SIMONE da Trento

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SIMONE da Trento

Emanuele Curzel

SIMONE (Simonino) da Trento. – Nacque nel novembre del 1472, figlio di Andrea Unverdorben, conciapelli che lavorava a Trento nella contrada del Fossato, e di Maria.

Scomparve la sera del 23 marzo 1475 e fu ritrovato cadavere tre giorni dopo, il 26 marzo, domenica di Pasqua. La sua esile biografia si conclude qui: la sua morte fu però il punto di partenza per una serie di vicende che portarono il bambino ad essere a lungo venerato come beato Simone o s. Simonino e a definire come verità processuale – fino a una radicale ma relativamente recente revisione storiografica – l’uso ebraico di consumare sangue di cristiani nella festa di Pasqua.

Il corpo del bimbo fu rinvenuto nel canale che passava sotto la casa di Samuele da Norimberga, il membro più in vista della piccola comunità ebraica della città di Trento. La voce popolare, rafforzata dall’eco della predicazione contro l’usura compiuta nelle settimane precedenti dal frate osservante Bernardino da Feltre, individuò negli ebrei i colpevoli del rapimento (per quanto nei giorni precedenti le loro case fossero già state inutilmente perquisite). Il podestà di Trento Giovanni de Salis da Brescia ne fece arrestare diciotto. Secondo i due medici chiamati il 27 marzo a esaminare il corpo, la morte era avvenuta da non più di un giorno e non si era trattato di annegamento; uno dei due (Giovanni Maria Tiberino) sostenne fin dall’inizio che le ferite che si notavano erano state volontariamente inferte.

Il piccolo cadavere fu collocato su un altare della chiesa cittadina di S. Pietro e si cominciò a diffondere la fama dei miracoli che avvenivano grazie al contatto con esso; la credenza in tali interventi divini rafforzò l’opinione comune secondo cui il piccolo era stato ucciso da nemici della fede cristiana. Il processo fu dunque avviato in un clima ostile agli accusati: i giudici nominati da Johannes Hinderbach (1418-1486), vescovo dal 1465, che a Trento esercitava anche il potere temporale e condivideva pienamente i pregiudizi antiebraici, vollero indurre coloro che erano stati arrestati a confermare la tesi del martirio. Gli accusati dapprima sostennero la propria innocenza ma, dopo essere stati torturati in forme considerate estreme anche all’epoca, finirono con l’acconsentire alla versione dei fatti che i giudici proponevano loro (sia per quanto riguardava i dettagli dell’omicidio, sia a proposito dell’odio contro Cristo come movente). L’ultimo a cedere alla tortura fu il fattore di Samuele, Vitale, il 13 aprile. Altre indagini che avrebbero potuto portare a esiti diversi (come quelle a carico di un certo Johannes Schweizer, accusato dagli stessi ebrei di essere il colpevole dell’infanticidio) furono dunque abbandonate.

Il 21 aprile l’intervento del duca d’Austria e conte del Tirolo Sigismondo d’Asburgo causò una sospensione del processo. Il vescovo favorì allora la registrazione dei miracoli che si diceva continuassero ad avvenire presso il piccolo corpo, dove già si affollavano devoti e pellegrini provenienti anche da Verona, Brescia, Mantova e dalla Germania; un’intensa attività propagandistica, anche attraverso l’uso della stampa, diffuse con scritti e immagini la fama del Simonino e la versione dei fatti prodotta dal tribunale trentino. Il processo riprese il 5 giugno e giunse rapidamente a conclusione; tra il 21 e il 23 giugno finirono sul rogo Israele di Samuele, Samuele, Angelo, Tobia, Vitale e Mohar; Mosè il Vecchio era morto in carcere qualche giorno prima; Bonaventura, cuoco di Samuele, e Bonaventura di Mohar si convertirono per evitare il rogo e furono decapitati.

