SFINGE

Enciclopedia Italiana (1936)

SFINGE

Giulio FARINA
Goffredo BENDINELLI

. Antichità egiziana. - Composizione artistica di un corpo leonino con testa umana, foggiata nell'antico Egitto. Comunissima era allora l'idea che il faraone per il coraggio e per la forza fosse simile al toro ed al leone; di qui la rappresentazione di lui sotto le spoglie dell'uno e dell'altro animale. L'immagine del leone è la più frequente. Lo figurano coricato a terra, la coda posata presso l'anca destra, il torso eretto. La parte umana si innesta su questo. Al posto della criniera c'è il copricapo reale (nemeś), specie di cappuccio con due appendici che scendono sul petto e provvisto in fronte dell'ureo. La faccia ritrae quella del regnante e porta la barba cerimoniale. A volte la sfinge è ritratta in piedi, mentre abbatte con le zampe i nemici. Il nome con cui si chiamavano queste figure era mûj "leone", žezep "immagine" e ḥewej "percuotente". Perché talvolta alla parola "immagine" è aggiunto un aggettivo "vivente" col quale suonava šezp-‛anée, si è pensato di avere trovato l'origine della parola greca. Conclusione inaccettabile, anche perché esiste un mito ellenico della sfinge non dipendente dall'Egitto. In Grecia essa è sempre femmina e solo con grande sforzo si è potuta riconnettere con i tipi egiziani, sempre maschili (fanno eccezione alcune figure di regina o di dea, come Iside e Astarte, magari alata). Il termine androsfinge usato da Erodoto non ha avuto fortuna; e neanche la proposta di premettere l'articolo maschile alla sfinge egiziana e il femminile a quella greca. Completamente a parte, benché spesso le si confondano, sono le figure di ariete, acconciate quasi allo stesso modo, e che si riferiscono al dio Ammone. Per lo più le sfingi sono disposte appaiate sugli ingressi dei templi e talora fiancheggiano i viali che ad essi conducevano. Famosa e colossale è quella che si eleva presso le grandi piramidi vicino ad al-Ghīzah.

Essa è stata modellata da un blocco gigantesco, residuo di una cava utilizzata ai tempi di Cheope e rappresenta il re Chephren, sepolto a poca distanza di là. Anche rovinata qual'è, il suo sguardo vagante lontano, il sorriso che erra sulle labbra le dànno un'anima che conquide chi la guarda. Senza dubbio è una potente opera d'arte. È lunga m. 73,50; la bocca misura m. 2,32; il naso m. 1,70; l'orecchio 1,37; il viso 4,15 in larghezza, 5 in altezza. Dal piano dove poggiano le zampe sino alla sommità del capo corrono m. 20. Durante i secoli le sabbie del deserto sono riuscite spesso a ricoprire il colosso. Da un'iscrizione di Tḥutmóśe IV, conservata in una copia forse saitica, apprendiamo che questi, quando era principe, durante una partita di caccia, a mezzogiorno si era addormentato all'ombra della sfinge e aveva visto in sogno il dio-Sole Harmachis (Hôr nell'orizzonte), che si riteneva raffigurato da quella, e gli aveva prescritto di dissabbiarlo. Appena salito al trono, il faraone poté eseguire l'ordine. Al tempo dei Tolomei e degl'imperatori romani, furono elevate cinte di mattoni e di pietre per trattenere le sabbie; ma senza effetto durevole. Danni gravi furono invece prodotti dai Musulmani. Negli ultimi 150 anni la sfinge fu isolata tre volte: nel 1818 dal Caviglia; nel 1886 e nel 1925 dal Servizio delle antichità.

Bibl.: J. Barrère, L'orientation astron. du sphinx d'Égypte, in Bull. Soc. Astr., Bordeaux, II, 5 aprile-dicembre 1921, p. 138; L. Borchardt, Über das Alter des Sphinx bei Giseh, in Sitzungsb. Preuss. Ak. Wiss., II (1897), pp. 752-60; W. Spiegelberg, Der oder die Sphinx, in Sitz. d. Bayr. Ak., 1930, n. 8. Sulla stele del sogno: Lepsius, Denkm., Abt. III, tav. 68; riedizione e commento di A. Erman, Die Sphinxstele, in Sitzungsb. Preuss. Ak. Wiss., 1904, pp. 428-444; versione in J. H. Breasted, Anc. Records, II, Chicago 1906, p. 320.

Antichità classica.

