SINDACATI INDUSTRIALI

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

SINDACATI INDUSTRIALI (XXXI, p. 832)

Franco VALSECCHI

Da oltre mezzo secolo gli aggruppamenti d'imprese, specialmente quelli tendenti a limitare la concorrenza (consorzî o cartelli), ma anche quelli rivolti a potenziare l'efficienza produttiva delle imprese aderenti (gruppi, Konzerne, trusts), hanno fornito materia di dibattito a quanti hanno preso a trattare delle sorti del moderno sistema economico. In quanto partecipi della tendenza monopolistica i sindacati industriali del primo tipo hanno contribuito ad avvalorare la tesi della naturale instabilità del regime di concorrenza; d'altra parte i gruppi, essendo la manifestazione più avanzata e più vistosa di quel processo di concentrazione delle unità produttive che i progressi tecnici stimolano continuamente, non hanno mancato di essere ritenuti fattori favorevoli alle formazioni monopolistiche e alla progressiva eliminazione del sistema di competizione. Non può meravigliare dunque se oggi, in un'epoca in cui la controversia sui destini del presente ordinamento economico assume particolare intensità e vivacità e il conflitto di idee si fa sempre più acuto, un posto importante vengano ad assumere queste forme tipiche di organizzaziom economica, che devono la loro ragion d'essere alla libertà di mercato e al tempo stesso tendono a superarla.

Il ventennio fra le due guerre e poi gli eventi connessi al secondo conflitto mondiale e alla attuale ricostruzione hanno dato un forte impulso allo sviluppo di consorzî e di gruppi. Secondo le stime compiute qualche anno dopo il superamento della depressione mondiale (1929-33), in un'epoca cioè in cui talune intese sorte sotto lo stimolo impellente della crisi potevano essersi già dissolte, l'Europa contava non meno di 10.000 consorzî, compresi in essi i consorzî internazionali (F. Haussmann). Nell'atteggiamento degli organi legislativi e della pubblica opinione riguardo alle intese monopolistiche nei varî paesi d'Europa si attenuò notevolmente o scomparve del tutto quel residuo di ostilità che ancora persisteva; sicché un po' dappertutto si ebbero norme di vigilanza a tutela dei consumatori, le quali però riconoscevano a quelle intese il diritto di cittadinanza. E non solo la limitazione della concorrenza non veniva più condannata in via di principio ma dalla stessa legislazione si faceva ricorso a essa (consorzî obbligatorî), quando l'esigenza di stabilità economica lo suggerisse e i privati imprenditori non si inducessero spontaneamente a stringere accordi fra loro.

Gli aggruppamenti d'imprese divennero strumenti di pianificazione economica nell'Unione Sovietica, da una parte, e vennero utilizzati come organi di esecuzione della politica economica dei piani quadriennali tedeschi e della politica autarchica italiana, dall'altra. Ma, prescindendo da questa tendenza consapevole verso l'abbandono della concorrenza, è importante porre in rilievo che la tolleranza verso le coalizioni a carattere monopolistico e l'impiego di forme organizzative dello stesso tipo da parte dei governi si estese finanche ai paesi piu fedeli al sistema economico tradizionale: si pensi ai marketing boards, che nel decennio 1930-40 ebbero grande diffusione in Inghilterra. Il fatto più saliente a questo proposito è però il mutamento radicale verificatosi negli Stati Uniti, dove, nello sforzo per combattere la depressione intrapreso nel 1933 dal così detto New Deal rooseveltiano, vennero conclusi per impulso degli organi di governo ben 677 codici di leale concorrenza fra le imprese dei varî rami produttivi, costituenti veri e proprî accordi limitatori della competizione e in massima parte (570) regolanti espressamente il livello dei prezzi; accordi quindi in aperto conflitto con la direttiva anti-trust dello Sherman act, che dai 1890 aveva dominato la vita economica americana.

Indubbiamente la pressione dei fatti aveva avuto influenza decisiva su tale mutamento di indirizzo, tanto è vero che, appena riapparsi i segni della ripresa, non solo venne dichiarata illegale gran parte della riforma del New Deal, ma venne inaugurata con esplicite e solenni dichiarazioni una nuova era antimonopolistica.

L'entrata in guerra degli Stati Uniti e la necessità di potenziare al massimo grado la produzione bellica consigliarono tuttavia ben presto una vera e propria tregua fra l'amministrazione della giustizia e i contravventori alla regola della concorrenza.

Ancor più significativo è poi quanto si rileva nella proposta per una "Carta del commercio internazionale", avanzata dagli Stati Uniti nel 1945 e concretatasi in quel documento che, approvato all'Avana il 24 marzo 1948, attende la ratifica degli stati appartenenti alle N. U. Nella proposta originaria e nel testo definitivo sono racchiuse disposizioni in materia di limitazione della concorrenza che rivelano una mentalità diversa da quella che ispirava lo Sherman act. Esse riguardano naturalmente solo le intese internazionali e prescrivono un controllo diretto a eliminare taluni comportamenti restrittivi (restrictive business practices), come fissazione di prezzi, delimitazione di zone, ecc., allorché essi esercitino effetti dannosi sull'espansione della produzione e del commercio e sul mantenimento di alti livelli di reddito reale in tutti i paesi o contrastino con qualcuno degli obiettivi dell'Organizzazione per il commercio internazionale, istituita con la Carta (v. in questa seconda App., I, pag. 657). Come si vede, le intese non sono proibite in via assoluta, ma vengono controllate affinché non siano frustrati i fini della Carta. Inoltre questa prescrive esplicitamente un'eccezione al principio della concorrenza internazionale in quanto legalizza gli accordi intergovernativi sui prodotti primarî (della terra, delle miniere, delle foreste e della pesca), accordi destinati a prevenire o alleviare le difficoltà nascenti dal fatto che in talune circostanze gli adattamenti di produzione e consumo non possono essere effettuati dal libero gioco delle forze del mercato con quella rapidità che è necessaria.

