SICILIA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

SICILIA (XXXI, p. 654)

Giuseppe CARACI
Emilio LAVAGNINO
Corrado FATTA

Popolazione (p. 659). - Ecco i dati demografici relativi al censimento 1936 e al calcolo del 1947.

L'isola, che rappresenta l'8,53% del territorio italiano (politico), ne raccoglieva nel 1931 il 9,36%, nel 1936 il 9,30%, nel 1947 il 9,56% della popolazione. L'aumento naturale di questa, che fu dell'11,9‰ nel quinquennio 1925-29, salì al 12,5‰ nel periodo 1930-34, per scendere all'11,1‰ nel 1935-39, e all'8,4‰ nel dodicennio 1936-48. L'indice di natalità si è contratto dal 29,5 al 26,3‰ fra il 1925-29 ed il 1935-39, rimanendo inferiore a quello delle altre regioni dell'Italia meridionale; ma anche l'indice di mortalità che era del 17,6‰ nel 1925-29, è calato al 15,2‰ nel quinquennio 1935-39.

La densità della popolazione è salita nel 1947 a 187 ab. per kmq. nella Sicilia occidentale (prov. di Palermo e Trapani; 163 nel 1931), a 129 nella Sicilia centrale (prov. di Agrigento, Caltanissetta ed Enna; 113 nel 1931) ed a 191 nella Sicilia orientale (le rimanenti quattro provincie; 171 nel 1931). L aumento, rispetto al 1931, è stato dunque massimo nella Sicilia occidentale, minimo nella centrale. Da notare che, mentre fra il 1931 ed il 1936 quattro provincie segnarono diminuzione di abitanti, fra il 1936 ed il 1947 l'aumento è stato generale.

In quanto all'emigrazione, nel 1938 espatriarono 7478 persone (di cui 4101 per i paesi transoceanici) e ne rimpatriarono 5264 (di cui 3106 dai paesi continentali); si ebbe così una perdita di 2214 unità. Nel 1947 gli espatrî salirono a 13.098 (di cui 6321 per i paesi transoceanici), contro appena 1003 rimpatrî (di cui 708 dai paesi transoceanici); la perdita si è perciò elevata a 12.015 unità. Il movimento si è accentuato nel 1948, pur senza raggiungere l'entità registrata nel Veneto e in Lombardia.

Condizioni economiche (p. 660). - Secondo il censimento 1936 su 100 persone di 10 anni e più addette ad una professione: appartenevano il 51,4% all'agricoltura, il 24,1% all'mdustria, l'8,8% al commercio, il 5,4% ai trasporti ed alle comunicazioni ed il 4,8% alla pubblica amministrazione.

La struttura economica dell'isola non ha subìto modificazioni sostanziali, ma il contraccolpo della seconda Guerra mondiale è patente nella diminuita produttività relativa e spesso anche assoluta, nella maggior parte delle attività economiche fondamentali. La superficie destinata al frumento è scesa nel triennio 1945-47 (al quale si riferiscono i dati statistici che seguono) a 645.000 ha. in media (contro 789.000 ha. nel 1936-39); la produzione da 9.524.000 q. (1936-39) a 4.248.000; il rendimento per ha. da 12,i a 6,6 (10,4 nel complesso d'Italia). L'orzo diede 612.000 q. nel 1936-39 (media), ma solo 460.000 nel 1945-47 (da 12,2 a 7,4 q. per ha.), ciò che corrisponde a meno di 1/4 del totale italiano.

La produzione vinicola si è tenuta all'incirca al livello del 1931-35, segnando una media di 2955 mila hl. nel 1945-47, e superando così quella di tutte le altre regioni italiane, eccetto la Puglia (e la Toscana nel 1947). L'olio ha segnato invece un progresso rispetto al 1931-35; la media 1945-47 tocca i 312.000 q., venendo subito dopo la produzione pugliese (e quella toscana nel 1946).

I risultati del censimento del bestiame del 20 luglio 1942 rivelano un aumento notevole pei bovini (244.000 capi; 10 a kmq.), ma più o meno forti riduzioni per le altre specie (gli ovini che contavano 794.000 capi nel 1938, erano scesi a 577.000 nel 1942). Nella produzione industriale è notevole l'aumento dell'energia elettrica verificatosi nel periodo prebellico (da 100.000 kWh, di cui 67.000 idroelettrici del quinquennio 1925-29, ai 187.000 di cui 85.000 idroelettrici del 1935-39), il cui livello è stato ormai raggiunto dopo la parentesi bellica.

