ORTOLANI, Sergio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORTOLANI, Sergio

Federica De Rosa

ORTOLANI, Sergio. – Nacque a Feltre il 30 giugno 1896, primogenito dei quattro figli di Tullio e di Maria Merlo, entrambi veneti.

A seguito dei trasferimenti dettati dal lavoro del padre, critico letterario e professore di italiano nelle scuole, trascorse l’infanzia e la prima giovinezza tra l’Umbria, le Marche, la Campania e la Sicilia. Frequentò a Benevento il ginnasio e il primo liceo classico e completò gli studi a Modica nel 1913. Nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Firenze.

Entrò subito in contatto con gli ambienti letterari e artistici del capoluogo toscano, e non «poté mai salvarsi intero» dalla «rivoluzione iconoclasta e chiarificatrice» condotta in quegli anni anche attraverso le pagine de La Voce e Lacerba (Pittori giovani, in Delta, I [1923], 3, p. 75).

Costretto a sospendere gli studi perché chiamato alle armi nel 1915, fu tenente nel corpo degli alpini. Alla fine del conflitto, dopo essere stato prigioniero in Austria, tornò a Firenze per riprendere l’università e il 31 ottobre 1919 si laureò in filologia moderna, con una tesi su Pietro Aretino. Il 1919 fu un anno particolarmente significativo. Vinta una borsa di studio per la scuola di perfezionamento in storia dell’arte di Firenze, ebbe la possibilità di seguire le lezioni di Pietro Toesca, di dare avvio a ricerche storico-artistiche e contestualmente di affrontare le prime questioni di metodo sulla disciplina.

Conseguito il diploma il 20 ottobre 1920, fu inizialmente docente di materie letterarie a Rieti e, successivamente, con una lettera di presentazione di Toesca, giunse a Roma alla scuola di perfezionamento in storia dell’arte di Adolfo Venturi. Si diplomò il 13 maggio 1925, discutendo su L’opera e l’arte di Girolamo Savoldo. Durante il perfezionamento ebbe modo di frequentare, tra gli altri, Maria Accascina, Mary Pittaluga, Valerio Mariani ed Emilio Lavagnino.

Come lo stesso Ortolani ricordò in un articolo scritto in occasione della morte di Venturi (in Corriere di Napoli, 14 giugno 1941), a quel tempo ripercorse tutta l’Italia per «vedere e rivedere» e si formò grazie allo «sguardo ‘conoscitivo’, illuminante, la [...] parola esaltatrice e incitatrice» del maestro, facendo «dell’erudizione e dell’indagine» strumenti di analisi e lettura dell’opera d’arte. Ma soprattutto prese parte alla «costruzione del nuovo edificio» degli studi storico-artistici e alla crisi intervenuta nella storia dell’arte nel momento in cui questa fu chiamata a misurarsi con la scuola viennese, con Bernard Berenson e soprattutto con Benedetto Croce (A. Venturi, Memorie autobiografiche, a cura di G.C. Sciolla, Torino 1991, p. 89).

Esemplificativi, in tal senso, furono i primi scritti pubblicati sulla rivista di Venturi, L’Arte: Pietro Aretino e Michelangelo (XXV [1922], pp. 15-26), Cavalliniana (XXV [1922], pp. 190-199), Coltura ed arte (XXVI-XXVII [1923-24], pp. 143-148, 253-263; XXVII-XXVIII [1924-25], pp. 16-24, 98-103, 150-155, 264-278), Le origini della critica d’arte a Venezia (XXVI [1923], pp. 1-17), Di Gian Girolamo Savoldo (XXVIII [1925], pp. 163-173).

