Siria

Dizionario di Storia (2011)

Siria


Termine che nell’uso moderno, relativo alla storia preclassica, può avere due accezioni: una ampia che include la Palestina, e una ristretta al territorio dell’attuale Repubblica di Siria (con aggiunta di Libano e Hatai, che ne fanno parte storicamente). Nel 3° millennio a.C. (Bronzo antico) la S. è abitata da genti semitiche – e altri – e articolata in Stati cittadini o cantonali dei quali il principale è Ebla. Tra il 2000 e il 1600 a.C. (Bronzo medio) alla frammentazione si sovrappongono le egemonie regionali di Yamkhad, Qatna, Mari. Nel periodo 1600-1200 a.C. (Bronzo tardo) interviene l’assoggettamento all’Egitto nel Sud e a Mitanni e poi agli ittiti nel Nord (Ugarit, Alalakh). Con l’invasione dei «popoli del mare» la S. recupera l’indipendenza e si struttura in senso etnico, coi fenici in Libano, gli aramei e i neoittiti all’interno, gli israeliti e i filistei nella od. Cisgiordania, i moabiti, gli ammoniti e gli edomiti in Transgiordania. Nella metà dell’8° sec. viene annessa all’impero assiro e poi babilonese. L’impero persiano unifica per la prima volta la regione in un’unica satrapia transeufratica.

Età greco-romana

Già satrapia dell’impero achemenide dal 538 a.C., la S. fu conquistata da Alessandro Magno (332 a.C.) e divenne una satrapia dell’impero greco-macedone. Dopo le lotte tra i diadochi, la S. fu stabilmente dominata da Seleuco, capostipite dei Seleucidi, dinastia che regnò su un vasto impero, non ristretto alla sola S., sino al 64 a.C. La S. infatti, se fu il centro amministrativo dell’impero seleucide (qui era infatti Antiochia, la capitale, fondata da Seleuco dopo il 301), fu anche la regione militarmente, politicamente e culturalmente più sensibile dell’impero, confinando a S con l’Egitto, a N coi domini di Lisimaco, poi col regno di Pergamo. Questo immenso dominio si sfaldò rapidamente: verso il 240, al tempo di Seleuco II, la Sogdiana e la Battriana erano già perdute da tempo, mentre si affermava a O di queste regioni il regno dei parti (➔ Arsacidi); altre regioni avevano o conquistavano l’autonomia; nel 62, quando Pompeo istituì la provincia di Syria, dell’antico impero di Seleuco non restava che un esiguo territorio attorno alla capitale Antiochia. Tra le cause che contribuirono all’indebolimento dell’impero seleucide furono l’eccessiva estensione e l’impossibilità per i sovrani di contrastare efficacemente i tentativi autonomistici di regioni e città; le contese territoriali con l’Egitto; la lotta contro romani e parti. Sull’organizzazione del regno seleucide sappiamo relativamente poco. Il territorio constava di «terra regale» e città, la prima amministrata e sfruttata dal sovrano col sistema del latifondo, le seconde con statuti e obblighi particolari. Il territorio stesso era diviso in satrapie e queste, a loro volta, in eparchie (province). Il potere del re, cui era dovuto culto divino, era praticamente assoluto. La provincia romana di Syria (62 a.C.), costituita coi residui dell’impero seleucide, comprendeva, oltre alla S. propriamente detta, parte della Cilicia. La provincia aveva una funzione essenzialmente militare, come zona di confine, e di attrito, verso il regno degli Arsacidi, combattendo contro il quale morì Crasso (53), governatore appunto della provincia. La provincia augustea di Syria, che comprendeva anche Cilicia, Panfilia e Cipro, conservò la sua importanza militare. Nel 161 d.C. la S. fu di nuovo invasa dagli Arsacidi e nel 256 i Sasanidi conquistarono Antiochia; poco dopo (260) l’imperatore Valeriano cadde nelle loro mani. In precedenza (194) la S. era stata divisa da Settimio Severo in due province, poi in tre da Costanzo II, infine in cinque agli inizi del sec. 5°. In S. il cristianesimo si diffuse rapidamente. Nel sec. 5° il patriarcato di Antiochia esercitava la sua influenza su una buona parte delle regioni orientali.

