Sicilia

Dizionario di Storia (2011)

Sicilia


Regione a statuto speciale dell’Italia insulare, con capoluogo Palermo.

Antichità

Sin dagli inizi del 5° millennio a.C. nella parte orient. dell’isola e nelle Isole Eolie si hanno testimonianze di produzioni ceramiche e dello sfruttamento e del commercio dell’ossidiana; più tardi, durante l’Eneolitico, numerose sono le prove di influssi provenienti dal Mediterraneo orient. che perdurano anche nell’età del Bronzo, insieme con i contatti con l’Europa continentale. In epoca storica, la S., detta dai greci anche Trinakria e dai romani, poeticamente, Triquetra, fu abitata da popolazioni ritenute di origine diversa dagli antichi: gli elimi, stanziati nel settore occidentale dell’isola, i sicani, in quello centromeridionale e sudoccidentale, i siculi, in quello orientale. Della civiltà di questi popoli, oltre a varie necropoli e abitati, conosciamo i santuari dei Palici presso Palagonia, di Iblea presso Ibla, delle Dee madri a Engio. Mentre sulle rive occidentali della S. si stanziavano i fenici (Solunto, Mozia, Panormo), in breve tempo, a partire dal 735 a.C., la costa occidentale ricevette numerosissime colonie greche. I calcidesi fondarono Nasso, Leontini, Catania e Zancle, Corinto fondò Siracusa, Megara fondò Megara Iblea, cretesi e Rodi fondarono Gela. A sua volta Siracusa fondò Acre, Camarina e Casmene, Megara Iblea fondò Selinunte e Gela fondò Agrigento, l’ultima delle grandi colonie (582). La S. non ebbe nell’Età greca una storia unitaria: unici motivi conduttori sono, fino al sec. 3° a.C., la lotta per l’indipendenza sia dalla madrepatria sia dai cartaginesi insediati sulle coste occidentali e il predominio che vi esercitò, nei secc. 5°-3°, la città di Siracusa. I conflitti sociali diedero origine a varie tirannidi, la prima delle quali fu quella di Panezio a Leontini, e la più famosa quella di Falaride ad Agrigento. L’epoca di maggiore splendore dell’isola fu il primo quarto del sec. 5° a.C., quando vi esercitò la supremazia Siracusa governata dai Dinomenidi: sono di questo periodo la fulgida vittoria di Gelone sui cartaginesi a Imera (480) e quella navale di Gerone sugli etruschi a Cuma (474). La caduta dei Dinomenidi (465) e l’insurrezione dei Siculi capitanati da Ducezio  compromisero il processo di unificazione. Siracusa fu ancora al centro della resistenza dei sicelioti (così si chiamarono e furono chiamati i greci di S.) allo straniero quando Atene nel corso della guerra del Peloponneso intervenne sulle coste della S.: un primo modesto intervento nel 427 fu seguito da una spedizione poderosa (415-413). Ma i sicelioti, che già avevano stretto a Gela (424) una pace generale, respinsero l’invasore soprattutto per merito di Siracusa, invano assediata per due anni: la spedizione ateniese finiva, nel 413, in un disastro. A questa splendida vittoria seguirono tuttavia vicende dolorosissime: i cartaginesi si rovesciarono sulle città greche e distrussero Agrigento, Gela, Camarina, giungendo a minacciare la stessa Siracusa. L’invasione fu fermata da un ufficiale, Dionisio, che dal 405 al 367 resse le sorti di Siracusa come tiranno. Il figlio di lui, Dionisio II, non ebbe le stesse doti del padre e, coinvolto in una serie di congiure e di rivolte, dovette alla fine cedere il potere a Timoleonte, che nel 345 era stato inviato da Corinto su richiesta dei conservatori siracusani. Timoleonte ridusse nuovamente i cartaginesi al confine dell’Alico e riformò in senso conservatore la costituzione di Siracusa. Alla sua morte (336) si ebbero nuovi contrasti e infine la dittatura di Agatocle, che durò dal 316 al 289: questi lottò strenuamente tutta la vita contro Cartagine (riuscì anche a portare la guerra in Africa), ma non colse mai successi decisivi a causa delle continue contese con gli avversari siracusani che gli impedirono di concentrare i suoi sforzi. Alla sua morte i cartaginesi ripresero l’iniziativa: fu invocato a difesa Pirro, allora in Italia, ma il suo intervento (278) si concluse con un nulla di fatto dopo circa due anni di inutili passeggiate militari. Pochi anni dopo la contesa tra siracusani, ora retti da un altro Gerone, e mamertini coinvolse romani e cartaginesi provocando la prima guerra punica. In seguito alla battaglia navale delle Egadi (241), la S. divenne la prima provincia romana: Gerone II riuscì a destreggiarsi e a mantenere il suo dominio in Siracusa sino alla morte (215). L’avvento al trono del giovane nipote di Gerone II, Geronimo (il quale, del resto, fu spazzato via dopo pochi mesi), segnò un accostamento di Siracusa a Cartagine: la città fu occupata e saccheggiata da M. Claudio Marcello dopo un terribile assedio (212); la stessa sorte toccò dopo due anni ad Agrigento. Al termine della guerra le condizioni della S. erano assai peggiorate: la piaga del latifondo aggravò l’economia del Paese e ne derivarono due gravi rivolte di schiavi, quella di Euno (136-131) e quella di Salvio (104-100), che furono a stento domate. In Età romana il pretore, e poi il propretore, ebbe sede a Siracusa: qui era pure uno dei questori mentre l’altro risiedeva a Lilibeo. La S. ebbe da Cesare la concessione del diritto latino; Antonio le conferì la piena cittadinanza, con un decreto che si scontrò con l’opposizione del Senato. Augusto annoverò l’isola tra le province senatorie. Nel 280 d.C. la S. fu corsa da un’orda di franchi; nel sec. 5° d.C. dei vandali si insediarono sulla costa occidentale.

