SEPPIA

Enciclopedia Italiana (1936)

SEPPIA (lat. scient. Sepia officinalis L.; fr. seiche; sp. sepia, jibia; ted. gemeiner Tintenfisch; ingl. cuttle-fish)

Pasquale Pasquini

Genere (Sepia Lam.) di Molluschi (v.), Cefalopodi (v.), della sottoclasse Dibranchiata, ordine Decapoda, sezione Myopsida, sottordine Sepioidea, famiglia Sepiidae. Corpo ovoide, depresso, di colorito vario e mutevole, pel giuoco dei cromatofori, dal giallo al bruno al verde più o meno intensi; munito ai due lati di due pinne per il nuoto estese a tutto il sacco palleale; con capo massiccio provvisto di 4 paia di tentacoli o braccia, situati intorno alla bocca che è armata di due robuste mascelle cornee a "becco di pappagallo". Oltre a questi 8 tentacoli, rivestiti ciascuno, sulla faccia interna, di 4 serie di ventose, il capo possiede due braccia tentacolari più lunghe, retrattili in tasche e terminate a clava; la faccia interna di tali braccia è munita anch'essa di ventose. Conchiglia interna calcarea a margini taglienti, biconvessa, liscia e dura sulla faccia dorsale, sulla ventrale fatta di sostanza calcarea più tenera, suddivisa da setti che ricordano quelli delle Ammoniti, e detta comunemente "osso di seppia" o "sepiostario". Caratteristica la "ghiandola del nero" che permette alla seppia di avvolgersi, quando è molestata, in una densa nuvola che la nasconde; questa secrezione nera serve anche a tingere le capsule delle uova e fornisce la sostanza colorante detta "seppia", che serve a fabbricare il relativo colore, ed entra nella composizione delle migliori qualità d'inchiostro di china.

La seppia abita le coste mediterranee, atlantiche e dei mari del Nord, sui fondi arenosi e fangosi, fino a profondità di oltre 100 metri; nel Mediterraneo è rappresentata oltre che dalla S. officinalis L. (a Napoli, volg. seccia), dalla S. Filliouxi Lafont. (che sarebbe secondo alcuni autori la specie più comune in Italia), dalla S. orbignyana Fér. (a Napoli, volg. seccetella culo appuntuto) e dalla S. rupellaria D'Orb. Si nutre di pesci e di crostacei. Le uova (volg. uva di mare) piriformi, nere, grosse come un chicco d'uva, sono deposte a gruppi (nel Golfo di Napoli da dicembre a luglio; nel Golfo di Manfredonia, più specialmente, in marzo-aprile-maggio) su coralli, fuchi, talora su stelle di mare, crostacei, ma più specialmente aderenti ai rami di lentisco appositamente messi dai pescatori entro pignatte sommerse per adescare le femmine.

Le seppie stanno per lo più adagiate sul fondo, al cui colore uniformano il proprio, immobili, o fanno brevi escursioni nuotando per mezzo di movimenti ondulatorî delle pinne. Quando sono molestate, nuotano energicamente a ritroso per la spinta provocata dall'emissione dell'acqua della cavità palleale attraverso l'imbuto, e al tempo stesso emettono il nero.

Le seppie, le cui carni sono molto apprezzate, specie quelle degli individui giovani, sono attivamente pescate con reti a strascico, o anche con fiocina, oppure adescando i maschi con una femmina legata a rimorchio di una barca. In Italia la pesca di tale cefalopodo è esercitata attivamente nei varî distretti pescherecci, abbondante nel Golfo di Napoli, ma più specialmente a Manfredonia e a Barletta dove le seppie vengono catturate con le cosiddette "vorle" o con le "reti della morte".

(Per la Seppia e per le uova v. cefalopodi, tav. a colori).

Bibl.: v. cefalopodi; inoltre: E. F. Cannaviello, La pesca delle seppie nel comune di Manfredonia, in Rivista di pesca e idrobiologia, X (1915).

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