Dalla conquista islamica alla fine dei regni crociati

La conquista della S. (in ar. al-Sham, «la regione a sinistra», ponendosi con la fronte a Oriente) fu ultimata in seguito alla battaglia dello Yarmuk, nel 636. La regione fu affidata al governatore omayyade Mu‛awiya ibn Abi Sufyan, che vi stabilì la propria base di potere fra le tribù arabe locali e ne fece poi, divenuto califfo (661), la sede dell’impero, prendendo come  capitale Damasco. Con la caduta degli Omayyadi (750), la S. perse la sua centralità a favore dell’Iraq e subì la ritorsione degli Abbasidi, con la perdita dell’autonomia politica e un’esazione fiscale maggiorata, riducendosi a essere la frontiera settentrionale del conflitto con Bisanzio. All’inizio del 9° sec. avvenne la conquista dei Tulunidi; da questo momento, la S. divenne sede di dominazioni successive di breve durata, formalmente assoggettate al califfato iracheno (Ikhshididi, Hamdanidi), finché, dal 977 al 1098, fu annessa al califfato sciita fatimide, basato in Egitto. Anche la dominazione fatimide si esercitò in modo discontinuo, lasciando spazio a vaste aree di autonomia locale e di anarchia, delle quali profittarono gli imperatori bizantini, che ripresero parte della S. settentrionale, poi i Selgiuchidi (1075, conquista di Damasco; 1086, conquista di Gerusalemme), che vi stabilirono due regni di breve durata. Nel 1098 l’esercito crociato espugnava Antiochia, dopo un lungo assedio; nel 1099 i franchi prendevano Gerusalemme e l’intera regione diveniva sede del regno latino di Oriente. La sovranità franca sulla S. fu da subito contesa da bizantini e armeni, fino alla comparsa di Nur al-din, signore degli Zenjidi, e del suo luogotenente Salah al-din (Saladino), che, preso il potere in Egitto, sottrasse la signoria su Damasco ai figli di Nur al-din, quindi, dopo la vittoria ad Hattin (1187) sui crociati, conquistò il resto della Siria. Per il secolo successivo, la S., con la Terra santa, fu contesa fra i vari rami degli eredi di Saladino, gli Ayyubidi di S. e di Egitto, e a questi dai signori crociati. Nel 1244, l’invasione dei corasmi, richiamati da al-Malik al-Kamil, restituì all’Egitto la S., fino all’apparizione dei mamelucchi, che nel 1291, con la cattura di Cesarea, ultimarono la conquista della regione.

Epoca mamelucca e ottomana

Temendo attacchi europei dal mare, i mamelucchi distrussero sistematicamente i porti della costa siriana, sostituendo di frequente i governatori inviati dall’Egitto, per impedire la formazione di poteri locali. L’instabilità politica che ne derivò permise la prolungata rivolta (1293-1305) della comunità sciita, drusa e imamita e, in seguito, favorì l’invasione dei mongoli Ilkhanidi, fermata per circa un secolo dalla reazione mamelucca (1303), quindi la grande invasione di Tamerlano che distrusse e saccheggiò Damasco, portando via in schiavitù gran parte della popolazione abile. In uno stato d’inarrestabile decadenza, la S. divenne facile preda della potenza ottomana, che, dopo la caduta di Costantinopoli (1453), si volse a insidiare i domini mamelucchi. Nel 1516, con la battaglia di Dabik, Selim I conquistò la S. che, sotto il governo ottomano, fino al sec. 18°, divenne essenzialmente una terra di esazione fiscale, appaltata al miglior agente. In questa situazione, la S. perse popolazione e risorse a favore della costa libanese, dove era attivo il commercio intermediterraneo, e delle regioni montuose, dove si rifugiarono le comunità sciite. Vari signori locali si resero indipendenti, come l’emiro druso Fakhr al-din nel sec. 17° e nel 18°-19° sec. B. Shihab, il quale cercò di costituire un potentato analogo a quello di Muhammad ‛Ali in Egitto. Con quest’ultimo, Shihab strinse un’alleanza che condusse, nel 1832, all’occupazione della S. da parte di Ibrahim, figlio del pasha egiziano. Nel 1840 le potenze europee, alleate con il governo ottomano, costringevano Ibrahim al ritiro, cosa che causò anche la fine del potere di Shihab. Il rafforzamento della comunità cristiana siriana, sostenuta anche dai Paesi europei, rendeva intanto precaria la convivenza delle diverse religioni; nel 1860 scoppiarono gravissimi disordini fra i cristiani e i musulmani di S., drusi e sunniti. Le devastazioni e i pogrom di villaggi cristiani condussero all’intervento della Francia e del governo ottomano, il quale istituì un’amministrazione autonoma per i cristiani nell’area libanese, sotto il diretto controllo ottomano. La S. entrava intanto in un’era di modernizzazione culturale e tecnologica, mentre l’attuazione delle favoriva l’indipendenza politica e stimolava la nascita del nazionalismo siriano arabo. A questo si contrappose tuttavia il panturchismo dei Giovani turchi; il movimento nazionalista fu duramente represso, soprattutto durante la Prima guerra mondiale, quando il governatore ottomano, Jemal pasha, cercò di fare della S. la testa di ponte per la riconquista dell’Egitto. Con il crollo dell’impero, nel 1918, le truppe britanniche arrivarono presso Damasco, fermandosi per permettere a Faysal I di entrare in città.