Il 30 giugno 1475 il vescovo spedì a papa Sisto IV una relazione su quanto era avvenuto e chiese la canonizzazione del piccolo Simone. Il 23 luglio il papa inviò a Trento il frate domenicano Battista dei Giudici (1428-1484), vescovo di Ventimiglia, come commissario apostolico incaricato di valutare la situazione. Il dei Giudici giunse a Trento all’inizio di settembre e assunse fin da subito una posizione molto critica sia verso il culto e gli asseriti miracoli, sia verso le risultanze processuali. Riteneva infatti non solo che le accuse alla comunità ebraica fossero inverosimili e che le confessioni fossero state estorte con la tortura, ma anche che il testo stesso dei verbali fosse stato falsificato. Di fronte all’ostilità che l’ambiente locale non mancò di dimostrargli scelse di trasferirsi a Rovereto (allora sotto il controllo veneziano), dove completò l’indagine e cercò inutilmente di far scarcerare gli ebrei ancora imprigionati. Sulla base del rapporto di dei Giudici, il 10 ottobre Sisto IV proibì di chiamare beato il Simonino.

La sconfessione del culto implicava una critica nei confronti del modo in cui si era svolto il processo: Hinderbach, per difendersi, cominciò allora un’azione volta a screditare il commissario apostolico, che fu accusato di essere stato corrotto dal denaro degli ebrei, e scrisse ad amici e conoscenti (a Roma all’umanista Bartolomeo Sacchi detto il Platina) per sostenere la regolarità di ciò che era stato fatto dal tribunale trentino. Infine fu il commissario apostolico a dover giustificare il suo operato, mentre i processi contro i presunti correi (cominciati il 3 novembre 1475) grazie alla tortura portarono a nuove confessioni. Seguirono altre condanne alla pena capitale; tra le vittime vi furono anche tre donne (Dolcetta, moglie di Angelo, Brunetta, sua nipote, e Dolcetta, moglie di Salomone).

Il Simonino non fu canonizzato, ma Hinderbach per lo meno ottenne che una commissione papale confermasse la correttezza formale del processo che si era svolto (20 giugno 1478); sebbene il martirio di Simone non fosse stato confermato, il culto comunque si diffuse (ne sono testimonianza gli affreschi tardo quattrocenteschi che si trovano in numerose chiese dell’Italia settentrionale) e anche altrove, negli anni immediatamente seguenti, si volle attribuire agli ebrei la responsabilità del rapimento o della morte di bambini. Solo più di un secolo dopo, nel 1584, la S. Sede concesse l’iscrizione del nome di Simone nel Martirologio romano e nel 1588 papa Sisto V concesse i formulari per il culto liturgico.

Quel che rimaneva del piccolo corpo, conservato in una cappella della chiesa di S. Pietro di Trento, fu mummificato dal medico ed erudito Ippolito Guarinoni nel 1637; la cappella fu riccamente decorata con tele e stucchi nella seconda metà del XVII secolo, a testimonianza della devozione rifiorita in età controriformista e barocca. Altri spazi della città furono posti in evidenza quali luoghi della memoria simoniniana: la sinagoga dove sarebbe stato ucciso e la casa dov’era nato (trasformata in cappella nel 1758). La festa liturgica era fissata al 24 marzo, ma veniva celebrata la quarta domenica dopo Pasqua; una solenne processione si teneva ogni dieci anni, con il trasporto del corpo e dei presunti strumenti del martirio.

Gli atti processuali, contenenti le confessioni estorte agli imputati, furono considerati prova del delitto e ciò, fino al pieno XX secolo, permise di sostenere la verità storica dell’omicidio rituale. Numerosi testi apologetici furono prodotti lungo tutta l’età moderna e gli opuscoli devozionali novecenteschi ripresero acriticamente la versione tradizionale dei fatti, almeno fino al 1955 (lo scritto di Giuseppe Menestrina del 1903 fu un’importante, ma all’epoca del tutto isolata, voce controcorrente). Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo vi fu però una revisione del giudizio storico su queste vicende e si giunse infine alla formale abrogazione del culto il 28 ottobre 1965. Il corpo del Simonino fu sepolto nel cimitero cittadino, in una tomba anonima.