Mentre gli scritti sulla critica d’arte veneziana, su Aretino, su Savoldo e sul rapporto tra «coltura e arte» – nei quali rivelava il suo meditare sulle pagine di Croce, di Lionello Venturi e dei teorici del puro visibilismo, come pure la sua attenzione per la recente storiografia artistica giunta in Italia attraverso i viennesi e principalmente con l’opera di Julius von Schlosser – furono occasione per approfondire temi già maturati durante la tesi di laurea e il perfezionamento, il saggio su Cavallino nasceva dalle riflessioni che si riavviarono con la mostra tenuta a Firenze nel 1922 sulla pittura italiana del Sei e Settecento e mostrava un primo forte interesse per l’arte napoletana.

Ancora allievo della scuola di Venturi, tra il 1922 e il 1925, intervenne su Le Cronache d’Italia, Il Concilio, La Cultura e il Bollettino del Real Istituto di archeologia e storia dell’arte e fu impegnato nell’impresa Le chiese di Roma illustrate, edita per iniziativa di Carlo Galassi Paluzzi dall’Istituto nazionale di studi romani. Sue le monografie su Ss. Giovanni e Paolo (1922), S. Andrea della Valle (1924), S. Croce in Gerusalemme (1924), S. Bernardo alle Terme e le distrutte chiese di S. Ciriaco e S. Caterina in Thermis (1924), S. Giovanni in Laterano (1925) e S. Carlo ai Catinari (1927). Il periodo romano si chiuse nel 1926, anno in cui entrò nell’amministrazione delle Antichità e belle arti come ispettore aggiunto e fu assegnato alla Real Soprintendenza all’arte medievale e moderna della Campania, allora diretta da Gino Chierici; nel luglio si trasferì definitivamente a Napoli.

L’attività di Ortolani in soprintendenza ebbe inizio accanto ad Aldo De Rinaldis, con cui lavorò al catalogo della Real Pinacoteca e all’ordinamento dei depositi. Divenne, poi, direttore della Pinacoteca napoletana nel 1930, ruolo che rivestì sino alla morte, pur tra alterne vicende politiche. Non iscritto al Partito nazionale fascista e assiduo frequentatore di Croce e degli ambienti crociani, gli fu negata la promozione che gli sarebbe spettata in seguito al concorso del 1935, e fu ‘pretermesso’ nel 1937 dalla nomina a direttore di I classe, che gli arrivò solo nel 1941. Anche la carica di soprintendente, che decise di non accettare per non lasciare Napoli, gli fu assegnata nell’aprile 1947, retrodatata al 1942 e alle Gallerie di Roma II (Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Antichità e Belle Arti, div. I, Personale cessato al 1956, b. 106).

In qualità di direttore della Pinacoteca di Napoli provvide al totale riordinamento del Museo, che portò a termine nel 1937 e contestualmente presentò sul Bollettino d’arte (Il riordinamento della Pinacoteca del Museo nazionale di Napoli, s. 3, XXXI [1937-38], pp. 44-46). Nello stesso anno, il 13 maggio, sposò Blanche Goode, pianista inglese, vedova del filosofo e professore di letteratura inglese Raffaello Piccoli.

Durante gli anni in cui lavorò per la soprintendenza campana svolse un’ampia attività di tutela dei beni dislocati sul territorio, si impegnò nella creazione di un Archivio fotografico ministeriale della pittura meridionale e soprattutto nel 1932 istituì un Gabinetto di pinacologia e restauro, primo organo tecnico ministeriale preposto alla conservazione delle opere d’arte, chiuso nel 1937 in previsione della fondazione a Roma dell’Istituto centrale per il restauro.

L’idea di aprire all’interno della Pinacoteca un laboratorio di restauro, diviso in quattro sezioni (pinacologia e radioscopia, restauro, fotografia, fisica e chimica) gli venne in seguito alla partecipazione alla I Conferenza internazionale per lo studio dei metodi scientifici applicati all’esame e alla conservazione delle pitture, tenuta a Roma nell’ottobre 1930. La stessa conferenza romana fu l’occasione per stringere rapporti di collaborazione con il fisiologo e ambasciatore argentino Fernando Perez, teorico di una nuova scienza figlia della temperie tardo-positivistica, chiamata pinacologia, e inventore del pinacoscopio, un particolare strumento che si utilizzò a lungo a Napoli per l’esame a luce radente delle opere d’arte.