Dal mandato francese all’indipendenza

Il progetto d’istituire in Siria il regno arabo promesso a Husain ibn ‛Ali al-Hashimi si scontrò con gli equilibri creati dalla fine della guerra. Il ritiro dell’Inghilterra dalla regione siro-libanese, ceduta alla Francia, segnò la fine della monarchia hashemita e l’inizio del mandato francese, sancito nel 1920 dalla Conferenza di Sanremo. In questo periodo furono fissati i confini esterni della S. moderna, prima con il mandato inglese e più tardi, in modo conflittuale, con la neonata Repubblica turca, che annesse nel 1939 la provincia siriana di Alessandretta. All’interno, la Francia fece del Libano uno Stato autonomo a maggioranza maronita, e creò inoltre vari Stati su base confessionale, tutti di breve durata. Il mandato francese, se permise la relativa pacificazione del Paese, represse violentemente ogni opposizione politica e ogni aspirazione nazionale, rappresentate dal Blocco nazionale (1925-27, rivolta drusa). Una politica più favorevole all’indipendenza, inaugurata durante il governo Blum in Francia (1936-37), si scontrò con il conflitto con la Turchia per Alessandretta e con la ripresa delle rivolte su base comunitaria, e fu infine messa da parte con l’avvento del governo filonazista di Vichy. Temendo che la Francia, nel 1941, potesse permettere il passaggio attraverso la S. delle forze tedesche in Medio Oriente, le truppe del generale De Gaulle, con l’aiuto britannico, rovesciarono il governo mandatario. Il ritiro francese e la piena indipendenza del Paese furono tuttavia attuati solo nel 1946.

La Siria indipendente

Le radicate divisioni etnico-religiose e i forti squilibri economici e sociali presenti nel Paese gravarono sulla vita politica dopo l’indipendenza, contribuendo a determinare una lunga fase di instabilità, accentuata dagli aspri contrasti che divisero la classe dirigente siriana nelle scelte di politica internazionale. Dopo la sconfitta nella guerra arabo-israeliana (1948-49), la Repubblica siriana subì l’ingerenza politica dei militari. Nel 1958 la fazione panaraba crebbe sino a portare all’unificazione con l’Egitto di Nasser nella Repubblica araba unita (RAU). La RAU si dissolse però nel 1961, con un colpo di Stato dell’esercito siriano che, nel 1963, portò al potere il partito nazionalista Ba‛th, di ispirazione socialista (Partito socialista dalla rinascita araba). Nel 1967, persa la guerra dei Sei giorni, la S. subì l’occupazione israeliana delle alture del Golan. Nel 1970 prese il potere con un colpo di Stato il generale ba‛thista Hafiz al-Asad, che instaurò una dittatura quasi personale, sostenuta dal partito-guida. L’obiettivo di recuperare le alture del Golan spinse poi la S. a migliorare i rapporti con Egitto e Giordania (inaspritisi nel 1970-71, per la repressione antipalestinese di Amman) e a rafforzarsi militarmente, grazie a un accordo con l’URSS. Nel 1973 il Paese partecipò alla guerra del Kippur contro Israele, senza però riconquistare il Golan; dal 1976 inoltre interferì militarmente e politicamente nella guerra civile libanese, istituendo in Libano una sorta di protettorato di fatto durato sino al 2005. Nemico del regime iracheno, Asad appoggiò Teheran nella guerra fra Iran e Iraq (1980-88), entrando in seguito nella coalizione militare antirachena guidata dagli USA durante la prima guerra del Golfo (1991); riallacciò però stretti rapporti con Baghdad, in chiave antisraeliana, nel 1997. Alla morte di Asad (2000), gli succedette alla presidenza il figlio Bachar. A seguito del suo ambiguo rapporto con una serie di gruppi considerati terroristici e al rifiuto di appoggiare le guerre in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003), la S. subì le sanzioni di Washington. Data questa posizione di isolamento internazionale, Bachar cercò la normalizzazione dei rapporti con la Turchia (tradizionale antagonista regionale della S.) e una rilanciata alleanza strategica con l’Iran. Nel 2005, a seguito dell’assassinio dell’ex premier libanese R. al-Hariri, Damasco dovette ritirare, su pressione popolare libanese e internazionale di ONU, USA e Francia, le sue truppe dal Libano. Per sfuggire all’accerchiamento diplomatico cercò da un lato di rafforzare la cooperazione con l’Iran e dall’altro di mostrarsi favorevole alla stabilizzazione del­l’Iraq, con il quale nel novembre 2006 furono riallacciati i rapporti diplomatici; questa linea prudente portò alla ripresa delle relazioni con la UE. Nel 2007 attraverso un referendum B. Asad è stato confermato presidente.

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