Sistema elettorale

Il libro dell anno del diritto 2019 (2019)

Sistema elettorale

Matteo Cosulich

Nell’ultimo anno, il sistema elettorale della Camera dei deputati e quello del Senato della Repubblica sono stati radicalmente novellati dalla l. 3.11.2017, n. 165, adottata al termine della XVII legislatura repubblicana per disciplinare le elezioni delle camere stesse, celebratesi il 4 marzo 2018. Sono stati così introdotti due sistemi elettorali proporzionali a correzione maggioritaria, assai simili fra loro, ma al tempo stesso privi di riscontri nel diritto comparato. Il che non dovrebbe stupire alla luce della considerazione che all’elevata complessità tecnica della vigente legislazione elettorale parlamentare italiana corrisponde il suo contrasto con il principio di eguaglianza del voto, nelle sue varie possibili declinazioni, pur in assenza di un premio di maggioranza in grado di rafforzare le forze politiche vincenti ai fini della formazione del Governo.

La ricognizione

La questione “sistema elettorale” esaminata con riferimento all’ultimo anno non può che incentrarsi sulla l. n. 165/2017 (Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali). Legge elettorale che completa il proprio iter nelle ultime settimane del 2017 – e della XVII legislatura repubblicana – per divenire applicabile nei suoi ultimi giorni, a seguito dell’entrata in vigore, il 20 dicembre, del decreto legislativo di determinazione dei collegi elettorali (d.lgs. 11.12.2017, n. 189), al quale seguono, poco dopo, i dd.PP.RR. 28 dicembre 2017 che assegnano i seggi alle circoscrizioni e ai collegi della Camera e del Senato. In pari data, vengono emanati sia il decreto presidenziale di scioglimento delle camere (d.P.R. 28.12.2017, n. 208), sia quello di indizione delle elezioni della Camera e del Senato (d.P.R. 28.12.2017, n. 209); elezioni che si sono svolte, com’è noto, il 4 marzo 2018, applicandosi per la prima volta la disciplina dettata dalla l. n. 165/2017.

Il legislatore ha così tardivamente ascoltato il monito della Corte costituzionale sull’opportuna uniformizzazione dei sistemi elettorali delle due camere (C. cost., 9.2.2017, n. 35) che peraltro egli stesso aveva imprudentemente differenziato, novellando la legislazione elettorale della sola Camera dei deputati (l. 6.5.2015, n. 52). La l. n. 165/2017 interviene peraltro in articulo mortis, procedendo alla riforma elettorale nell’imminenza delle elezioni politiche, al fine di disciplinare queste ultime, con buona pace delle raccomandazioni europee secondo cui «the fundamental elements of electoral law, in particular the electoral system proper, …, should not be open to amendment less than one year before an election»1. Al riguardo, va rilevato come la l. n. 165/2017 intervenga proprio sui “fundamental elements of electoral law”, vale a dire sul sistema elettorale in senso stretto, corrispondente al «meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, costituito da tipo di scelta, tipo e dimensione del collegio e tipo di formula (proporzionale o maggioritaria)»2. Anche e soprattutto con riferimento a tali oggetti, la l. n. 165/2017 innova radicalmente la previgente legislazione elettorale parlamentare, da individuarsi nella normativa risultante dal parziale annullamento, ad opera della giurisprudenza costituzionale: del testo unico adottato con d.lgs. 20.12.1993, n. 533, come novellato dalla l. 21.12.2005, n. 270 (C. cost., 13.1.2014, n. 1)3, per il Senato; del testo unico adottato con d.P.R. 30.3.1957, n. 361, come novellato dalla l. n. 52/2015 (C. cost. n. 35/2017)4, per la Camera.

La l. n. 165/2017 opera attraverso la tecnica della novellazione. Il che non le ha impedito di modificare profondamente la legislazione elettorale parlamentare, come ora si vedrà richiamando le disposizioni applicate nelle elezioni del 4 marzo 2018, individuate sulla base dei testi vigenti del del d.P.R. n. 361/1957 (d’ora in poi t.u. Camera) e del d.lgs. n. 533/1993 (d’ora in poi t.u. Senato).