L'esame attento delle disposizioni mostra la mancanza di una chiara e unitaria valutazione del fenomeno; è difficile dire fino a che punto domini il giudizio favorevole sulle intese limitatrici della concorrenza e entro quali confini prevalga la mentalità fedele in via di principio alla concorrenza e disposta in pratica a concessioni di natura eccezionale in vista di particolari situazioni. Questo è anche lo stato presente della controversia sull'argomento, alla quale partecipano studiosi di ogni paese. Il contributo della teoria economica non è stato molto notevole perché lo studio del prezzo in regime di coalizione negli ultimi anni è passato in seconda linea rispetto all'indagine sul controllo dei prezzi in generale, imposto dalla guerra in tutti i paesi, e rispetto alle recenti ricerche in tema di concorrenza imperfetta e di concorrenza monopolistica, che per altra via scuotono il principio tradizionale dei vantaggi della concorrenza.

Gli stessi motivi obiettivi che, durante la depressione prima e durante la guerra poi, hanno favorito i consorzî, hanno operato ugualmente estendendo lo sviluppo dei gruppi. L'accrescimento di dimensioni delle imprese di taluni rami d'industria ha reso più acuta la situazione onerosa derivante dalla preponderanza di capitali fissi e di costi fissi in caso di restringimento della domanda; la formazione dei gruppi è apparsa così il rimedio adatto a trar partito di capacità produttiva non sfruttata. Inoltre l'aggruppamento ha consentito di applicare procedimenti tecnici il cui costo sarebbe stato proibitivo per una sola impresa. E così anche i vantaggi della concentrazione orizzontale e verticale, di fronte a scarsezza di materia prima o di altri fattori produttivi, hanno potuto essere assicurati mediante vincoli di vario genere (partecipazione azionaria, unione personale, convenzione a lunga scadenza, ecc.) fra imprese similari o comunque connesse per comunanza d'interessi sul mercato dei prodotti o del lavoro o delle materie prime. A mano a mano che progrediva l'ingrandimento d'imprese e di gruppi d'imprese, appariva sempre più l'effetto modificatore della struttura produttiva delle economie nazionali e, in un'atmosfera già agitata dalle critiche al predominio del capitale privato, era inevitabile che si inserissero le proposte di socializzazione dei grandi organismi produttivi.

In Italia gli ultimi anni hanno visto crescere il numero dei consorzî, sia di quelli volontarî, sia di quelli obbligatorî, e la disciplina legislativa (legge 16 giugno 1932 e decr. legge 15 aprile 1936; articoli 2618-2622 del nuovo cod. civ.), pur mirando a reprimerne gli abtisi, ne ha favorito gli sviluppi (industrie siderurgiche, meccaniche, ecc.). I gruppi hanno pure trovato nelle circostanze e nell'ambiente il terreno propizio all'accrescimento e all'estensione: a quelli esistenti (elettricità, industrie minerarie, industrie meccaniche, ecc.) si sono aggiunti altri per diretto impulso della politica economica statale (per mezzo dell'IRI). Anche in Italia intorno ai gruppi si è maggiormente svolto il dibattito sulla socializzazione, benché non sempre sia chiara la distinzione fra grande impresa e gruppo d'imprese.

Bibl.: La Germania, che deteneva il primato in questo campo, fino al punto di annoverare migliaia di lavori e finanche una rivista mensile specializzata (Kartell-Rundschau, Berlino) ha visto ridursi gli studî sull'argomento, su cui hanno avuto la netta prevalenza le opere intorno alla pianificazione. Come indicazione dell'ordinamento dominante colà fino a qualche anno fa; G. Linke, Nationalwirtschaft und internationale Kartelle, Würzburg 1938; A. Sölter, Das Grossraumkartell, Dresda 1941. Grande interesse si è destato invece per questo argomento negli Stati Uniti d'America. V. anzitutto la bibliografia generale preparata dalla Library of Congress: Cartels, Combines and Trusts, a cura di T. Cheney, Washington 1944, e inoltre: W. Berge, Cartels: Challenge to a Free World, Washington 1944; A. De Haas, International Cartels in the Post-War World, New York 1944; E. Hexner, International Cartels, New York 1946. Vanno segnalati i volumi di indagini e monografie in materia di coalizioni facenti parte dell'inchiesta sulla concentrazione di potenza economica, compiuta negli Stati Uniti durante la guerra: T. N. E. C., Investigation of Concentration of Economic Power, Washington 1940. - Per la Francia e l'Inghilterra: A. Piettre, L'évolution des ententes industrielles en France, Parigi 1936; L. Ballande, Essai sur les ententes économiques, Parigi 1946; A. Plummer, International Combines in Modern Industry, Londra 1939; H. Wittlesey, National Interest and International Cartels, Londra 1947. Meritano considerazione anche: S. d. N., A note on Cartels, Princeton 1944; C. D. Edwards, A Cartel Policy for the United Nations, New York 1945; United Nations, International Cartels, Lake Success 1947. Uno sguardo generale sulla disciplina giuridica vigente nei varî paesi si trova in: H. Friedländer, Die Rechtspraxis der Kartelle und Konzerne in Europa, Zurigo 1938. Per l'Italia: V. F. Vito, I sindacati industriali, 3ª ed., Milano 1936; Industria, Relazione della Commissione economica del Ministero per la Costituente, vol. II, Roma 1946, cap. VI, p. 203; inoltre: P. Grifone, Il capitale finanziario in Italia, Torino 1946; Radar, Organizzazione del capitale finanziario italiano, Roma 1948.