ANTONIANO, Silvio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANTONIANO, Silvio

Paolo Prodi

Nacque a Roma il 31 dic. 1540 da Matteo, agiato mercante di pannilani originario di Castello in provincia di Chieti, e da Pace Colella, romana. Sin dalla più tenera infanzia diede prova di prodigiosa memoria e di vivace intelligenza divenendo noto come "enfant prodige" negli ambienti letterari e cortigiani romani per il suo talento d'improvvisare versi che egli stesso declamava o cantava accompagnandosi con la lira o il liuto: si guadagnò così il soprannome di "poetino", che portò poi per molti anni anche in età matura. Il cardinale Ottone di Truchsess, uditolo, volle assumersi le spese della sua educazione: il fanciullo poté così frequentare la scuola dei maggiori maestri nello studio dei classici, come Timoteo Fabio, Francesco Tonano e Annibal Caro. Molto noto è un episodio interessante della fanciullezza dell'A.: a undici anni, improvvisando versi in un banchetto nel palazzo del cardinale Francesco Pisano, predisse il pontificato al cardinale Giovanni Angelo de' Medici, il futuro Pio IV, guadagnandosi nuove protezioni e ricompense. Nel 1555 il duca di Ferrara Ercole II d'Este, venuto a Roma per prestare omaggio al neo-eletto pontefice Marcello II, ebbe occasione di udire l'A. e volle portarlo con sé alla propria corte.

A Ferrara l'A. si dedicò, frequentando lo Studio, alle leggi, ma non trascurò gli studi letterari, che condusse sotto la guida di Vincenzo Maggi, di Giovanbattista Pigna e di Bartolomeo Ricci, che furono, come risulta anche dai loro epistolari, nonsolo suoi maestri ma affettuosi amici e protettori, mentre la fama delle doti dell'adolescente si diffondeva in tutto il mondo letterario italiano. Nello stesso anno 1555 seguì Ercole II a Venezia, ove il duca si era recato per incontrare la regina di Polonia, destando ovunque meraviglia e ammirazione con le sue improvvisazioni poetico-musicali; poco dopo riscosse lo stesso successo a Firenze, ove aveva accompagnato il principe Alfonso d'Este, tanto da essere definito dal Varchi, che lo conobbe in questa occasione, "un mostro ed un miracolo di natura". Nonostante le traversie che colpirono l'Italia tutta e in particolare Ferrara nel 1556 a causa della guerra fra Paolo IV e la Spagna, l'A., che ci viene descritto dal Ricci nel suo epistolario come di temperamento sempre vivace e amante delle liete brigate, si addottorò nel 1557, diciassettenne, in utroque iure. Subito dopo, Ercole II gli affidò l'insegnamento letterario dei giorni feriali straordinari nello Studio di Ferrara con buona retribuzione: purtroppo di queste lezioni giovanili non restano che quattro discorsi in tornito stile latino.

Nel 1559, dopo la morte di Ercole II, ritornò a Roma e ottenne la protezione di Pio IV, che lo chiamò con altri letterati, come Giulio Pogiani e Giovanbattista Amalteo, a far parte della segreteria apostolica, dandolo come segretario al giovane nipote cardinale Carlo Borromeo. L'A. partecipò attivamente sotto lo pseudonimo di "Risoluto" all'Accademia delle Notti Vaticane, fondata dallo stesso Borromeo nell'aprile 1562, tenendovi anche numerosi discorsi letterari. In questi stessi anni curò la pubblicazione dell'edizione di Terenzio, preparata da Gabriele Faerno (suo intimo amico, precocemente morto, nel circolo del Borromeo), e della traduzione latina compiuta dallo stesso Faerno delle favole d'Esopo.