La focalizzazione

Ai sensi della l. n. 165/2017, sia alla Camera, sia al Senato, poco più di un terzo dei seggi complessivamente assegnati in Italia (precisamente il 37,5%, equivalente a 232 seggi su 618 alla Camera e a 116 su 309 al Senato) sono attribuiti in altrettanti collegi uninominali al candidato che ivi ottiene il maggior numero di voti validi (plurality system). Il restante 62,5% dei seggi di entrambe le camere viene invece ripartito proporzionalmente (a livello: nazionale alla Camera; regionale al Senato) con il metodo del quoziente naturale, tra liste o coalizioni di liste che si presentano in piccoli collegi plurinominali, individuati nell’ambito delle circoscrizioni (regionali o infraregionali alla Camera; necessariamente regionali al Senato, ex art. 57, co. 2, Cost.), attraverso l’aggregazione di collegi uninominali contigui. Per concorrere in un collegio plurinominale, ciascuna lista o coalizione di liste deve presentare, «a pena di inammissibilità», una candidatura in ogni collegio uninominale compreso nel primo (art. 18 bis, co. 2-bis, t.u. Camera, cui rinvia l’art. 9, co. 2, t.u. Senato). Si stabilisce dunque un legame strettissimo fra la lista (o la coalizione di liste) nel collegio plurinominale e i candidati nei corrispondenti collegi uninominali; tanto è vero che, su una sola scheda, l’elettore con un unico voto sceglie sia la lista nel collegio plurinominale, sia il candidato nel collegio uninominale che essa ha presentato (art. 58, co. 2, t.u. Camera; art. 14, co. 1, t.u. Senato). Gli stessi voti vengono quindi utilizzati sia per individuare l’eletto nel collegio uninominale, sia per ripartire proporzionalmente i seggi nel collegio plurinominale; altrimenti detto, i voti necessari per l’elezione uninominale non vengono scorporati da quelli utilizzati per la ripartizione proporzionale tra le liste e le coalizioni di liste, che partecipano a tale ripartizione se hanno superato le clausole di sbarramento, rispettivamente del 3% e del 10% dei voti validi espressi a livello nazionale, oppure, al solo Senato, del 20% dei voti validi espressi a livello regionale. La scelta consentita all’elettore è quindi decisamente categorica, in quanto egli non può articolarla in alcun modo: sono esclusi sia il voto di preferenza, sia il voto disgiunto. Per quanto riguarda la mancata previsione del voto preferenziale, può constatarsi come essa impedisca di introdurre la doppia preferenza di genere, istituto oramai largamente utilizzato nel nostro ordinamento per «promuovere … le pari opportunità tra donne e uomini» nell’accesso alle «cariche elettive» (art. 51, co. 1, Cost.). Non per nulla, durante l’ultimo anno la doppia preferenza di genere è stata introdotta da numerose leggi regionali nella disciplina dell’elezione del corrispondente Consiglio5, anche sulla base dell’indicazione in tal senso contenuta nella corrispondente legge cornice, vale a dire all’art. 4, co. 1, lett. c-bis, n. 1, l. 2.7.2004, n. 165, come novellata dalla l. 15.2.2016, n. 20. Con riferimento alla mancata previsione del voto disgiunto, può rilevarsi come il voto alla lista si trasferisca automaticamente al corrispondente candidato uninominale. Viceversa se l’elettore indica soltanto il candidato uninominale, il voto si trasferisce alla lista che l’ha presentato; qualora tale candidato uninominale sia stato presentato da più liste (vale a dire, da una coalizione di liste), la l. n. 165 introduce l’insolito istituto del trasferimento pro quota del voto a tali liste: i voti espressi a favore del solo candidato uninominale collegato a più liste coalizzate «sono ripartiti tra le liste della coalizione in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna nel collegio uninominale» (art. 58, co. 3, t.u. Camera; art. 14, co. 2, t.u. Senato). Al di là dell’indubbia complessità delle technicalities ora descritte, sia il vigente sistema elettorale della Camera, sia quello, assai simile, del Senato, rientrano nel novero dei sistemi misti; l’uno e l’altro paiono potersi inserire nella categoria dei “sistemi maggioritari a compensazione proporzionale”, come si evince dalla descrizione di questi ultimi, nei quali «gli elettori hanno a disposizione un solo voto: votando per un candidato uninominale votano contemporaneamente per la lista o il gruppo concorrenti per i seggi proporzionali al quale il candidato appartiene. Dunque, il loro voto conta due volte: per l’arena maggioritaria e per quella proporzionale». La riconduzione alla categoria dei “sistemi maggioritari a compensazione proporzionale” non impedisce peraltro di considerare un vero e proprio unicum a livello mondiale i sistemi elettorali delle camere del Parlamento italiano introdotti dalla l. n. 165/2017: è sufficiente prendere in considerazione il «‘dosaggio’ maggioritario/proporzionale» per accorgersi che tutti gli altri sistemi elettorali oggi vigenti e rientranti nella categoria in discorso prevedono «una certa prevalenza della quota di seggi assegnata con formula maggioritaria»; il che richiama «l’effettiva natura di questo tipo di sistemi elettorali: quella di sistemi maggioritari sui quali si innesta la previsione di una quota di seggi ‘a compensazione proporzionale’»6. I sistemi elettorali introdotti dalla l. n. 165/2017 andrebbero quindi definiti piuttosto in termini di sistemi proporzionali a correzione maggioritaria, sulla base della menzionata ripartizione percentuale dei seggi. Tanto più che la legge n. 165 assicura sempre la prevalenza, nell’ambito del procedimento elettorale, alla lista che concorre alla ripartizione proporzionale dei seggi nel collegio plurinominale rispetto ai candidati uninominali ad essa collegati che concorrono all’assegnazione maggioritaria del seggio, ciascuno nel proprio collegio; non per nulla, questi ultimi sono legislativamente definiti «candidati della lista nei collegi uninominali» (art. 84, co. 3, t.u. Camera).

