Spavènta, Silvio

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Patriota e uomo politico italiano (Bomba 1822 - Roma 1893), fratello di Bertrando. Per la sua attività antiborbonica fu condannato a morte, pena tramutata nel 1852 in ergastolo e nel 1859 in esilio perpetuo. Dopo l'unità d'Italia fu deputato (1861-89), consigliere di Stato e ministro dei Lavori pubblici. Ispirandosi a Hegel, S. vide nello Stato l'organo supremo destinato a impersonare la coscienza direttiva della nazione.

Vita e attività

Si trasferì a Napoli (1843) per studiare diritto, ma si occupò principalmente di filosofia, seguì le lezioni di P. Galluppi e di O. Colecchi, aprì (1846) con Bertrando una scuola privata di filosofia che fu soppressa dalla polizia (1847). Deputato al parlamento napoletano, e fondatore del Nazionale (1848), propugnò la partecipazione di Napoli alla guerra d'indipendenza. Non prese parte alla giornata del 15 maggio, ma fondò con L. Settembrini, C. Braico e F. Agresti la setta dell'Unità italiana, allo scopo di cacciare i Borboni e di diffondere l'idea unitaria. Arrestato (1849), dopo un lungo processo fu condannato a morte, ma, commutatagli la pena nell'ergastolo (1852), fu relegato nell'isola di S. Stefano, dove rimase per circa 6 anni, che furono per lui di fervida attività intellettuale. Commutatagli la pena (1859) nell'esilio perpetuo, fu imbarcato con altri alla volta dell'America, ma riuscì con i suoi compagni a farsi sbarcare in Irlanda, e si recò prima a Londra poi a Torino. Tornato a Napoli (1860), si adoperò perché la rivoluzione si compisse nel continente in nome di Vittorio Emanuele, prima dell'arrivo di Garibaldi. Ministro di polizia della Luogotenenza napoletana, condusse una guerra a fondo contro la camorra. Deputato (1861-89), fu segretario generale al ministero dell'Interno nel gabinetto Farini-Minghetti; a lui fu fatta risalire la maggiore responsabilità della sanguinosa repressione delle dimostrazioni torinesi contro la Convenzione di settembre (1864). Consigliere di stato (1868), ministro dei Lavori pubblici (1873), legò il suo nome a una serie di convenzioni per il riscatto e il passaggio allo stato di importanti linee ferroviarie, ma la sua proposta di adottare l'esercizio di stato urtò contro la resistenza del gruppo dei moderati toscani, che si staccò dalla maggioranza, provocando la caduta della Destra (1876). Dal 1889 senatore del regno, lo stesso anno fu nominato presidente della IV sezione del Consiglio di stato, da lui stesso auspicata, come organo della giustizia amministrativa. Temperamento di giurista, ma con vigoroso abito filosofico del pensare, pose al centro della sua dottrina politica il concetto hegeliano dello stato, concepito come organo supremo destinato a impersonare la coscienza direttiva della nazione e a guidarla ai fini più alti dell'umanità. Da questo deriva un certo suo autoritarismo, ma anche la vigorosa esigenza di un efficiente sistema parlamentare fondato sui due partiti classici e la richiesta di una netta distinzione fra politica e attività amministrativa dello stato.

Opere

I suoi scritti principali sono raccolti nei volumi: La politica della Destra (1910); Discorsi parlamentari (1913); Dal 1848 al 1861 (1923); Lettere politiche (1926).

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