Per risollevare le sorti dell'università romana della Sapienza, Pio IV nominò nel 1563 nuovi lettori fra i quali Marcantonio Mureto e l'A., che riscossero grande successo: alla prolusione di quest'ultimo erano presenti venticinque cardinali e le maggiori personalità romane. L'anno successivo l'A. veniva nominato vicerettore della Sapienza per coadiuvare l'ormai anziano rettore Camillo Pernuschi. Quando, nel settembre 1565, Carlo Borromeo lasciò Roma per raggiungere la sua diocesi milanese lo portò con sé insieme con altri umanisti, come il Pogiani e l'Amalteo, affidandogli nei mesi successivi la stesura latina delle deliberazioni del primo concilio provinciale milanese. Ben presto, però, il "poetino" ritornò a Roma che egli aveva oltremodo cara e nella quale rimase, salvo brevi intervalli, per tutto il resto della sua vita: abbandonò, però, gli studi letterari per dedicarsi, sollecitato dall'esempio del Borromeo e dal fervore religioso diffusosi a Roma dopo la conclusione del Tridentino, alla filosofia e alla teologia sotto la direzione dei gesuiti del Collegio Romano e in particolare del p. Pietro Parra. Lasciò anche la cattedra alla Sapienza per abbracciare lo stato ecclesiastico "non mi parendo anche conveniente - scrive al Borromeo - che alla vita di religioso ch'io mi ho proposta, si convenga più l'andar cogliendo fiori inutili per i prati della Gentilità". In questo mutamento spirituale molto dovette influire l'amicizia di s. Filippo Neri del quale l'A. era divenuto discepolo spirituale. All'Oratorio filippino egli si legò ancor più dopo la sua ordinazione sacerdotale avvenuta il 12 giugno 1568: ogni giorno celebrava la messa nella chiesa di S. Girolamo e, dal 1577, in S. Maria della Vallicella ove gli oratoriani si erano trasferiti; il giovedì predicava nell'oratorio e partecipava talmente alla vita della comunità religiosa da essere definito in un documento filippino "homo nostro, ma che non cohabita".

In questi stessi anni continuò però ad esercitare le sue doti di buon latinista nell'ambito della curia, ricoprendo diversi uffici ed ottenendo grandi successi in discorsi di circostanza, come in quello tenuto in occasione dei festeggiamenti per la vittoria di Lepanto alla presenza del papa e dei cardinali. Il 14 genn. 1568 fu nominato segretario del collegio cardinalizio ed in tale carica fu confermato ininterrottamente sino al 1592. Come esperto latinista seguì in Germania il cardinale Giovanni Morone quando questi fu inviato come legato pontificio alla dieta di Ratisbona del 1576. Con il Baronio e sotto la presidenza del Sirleto collaborò alla correzione del martirologio romano nella commissione creata nel 1580 da Gregorio XIII. Sisto V gli affidò l'incarico di rivedere alcune edizioni di Padri della Chiesa e di comporre le iscrizioni latine per numerosi monumenti ed edifici nel rinnovamento architettonico edurbanistico di Roma da lui effettuato (fu l'A. che compose insieme a Pietro Galesino le iscrizioni che adornarono la nuova biblioteca vaticana). Nominato dallo stesso Sisto V segretario della nuova Congregazione cardinalizia dei vescovi e dei regolari rinunciò dopo pochi mesi: così pure rinunciò a proposte di nomina a sedi vescovili anche importanti fattegli da diversi pontefici non volendo allontanarsi da Roma e umilmente non stimandosi adatto al governo pastorale. Da Gregorio XIV fu preposto alla spedizione delle suppliche ed utilizzato per la stesura delle lettere latine. Da Clemente VIII fu nominato maestro di camera e, alla morte di Antonio Boccapaduli, segretario dei brevi: compose così come titolare di quest'ufficio i più importanti atti del pontificato, come la bolla di presa di possesso, quella di assoluzione di Enrico IV di Francia del 17 sett. 1595, l'altra di indizione del giubileo del 1600.

Per il latino elegante ed ornato fu stimato degno successore del Bembo e del Sadoleto, ma si distaccò da questi (il cui stile riteneva troppo paganeggiante) con l'inserire numerose citazioni bibliche e patristiche: le lettere del pontefice - soleva dire l'A. - dovevano distinguersi da quelle dei principi secolari. Nella solenne cerimonia per l'atto di unione dei Ruteni ortodossi alla Chiesa cattolica, il 23 dic. 1595, per incarico del papa l'A. tenne il discorso ufficiale di saluto. Clemente VIII lo ricompensò delle sue fatiche nominandolo dapprima membro del capitolo di S. Pietro e amministratore dell'abbazia di S. Maria di Monteverde in Campania, ma, soprattutto, elevandolo alla porpora il 3 marzo 1599 insieme con altre personalità, fra le quali il Bellarmino. All'A. fu assegnato il titolo cardinalizio di S. Salvatore in Lauro e concesso di abitare nei palazzi vaticani con l'incarico di dirigere e sorvegliare la stesura dei brevi latini. Trascorse così gli ultimi anni della sua vita circondato da stima ed onori, divenne protettore di pii istituti e particolarmente delle Scuole Pie fondate alla fine del secolo dal Calasanzio per l'educazione dei poveri.