Consapevole di come l’esperienza del Gabinetto di pinacologia – dove lavorarono, tra gli altri, Stanislao Troiano, Giovanni (Giannino) Marchig, Umberto Chiariello, Anita Garzia e Selim Augusti – fosse contraddistinta da una grande modernità, fondandosi sul binomio arte e scienza sul quale si andava costruendo la disciplina del restauro, Ortolani volle documentare, pur a distanza di anni, i restauri eseguiti. Principalmente, nel 1948, presentò sul Bollettino d’arte (Restauro d’un Tiziano, s. 4, XXXIII, pp. 44-53) gli esiti degli interventi sul Paolo III con il camauro di Tiziano e su alcuni Inediti meridionali del Duecento (pp. 295-319). Nella stessa temperie nacquero anche i lavori condotti in vista di grandi mostre, pur spesso organizzate in linea con un più vasto disegno di propaganda politica.

Già nel 1928 aveva progettato una mostra su Giacinto Gigante e nel 1933 presentò un primo contributo sulla storia della pittura napoletana del XVI secolo per la II Mostra salernitana d’arte; nel 1938 fu tra i curatori del catalogo dell’esposizione su Tre secoli della pittura napoletana, come responsabile della sezione dedicata al Seicento; nel 1940 scrisse il saggio introduttivo su L’Oriente e l’arte italiana per la mostra Le terre d’Oltremare e l’arte italiana dal Quattrocento all’Ottocento, inaugurata a Napoli in quell’anno.

Durante il secondo conflitto mondiale rivelò il suo impegno civile nell’opera di salvataggio del patrimonio artistico nazionale e partecipò attivamente al piano di rimozione e salvaguardia della soprintendenza alle Gallerie della Campania. Finita la guerra, ebbe un ruolo determinante nella riorganizzazione dei musei napoletani e, coinvolgendo anche Croce, cercò di destinare il palazzo di Capodimonte a sede della Pinacoteca, progetto che non vide realizzato, ma che fu portato a termine da Bruno Molajoli nel 1957.

Negli anni in cui fu impegnato nell’ampio programma di tutela, restauro e valorizzazione condotto per la soprintendenza, pubblicò importanti scritti sulla storia dell’arte dell’Italia meridionale, e gettò le basi per i successivi studi sul Seicento e soprattutto – al di là d’ogni retorica nazionalista – sull’Ottocento, come mostrano i saggi, spesso polemici, su Emporium, Vita artistica e Dedalo dedicati a Giacinto Gigante, Anton Sminck Pitloo, Vincenzo Gemito e le monografie edite dall’Istitutoitaliano d’arti grafiche di Bergamo su Giacinto Gigante (1930), Gioacchino Toma (1934), La Scuola di Posillipo (1934); a questi va aggiunto, principalmente, il volume Giacinto Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal ’600 all’800, uscito postumo, nel 1970, a cura di Raffaello Causa e ripubblicato ancora nel 2009. I suoi interessi, tuttavia, furono rivolti anche all’arte e agli artisti del Novecento; fu voce attenta del Corriere di Napoli (1940-41) e si occupò di artisti come Luigi Crisconio, Saverio Gatto, Antonio De Val e Nicola Fabbricatore. L’interesse per la produzione artistica napoletana della prima metà del XX secolo si manifestò con la I Mostra della Libera Associazione degli artisti napoletani, inaugurata a Napoli nel gennaio 1944 e organizzata da Paolo Ricci, con il quale, tra l’altro, aveva condiviso la militanza antifascista.

