SENARIO

Enciclopedia Italiana (1936)

SENARIO

Giorgio PASQUALI
Mario PELAEZ

. Il senario è il trimetro dei Greci, quale lo adattò genialmente all'indole della lingua latina e al senso ritmico dei Romani Livio Andronico. Ch'egli abbia avuto predecessori, è possibile, ma non dimostrato.

Il senario è verso unitario: mentre il trimetro comico si distingue profondamente da quello tragico (v. giambo), i poeti drammatici latini trattano ugualmente il senario in tragedia e in commedia. Il modello di Livio Andronico è stato il trimetro comico greco: questo basta a spiegare come:1. manchi nel senario qualunque osservanza corrispondente alla legge di Porson; 2. l'anapesto possa sostituire il giambo in tutte le sedi, tranne l'ultima. Ma inoltre il senario latino introduce modificazioni molto più profonde: principale è l'abolizione della distinzione tra sedi dispari e sedi pari, la quale si esprime anche nel nome "senario" contrapposto al trimetro greco: in greco l'unità è la dipodia ⌣-⌣-, in latino il piede ⌣-. Lo stesso mutamento contrassegna la relazione tra il saturnio (v.) e i suoi modelli greci, e pare caratteristico per tutta la ritmica latina dell'età arcaica. Connessa indissolubilmente con esso è l'introduzione degli spondei anche nelle sedi pari, tranne l'ultima che è di necessità pura. Poiché il senario (come il trimetro comico) non aborre in alcun modo da soluzioni, ogni piede del senario (tranne l'ultimo) può aver la forma di giambo, tribrachi, anapesto, spondeo, dattilo (mentre il trimetro comico limita le due ultime forme alle sedi dispari). Inoltre il senario ammette, con qualche limitazione, anche proceleusmatici.

A chi consideri da vicino il senario, appare come esso sia molto più rigoroso, molto più legato del trimetro. Intanto, alcune osservanze che già erano consuete nel trimetro comico, divengono nel senario legge. Il trimetro della commedia ha per lo più cesura dopo la terza o dopo la quarta tesi; ma versi senza cesura sono legittimi, se pure non frequenti. Nei comici latini la cesura (semiquinaria e semisettenaria) c'è quasi sempre. Inoltre anche nel trimetro non è frequente che l'anapesto sia formato dalla fine di un polisillabo e l'inizio di un altro, è dunque evidente l'intenzione di evitare serie come ⌣/⌣-. oppure ⌣⌣/-. Ma Aristofane ammette eccezioni in media ogni 700 versi (di Menandro, per vero, se ne conosce una sola). In latino questa regola diventa legge: le eccezioni, se non dipendono da corruttele, sono apparenti.

Inoltre, il senario segue quanto a coincidenze tra parola e piede, regole affatto ignote al modello greco.1. È vietata fine spondaica o anapestica di parola alla fine del secondo e terzo piede. 2. Fine di parola spondaica è lecita nel quarto piede solo dinnanzi a parola finale quadrisillaba. 3. Se il senario è chiuso da parola giambica, non è lecita (regola di Bentley-Luchs) nel quinto piede parola o fine di parola giambica. Eccezione apparente fanno le terminazioni malam crucem, bona fide (oppure bonam fidem): qui le due parole erano comprese sotto un unico accento. Altra eccezione apparente fanno fini di verso come Terenzio: rŏgāre ŭtī (Heaut., 304), perché la sinalefe oscura il confine tra le due parole. Formazione giambica del quinto piede dinnanzi a parola giambica finale è lecita; se è sciolta l'arsi del quarto piede. 4. Il piede non dev'essere costituito da parola tribrachica o dattilica; parola dattilica è lecita nel primo piede. 5. Il proceleusmatico ascendente (derivante cioè da soluzione dell'arsi dell'anapesto) non può essere "strappato", non dev'essere cioè formato da fine e principio di polisillabo, tranne che i due polisillabi siano congiunti da sinalefe (e, naturalmente, tranne il caso di preposizione o congiunzione che fanno corpo con la parola seguente). Queste sono le principali e più sicure restrizioni metriche, non certo le sole.

A questa severità metrica si contrappongono alcune libertà prosodiche: dinnanzi all'ultima dipodia (punto di Jacobsohn) è consentita certamente syllaba anceps (se anche iato, non è sicuro). Sul fenomeno per il quale una serie giambica può presentarsi nella poesia arcaica quale pirrichio (correptio iambica, brevis brevians) e che non è nient'affatto peculiare del senario (né settenario), ma appare anche, e più spesso, per esempio negli anapesti, cfr. prosodia. Più spesso la libertà è solo apparente: vale a dire i versi sono regolarissimi, se si restituiscono lunghe che nell'età arcaica non erano ancora abbreviate, e fonemi che in quell'età non erano ancora caduti, o se si tien conto dell'elisione di s finale dinnanzi a consonante e talvolta, pare, anche dinnanzi a vocale.

