FAILONI, Sergio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FAILONI, Sergio

Giorgio Marino

Nacque a Verona il 18 dic. 1890da Giuseppe e da Maria Consolati.

Giovanissimo si avvicinò alla musica, iniziando lo studio del violoncello nella sua città, ove fu allievo di E. Fiorinotto e successivamente, dopo il suo trasferimento a Milano, di G. Magrini. La sua vera vocazione, però, non lo spinse ad intraprendere la carriera di solista, bensì - come dimostrò sin da giovanissimo dirigendo concerti sia a Bologna sia a Milano - di direttore d'orchestra. Nel gennaio 1921 fu a Como, poi ancora a Milano, al teatro Carcano, dove diresse Platée di J.-Ph. Rameau. Fu proprio in questa città che la sua attività di direttore d'orchestra conobbe la svolta decisiva per la sua carriera, allorché nella stagione lirica 1921-22 del teatro alla Scala fu scritturato come maestro sostituto insieme con altri direttori già affermati quali F. Calusio, M. Frigerio e A. Votto; maestro concertatore era A. Toscanini, il quale ripartì il compito con E. Panizza. Successivamente fu a Trieste, dove diresse al teatro Verdi il Crepuscolo degli dei di R. Wagner, per poi assumere la direzione della stagione operistica 1922-23. Nel 1922 fu nuovamente a Milano per la prima rappresentazione assoluta de La tempesta di F. Lattuada.

Ormai affermato come versatile e sensibile interprete, fu chiamato a Roma per dirigere all'Augusteo composizioni di R. Wagner, H. Berlioz, L. van Beethoven, A. P. Borodin e di autori contemporanei (17 marzo 1924); diede così inizio ad una intensa attività concertistica che lo vide sul podio del teatro Regio di Torino e del teatro Comunale di Bologna, ove tra l'altro diresse composizioni di autori pressoché sconosciuti come D. Alaleona, N. Cattozzo, M. Agostini, R. Pick Mangiagalli, M. Pilati, S. Copertini, V. Tommasini e G. Mulè, mostrando anche una particolare predisposizione per il repertorio contemporaneo italiano. Rivelatosi fin dal 1924 grande interprete wagneriano - diresse al teatro Carlo Felice di Genova una splendida Walkiria, accanto a Bohème di G. Puccini, Falstaff di G. Verdi e Wally di A. Catalani -, riportò un successo strepitoso in Parsifal all'Arena di Verona, ove, sempre nel 1924, diresse Andrea Chénier di U. Giordano. Dedicatosi anche al repertorio verista, non trascurò quello ottocentesco e, riconfermato all'Arena di Verona nella stagione 1925, vi diresse memorabili edizioni del Mosè di G. Rossini con N. De Angelis e Gioconda di A. Ponchielli con G. Arangi Lombardi e B. Franci.

Alternò l'attività teatrale a quella sinfonica e fu più volte all'Augusteo di Roma, quindi a partire dal 1925 cominciò ad esibirsi anche in teatri e istituzioni concertistiche d'Oltralpe; fu infatti al Covent Garden di Londra, al teatro Municipale di Santiago del Cile, al teatro Real di Madrid. Questa intensa attività contribuì ulteriormente alla sua affermazione in campo nazionale; venne infatti invitato dal governo a far parte della commissione esaminatrice del concorso per un'opera nazionale. Una svolta nella sua carriera direttoriale si verificò nel febbraio 1927, allorché l'intendente del teatro Reale di Budapest venne in Italia per scritturare un direttore; ascoltato il F. durante una prova del Crepuscolo degli dei al Carlo Felice di Genova, lo invitò in Ungheria per due recite straordinarie di Aida e Falstaff di Verdi all'Operház di Budapest (giugno 1928). Il successo riportato fu tale che il F., scritturato come primo direttore, a parte una breve pausa durante la quale si rifiutò di dirigere in segno di protesta per l'occupazione tedesca del paese, mantenne l'incarico fino alla morte. All'Operház si distinse soprattutto come interprete di Verdi e Wagner, autori cui dal 1933 dedicò stagioni liriche distinte in cicli riservati alternativamente ai due compositori, avvalendosi per le rappresentazioni wagneriane di artisti di Bayreuth.

Dedicatosi anche al teatro mozartiano, diresse Il flauto magico, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Il ratto dal serraglio e Così fan tutte; lasciò spazio anche a prime rappresentazioni sia di opere nazionali, fra cui nel 1932 la Filanda magiara di Zoltán Kodály, e, sempre nello stesso anno, in occasione del cinquantesimo compleanno del compositore ungherese, la realizzazione scenica di Psalmus Hungaricus. Non trascurò il repertorio italiano contemporaneo e diresse in prima esecuzione ungherese il Finto Arlecchino di G. F. Malipiero (1932), Fiamma di O. Respighi (1935), Lucrezia sempre di Respighi (1941), Monte Ivnor di L. Rocca (1940), Il tabarro e Suor Angelica di G. Puccini (1941) e ancora opere di G. Donizetti (Don Pasquale) e R. Zandonai (Francesca da Rimini). Il suo incarico a Budapest non gli impedì di tornare più volte in Italia; nel 1931 fu a Milano per una serie di concerti sinfonici in cui, accanto a composizioni del repertorio romantico tedesco, diresse varie novità. Ospite del teatro alla Scala, vi diresse il 14 genn. 1933 la Filanda magiara di Kodály con G. Tess e A. Oltrabella, quindi il 19 gennaio Una partita di R. Zandonai con R. Raisa e Gianni Schicchi di Puccini. Particolarmente apprezzate furono le sue recite verdiane di Traviata con G. Cigna e T. Schipa e un Rigoletto con una eccezionale compagnia di canto che vedeva Mercedes Capsir nel ruolo di Gilda, C. Galeffi in quello di Rigoletto e C. Lauri Volpi in quello del duca di Mantova.