Pur occupandosi principalmente di arte napoletana, negli anni Quaranta dette alle stampe tre ampie monografie su artisti italiani del Quattro e Cinquecento: nel 1941, a un anno dagli Ampliamenti nell’Officina ferrarese (in La Critica d’arte, IV [1940], suppl.) di Roberto Longhi, pubblicò per Hoepli (Milano) un volume su Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti; nel 1942 tornò a scrivere per l’Istituto italiano d’arti grafiche su Raffaello, al quale aveva già dedicato nel 1927 un saggio su Vita artistica (II, pp. 198-202); nel 1948, ancora per Hoepli, uscì un denso studio sul Pollaiuolo, che dichiarò essere la sua ultima «impostazione programmatica e discussione (magari interna) del metodo, dello spirito, del tono di questa disciplina» (p. 148).

Verosimilmente su proposta di Armando Venè e Croce, fu docente di storia dell’arte presso il Magistero Suor Orsola Benincasa, ruolo che svolse dal 1939 al 1949, dando avvio a una scuola che trovava fondamento negli insegnamenti di Toesca e Venturi. Presso il magistero napoletano organizzò un archivio fotografico e una biblioteca specializzata, che egli stesso volle accrescere donandole, per volontà testamentaria, tutti i suoi libri. Nel 1947, fu coinvolto nella sistemazione della raccolta d’arte Pagliara, che pensò di progettare a uso degli allievi.

Per tutta la vita si interessò di poesia, soprattutto di Paul Valéry, e fu egli stesso poeta, traduttore e scrittore: nel 1920 curò per Facchi (Milano) la traduzione del Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde; nel 1925 per lo stesso editore tradusse lo Zadig di Voltaire; nel 1926 pubblicò per Campitelli (Foligno) il romanzo Rufino protomartire; nel 1928 dette alle stampe Selva (Napoli, Richter) e nel 1932 Controcanto (Genova, edizione di Circoli), due raccolte di liriche. Tutte le sue poesie furono ripubblicate da Mondadori nel 1957, a cura del fratello Roberto, con un’ampia prefazione di Francesco Flora.

Morì a Cuneo, dove si era recato per cure mediche, il 2 novembre 1949, lasciando incompiuti sia il citato volume su Gigante, sia un ambizioso studio su Tiziano.

Fonti e Bibl.: Per la bibliografia dedicata a Ortolani si rimanda al saggio di F. De Rosa, S. O.: percorso di vita, in S. Ortolani, Giacinto Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal ’600 all’800, a cura di L. Martorelli, Napoli 2009, pp. 313-319; contributi principali pubblicati prima e dopo tale testo sono: L. Grassi, Storia recente del problema di arte e cultura nella critica figurativa, in Archivio della cultura italiana, III (1941), 4, pp. 291-300; S. Ortolani, Raffaello (1942), a cura di C. Gentili, Pesaro 1982; O. Morisani, In memoria di S. O., in La Critica d’arte, VIII (1949), 30, pp. 322-324; V. Mariani, Ricordo di S. O., in Atti della Accademia Pontaniana,n.s., VII (1957-58), pp. 335-38; C.L. Ragghianti, Profilo della critica d’arte in Italia, Firenze 1973, pp. 172-183; Id., O. depennato, in Arte essere vivente, Firenze 1984, pp. 150-152; G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, Torino 1995, pp. 159-63, 171 s.; M. Cardinali - M.B. De Ruggieri - C. Falcucci, Diagnostica artistica, Roma 2002; F. De Rosa, Per una nuova scienza della conservazione, in Napoli nobilissima, s. 5, VI (2005), 1-4, pp. 75-106; L. Gallo, S. O., Percorsi di critica, a cura di R. Cioffi - A. Rovetta, Milano 2007, pp. 429-431; S. Valeri, O., Lavagnino, Mariani, Accascina, Brizio, Arslan, in M.C. Di Natale, Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina, Palermo-Erice… 2006, Caltanissetta 2007, pp. 108-117; F. De Rosa, Il sistema delle arti a Napoli durante il ventennio fascista, Napoli 2012.

Si ringrazia, per le notizie relative alla giovinezza di Ortolani, il nipote Tullio Ortolani.