I profili problematici

Tra i profili problematici della vigente legislazione elettorale parlamentare, paiono assumere particolare rilievo quelli attinenti alla sua conciliabilità col principio costituzionale di eguaglianza del voto. Com’è noto, la risalente e consolidata giurisprudenza costituzionale (a partire da C. cost., 11.7.1961, n. 43) interpreta(va) detto principio in senso esclusivamente formale, come «parità di condizione dei cittadini nel momento in cui il voto è espresso (cd. uguaglianza ‘in entrata’)», senza prenderne in considerazione una possibile lettura sostanziale, relativa al «risultato del voto, vale a dire al peso concreto che il singolo voto, sulla base del sistema elettorale adottato, assume … (cd. uguaglianza ‘in uscita’)»7. Tuttavia la più recente giurisprudenza costituzionale in materia di legislazione elettorale parlamentare (C. cost. n. 1/2014 e C. cost. n. 35/2017) risulta assai meno disinteressata ai possibili risultati che i voti producono in termini di ripartizione dei seggi. Lo scrutinio di ragionevolezza cui la Corte costituzionale sottopone la legislazione elettorale evoca inevitabilmente il principio di eguaglianza (del voto, nel caso di specie) che peraltro «inizia a subire una mutazione, riguardando anche il momento finale (il risultato)»8 della vicenda elettorale. Così possono reputarsi costituzionalmente illegittimi quegli istituti della legislazione elettorale che, al fine di conseguire «un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese», sacrificano «valori costituzionalmente protetti» mediante «una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica» (sent. n. 1/2014). Altrimenti detto, istituti di tal fatta privilegiano eccessivamente l’obiettivo della governabilità, immemori del suo carattere assiologicamente subordinato rispetto al principio di rappresentatività democratica, risultando dunque costituzionalmente illegittimi, in quanto irragionevoli. Massimamente irragionevoli appaiono le leggi elettorali che comprimono la rappresentatività democratica dell’assemblea, senza tuttavia favorire la governabilità. A ben vedere, tale è il caso della l. n. 165/2017, sia alla Camera, sia al Senato, in quanto i seggi attribuiti nei collegi uninominali a maggioranza relativa (correzione maggioritaria) ben possono andare a beneficio di liste o di coalizioni lì vincenti, ma sconfitte a livello nazionale e quindi all’opposizione nelle camere del Parlamento; si pensi, ad esempio, ai sette deputati e ai tre senatori eletti dal centrosinistra nei collegi uninominali toscani il 4 marzo 20189. Siamo quindi in presenza di una compressione del principio di rappresentanza che potrebbe addirittura nuocere alla governabilità, risultando quindi assolutamente irragionevole e, perciò stesso, costituzionalmente illegittimo. Peraltro la l. n. 165/2017 parrebbe difficilmente compatibile col principio costituzionale di eguaglianza del voto anche se esso venisse inteso in senso esclusivamente formale. Affinché tale lettura minimalista dell’art. 48, co. 2, Cost. sia soddisfatta, è sufficiente garantire che «le schede gettate nell’urna dai cittadini hanno tutte il medesimo valore»10. Il che significa, per quel che qui specificamente interessa, escludere forme di voto plurimo. In apparenza, la l. n. 165 non introduce il voto plurimo, in quanto «ogni elettore dispone di un voto» (art. 4, co. 2, t.u. Camera, cui rinvia l’art. 27 t.u. Senato). Tuttavia la semplice e rassicurante conclusione ora raggiunta sembra vacillare qualora ci si addentri nelle technicalities elettorali. Al fine di ripartire i seggi parlamentari, si è infatti in presenza di voto plurimo