SICHELGAITA

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SICHELGAITA

Arianna Bonnini

– Figlia del principe longobardo di Salerno Guaimario IV e di Gemma (sposatisi nel 1032), si unì in matrimonio, verosimilmente nel 1058, a Melfi, con il normanno Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo.

Costui, a suggello di un accordo politico e militare con Girardo, conte di Buonalbergo, aveva già sposato, forse tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, la normanna Alberada, zia di Girardo, dalla quale aveva avuto un figlio, Boemondo, futuro principe di Antiochia. La decisione di separarsi dalla prima moglie per Sichelgaita rispondeva alla nuova strategia politica di Roberto, il quale mirava ai territori del Principato longobardo di Salerno, al vertice del quale si trovava allora il figlio di Guaimario (morto nel 1052) Gisulfo II.

Le principali fonti che narrano la vicenda, soprattutto Amato di Montecassino e Guglielmo Apulo, concordano nel riferire i dubbi di Gisulfo circa il matrimonio della sorella, se prima Roberto non avesse ripudiato legittimamente Alberada; il che avvenne sulla base di un asserito vincolo di consanguineità fra i due coniugi, solo ora denunciato, grazie al quale l’unione fu sciolta secondo i canoni.

Le nuove nozze, che alteravano i delicati equilibri dell’area creando un forte asse tra Roberto e Gisulfo, suscitarono varie contrarietà, come quella di Guido di Conza, zio di Gisulfo, il quale tentò di controbilanciare l’accordo facendo sposare la propria figlia con Guglielmo d’Altavilla, fratello ma in quel momento rivale del Guiscardo. Simili complicazioni politiche concorrono forse a spiegare, meglio dello scrupolo per gli impedimenti canonici addotto dalle fonti, l’iniziale cautela di Gisulfo. La trama di nuove alleanze che si andava allora disegnando fu completata dal matrimonio di una sorella di Sichelgaita, Gaitelgrima, con il normanno principe di Capua Giordano I; mentre un’altra sorella, di cui non è sicuro il nome (forse anch’ella Gaitelgrima?), sarebbe andata in sposa, secondo Amato di Montecassino, dapprima al fratello maggiore del Guiscardo, Drogo di Puglia, poi a Roberto, conte di Monte Sant’Angelo, e infine ad Affrido, conte di Sarno. Unendosi a Sichelgaita, Roberto incassava, oltre ai vantaggi di un’immediata alleanza con Salerno, la prospettiva di una possibile futura successione al Principato, oltre a motivi di prestigio tra i Normanni e di legittimazione agli occhi dei Longobardi.

Dalle nozze nacquero tre figli e cinque figlie, una delle quali, Olimpia o Elena, venne promessa in sposa a Costantino, figlio dell’imperatore bizantino Michele VII Dukas, sebbene il progetto fu poi vanificato dalla deposizione di quest’ultimo (1078).

Tra il 1058 e il 1072 Sichelgaita fu al seguito del marito nei suoi ripetuti viaggi, in Calabria, in Puglia e in Sicilia, dove lo affiancò durante la presa di Palermo, strappata agli arabi. Il 14 gennaio 1072, dopo l’ingresso in città, assistette alla messa celebrata nella chiesa di S. Maria. Nell’inverno del 1076-77, rotta l’alleanza con Gisulfo, il Guiscardo pose l’assedio a Salerno, infine conquistata. In questo frangente, che vedeva il coniuge opporsi al fratello, Sichelgaita si venne a trovare in una situazione di evidente tensione e svolse forse, almeno stando alle fonti, un ruolo di mediatrice tra i contendenti.

A detta di Amato di Montecassino, una volta fallito il tentativo del papa Gregorio VII di convincere Gisulfo ad astenersi dalla guerra, la donna cercò invano di ammansire il fratello (alla cui ostinazione, arroganza e crudeltà Amato, come altri cronisti, filonormanni, attribuisce tutta la responsabilità del conflitto) e strappò al marito la promessa – in seguito rivelatasi impossibile da mantenere – di lasciare Salerno a Gisulfo, affidando Amalfi al loro figlio primogenito Ruggero. Durante l’assedio – sempre secondo il resoconto di Amato – Sichelgaita ricevette richieste d’aiuto da parte dei suoi concittadini salernitani e dei suoi stessi parenti, provvedendo a far giungere loro il soccorso di cibo e bevande. Quando Gisulfo tentò un’estrema resistenza asserragliandosi nella rocca della città, ella cercò per un’ultima volta di convincerlo alla resa e si fece infine tramite dei beni che Roberto concesse allo sconfitto per la sua definitiva rinuncia al Principato.

Negli anni successivi Sichelgaita accompagnò di nuovo il consorte in Oriente, nelle sue varie spedizioni contro l’Impero bizantino. La si trova a Otranto, al momento dell’imbarco per i Balcani, nell’estate del 1081, accanto al figlio Ruggero, designato erede del padre, mentre a Boemondo, il figlio di Alberada, fu affidato il comando dell’esercito. Sichelgaita partecipò alla battaglia di Durazzo del 18 ottobre 1081 e al vittorioso assedio della città.

