Sineddoche

Enciclopedia Dantesca (1970)

sineddoche

Francesco Tateo

Nella retorica classica è la figura che pone il tutto per la parte, il genere per la specie e viceversa. Tale definizione viene ripresa nella retorica medievale, dove tuttavia la netta distinzione dalla metonimia (v.) sembra talora minimizzarsi, come riconosce Gervasio di Melkley (Ars poetica, ediz. Gräbener, p. 73). E infatti nella Commedia, dove l'uso della s. appare notevole per la varietà e per l'incidenza che ha nell'esito stilistico, essa risponde sostanzialmente alle medesime esigenze della metonimia. Innanzi tutto va notato in genere che la rima è il luogo più consueto nel quale si riscontra la s., e ciò, ovviamente, non si deve soltanto a ragioni tecniche, ma al fatto che il gusto del concreto e del particolare e la ricerca del particolare effetto sonoro, che soprattutto si riflettono nella ricerca della s., ha il suo punto di forza nella rima.

Un esito realistico in rapporto col tema hanno per l'appunto in rima s. come quella che rappresenta il volto irato di Pluto ('nfiata labbia [If VII 7] accoglie anche un raro allotropo nella medesima funzione espressiva), o lo sforzo che i dannati fanno col petto (per forza di poppa, v. 27). In Pg XXXI, dove il poeta spiega il significato satirico della s. adoperata (quando per la barba il viso chiese, / ben conobbi il velen de l'argomento, vv. 74-75), il viso, proprio in relazione a barba, è detto mento, laddove altrove è indicato con la sua parte superiore, fronte (cfr. If I 81). Alla fronte è ridotto il ‛ capo ' in If XII 109 (quella fronte c'ha 'l pel così nero), ma con realistico riferimento alla pena che sommerge nel fiume i dannati. A un contesto realistico appartiene la s. di ossa per ‛ corpo ' in If XXXI 60, Pg XXXII 123 (cfr. in Rime CIV 85-86 la scomposizione anatomica del ‛ corpo ': Ma questo foco m'have / già consumato sì l'ossa e la polpa); forse anche in Pg XX 60 (le sacrate ossa), per la probabile ironia insita nell'allusione alla consacrazione dei re di Francia. Al corpo umano si riferisce una serie di s., che sono per lo più in relazione con la metonimia. Le vostre tempie di Pd IX 12 indica la ‛ testa ' e di rimando la ‛ mente ', ogne vena di Pg XI 138 indica tutti gli organi del corpo, ma con particolare riferimento al sangue e al cuore che sono simbolo della vita (cfr. XXIII 75, dove vena vale " sangue ", ma designa l'intero corpo di Cristo); le fronti di If VI 70 indicano ancora le ‛ teste ' ma come segno di un particolare atteggiamento dell'animo.

La carica realistica della s. può vedersi nelle lanose gote di If III 97: un vocabolo anche altrove adoperato in questa funzione espressiva e forse ancora con la medesima figura (Pg XXXI 40: gota vale " bocca " attraverso il significato traslato di " viso "). La faccia di Pg XXIII 55 indica l'intera ‛ persona ' con un realismo che assume questa volta un timbro affettivo. La s. di fronte, tempie, per ‛ testa ' (cfr. ad es. Pg XXI 90, XXVII 43, Pd XXIV 53) risponde certo a un'esigenza di linguaggio aulico, come quella diffusa di ciglia per ‛ occhi ' (If IV 130, Pd XI 88, XIX 94, XXIII 78), che ricorda quella più sottile, impreziosita dalla perifrasi, di Pd XXX 88-89 (la gronda / de le palpebre mie). Lo stesso si dica della classica s. della prora (If VIII 29) o dell'onda (Pg XXXIII 142), e dell'altra, ricorrente sempre in rima, delle piume per ‛ ali ', in senso metaforico (Pg IV 28, Pd XV 54), e proprio, ma in riferimento a quelle dell'angelo (Pg XXIV 149). Si veda ancora l'uso di ‛ pupilla ', che è sempre in relazione con un particolare effetto di dolcezza espressiva (Pd II 144, III 15), e quella di ‛ nota ', che designa il canto o la musica con una leggera vaghezza (Pg XXX 93, XXXII 63, Pd XIV 24 e 120).

Se le ‛ palme ' sono le mani di Cristo (Pd IX 123), ma con una significativa insistenza sul luogo dove esse ricevettero i chiodi, più difficile è spiegare la ragione della ripetuta s. di piante per ‛ piedi ', che sembra talora derivare da un eccesso di precisione (ponavam le piante, If VI 35; calchi con le piante, XXXII 20), talora da un'esigenza di eufemismo (cfr. le piante asciutte del Messo divino, IX 81; le care piante, XXIII 148), talora dalla rima e perfino dall'allitterazione di Pg XII 15 (lo letto de le piante tue). La rima deve aver certo condizionato la scelta di Pg XXXII 50 (la vedova frasca) e di Pd XXIII 7 (in su aperta frasca). La preferenza propriamente dantesca per la espressione concreta include talora la s., come nella locuzione ‛ muovere i piedi ' o simili (Pg XVII 61, Pd V 6, VI 22). Analogamente D. dice di tener dietro ai ‛ piedi ' della sua guida. La riduzione del ‛ tutto ' alla sua ‛ parte ' più concreta può riscontrarsi ancora in luoghi dove il poeta cerca un'espressione meno consueta: ma se Pier della Vigna desidera più pia la ‛ mano ' dello sconosciuto visitatore (If XIII 38) è perché essa ha strappato il ramo, e se in Pg XXXII 64-65 sono li occhi di Argo che si addormentano, è per evidenziare il meraviglioso ricordo mitologico dei cento occhi del mitico mostro. Una semplice perifrasi è invece la s. di If I 134 (la porta di san Pietro), che fra l'altro, forse, evita di nominare espressamente il luogo divino. Talora si tratta soprattutto di variare il lessico, come nell'uso di ‛ cerchio ' per ‛ sfera ' (Pd XXVII 144, XXVIII 72 e 98) e di scheggio per ‛ ponte ' (If XXI 125).

Il tipo di s. che prevede l'uso del genere per la specie è meno frequente e significativo. Si veda il consueto uso di mondo per l'umanità (Pg XXXII 103, Pd XXV 35) e viceversa di ‛ uomo ' per l'intera ‛ umanità ' (Pd VII 101). Ma va notata la vaga sfumatura contenuta nell'apostrofe di Francesca (animal grazioso, If V 88) e la forza gnomica della s. di pane per ‛ cibo ' in Pd XVII 59, che si sviluppa nella metaforica sentenza.