Se nel senario le coincidenze tra ictus e accento, molto frequenti, siano ricercate, è per lo meno dubbio; dubbio persino se sia esistito nel verso un ictus espiratorio (cfr. metrica). Di recente è stato ingegnosamente dimostrato che, applicando convenzionalmente a trimetri sofoclei la regola dell'accento latino e supponendo l'ictus, si ottengono gli stessi risultati che per Plauto, con la medesima proporzione di eccezioni.

Abbiamo sin qui considerato i senarî degli antichi drammaturghi: la poesia arcaica, compreso Lucilio (dal libro XXVI in poi: v.), conosce solo senarî, non trimetri. Trimetri alla greca compongono i cantores Euphorionis e da allora in poi tutti, si può dire, i seguenti. Al verso italico rimangono fedeli i mimografi D. Laberio e Publilio Sirio, Varrone nelle satire, e, ancora sotto Tiberio, Caligola e Claudio, il plebeo Fedro: il senario è ormai popolaresco insieme e arcaico. Naturalmente tali scrittori non seguono più la prosodia arcaica.

Converrà aggiungere qualche parola su un verso altrettanto frequente nel dramma quanto il senario, il settenario o versus quadratus. Esso sta al tetrametro trocaico come il senagio al trimetro. Per esso valgono, si può dire, le stesse regole che per il senario; per trovarne la formula si consideri il settenario come un senario con cretico preposto, così come l'antica metrica derivava (ciò che storicamente è un'assurdità) il tetrametro trocaico del trimetro esprimendo questa teoria nell'esempio Socrates beatus ille qui procul negotiis. Soltanto nel settenario non è ammessa parola dattilica nell'unica sede in cui l'ammette il senario. A questa restrizione fa al solito riscontro una libertà: per il settenario esiste un secondo "punto di Jacobsohn", un'altra sede dove è lecita almeno la sillaba ancipite (se il iato, è dubbio), appunto dopo il primo cretico.

Bibl.: Manca per senario e settenario una trattazione complessiva: vecchio è R. Klotz, Grundzüge altrömischer Metrik, Lipsia 1890; uscì già vecchio Lindsay, Early latin verse, Oxford 1922; insufficienti le trattazioni di E. Bickel e poi di F. Vollmer nelle edizioni successive dell'Einleitung in die Altertumswissenschaft di Gercke e Norden. È notevole un coraggioso tentativo di divulgare certe conoscenze nelle scuole italiane, di M. Lenchantin De Gubernatis, Metrica latina (Messina s. a.). Le conoscenze più importanti sono state esposte in lavori particolari: citiamo A. Luchs, Quaestiones metricae (Studemunds Studien), I, 1873, p. 1 segg.; H. Jacobsohn, Quaestiones plautinae metricae et grammaticae, Gottinga 1904; F. Marx, Zwei Auslautsgesetze der katalektischen iambisch-trochaischen Verse der altlateinischen Dichter, in Leipziger Sitz.-Ber., IX (1907), p. 129; Molossisch-baccheische Wortformen in der Verskunst der Griechen und Römer, in Leipziger Abhandlungen, XXVII, i (1922). Agli scritti menzionati in prosodia si aggiunga l'ottimo di O. Skutsch, Prosodische u. metrische Gesetze der Iambenkürzung, Gottinga 1934. Sul problema delle relazioni tra ictus e accento grammatricale (contro Ed. Fraenkel, Ictus und Akzent [Berlino 1928]), W. Theiler, in Deutsche Lit.-Zeit., 1935, 850 segg. Cercano di provare che il settenario, rispettivamente il senario in Roma, è anteriore a Livio Andronico, Ed. Fraenkel, in Hermes, LXII (1927), p. 357 segg., e Fr. Altheim, in Glotta, XIX (1928), p. 24 segg.; nessuna delle due dimostrazioni sembra riuscita; la seconda anzi pare errata; e tuttavia dà da pensare che, come ha rilevato il Fraenkel, senario e settenario sono già negli esempî più antichi tanto più eufonici degli anapesti, il che farebbe supporre lungo uso e progressivo raffinamento.

Metrica moderna. - Verso di sei sillabe che può avere gli accenti ritmici sulla 2ª e 5ª, o sulla 3ª e 5ª. Il secondo tipo è comune nella poesia spagnola fin dalle origini e si trova già nella poesia ritmica latina medievale. Dell'uno e dell'altro tipo si hanno esempî nell'antica poesia italiana profana e sacra. I frequente nelle canzonette del Sei e Settecento e l'hanno usato anche poeti moderni come G. Giusti e G. Zanella.

Più spesso il senario si trova, nella forma sdrucciola, misto con ottonarî come in alcune satire del Giusti, oppure con dodecasillabi come nella Notte Fiorentina di G. Marradi. Un senario doppio è in alcuni casi il dodecasillabo (v.) come nel 1° coro dell'Adelchi di A. Manzoni.

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