SERAPIDE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

SERAPIDE (Σαράπις, raro Σεράπις, Σοράπις, Σοροάπις; Serapis, raro Sirapis)

L. Vlad Borrelli

Divinità risultante da un sincretismo dell'egizio Osiride-Apis col greco Zeus-Hades e onorata particolarmente ad Alessandria. Le origini di questo culto, che appare come una delle più geniali creazioni politico-religiose dei primi Tolomei, sono incerte e affidate a notizie favolose e contraddittorie riferite dalle fonti antiche (Tac., Hist., iv, 83 ss.; Plut., De Iside et Osiride, 28; Eustat., Commentarii a Dionys., Perieg., 255); secondo alcuni il simulacro di S. sarebbe stato fatto trasportare per mare da Sinope, sulla costa del Mar Nero, ad Alessandria, in seguito ad un sogno e a segni premonitori, da Tolomeo I che avrebbe fatto costruire, poi, per custodirlo, il Serapeo; secondo altri la sede primitiva del culto sarebbe stata non Sinope ma Seleucia, o, ancora, Babilonia, ove, quando Alessandro Magno era in punto di morte, i suoi amici avrebbero consultato per lui S. nel suo tempio (Plut., Alex., 76; Arrian., Anab., VII, 26); secondo altri ancora l'immagine sarebbe stata trasportata ad Alessandria da Memfi (ove esisteva un serapeo dal tempo di Tolomeo I), non per opera del primo ma del terzo Tolomeo. Secondo un'altra versione, poi, la statua si trovava già a Rhakotis, il sobborgo di Alessandria, ove poi sorse il Serapeo, ai tempi di Alessandro (Ps. Callistr., i, 31-33). Atenodoto di Tarso (ap. Clem. Alex., Protrept., 14; Fr. Hist. Gr., iii, 487-488) riferisce che la statua di S. sarebbe stata fabbricata per comando del favoloso Sesostris ad opera di un Bryaxis (anteriore beninteso all'omonimo del IV sec.), che avrebbe impiegato sei metalli e tutte le pietre preziose d'Egitto, legando, infine, questo composto con le ceneri residue dei funerali di Osiride e Apis. Troviamo, quindi, nelle fonti l'ipotesi sia dell'origine autoctona che di quella straniera. A Sinope non e attestato in epoca antica il culto di 5.; anzi nella monetazione della città il dio compare per la prima volta al tempo di Adriano. Per spiegare il sorgere delle notizie sull'origine orientale il Bouché-Leclercq pensa all'equivoco con un dio mesopotamico, Sarapsi, comune, quindi a Babilonia e allo stanziamento assiro-babilonese che precedette a Sinope la colonia milesia e riferisce altresì la singolare coincidenza del nome di Sinope con quello egizio di Sen-hapi dimora di Api, che è una collina di Memfi. Meno oscura appare l'etimologia del nome, ricondotta dai più a Osiride-Apis = ᾿Οσιράπις, Serapis; sebbene non siano mancate altre interpretazioni come σορός (bara) e Apis = Apis morto (Nymphodor., ap. Clem. Alex., Strom., 1,21, 139 Fr. Hist. Gr., ii, 380; Augustin., Civitas Dei, xviii, 5; Suda, s. v. Σαράπις, σαιρει (radice egizia?) = Χαρμασύνη (gioia, piacere) di Plutarco e altre ipotetiche di moderni che attingono al copto, all'indogermanico, ecc. Comunque, sia che fosse una divinità indigena, sia importata, sia abile creazione dei teologi, S. si configurò come una divinità poliade, partecipe degli attributi ctonî di Osiride-Apis e di Hades-Plutone, di quelli solari di Helios, di quelli orfia di Dioniso, di quelli medici di Asklepios e si addiceva, per la complessità degli attributi, per la ambiguità e l'eclettismo delle sue origini alle nuove esigenze del pantheon ellenistico e, poi, di quello romano. Di qui la sua fortuna e la sua diffusione in tutto l'Oriente greco; la più antica iscrizione su cui si fa menzione di S. fu trovata ad Alicarnasso (Dittenberger, Or. Gr. Inscr., 16) e appartiene probabilmente al 308-306: S. è nominato con Iside e quindi prende il posto di Osiride; il suo culto compare ad Atene nel III sec. a. C. (nel 250 a. C. era celebrato al Pireo da una associazione di Sarapiastài e ad Atene c'era un serapeo forse II sec. a. C. nell'Italia meridionale per stendersi vieppiù durante l'impero (Serapeo di Pozzuoli d'età flavia).

