da molti studiosi recenti il famoso Concerto detto di Giorgione a Pitti, identificandolo col ritratto dei compositori Obrecht e Verdelot celebrato dal Vasari. La maggior gloria però del suo breve periodo veneziano è la pala di San Giovanni Crisostomo: magnifica composizione di grande purezza formale e alto senso architettonico piena di bellezza e serenità nelle teste delle famose tre sante.

Le sue tendenze classiciste predestinarono S. a svilupparsi più nell'arte di Firenze o di Roma che a Venezia; e volentieri egli seguì l'invito di A. Chigi che lo chiamava a Roma a partecipare alla decorazione della sua nuova villa (detta la Farnesina), dove già nel corso del 1511 S. affrescò il riquadro di Polifemo e le lunette della loggia. A Roma furono forti le impressioni avute nel cerchio artistico di Raffaello, di cui per alcuni anni fu cordiale amico. Frutti di questo legame sono una serie di ritratti di alto stile, pieni di serietà e di grazia: la Fornarina degli Uffizî, il Violinista (Parigi, coll. Rothschild), ritratti dei cardinali Carondelet (Londra, coll. priv.) e del Monte (Dublino), il ritratto detto ora di Raffaello ora del poeta Tebaldeo (Budapest) e, forse la più sublime rappresentazione dell'arte di S., la cosiddetta Dorotea di Berlino. Fu quello il periodo più felice della sua vita; ma l'amicizia con Raffaello presto si mutò in gelosia e in odio, e S. si volse verso un altro idolo, la cui potenza e autocrazia spirituale operò meno felicemente su di lui: Michelangelo, con cui S. per vent'anni ebbe amicizia strettissima. Michelangelo influì sulla sua arte, innanzi tutto per mezzo dei disegni, che gli mandava spesso da Firenze, principalmente di figure nude, che del resto, più che invenzioni di Michelangelo stesso, erano una specie di correzione dei progetti di S. Tali correzioni S. ebbe da Michelangelo per la Pietà di Viterbo (quella di Leningrado pare opera sua indipendente), per la Flagellazione di S. Pietro in Montorio, per la Resurrezione di Lazzaro nella Galleria nazionale di Londra, e più tardi ancora, per il Cristo al Limbo del Museo di Madrid, per la Nascita di Maria a Roma in S. Maria del Popolo, per il Cristo Portacroce (Budapest, coll. privata) e per la Pietà di Ubeda (Spagna). Importantissima fonte per la conoscenza di questi legami artistici, e importantissime anche come documenti umani, sono le 38 lettere di S. dirette all'amico a Firenze, e alcune delle risposte conservateci di Michelangelo e la corrispondenza di Michelangelo con Leonardo Sellaio.

Anche dopo il 1520 i ritratti continuano ad essere le opere più alte di S., come ad esempio quello di un giovane già nella collezione Benson, un altro, muliebre, già nella collezione Huldschinsky, e quello di Cristoforo Colombo a New York. Soprattutto eccellono i ritratti di Andrea Doria nella collezione Doria a Roma e quello di Clemente VII a Napoli: visioni di altezza ieratica, inaccessibile, fredda ed elevata sopra ogni sensualità quotidiana. Questo ieratismo distingue assai il nostro artista, nelle sue opere indipendenti, dalla "terribilità" di Michelangelo.

Dopo il sacco di Roma, S. lavorò per qualche tempo a Orvieto e a Mantova in servizio dei Gonzaga, e, nel frattempo, a Venezia dove rinnovò l'amicizia con Tiziano, col Sansovino e l'Aretino. Ritornato a Roma, ottenne il titolo e lo stipendio di custode del piombo della cancelleria papale (onde il suo soprannome). Liberatosi così da difficoltà materiali, non accrebbe nondimeno la propria operosità; anzi, il Vasari, certo preoccupato e irritato per le discordie sorte fra S. e Michelangelo, descrive quel suo ultimo periodo come perduto in passatempi e nell'ozio. Certo è che le opere dell'artista negli ultimi 15 anni si fanno alquanto più rare, e anche meno significative. I ritratti muliebri, detti spesso di Caterina de' Medici e di Giulia Gonzaga, sono gelidi, di un classicismo idealistico e stilizzato. (V. tavv. XLVII e XLVIII).

Bibl.: G. Bernardini, S. del P., Bergamo 1908; P. d'Achiardi, S. del P., Roma 1908; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, v, Milano 1932, p. 16 segg.; Gy Gombosi, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933 (con ampia bibl.); id., S. del P., in Pantheon, VII (1934), pp. 161-67; R. Pallucchini, La formazione di S. del P., in La critica d'arte, I (1935), pp. 40-47.

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