PORTA, Simone

Enciclopedia Italiana (1935)

PORTA (o Porzio, dal cognome latinizzato Portius, Porcius), Simone

Guido Calogero

Filosofo e medico, nato a Napoli nel dicembre del 1496 e ivi morto il 27 agosto 1554. Seguace del Pomponazzi (o, piuttosto, a lui affine) nella maggiore delle sue opere, non ne fu quasi certamente (contro l'attestazione dei biografi antichi) mai discepolo, mentre è probabile che ascoltasse le lezioni di Agostino Nifo, quando questi, tra il 1519 e il 1521, insegnò per la seconda volta all'università di Pisa. A Pisa infatti il P. trascorse molti anni della sua giovinezza, e già dal 1520 al 1525 fu incaricato dell'insegnamento della logica e della fisica all'università. Più tardi, passato a Napoli, insegnò anche in tale città; ma nel 1545, trovandosi egli in Firenze, Cosimo, poi granduca di Toscana, pregò il viceré di Napoli Pietro di Toledo che gli cedesse il P. per lo studio pisano, al quale egli così appartenne tutto il resto della vita, per quanto, recatosi a Napoli per ragioni familiari, morisse in quella città.

L'elenco completo delle opere del P. è dato da F. Fiorentino nel primo dei due scritti sotto citati, pp. 151-153. Tra esse possono essere ricordate la traduzione latina e il commento del De coloribus (Firenze 1548, Parigi 1549: è notevole come già il P. dubitasse dell'aristotelicità di questo scritto, e l'attribuisse piuttosto a Teofrasto), il De coloribus oculorum (Firenze 1550; trad. ital. di Giambattista Gelli, ivi 1551), l'An homo bonus vel malus volens fiat (Firenze 1551, trad. ital. del Gelli, ivi 1551), il De dolore (1551), il De rerum naturalium principiis (Napoli 1553). Ma il suo scritto più notevole è la De humana mente disputatio (Firenze 1551: la trad. ital. del Gelli rimase inedita ed è forse manoscritta alla Nazionale di Parigi). In essa il P. (a differenza di altri seguaci del Pomponazzi, che, come p. es. il Contarini, finiscono per abbandonare la sua concezione) segue sostanzialmente l'alessandrismo del maestro a proposito del problema della natura dell'intelletto e dell'immortalità dell'anima e si manifesta quale il più tipico e segnalato fra tutti gl'immediati continuatori del Pomponazzi. Conoscitore del greco, che il Pomponazzi invece ignorava, il P. può meglio di lui attenersi all'originale aristotelico, e così fornire alla propria trattazione un più preciso aspetto di esegesi di pensiero altrui, opportuno per evitare sospetti di eterodossia religiosa (questi tuttavia non mancarono, e il P., pur non avendo noie per la protezione del granduca di Toscana, procurò comunque di allontanarli, pubblicando nel 1551, nella versione del Gelli, un Modo di orare cristianamente con l'esposizione del Pater noster, di cui apparve l'anno seguente il testo latino, Formae orandi christianae enarratio). Particolare valore hanno le interpretazioni che nel De mente il P. dà dei concetti aristotelici di movimento, energia ed entelechia; e, soprattutto, l'analisi delle varie formulazioni concernenti l'intelletto, l'unità della cui funzione egli si sforza felicemente di chiarire, mostrando insieme come il suo carattere d'immanente "divinità" non abbia nulla a che vedere col presunto carattere d'immortalità, che dovrebb'esser proprio dell'anima. In ciò il P. supera non solo le interpretazioni di Simplicio e di Averroè, ma in certa misura anche quella stessa di Alessandro di Afrodisia, seguita dal Pomponazzi. Contro il P. scrisse il napoletano Giacomo Antonio Marta, mentre suo seguace fu il faentino Giulio Castellani. Figlio del P. fu lo storico Camillo P.

Bibl.: Il migliore studio biografico e bibliografico sul P. è quello di F. Fiorentino, Della vita e delle opere di S. P., in Nuova Antologia, febbraio-marzo 1879, ristampato in Studi e ritratti della Rinascenza, Bari 1911, pp. 83-153. Per la valutazione filosofica del De mente cfr., dello stesso Fiorentino, Pietro Pomponazzi, Studi storici sulla scuola bolognese e padovana del sec. XVI, Firenze 1868, pp. 270-88. Manca ancora una monografia compiuta che, attraverso l'analisi di tutte le altre opere del P., meglio determini la sua posizione nell'aristotelismo del Cinquecento e, in particolare, rispetto al Pomponazzi.