La morte di Simonino, il processo, le condanne inflitte agli esponenti della comunità ebraica trentina, la diffusione del culto – nonostante le riserve papali – anche al di fuori dell’ambito locale e le conseguenze a lunghissimo termine delle risultanze processuali hanno suscitato, negli ultimi decenni, un notevole interesse storiografico alimentato anche dal fatto che la documentazione a disposizione (verbali dei processi, corrispondenze, scritti polemici e letteratura giuridica) è eccezionale per qualità e quantità. Dei processi non esistono peraltro i fascicoli originali ma solo delle copie, conservate nell’Archivio segreto Vaticano, a Vienna nello Haupt-, Hof- und Staatsarchiv e a Trento, presso l’Archivio di Stato (Archivio Principesco Vescovile, Sezione latina, capsa 69) e il Museo diocesano; una versione in tedesco è a New York (Yeshiva University).

Fonti e Bibl.: Battista de’ Giudici, Apologia Iudaeorum – Invectiva contra Platinam. Propaganda antiebraica e polemiche di Curia durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484), a cura di D. Quaglioni, Roma 1987, pp. 47-161; Processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478), a cura di A. Esposito - D. Quaglioni, I, I processi del 1475, Padova 1990, pp. 97-454, II, I processi alle donne (1475-1476), 2008, pp. 67-268; F. Ghetta, Johannes Hinderbach amministratore: i registri delle offerte della chiesa di S. Pietro a Trento, in Il principe vescovo Johannes Hinderbach fra tardo Medioevo e Umanesimo, a cura di I. Rogger - M. Bellabarba, Bologna 1992, pp. 207-252.

B. Bonelli, Dissertazione apologetica sul martirio del beato S. da Trento nell’anno MCCCCLXXV dagli ebrei ucciso, Trento 1747; G. Divina, Storia del Beato S. da Trento, Trento 1902; G. Menestrina, Gli ebrei a Trento, in Tridentum, VI (1903), pp. 304-316, 348-374, 385-411; W.P. Eckert, Il beato Simonino negli “Atti” del processo di Trento contro gli Ebrei, in Studi trentini di scienze storiche, XLIV (1965), pp. 193-221; D. Quaglioni, Introduzione, in B. de’ Giudici, Apologia Iudaeorum..., cit., pp. 1-37; Id., Il procedimento inquisitorio contro gli ebrei di Trento, in Processi contro gli ebrei, I, cit., pp. 1-51; A. Esposito, Lo stereotipo dell’omicidio rituale nei processi tridentini e il culto del ‘beato’ Simone, ibid., pp. 55-95; Il principe vescovo Johannes Hinderbach fra tardo Medioevo e Umanesimo, cit., pp. 381-496 (sezione Intorno al caso di S. da Trento); D. Rando, Dai margini la memoria. Johannes Hinderbach (1418-1486), Bologna 2003, pp. 457-491; A. Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, Bologna 2007, ad ind.; I. Rogger, In margine al caso Simonino di Trento. Aspetti istituzionali e morali della questione, in Omaggio a Iginio Rogger. Conferimento della laurea honoris causa in Giurisprudenza, Trento, 12 aprile 2006, a cura di D. Quaglioni - F. Zuelli, Padova 2008, pp. 15-22; D. Quaglioni, La parola “data” e la parola “presa”: le donne nel processo, in Processi contro gli ebrei, II, cit., pp. 1-25; V. Perini, Il Simonimo. Geografia di un culto, con saggi di D. Quaglioni - L. Dal Prà, Trento 2012; I. Rogger, Gli scritti sul caso del “Simonino”, in Studi trentini. Storia, XCIV (2015), pp. 19-42.

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