Le ferrovie dell'isola misurano 2181 km., dei quali 1938 statali; le tramvie extraurbane contano invece solo 29 km. La rete stradale di manutenzione statale è salita a 2133 km. (1942); i servizî automobilistici extraurbani nel 1939 contavano 183 linee per 7125 km. d'esercizio.

Danni ai monumenti e alle opere d'arte. - Nel campo dei monumenti d'interesse archeologico i danni sono stati molto limitati e si riducono a poche sbrecciature di antiche pietre nella zona agrigentina dove peraltro, in prossimità dei templi, era stata inconsultamente approntata anche qualche opera di difesa. I danni subìti dagli edifici dei musei di Palermo e di Siracusa non hanno comportato perdite comunque sensibili tra il materiale di quegli istituti, poiché di quel materiale era stato rimosso e posto al sicuro nei ricoveri quanto poteva essere convenientemente trasportato.

Per i monumenti medievali e moderni, oltre i danni alle città di Catania, Palermo, Trapani (per i quali vedi le voci relative in questa App.) si devono registrare a Siracusa danni molto lievi; l'unico sensibile quello della chiesetta quattrocentesca di S. Maria dei Miracoli, che rimase priva delle coperture. A Taormina è andata quasi completamente distrutta la chiesa di S. Domenico, mentre a Randazzo sono stati molto danneggiati, oltre le tre cattedrali, il castello e varî complessi ambientali di carattere medievale, e a Troina la cattedrale che conserva notevoli tracce della primitiva costruzione normanna. A Messina l'incendio ha corroso nel duomo ricostruito in massima parte dopo il terremoto del 1908, quasi tutti gli altari e le statue dei dodici Apostoli, opera del Montorsoli, mentre l'intenso calore ha letteralmente liquefatto le tessere vitree dei mosaici dell'abside maggiore. Quello dell'abside del duomo di Messina è l'unico danno subìto dal complesso dei mosaici medievali siciliani. Nella stessa Messina è stato necessario procedere alla reintegrazione delle volte e di alcune strutture della chiesa medievale dell'Annunziata dei Catalani, pur essa direttamente colpita.

Altri danni si sono dovuti lamentare in Sicilia in alcuni complessi monumentali che, sebbene di minore importanza, hanno tuttavia un interesse per la storia ed il carattere stesso della regione; così a Caltanissetta nella cattedrale e nel S. Giacomo, ad Enna nel Duomo, nel S. Salvatore e nel Castello, a Regalbuto nella Chiesa madre e in S. Croce, a Nicosia nel S. Vincenzo, a Milazzo nella chiesa del Carmine, a Patti nella Cattedrale. Ovunque in questi edifici ed in altri ancora di minore importanza sono stati intrapresi restauri di conservazione e reintegrazione.

Bibl.: M. Guiotto, I monumenti della Sicilia occidentale danneggiati dalla guerra, Palermo 1946; A. Dillon, Danni di guerra e tutela dei monumenti nelle provincie della Sicilia Orientale, in Boll. Stor. Catanese, IX-XII, 1944-47; E. Lavagnino, Offese di guerra e restauri al patrimonio artistico dell'Italia, in Ulisse, I, 1947, pp. 157-62.