Il contenuto ideale della figura della Sfinge nel mondo greco e romano (gr. Σϕίγξ; lat. sphinx), meglio che dalle testimonianze letterarie, si deduce dai monumenti. Il primo esempio di una figura belluina, leonina a testa umana, ci è fornito da Haghia Triada, in una piccola scultura a pieno tondo, in steatite. Nel mondo miceneo il tipo figurato penetra, però, non già da Creta o dall'Egitto, ma dall'arte mesopotamica. Diffuso specialmente nell'arte fenicia, il tipo della sfinge femminile, non maschile come in Egitto, alata, di provenienza asiatica, si diffonde nel repertorio pittorico decorativo delle fabbriche ceramiche della Ionia, delle isole dell'Egeo e di Creta, dove fa la sua apparizione anche sui bronzi sbalzati dell'antro Ideo. Lo troviamo quindi nella ceramica "protocorinzia" della necropoli del Dipylon (Atene). Per iniziativa geniale di un ignoto scultore, ionico o ateniese, forse ancora nel sec. VII a. C., la sfinge alata, rappresentata finora in movimento o in posizione completa di riposo, distesa al suolo, assume la classica posizione di quadrupede seduto sulle zampe posteriori, ed eretto sulle anteriori, con le ampie ali aperte, arricciate in punta: come vedesi riprodotta in figure fittili a pieno tondo, provenienti dal Dipylon.

Esiodo fa nascere la sfinge da Orthros, il cane di Gerione, e da Echidna, mostro anguiforme. La fama, di questo essere fantastico e mostruoso, va però di pari passo, nel mondo greco, con la diffusione e la popolarità del mito tebano di Edipo; del quale mito il più antico ricordo sembra risalire a Pindaro. La popolarità del mito riposa principalmente sull'indovinello messo in bocca alla sfinge, e da questa proposto ai viandanti che malauguratamente s'imbattevano in lei: qual'è l'animale che al mattino muovesi con quattro gambe, al meriggio con due, al tramonto con tre. La perplessità del viandante era punita dalla sfinge con la morte immediata (Σϕίγξ si collega quindi con la parola σϕιγγειν, strozzare). Edipo rientrando in patria a tutti sconosciuto, affronta la sfinge e scioglie l'annoso enigma, indicando nel misterioso essere l'Uomo. La sfinge quindi si uccide (secondo una promessa fatta per il caso che l'enigma fosse stato sciolto) o, secondo un'altra versione, viene uccisa da Edipo.

Nella leggenda tebana occorre distinguere ciò che ha carattere locale da quanto è insito nell'indole medesima della sfinge, all'infuori dei rapporti con Edipo. La statua marmorea della Sfinge, dedicata dagli abitanti di Nasso presso il santuario di Delfi (prima metà del sec. VI) e tuttora conservata in quel museo, sembra costituisse il monumento funerario eretto sopra la tomba del serpente Pitone, ucciso da Apollo. La figura della sfinge concepita come un animale da preda, i varî epiteti riflettenti i suoi istinti feroci nei riguardi degli uomini permettono di riconoscere in essa un'immagine convenzionale della Morte: come ci confermano terrecotte greche del sec. V, con la figura della sfinge in atto di stringere fra gli artigli un uomo inerte. Questo stesso motivo artistico era stato utilizzato da Fidia nella decorazione del trono di Zeus Olimpio. Simile a quella della sfinge, ad es., è la funzione delle Sirene, dalle quali la sfinge si differenzia per il carattere di accentuata ferocia. Sotto la guardia della sfinge il serpente Pitone non potrà più risorgere dal sepolcro. Si rifletta ora a quelle che sono le disposizioni di spirito dei Greci, nonché dei Latini ancora in età arcaica (come pure di tutti i popoli primitivi), verso le anime dei trapassati. Diffusa e dominante è la paura e la preoccupazione che le anime di questi ritornino in vita a esercitare qualche malefizio sui viventi. Tale preoccupazione suggerisce agli uomini di ricorrere a misure preventive, celebrando funerali, sacrifici sulla tomba, o ricorrendo alla protezione di esseri soprannaturali, come la sfinge.

Nell'arte greca classica la figura della sfinge, rappresentata da belli esemplari scolpiti (Spata, Delfi, Egina), ha, con l'andare del tempo, uno sviluppo sempre più limitato, e si restringe alla decorazione di oggetti d'uso funerario, come taluni sarcofagi scolpiti di Cipro e di Sidone, e alcune bellissime lékythoi della necropoli di Kertch. Anche nell'arte etrusca la sfinge ha una notevole diffusione con esempî frequenti di applicazioni su oreficerie (a partire dal periodo orientalizzante), nonché di sculture a pieno tondo per decorazione di tombe monumentali del sec. VI e V (Chiusi, Vulci). Anche sopra le tarde urne cinerarie volterrane la sfinge riappare con preciso riferimento al mito tebano. Nel mondo romano, la figura della sfinge si trova applicata a decorazione di sarcofagi, stele e monumenti sepolcrali in genere. Dalla via Labicana è stata trasferita nel Museo Nazionale Romano una sfinge alata scolpita in pietra calcare, adibita a coronamento di tomba (Notizie d. Scavi, 1924, p. 48): il più tardo esempio del genere. È anche frequente, nell'arte ellenistico-romana, l'uso della figura della sfinge a scopo semplicemente decorativo (come cariatide).

Bibl.: J. Ilberg, in Roscher, Lexikon d. griech. u. röm. Mythol., s. v.; G. Nicole, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des Antiquités, s. v.; Lesky e Herbig, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. ; S. L. Cesano, La Sfinge sulle monete antiche e sull'anello-sigillo di Augusto, Roma 1926.

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