Sinistra storica italiana

Dizionario di Storia (2011)

sinistra storica italiana


Raggruppamento parlamentare sorto dalla confluenza della sinistra del Parlamento subalpino con esponenti della tradizione mazziniana e garibaldina, riorganizzatisi dopo la sconfitta del 1848-49 nel Partito d’azione, e con la cosiddetta «sinistra giovane» soprattutto meridionale formatasi dopo l’unità. Gli esponenti più in vista furono A. Depretis, B. Cairoli, F. Crispi, G. Nicotera, G. Zanardelli. Come la destra storica, la sinistra fu un «partito di notabilato» privo di organizzazione permanente nonché di ideologia e programma rigorosamente definiti. Pur tra divergenze e contrasti di non lieve entità, tutti avevano rinunciato alla pregiudiziale repubblicana e trovavano in linea di massima convergenza di opinioni e di azione politica nell’opposizione all’operato della destra storica in nome di un immediato recupero delle terre ancora irredente, di un più rigido laicismo in materia di rapporti con la Chiesa, di un’idea di Stato e di società largamente ispirata a principi democratici e antiautoritari che portavano a rivendicare una politica più avanzata in materia di libertà civili e a porre limiti precisi all’impegno diretto dello Stato nell’economia e nei servizi, specificamente nella gestione della rete ferroviaria. La base sociale di riferimento della sinistra era formata dalla piccola e media borghesia agraria, dalle professioni, dagli affari e dall’impresa del Nord e del Sud, dove trovava consenso anche nel ceto della grande proprietà latifondistica. La sinistra fu interprete delle insofferenze antifiscali che venivano crescendo nel Paese, specie nelle masse popolari, e meglio della destra seppe rappresentare gli interessi e le istanze settoriali provenienti da una società in via di trasformazione (cosa che poi nella polemica politica e nella valutazione di parte della storiografia sul trasformismo fu tacciata di propensione all’intrigo, scarsa saldezza d’opinioni, opportunismo). Dopo la cosiddetta «rivoluzione parlamentare» causata dal passaggio all’opposizione nel marzo del 1876 del gruppo dei conservatori toscani capeggiati da Peruzzi, contrari alla proposta della destra di esercizio statale della rete ferroviaria, la conseguente caduta del governo Minghetti e il conferimento dell’incarico ad Agostino Depretis, la sinistra vinse le elezioni politiche dell’autunno con il programma che era stato esposto a Stradella nel 1875 dallo stesso Depretis. Il programma era imperniato sulla riforma dell’istruzione, l’allargamento del suffragio e delle libertà democratiche in genere, l’alleggerimento della pressione fiscale, il decentramento amministrativo. Un’alternanza iniziale di governi Depretis-Cairoli vide il varo della riforma dell’istruzione elementare resa obbligatoria e gratuita (1877), blande misure protezionistiche a sostegno dell’industria (1878), contrastati provvedimenti in materia di libertà civili e controllo dell’ordine pubblico, abolizione della tassa sul macinato e altri alleggerimenti fiscali, riforma elettorale (1882) che elevò la quota degli aventi diritto al voto dal 2% al 6% della popolazione. Dal 1882 Depretis governò su una base di sostegno parlamentare molto ampia, frutto della scomparsa di schieramenti politici ben definiti in seguito al passaggio di diversi esponenti di spicco della destra nelle file della maggioranza. Quella stagione parlamentare e di governo, che si concluse con morte dello stesso Depretis (1887), fu definita «del » e della «dittatura parlamentare di Depretis», e fu vista a lungo come un periodo di pausa dello slancio riformatore, di rinuncia, con la Triplice alleanza, alle speranze sulle terre irredente del Nord-Est, di rinnovata precarietà del bilancio dello Stato (il deficit scomparso nel 1876 ricomparve nel 1884-85), di avvio (acquisto di Assab, occupazione di Massaua) di una politica, quella coloniale, rivelatasi poi sotto molti aspetti in perdita per lo Stato italiano, oltre che di incubazione di rapporti tra economia e politica dominati in linea generale più dagli interessi privati che da quelli pubblici. In realtà questo è vero se ci si rifà strettamente all’attuazione del programma di Stradella, per il quale effettivamente bisognò attendere l’arrivo al governo di Crispi, peraltro un uomo appartenente alla sinistra, per vedere ripresa la strada delle riforme istituzionali e amministrative, che vanno quindi tutte iscritte all’interno dell’iniziale programma della sinistra. Se invece si guarda ai processi di cambiamento della vita pubblica, sociale ed economica del Paese, allora si deve riscontrare che gli anni di Depretis, per il rinnovamento consistente della composizione della rappresentanza parlamentare e di quello dell’organico dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato, per l’attenzione portata al mondo dell’economia e in particolare a quello dell’industria con una politica di costruzione di infrastrutture e opere pubbliche che fu persino superiore a quella della destra, per una politica industriale che vide il primo vero avvio dell’industrializzazione italiana, messa al riparo con la tariffa del 1887 dalla concorrenza straniera, furono tra i più dinamici della storia d’Italia. Allora quel giudizio deve essere radicalmente rivisto, se non capovolto, e la stessa vita parlamentare può apparire in una luce meno sinistra di quella data dagli astratti ed estasiati ammiratori del bipartitismo perfetto all’inglese, ossia quella di un sistema politico fortemente condizionato dalla presenza di forze antisistema extraparlamentari ed extraistituzionali di destra e di sinistra, in una società ancora arretrata che, tra grandissime penalizzazioni di partenza una forte conflittualità internazionale, cercava faticosamente la via della modernizzazione e cominciava a riuscirci.

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