Storia (XXXI, p. 666). - Alla vigilia della seconda Guerra mondiale il ritmo della vita politica in Sicilia si sarebbe potuto definire come un movimento ritardato. Il fascismo vi era giunto d'importazione e vi era rimasto superficie burocratica, con la limitata e spesso soltanto formale adesione di coloro per i quali la tessera era il presupposto legale di ogni attività. L'antifascismo, che solo in pochi fu cosciente aspirazione a libertà di pensiero e di ordinamenti, restò quindi anche esso sentimento generico, quando non si identificava con una tradizionale impazienza per la disciplina e l'intervento statale. In questa atmosfera di temperato scetticismo fioriva la permanente diffidenza verso il "governo di Roma". All'insoddisfazione, viva sin dal 1860, per la soluzione eccessivamente centralizzatrice del problema unitario, si aggiunse col tempo quella per certi suoi aspetti economici, la convinzione di una non composta disarmonia fra l'economia industriale del nord e quella agraria siciliana, di una continuata posposizione degl'interessi della seconda a favore della prima. Riconosciuta l'esistenza del problema, il tentativo del fascismo per avviare la soluzione era stato sostanzialmente paralizzato dalle conseguenze finanziarie dell'evoluzione imperialistica della politica italiana. L'acuirsi dei contrasti politici e ideologici in Europa si ripercosse in Sicilia, dove il gravitare dell'Italia nell'orbita del nazismo diede corpo a un'opposizione cattolica e liberale, mentre chi faceva professione di "realismo" stava dubbioso tra il culto della forza germanica e il timore di un conflitto mediterraneo con l'Inghilterra. Mentre la non belligeranza dell'Italia venne salutata con generale sollievo, la sconfitta della Francia propose ai "realisti" la tentazione di una guerra breve e proficua. L'opinione generale, tra la speranza e la rassegnazione, seguì il corso degli eventi. I rovesci del 1941, l'intervento dell'URSS e degli S. U. nel conflitto, la propaganda anglo-americana, orientarono la labile opinione pubblica verso uno stato d'animo quanto meno di passività innanzi all'idea dell'inevitabile sconfitta. Nel 1943 la Sicilia divenne obiettivo immediato dell'azione nemica. I bombardamenti ne sconvolsero la vita civile incidendo fortemente sul morale delle popolazioni, che la fuga dai centri urbani costrinse ai più duri sacrifici. L'invasione venne accolta come la conseguenza naturale di una politica leggera e imprevidente e, nello stesso tempo, come il momento in cui potessero essere separate le responsabilità del paese da quelle del fascismo. Innanzi all'occupazione straniera il sentimento prevalente fu di sollievo per la cessata, intollerabile tensione. L'eliminaziome del fascismo avvenne automaticamente, senza violenze e senza rimpianti; ma il suo atteggiamento di sfiducia verso funzionarî e militari siciliani trasferiti in massa al nord per sospetto politico, aveva evocato un dualismo tra Sicilia e Italia che, cumulato ai precedenti storici, alla contingente separazione dall'Italia, spiega il rapido sviluppo del Movimento per l'indipendenza della Sicilia (MIS). Teoricamente esso voleva essere affermazione della necessità di un decentramento non solo economico e amministrativo, ma anche politico, su base federalistica. Come premessa pratica poneva la preliminare separazione dallo stato unitario italiano; ai soliti "realisti" prospettava il miraggio di sottrarre economicamente e politicamente la Sicilia al disastro italiano con l'auspicata approvazione degli Alleati. Il MIS mostrò presto la sua debolezza: movimento non omogeneo, tentò vanamente di unificare in sé tendenze politiche opposte. Esso si irrigidì nelle sue posizioni estreme, anche quando il ritorno della Sicilia sotto l'amministrazione italiana (11 febbraio 1944) dimostrò inattuale la prospettiva separatista. Il grosso della pubblica opinione si orientava già con inconsueto ardore verso la soluzione media dell'autonomismo, patrocinata con diversa spontaneità da alcuni partiti. Con il mantenimento dell'Alto commissariato per la Sicilia fiancheggiato da una Consulta, il governo prese atto della gravità della situazione. Il MIS, isolato politicamente, pur reagendo col movimento militare clandestino dell'EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana) alle misure poliziesche di cui fu oggetto, uscì assai menomato dalle elezioni del 2 giugno 1946. Con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 confermato, in applicazione dell'art. 116 della Costituzione dello stato, con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, andava intanto in vigore lo Statuto della Regione siciliana. Essa riceveva autorità legislativa su numerose materie (articoli 14,17) e una delega di poteri di natura amministrativa (art. 20). Nell'aprile 1947 veniva eletto il primo parlamento siciliano. Le elezioni generali politiche del 18 aprile 1948 segnarono anche in Sicilia un trionfo della democrazia cristiana, ma un po' inferiore (48%) a quello generale, con 1.064.332 voti per la Camera dei deputati. Seguivano, a notevole distanza, il Fronte democratico popolare (463.876 voti), il Blocco nazionale (174.970 voti), il Partito nazionale monarchico (117.205), il Movimento sociale italiano (70.064 voti) il Partito repubblicano italiano (65.629 voti), l'Unità socialista (53.511 voti), l'Unione movimento federalisti (46.991 voti). Notevolissima quest'ultima cifra.

Primeggiano tra i problemi da risolvere il consolidamento dell'autonomia di fronte alla riserva implicita nella legge stessa, l'industrializzazione e la riforma agraria.

La campagna di Sicilia durante la seconda Guerra mondiale. - Conquistata la Tunisia (13 maggio 1943), gli Anglo-americani erano in grado di invadere l'Europa meridionale. L'azione (Husky) contro la Sicilia fu decisa perché l'operazione offriva certezza di riuscita senza impegnare tutte le risorse e perché l'isola doveva servire di base per la successiva invasione della penisola. Fu organizzata nei dettagli, con larghezza di mezzi senza precedenti, e cominciò dalle isole Pelagie (Pantelleria, 11 giugno; Lampedusa e Linosa, 13 giugno).