Il più antico tipo iconografico di S. si fa risalire comunemente al simulacro del tempio di Alessandria, il colossale Serapeo che la tradizione più comune attribuisce a Tolomeo I, ma che qualcuno, a conferma di una versione di Tacito (iv, 81-83), assegnerebbe piuttosto all'età di Tolomeo III (Adriani; ma in tal caso si deve ammettere l'esistenza di immagini di S. più antiche) e distrutto dal patriarca Teofilo nel 391 d. C. La statua, colossale e improntata ai canoni della scultura del IV sec. a. C., il cui ricordo è affidato ad una numerosissima serie di repliche e varianti, è generalmente attribuita a Bryaxis, in base a confronti con altre opere riferite a questo scultore e alla interpretazione della paternità denunciata da Clemente Alessandrino che, descrivendo la statua, riferisce l'opinione di Atenodoro il quale, per arcaizzarla, avrebbe parlato di un Bryaxis del tempo di Sesostris e non dello scultore del IV sec., operando uno sdoppiamento avvenuto presso le fonti antiche anche per qualche altro artista. L'Adriani, denunciando vani gli sforzi della critica attribuzionistica, rigetta la paternità a Bryaxis, pur confermando una datazione dell'originale intorno al IV secolo. La statua era colossale e composta secondo una tecnica che ricordava quella crisoelefantina che denotava anch'essa l'indirizzo classicheggiante dell'autore: su un'anima di legno le varie parti del corpo erano espresse in metalli vili e nobili, in pietre preziose e pietre dure d'Egitto che rilucevano vivacemente e forse con completamenti in stucco. Il dio era rappresentato seduto su un trono di gusto arcaizzante e appoggiava i piedi, calzati di sandali, su uno sgabello con zampe di leone. Era vestito di un sottile chitone e di un manto che gli pendeva sulla spalla sinistra; la testa, riccamente chiomata, con cinque riccioli scendenti sulla fronte e una barba spartita in due sul mento, era ornata da un modio, simbolo della fertilità. Con la sinistra il dio reggeva lo scettro, mentre la mano destra poggiava sulla testa centrale di un Cerbero tricipite (con teste di lupo, di leone e di cane), che, accucciato accanto al trono, col corpo avvolto nelle spire di un serpente, sottolineava, insieme al colorito livido e bluastro delle carni nude, il carattere infero della divinità.