Morì il 16 agosto 1603.

Fu sepolto solennemente (Clemente VIII ne lamentò la perdita in concistoro e si assunse le spese dei funerali) in S. Maria in Vallicella nella cappella della Natività, che egli si era scelta come sepolcro sin dal 1580 dotandola e facendola ornare a sue spese. All'Oratorio lasciò morendo la sua ricca biblioteca, testimonianza di una vita votata alla cultura classica ed ecclesiastica. Negli ultimi decenni del Cinquecento si può dire non uscisse a Roma opera di certo impegno che non fosse sottoposta al preliminare giudizio dell'A.: come il Valier, il Paleotti e altri per le loro opere, anche il Baronio sottopose a lui gli Annali prima della pubblicazione. Fu prescelto anche dal Tasso come revisore della sua Gerusalemme Liberata, ma l'A. non colse l'alto valore poetico del poema: avendo rinnegato il proprio passato di poeta rinascimentale classicheggiante l'A. fu particolarmente rigido e severo esigendo che fossero tolti tutti i brani di argomento amoroso o paganeggiante affinché la Gerusalemme, esaltando le gesta degli antichi crociati, fosse solo espressione della nuova atmosfera di vittoria sugli infedeli nata dalla battaglia di Lepanto. Tranne il trattato sull'educazione dei fanciulli, l'A. non compose alcuna opera organica: tutta la sua produzione letteraria sembra essere rimasta su di un piano frammentario ed occasionale, nata in margine ai numerosi uffici ricoperti o per sollecitazione delle circostanze. Mancando uno studio moderno sull'A., ben poco si può dire della sua produzione rimasta manoscritta - conservata nell'Archivio Segreto Vaticano, per i brevi e le lettere latine, nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nella Biblioteca Vallicelliana di Roma ed in altre biblioteche - per la mancanza quasi totale di notizie: da alcuni titoli trasmessici dal suo primo biografo, il Castiglioni, pare esservi stato nell'A. un particolare interesse per l'antichità ecclesiastica in senso apologetico (De successione apostolica; De primatu S. Petri; De Stylo ecclesiastico, seu de conscribenda ecclesiastica historia, ecc.). In appendice alla prima biografia, del Castiglioni, sono edite tredici orationes, le prime quattro tenute nello Studio di Ferrara, le altre a Roma in varie circostanze; altri discorsi latini da lui tenuti nell'Accademia borromeiana delle Notti Vaticane sono stati editi, sotto lo pseudonimo di "Risoluto", nella raccolta Noctes Vaticanae, seu sermones habiti in academia…, Mediolani 1748. Numerosi componimenti minori, poesie e lettere latine, sono contenuti in varie antologie letterarie e raccolte dei secc. XVI e XVII (v. Mazzuchelli): da ricordare qui solo il suo inno Fortem virili pectore che viene recitato ancora nel Breviario Romano, nel comune delle sante non vergini. L'asserzione, sempre ripetuta, che l'A. abbia collaborato, subito dopo la conclusione del concilio di Trento, alla compilazione del Catechismo Romano è stata confutata da P. Paschini (Il catechismo romano, in Cinquecento romano e riforma cattolica, Roma 1958).

Non d'occasione, ma quasi commissionata è l'opera maggiore dell'A. che, ristampata più volte negli ultimi secoli, ha consacrato la sua fama di pedagogista, i tre libri Dell'educazione cristiana de' figliuoli, scritti "ad istanza" di s. Carlo Borromeo ed editi per la prima volta a Verona nel 1584, a cura del domenicano Alessio Figliucci, per i tipi di S. Dalle Donne e G. Stringari. L'elaborazione dell'opera era incominciata nel 1580 per impulso del Borromeo il quale aveva fatto dell'azione pedagogica, attraverso la fondazione di seminari, collegi, scuole della dottrina cristiana, uno dei perni della sua attività riformatrice in Milano e desiderava un trattato teorico che potesse guidare l'azione dei suoi collaboratori. Il 1º apr. 1581 l'A. poteva inviare a s. Carlo l'indice dei primi capitoli chiedendo l'approvazione preliminare dello schema generale; il 30 settembre dello stesso anno si scusava per avere dovuto interrompere il lavoro per un certo periodo e prometteva di riprendere l'invio dei quinterni, seguendo l'ordine della stesura: verso la fine del 1582 l'opera era compiuta ("... sino a questo tempo, che è il fine dell'anno quarantunesimo della mia età", libro III, cap. 91).