Diverse fonti testimoniano la sua effettiva presenza sul campo vicino a Roberto e Guglielmo Apulo racconta che in un’occasione Sichelgaita fu anche ferita da una freccia. È però soprattutto la principessa bizantina Anna Comnena, nella sua Alessiade, a insistere sulle virtù militari di quella che ella chiama Gaita, tanto da dar origine al vero e proprio mito, sviluppatosi in seguito, di una Sichelgaita amazzone. Anna rammenta come la longobarda si fosse in realtà inizialmente prodigata per evitare il conflitto, cercando di dissuadere il marito dall’aggredire Bisanzio; ma una volta avviate le operazioni belliche, costei aveva dimostrato un eccezionale animo guerriero. In particolare, quando sul campo di Durazzo i Normanni, di fronte alla prime avversità, cominciarono a ritirarsi, Sichelgaita li avrebbe bloccati con grida e sguardi furenti, per poi incitarli a riprendere la lotta lanciandosi a cavallo verso di loro con una lancia in pugno.

In questo ritratto sulla realtà dei fatti, che resta inafferrabile, sembrano prevalere sia l’eco dei modelli letterari familiari alla coltissima Anna, come quello classico delle Amazzoni, sia i pregiudizi propri del mondo bizantino circa gli occidentali, visti come rozzi soldati al cospetto dei più raffinati e civili Greci, per cui l’immagine di Sichelgaita pare conformarsi in larga misura al cliché della virago barbara. Altrettanto convenzionale, anche se di segno diverso, la raffigurazione offerta da autori quali Amato di Montecassino o Romualdo Guarna, che la dipingono secondo i consueti canoni applicati alle donne aristocratiche del tempo: bella e saggia, pudica e onesta.

Il 17 luglio 1085 Roberto il Guiscardo morì, poco dopo essere stato colto da una forte febbre mentre si trovava in Puglia per imbarcarsi alla volta di Cefalonia, con lo scopo di guidare una seconda spedizione contro Costantinopoli. Sichelgaita era al capezzale del marito, assieme al figlio Ruggero, e viene ritratta da Guglielmo Apulo disperata e piangente per la breve malattia cui fece seguito il decesso del coniuge; avvenuto il quale, fu suo immediato scrupolo provvedere alla traslazione della salma alla Ss. Trinità di Venosa, dove Roberto fu tumulato.

Diverse testimonianze lasciano intendere la preoccupazione di Sichelgaita, dopo la scomparsa di Roberto, affinché il Ducato di Puglia e Calabria venisse effettivamente ereditato da Ruggero, senza alcuna possibile rivendicazione su di esso da parte di Boemondo, figlio di primo letto del Guiscardo. Una tradizione cronachistica, cui fa capo Orderico Vitale, sostenne che fu la stessa Sichelgaita a provocare la morte del marito per accelerare la successione del figlio, e che costei tentò anche di avvelenare Boemondo. Questa versione, indimostrabile e non condivisa da altri testimoni, generò a sua volta un secondo mito di Sichelgaita, dopo quello dell’amazzone, vale a dire quello della manipolatrice priva di scrupoli, maestra di intrighi e avvelenatrice. In ogni caso, probabilmente fino a che ogni rischio di contestazioni da parte di Boemondo non fu del tutto scongiurato, Sichelgaita pare essersi associata al figlio nella gestione della carica ducale, come suggeriscono alcuni documenti, per lo più relativi a donazioni di beni e concessioni di diritti a chiese e monasteri, in cui ella sottoscrive accanto a Ruggiero come «Sikelgaita dux».

Già dalla primavera del 1086 il potere appariva saldamente nelle mani di Ruggero, che da questa data iniziò a sottoscrivere i documenti da solo. Va rilevato peraltro come il nome di Sichelgaita compaia già in diversi documenti redatti da Roberto il Guiscardo, specie a partire dagli anni Settanta, in particolare quando gli atti riguardavano il territorio di Salerno. Molte concessioni avvennero a favore del monastero della Ss. Trinità di Cava e di Montecassino, cenobi con cui la famiglia principesca longobarda aveva da sempre un rapporto privilegiato. Per quanto questo genere di testimonianze resti di difficile valutazione, se nei mesi immediatamente successivi la morte di Roberto il protagonismo di Sichelgaita sembra esser stato funzionale a tutelare il passaggio del potere nelle mani del figlio Ruggero, negli anni precedenti esso appare esser stato richiesto soprattutto per introdurre e consolidare l’autorità del Guiscardo tra i salernitani, trasferendo a quest’ultimo, attraverso la figlia di Guaimario, le reti di relazioni e solidarietà vigenti tra i Longobardi.

Sichelgaita morì nel 1090, probabilmente il 27 marzo. Già allo stremo, si era fatta condurre presso il monastero di Montecassino, cui era sempre stata legata in misura speciale, e qui venne sepolta il 16 aprile, davanti alla basilica dell’apostolo Pietro, come da lei stessa richiesto.

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