Figura

Medioevo ed Età moderna

Alla fine del sec. 5° d.C. la S. passò sotto il dominio ostrogoto. I bizantini a loro volta conquistarono la S. nel 535, all’inizio della guerra greco-gotica, con una spedizione inviata da Giustiniano e guidata da Belisario. L’isola divenne provincia bizantina con capitale Siracusa, governata da uno stratego o da un patrizio. L’influsso di Bisanzio fu forte, sebbene lo stato di abbandono e decadenza estrema dell’economia e della vita siciliana non migliorasse; l’elemento greco tornò a prevalere sul latino, nella società come nell’arte. Un episodio importante fu rappresentato dalla presenza in S. dell’imperatore Costante II (663), che stabilì la sua sede a Siracusa per sfuggire alla pressione araba, ventilando il progetto di riportare la sede imperiale a Roma, dopo aver vinto i longobardi. Il progetto fallì con la morte di Costante II (668). Rivolte militari indebolirono successivamente il dominio greco, finché quella dell’ufficiale Eufemio (826) portò gli arabi alla conquista dell’isola. Dopo sporadiche incursioni nei secc. 7° e 8°, questi iniziarono la sistematica conquista della S. nell’827, con una spedizione navale proveniente dall’Ifriqiya, l’odierna Tunisia. Nell’831 fu occupata Palermo, che divenne capitale dell’isola, retta dapprima come dipendenza degli emiri Aghlabiti di Qairawan. L’isola fu però interamente sottomessa solo alla fine del sec. 9° (è dell’878 l’espugnazione di Siracusa, e del 902 la caduta di Taormina). Caduta nel 910 la dinastia aghlabita, l’isola passò sotto la sovranità dei Fatimidi di Tunisia e poi d’Egitto, ma a partire dalla metà del sec. 10° fu praticamente governata da una propria dinastia di emiri (i Kalbiti di Palermo, 948-1040), vassalli dei Fatimidi. Fu quello il periodo di maggiore splendore della S. araba. La caduta dei Kalbiti spezzò l’unità dell’isola, che andò divisa tra vari signori locali. Uno di questi, l’emiro di Catania Ibn ath-Thumna, venuto in guerra con il rivale emiro di Girgenti, chiamò nel 1061 in aiuto i normanni, appena allora stabilitisi a Messina: e questi compirono in un trentennio la riconquista cristiana dell’isola, domando la resistenza dei musulmani che fu talora assai tenace. La conquista dell’isola da parte normanna fu completata nel 1091 (caduta di Noto, ultima piazza saracena); Ruggero assunse il titolo di «Gran conte di S. e di Calabria» e vi svolse un’intelligente politica di tolleranza verso i vinti, di rilatinizzazione dell’elemento etnico e di consolidamento della propria autorità mediante strutture burocratiche e feudali, queste ultime per la prima volta introdotte nell’isola. Tale politica proseguì sotto il figlio Ruggero II (1113-1154), che, riuniti alla S. i possessi normanni di terraferma e assunto il titolo di re di S. e di Puglia (1130), portò il regno a grande splendore (vittoria sul papa Innocenzo II, 1139; riconferma della Legazia Apostolica; impresa dell’ammiraglio Giorgio d’Antiochia, 1146-48, contro Tripoli, Susa e altri centri africani). La potenza siciliana, offuscata durante il critico periodo di Guglielmo I (1154-66) dalle congiure baronali e dalle feroci repressioni, venne restaurata da Guglielmo II (1172-89) e persistette anche col trasferimento della corona di S. a Enrico (poi VI) di Svevia (per il suo matrimonio con Costanza, ultima erede normanna), vigorosamente ma invano contrastato dal partito «nazionale» di Tancredi, bastardo di Ruggero II. Morto Enrico VI (1197), la S., retta per il figlio minore di Enrico VI, Federico, prima da Costanza, poi da Innocenzo III, che ribadì i legami di vassallaggio dell’isola verso la S. Sede sorti con la conquista normanna, raggiunse l’apogeo del suo splendore alla maggiorità di Federico II, che vi restaurò i poteri dello Stato indeboliti dalla reggenza (repressione dei musulmani, trasferiti a Lucera; abolizione delle autonomie della città e dei privilegi ecclesiastici e feudali; limitazione dei monopoli genovesi e pisani), protesse le arti e le scienze e, pur svolgendo una politica a raggio europeo e imperiale, non dimenticò il programma mediterraneo dei normanni (trattati commerciali coi sultani africani; rivendicazione del regno di Gerusalemme). Una grave crisi per la S. si aprì con la morte di Federico II (1250), risolta dal suo figlio