Analizzando brevemente quest'opera è bene precisare che il titolo fu modificato nelle edizioni dei secoli successivi con una aggiunta: Dell'educazione cristiana e politica dei figliuoli. Questa modifica non è puramente formale ed ha deformato il pensiero e le intenzioni dell'A. contribuendo non poco a determinare l'origine di una polemica sul suo pensiero pedagogico. È l'autore stesso a precisare che "il fine di quest'opera non sarà già di scrivere semplicemente sull'educazione politica, in quanto essa riguarda la felicità umana, considerata dai filosofi; ma sarà piuttosto quello di scrivere sull'educazione cristiana... laonde in questo trattato il fanciullo verrà più principalmente considerato come cristiano, che come uomo, ed animale sociale... sebbene ancora a questo si avrà il dovuto riguardo" (lib. I, cap. 11). L'A. si pone sulla linea della riforma tridentina di rinnovamento ed approfondimento dell'istruzione catechistica e morale dei fanciulli e quasi solo secondariamente si occupa dei problemi generali della pedagogia. Ciò risulta anche dall'economia generale dell'opera, essendo solo l'ultima parte dedicata alla pedagogia in senso proprio. Il primo libro è un'esposizione divulgativa teologico-morale sul matrimonio e sulla famiglia, secondo la dottrina tradizionale della Chiesa e le precisazioni contenute nei decreti del Tridentino. Il secondo libro, circa la metà dell'intera opera, composto di centoquaranta capitoli, non è che un insegnamento rivolto ai padri di famiglia, ai quali l'intera opera è dedicata, sul modo di insegnare teoricamente e praticamente ai fanciulli la dottrina e la morale cristiana, sulla linea del Catechismo Romano: tratta organicamente degli articoli del Credo, dei sacramenti, dei precetti del decalogo (molto diffusamente per la più ampia rilevanza pedagogico-morale, capp. 28-128), dell'orazione ed in particolare del Padre Nostro. Il terzo libro riguarda più da vicino i problemi dello sviluppo fisico, morale ed intellettuale del fanciullo e dell'adolescente. In esso l'A. aderisce alle conquiste rinascimentali in campo pedagogico conferendo ad esse una nuova sistematicità. Alla base di ogni azione educatrice deve essere una continua attenzione alle "naturali inclinazioni" del fanciullo ed alle diverse fasi di crescita fisica e psichica; ogni decisione su particolari punti deve essere improntata ad un equilibrio profondamente imbevuto, nel pensiero dell'A., di classicità: moderazione, ma fermezza nelle punizioni, considerazione delle varie esigenze della natura nel determinare la misura del cibo e del sonno, necessità della ricreazione e del gioco, per sollevare lo spirito e temprare il corpo. Per questo ideale di equilibrio umano l'A. non manca di esortare alla lettura diretta dei classici "per convertire in servizio di Dio, ed in utilità de' prossimi, l'oro delle dottrine e l'argento dell'eloquenza de' gentili..." (cap. 37). L'A. sembra talvolta accettare le concezioni rinascimentali ma in realtà le capovolge: è persa in lui la fiducia umanistica nell'autonomia della morale naturale e, pur rimanendo l'ideale raffigurazione della dignità della natura umana, egli considera concretamente il fanciullo come orientato verso la corruzione dal peccato originale e salvabile solo con un continuo sforzo di controllo e correzione morale e soprattutto con il trapianto nel suo animo e nella sua sensibilità dei principi e della pratica religiosi. Per questo anche le utilissime letture dei classici, come tutto ciò che entra nella vita dei fanciulli, vanno sorvegliate e purgate con molta diffidenza nei riguardi dei poeti spesso troppo inclini alla mitologia pagana ed alla lascivia; per questo scarsa importanza viene data all'educazione artistica e musicale nella quale si teme possa più facilmente insinuarsi la corruzione. Le fanciulle sono poi totalmente separate dal mondo esterno, chiuse tra le pareti domestiche sino al giorno del matrimonio, e non devono ricevere se non un minimo di cultura per non essere immerse nelle tentazioni "essendo il sesso femminile per sua natura vano" (cap. 46).