Fu poi a Roma nel 1934 per Lohëngrin di Wagner e l'anno successivo per Turandot di Puccini con B. Scacciati. Durante l'ottava edizione del Maggio musicale fiorentino (1935-36) fu chiamato a dirigere la stabile orchestrale del teatro Comunale in un concerto sinfonico, quindi nel 1937, ormai affermato come valente direttore wagneriano, propose al Filarmonico di Verona la Walkiria con E. De Nemethy, che diresse l'anno seguente in Tristano e Isotta e ancora nel 1938 in Tannhäuser. Nello stesso anno con il complesso dell'opera Reale di Budapest partecipò alla IV edizione del Maggio musicale fiorentino, ove diresse per la prima volta in Italia Il castello del principe Barbablù di B. Bartók. Dal 1940 diresse nei maggiori teatri italiani, alternando composizioni del repertorio tardoromantico a novità assolute, tra cui Enigma di János Visky (Firenze 1941), gli intermezzi di I. Pizzetti per Edipo re di Sofocle (ibid. 1941), Tango di G. G. Sonzogno (ibid. 1945) e Hary Janos di Z. Kodály (Milano 1946).

Fino al 1947 fu presente nelle stagioni scaligere durante le quali si dedicò prevalentemente al repertorio verdiano. Diresse più volte l'orchestra sinfonica della RAI (Radio audizioni Italia), nella cui discoteca storica si conservano sue registrazioni del Nabucco di Verdi, Nelle steppe dell'Asia centrale di Borodin, il preludio del Lohëngrin di Wagner e il Valzer triste di I. Sibelius. L'improvviso insorgere di una malattia che lo colse nell'estate del 1947 gli impedì di recarsi al Metropolitan di New York, dove era stato scritturato per la stagione 1947-48.

Morì a Sopron (Ungheria) il 25 luglio 1948.

Pubblicò due raccolte di saggi: Hazugségok a müvészethen (Bugiein arte), Budapest 1943 e Henfagó nélkül (Senza sordina), ibid. 1945, tradotto e pubblicato a Roma nel 1946, in cui il F. espose il suo pensiero su vari argomenti di carattere artistico; scritti con estrema semplicità ma con chiarezza e vigore, essi riportano giudizi su aspetti della vita musicale italiana e straniera, prendendo in considerazione anche il pubblico di cui valutò le diverse capacità di critica per arrivare agli interpreti e soprattutto ai compositori. Prevale in essi l'amore per la verità e per l'attività musicale intese in senso puro e non corrotte da mistificazioni, ignoranza o atteggiamenti mondani. Uomo di vasta cultura, si dedicò anche all'attività didattico-musicologica; a tal proposito si ricorda il ciclo di conferenze sulla tetratologia wagneriana in cui il F. espose con acume e rigore rivolti al loro contenuto poetico e filosofico le quattro giornate, illustrate con dovizia di esemplificazioni musicali.

Nel corso della sua lunga carriera il F. ottenne sempre ampi consensi per la capacità di comprensione del senso poetico e drammatico delle opere dirette, nonché per la vasta cultura e l'originalità interpretativa che tuttavia non lo indussero mai a compiere arbitrarie deformazioni nella lettura del testo. Esemplari furono la correttezza e l'equilibrio delle sue esecuzioni e soprattutto la fedeltà con cui sì accostava agli autori da interpretare.

Fonti e Bibl.: Notizie documentarie fornite dalla famiglia; recens. in Il Resto del carlino, 4 maggio 1924; La Tribuna, 13apr. 1926, Pesti Naplo, 12 marzo 1930; Pestes Lloyd, 14 dic. 1931, 29 ottobre e 3 nov. 1933; Neue Freie Presse (Vienna), 5maggio 1934; Corriere della sera, 9 luglio 1937, 7 maggio e 25luglio 1938; Regia Accademia di S. Cecilia. I Concerti dal 1895 al 1933, II, Roma 1933, pp. 293, 312, 343, 347 s., 434 s., 500 s., 590; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte, II, Cronologia, Milano 1964, pp. 93, 95, 104, 115 s., 258, 271, 278, 352 s., 435, 437; Il Maggio musicale fiorentino, Firenze 1967, passim; La musica a Verona, Verona 1976, pp. 350 s., 360, 367, 374 s., 378, 402; E. Frassoni, Due secoli di lirica a Genova, Genova 1978, pp. 158 s., 183; Teatro Regio. Città di Parma. Cronologia degli spettacoli lirici 1929-1979, Parma 1979, pp. 39s., 94; T. Dal Monte, Una voce nel mondo, Milano 1985, pp. 94, 249; A. De Angelis, Diz. dei musicisti, App., Roma 1928, p. 86; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, Suppl., p. 287; Enc. dello spettacolo, IV, coll. 1789 s.; Diz. enc. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, p. 692.

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