Dal 10 giugno 1940 si era gradualmente organizzata la difesa dell'isola con lavori difensivi e col concentramento di notevoli forze: 6a armata (gen. Rosi, poi gen. Guzzoni); 2 corpi d'armata (XII: gen. Arisio, poi gen. Zingales e XVI: gen. Rossi); 4 divisioni di fanteria (Livorno, Aosta, Assietta, Napoli); 6 divisioni e 2 brigate costiere, 75 batterie, servizî varî. La difesa, però, non aveva basi troppo consistenti per gravi deficienze morali e materiali (molti lavori difensivi si ridussero a scavi in terra o manufatti in tuf0 per mancanza di cemento; scarsi i carri armati e gli automezzi; armamento non adeguato; limitato il concorso della marina e dell'aeronautica nei confronti delle ingenti forze nemiche). La difesa fu rinforzata da forze germaniche (XIV corpo: gen. Hube; Panzergrenadiere Göring con elementi paracadutisti, 15a e 29a; elementi minori), ma l'apporto creò anche attriti e scissioni, resi più gravi dalle violenze commesse dai Tedeschi verso gli abitanti.

Preceduta da violente azioni aeree durate varie settimane, l'invasione si iniziò, col concorso di paracadutisti e di alianti, mediante sbarchi tra Licata e la Maddalena (Siracusa) la notte sul 10 luglio 1943 (XV gruppo armate: gen. Alexander; 7a armata americana: gen. Patton; 8a armata britannica: gen. Montgomery). La reazione della difesa costiera fu energica ma venne sopraffatta: a sera Siracusa veniva occupata e l'11 cadeva la stessa Augusta (non difesa perché erano state fatte saltare le opere e le grosse artiglierie), mentre gli Alleati giungevano nella zona di Ragusa. Controffensive predisposte su Gela (divisioni Livorno e Göring) e Palma di Montechiaro avevano esito buono; un'altra su Siracusa (div. Napoli) fu resa vana dall'incalzare degli eventi. All'intendimento italiano di difendere l'isola ad oltranza si oppose il piano alleato: manovra tendente a puntare celermente sullo stretto e ad isolare la regione occidentale. La resistenza accanita ad Agrigento (207a div. cost.) e nella piana di Catania (div. Göring-Livorno) consentì di avviare gradualmente le forze verso le Madonie e gli Erei con una conversione di fianco che rovesciò la fronte, e di trattenere la pressione verso Messina. Al 20 luglio, due terzi dell'isola erano perduti, e la fronte correva dalle Madonie alla piana di Catania; la pressione continuò violenta e mentre il nemico immetteva nella lotta nuovi mezzi, il comando italiano non aveva più riserve (afluirono il 185° reggimento paracadutisti Nembo ed elementi minori).

Dopo accanita resistenza, la sera del 16 cadde Agrigento e gli Alleati dilagarono verso Lercara Friddi e Termini Imerese. Predisposti cinque successivi ripiegamenti su linee convergenti su Messina, che non si ebbe il tempo di rafforzare, la fronte fu rotta il z0 a Lercara Friddi e andò restringendosi verso la cuspide; il 22 fu occupata Palermo; il 5 agosto Catania: i resti delle truppe si ritirarono su Messina, che fu evacuata dalle ultime retroguardie il mattino del 17. Gli Alleati avevano effettuato anche modesti sbarchi tattici sulla costa nord per aggirare l'ala destra italiana; durante la battaglia aviazione e navi angloamericane martellarono incessantemente l'isola e le truppe, parte delle quali riuscì, ciò non ostante, a passare in Calabria.

Eroico il contegno delle divisioni Livorno, Napoli, 206a, 207a e della 18a brigata costiera. Da notare poi che i Tedeschi poterono sgombrare le loro impedimenta in tempo a danno delle truppe italiane. L'invasione costituì modello di operazione anfibia combinata tra le forze armate. Gravi le perdite italiane (circa 120.000 uomini), tedesche (circa 40.000 uomini), e alleate (31.158 uomini). L'isola subì gravi danni e perdite umane, tormentata dai bombardamenti, da distruzioni, dalla fame. La sua caduta fu un doloroso colpo per tutti gli italiani, ed ebbe ripercussioni che accelerarono e in parte provocarono gli avvenimenti successivi.

Bibl.: D. Eisenhower, Diario di Guerra, trad. ital., Milano 1947; D. Leonardi, Luglio 1943 in Sicilia, Modena 1947; G. Zanussi, Guerra e catastrofe d'Italia, 2 voll., Roma 1946.

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