L'ottimismo del primo Rinascimento è naufragato nella crisi spirituale che ha spezzata durante il secolo l'unità dell'Occidente portando alla formazione delle nuove spiritualità protestanti ed al rinnovamento organizzativo e della vita di pietà della Chiesa cattolica: l'A. è fedele interprete della riforma tridentina in campo pedagogico e la sua opera è rimasta ispiratrice del pensiero e della prassi educativa cattolica nel corso di secoli: ancora Pio XI non dubitava di riportare lunghi passi dell'opera dell'A. nella sua enciclica "Rappresentanti in terra" sulla educazione cristiana della gioventù (31 dic. 1929). Negli stessi anni in cui era scritta l'opera Dell'educazione cristiana i gesuiti stavano elaborando la Ratio studiorum che, promulgata nel 1599, sarebbe rimasta immutata per più di due secoli come legge per i collegi dell'Ordine e modello di formazione per generazioni: lo stesso A. rimanda ai gesuiti per le particolari applicazioni delle sue linee pedagogiche avendo essi "fatto anatomia tale, e di tutte le cose, e delle diverse indoli, e degli ingegni de' giovinetti, che non si può aggiungere o torre cosa alcuna delle ottime loro istituzioni" (cap. 33).

Anche da altri punti di vista il pensiero pedagogico dell'A. esercitò notevole influenza nei secoli successivi, anticipando tesi e problemi che vennero poi svolti dagli indirizzi di pensiero più moderni. Formato negli anni dell'adolescenza presso la splendida corte di Ferrara egli rinnega nella sua opera matura l'ideale aristocratico di educazione tipico del Rinascimento, reso celebre dal Cortegiano del Castiglione. L'A. si rivolge a tutti i padri di famiglia, a tutta la popolazione cittadina ed in particolare alla borghesia: la cultura deve essere diffusa a tutti e tutti i fanciulli devono almeno saper leggere, scrivere e far conti indipendentemente dalla loro condizione sociale, indipendentemente dalla professione che saranno chiamati a scegliere secondo le loro inclinazioni e la loro situazione familiare. Al termine del curriculwn pedagogico è posta come meta al fanciullo l'inserzione attiva nella vita della società con l'esercizio di una delle attività professionali ugualmente necessarie alla vita della comunità: sia esso agricoltore o artigiano, mercante o giurista, medico o militare il giovane ben formato diviene "utile cittadino alla patria terrena e finalmente sarà ammesso al consorzio dei cittadini della patria celeste" (cap. 91).

Le edizioni dell'opera Dell'educazione cristiana de' figliuoli, dopo la prima citata del 1584; Cremona 1609; Napoli 1704; Roma 1785; Milano 1821; Parma 1851-52(2 voll.); Firenze 1852; Troyes 1856 (trad. francese: a cura di Ph. Guignard, Traité de l'éducation chrétienne des enfants, ristampata a Poitiers nel 1873); Freiburg in B. 1888 (trad. tedesca a cura di F. X. Kunz, Die christliche Erziehung); Torino 1926, a cura di L. Pogliani. Una scelta dei passi più significativi è stata edita a Milano nel 1938 (a cura di G. Marpillero in una collana scolastica dei classici della pedagogia) ed a Firenze nel 1960 in Il pensiero pedagogico della Controriforma, a cura di L. Volpicelli ("I classici della pedagogia"), ove è pure un breve profilo bio-bibliografico.

Bibl.: I. Castalionus [G. Castiglioni], S. Antoniani S. R. E. cardinalis vita... Eiusdem Silvii orationes XIII, Romae 1610; J. Carafa, De Gymnasio Romano et de eiusprofessoribus, Romae 1751, passim; G. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 856-862; F. M. Renazzi, Storia dell'università degli studi di Roma, II, Roma 1804, passim; G. B. Gerini, Gli scrittori pedagogici italiani del sec. XVI, Torino 1897, pp.439-484; E. Carbonera, S. A. o un pedagogista della riforma cattolica, Sondrio 1902; A. Benini, Un pedagogista del rinascimento, S. A., in Annuario d. R. Liceo-ginn. D. Alighieri di Ravenna,1928-29; L . v. Pastor, Storia dei Papi, VII-XI,Roma 1928-29, passim; G. Vidari, L'educazione in Italia dall'umanesimo al rinascimento, Roma 1930,pp. 99 ss.; L.Ponnelle - L.Bordet, San Filippo Neri e la società romana del suo tempo, Roma 1931, passim.

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