bastardo Manfredi che si proclamò re (1258), ma pochi anni dopo fu battuto e sostituito sul trono da Carlo I d’Angiò (1266). L’asse politico si spostò quindi sul continente (trasferimento della capitale a Napoli); la reazione siciliana portò alla separazione da Napoli (1282: Vespri siciliani) e, dopo che la S. fu data a Pietro III d’Aragona (Pace di Caltabellotta, 1302), alla guerra con gli Angioini, che si chiuse dopo alterne vicende nel 1372 con il riconoscimento dell’esistenza del regno di Trinacria, vassallo di quello di S. (cioè di Napoli). Con la scomparsa di Federico III d’Aragona (1377), il regno di Trinacria decadde visibilmente per la strapotenza e l’anarchia baronale (lotte tra i Chiaromonte, i Palizzi e i Ventimiglia), per le insidie e le mire delle potenze straniere: finì così col perdere ogni autonomia e per essere strettamente congiunto con la Corona d’Aragona (1412), poi di Spagna, infine scadendo a viceregno (1415: invio del primo viceré). Se conservò l’avito splendore con Alfonso IV il Magnanimo, che nel 1434 fondò l’università di Catania e nel 1442 entrò a Napoli, dando vita al regno di Sicilia citra et ultra Pharum (smembrato però alla morte), la S. sotto il dominio spagnolo conobbe l’introduzione del tribunale dell’Inquisizione, l’espulsione degli ebrei, un forte inasprimento tributario, l’avvilimento dei privilegi del parlamento siciliano (risalente alle Curiae normanno-sveve, divisosi poi nei tre bracci: militare, ecclesiastico, demaniale; non esercitava funzioni sovrane ma, in occasione del voto dei donativi al sovrano, chiedeva provvedimenti d’interesse generale); va tuttavia segnalato che sotto Filippo II fu represso il brigantaggio e fu debellata la tradizionale opposizione dei baroni all’autorità della Corona. Durante il sec. 17°, anche in S. si avvertì il rinnovato vigore dei privilegi feudali e lo scadimento dei ceti artigianali e contadini, evidenti in altre parti della penisola e in tutto il Mezzogiorno. Conseguenza delle peggiorate condizioni degli strati sociali medi e inferiori furono le frequenti rivolte per fame (notevole quella capitanata da G. Alessi a Palermo nel 1647), le incessanti congiure antispagnole e talvolta repubblicane e la ribellione di Messina (1674), avvenuta sotto la protezione di Luigi XIV. Sommersa nel turbine delle guerre di successione della prima metà del sec. 18°, la S. divenne possesso sabaudo sotto Vittorio Amedeo II (1712-18), poi austriaco (1718-34); conquistata nel 1734 da Carlo di Borbone, seguì fino al 1860 le sorti di Napoli, sotto il governo di un viceré residente a Palermo. Notevolissimo il viceregno di D. Caracciolo (1781-86), per l’abolizione dell’Inquisizione e per le riforme antibaronali, non proseguite però dal successore. Sede della corte borbonica nel periodo dell’invasione francese e del dominio napoleonico (1799-1802; 1806-15), la S., ostile al predominio napoletano ma non alla dinastia, si fece con l’appoggio di lord Bentinck concedere la Costituzione (1812), elaborata sul modello inglese e di fatto espressione dell’aristocrazia nobiliare; ma l’abolizione di essa alla Restaurazione e l’integrale incorporazione della S. nel regno delle Due Sicilie (decreto dell’8 dic. 1816) trasformarono il desiderio di privilegi in un ostinato separatismo, che costituì la nota dominante della storia siciliana dal moto del 1820 alla rivolta del 1837, a quella del 1848. Annessa al regno d’Italia nel 1860, la S. fu attraversata da forti tensioni politiche e sociali, culminate nella rivolta di Palermo del 1866 (➔ Palermo) e nelle agitazioni contadine del 1893 (➔ Fasci siciliani). Negli anni seguenti le gravi condizioni economiche dell’isola diedero vita da una parte a un vasto fenomeno migratorio, dall’altra a movimenti bracciantili per l’occupazione delle terre, sostenuti dai partiti popolari. I problemi della S., non risolti durante il fascismo, si riproposero alla fine della Seconda guerra mondiale, alimentando le tendenze separatiste che trovarono espressione nel Movimento per l’indipendenza della Sicilia. Alle esigenze autonomistiche si è venuti incontro con la creazione della Regione siciliana (r. d. lgs. 15 maggio 1946, n. 455; elezione del primo Parlamento regionale, apr. 1947).

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