A questo primo tipo iconografico va ricondotta la maggior parte delle immagini di S.; la più antica, datata ancora nel III sec., è probabilmente un'erma con testa di S. a cui si appoggia la statua di Demetrio di Falero, scoperta nel Serapeo di Memfi, che il Picard ritiene riproduzione del tipo originario di S. di cui tutte le altre effigi sarebbero una versione ellenizzata; segue poi una moneta bronzea di Tolomeo IV Filopatore. Le colossali dimensioni della statua non consentivano l'esecuzione di copie meccaniche e pertanto non ne esistono due esemplari identici. Lo Amelung ne cita trentatre repliche; l'Adriani, aggiornando questa lista, riduce a quindici gli esemplari più noti: al museo di Alessandria 1) grande statua in marmo bianco; 2) grande testa in basalto verde; 3) testa in marmo bianco; 4) busto in marmo bianco; 5) busto in marmo bianco; 6) testa colossale in marmo bianco (Il Cairo, museo); 7) frammento di testa in basalto verde (Roma, Villa Albani); 8) frammento di statua (o busto?) in marmo bianco (Parigi, Collezioni Goldschmidt); 9) busto in marmo bianco (Roma, Museo Torlonia); 10) testa in marmo bianco (Roma, Museo dei Conservatori); 11) busto in marmo bianco (Hama, Siria); 12) busto in marmo bianco (Leningrado, Ermitage); 13) testina in pietra verde (Leningrado, Ermitage); 14) testa in marmo bianco (Parma, museo); 15) busto in marmo bianco (Vaticano, Rotonda). Secondo lo Amelung, una delle migliori repliche è il frammento in basalto verde di Villa Albani. La replica più nota è il colossale busto in marmo dalla via Appia, conservato nella Rotonda del Vaticano e databile alla seconda metà del II sec. d. C., sebbene, in tal caso, si debba parlare piuttosto di rielaborazione: il S. infero è trasformato, mediante una corona di raggi metallici, in Helios-Serapis, le cinque caratteristiche ciocche sulla fronte sono sostituite da una massa compatta di capelli, il volto reca i segni dell'espressionismo tipico dell'età degli Antonini. Un esemplare singolare è un busto colossale in pietra calcarea ricoperta di stucco dipinto del museo di Alessandria, pure di età antoniniana. Per l'eccezionalità del materiale va pure ricordata una testina in vetro blu della Walters Art Gallery di Baltimora.

Accanto a queste opere a tutto tondo vanno menzionate molteplici riproduzioni su pietre incise, cammei, monete imperiali romane, lampade, suppellettili, rilievi. Per L. Castiglione è proprio in queste opere di microplastica che andrebbe riconosciuta la statua del Serapeo di Alessandria mentre il S. canonico sarebbe una rielaborazione romana, forse adrianea. Un rilievo scoperto a Roma in via della Conciliazione, databile alla metà del II sec. d. C., era forse dedicato in un santuario delle divinità egizie che sorgeva nell'ager Vaticanus e rappresenta S. con ai lati una Demetra-Iside ed Afrodite analogamente ad un altro frammento di rilievo rotondo, in calcare, del Museo Pelizaeus di Hildesheim, ove le tre divinità, S. al centro affiancato da Iside e Demetra, erano probabilmente poste, secondo la tradizione egizia, su una nave.

A questo tipo di S. "briassico" se ne aggiunge un altro molto simile e da taluni attribuito allo stesso autore (Jongkees, in Journ. Hell. St., lxviii, 1948, pp. 36-38) ove il dio è rappresentato non più seduto, ma in piedi; esso compare su monete di Vespasiano, nella scultura e nella microplastica. Anche questo tipo presenta numerose varianti, ora con il corpo avvolto nello himàtion e nel chitone, ora nel solo himàtion, ora nel solo chitone, ora con al posto del Cerbero tricipite una colonna o un tronco intorno a cui si avvolge un serpente (S. come ipostasi di Asklepios). Un'altra variante, che ricorre per la prima volta nelle monete frigie di Antonino Pio, rappresenta S. in piedi ma con una patera nella sinistra al posto dello scettro e, a volte, il corno dell'abbondanza nella mano destra.

Accanto ai due tipi principali, quello di S. seduto e quello di S. stante, ve ne sono molti altri - in realtà sottotipi di questi - (nel Roscher sono numerati diciotto tipi) -, ove S. appare come ipostasi di altre divinità o congiuntamente a queste e così: su un battello nilotico (moneta traianea di Alessandria), presso una nave, solo o con Iside e altre divinità, associato a un delfino (Il Cairo, Collezione Keller), su una quadriga (moneta adrianea di Alessandria), con Iside e entrambi col corpo desinente in serpente (bronzo di Costantinopoli, nella Collezione Mordtmann), circondato da uno zodiaco, in erma con Giove, Giunone, Ercole (su una coppa etrusca), come Iuppiter-S. su specchi etruschi, come Giano bifronte (monete romane), come Zeus (in un gruppo con Ammone e Ares a Vienna), in un busto con piede umano per base a cui si ricollega tutta una serie di "piedi di Serapide" ecc.

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