quando alcuni elettori dispongono di due voti e gli altri elettori dispongono di un voto; a ben vedere, però, si è analogamente in presenza di voto plurimo quando alcuni voti vengono utilizzati due volte e gli altri voti una volta. Quest’ultimo è appunto il caso della disciplina elettorale introdotta dalla l. n. 165/2017. Al riguardo, si consideri che i voti utilizzati per eleggere, a maggioranza relativa, i candidati nei collegi uninominali non vengono scorporati ai fini del calcolo della cifra elettorale di collegio plurinominale di ogni lista che ha presentato i candidati nei collegi uninominali inclusi nel collegio plurinominale; detta cifra viene quindi utilizzata come addendo nelle addizioni le cui somme determinano la cifra elettorale circoscrizionale/regionale e la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista; ogni lista che supera la clausola di sbarramento a livello nazionale partecipa alla ripartizione proporzionale dei seggi, rispettivamente sulla base della sua cifra elettorale regionale al Senato e della sua cifra elettorale nazionale alla Camera. Di conseguenza, i voti dei candidati eletti nei collegi uninominali col plurality system vengono nuovamente impiegati per la ripartizione proporzionale del 62,5% dei seggi attribuiti con il metodo del quoziente. Ma allora, tali voti vengono utilizzati due volte, per l’elezione maggioritaria e per quella proporzionale, mentre i voti dei candidati sconfitti nei collegi uninominali vengono utilizzati soltanto una volta, per la seconda elezione. In altre parole, la l. n. 165/2017, prevedendo che nei conteggi alcuni voti pesino il doppio di altri, introduce una forma di voto plurimo, occulta ma non per questo meno illegittima; attribuire un differente peso ai voti in entrata, vale a dire quando si avvia il loro conteggio, equivale infatti a violare l’art. 48, co. 2, con specifico riferimento all’eguaglianza del voto, «da intendersi come esigenza inderogabile di unicità e di irripetibilità della manifestazione di voto per ciascun elettore»11. La l. n. 165/2017 risulta infine poco rispettosa del principio costituzionale di eguaglianza del voto non solo se la si esamina approfonditamente, ma anche a prima lettura. Poiché infatti il 37,5% dei seggi viene assegnato in collegi uninominali, in ciascuno dei quali i voti ivi espressi esauriscono i loro effetti (salvo naturalmente essere di nuovo conteggiati per la ripartizione proporzionale, come si è visto), occorre evitare «collegi uninominali marcatamente disomogenei quanto a consistenza demografica» in quanto essi determinerebbero «gravi vizi di costituzionalità»12, derivanti dall’attribuire al voto espresso nel collegio uninominale meno popolato un peso “in entrata” significativamente maggiore rispetto a quello proprio di un voto espresso in un collegio più popoloso. La l. n. 165 si incammina invece su questo percorso incostituzionale, laddove, all’art. 3 dispone che «la popolazione di ciascun collegio uninominale … può discostarsi dalla media della popolazione … dei collegi uninominali della circoscrizione di non oltre il 20% in eccesso o in difetto» (co. 1, lett. c per la Camera; co. 2, lett. c per il Senato). In tal modo, è possibile ritagliare, in una stessa circoscrizione, collegi uninominali che differiscono tra loro sino al 40% della popolazione. Percentuale talmente alta da configurare proprio quella marcata – e incostituzionale – disomogeneità demografica tra collegi uninominali di cui si ragionava poc’anzi. Così, con riferimento alla determinazione dei collegi uninominali utilizzati nelle elezioni del 4 marzo 2018, può ad esempio rammentarsi che in Abruzzo il collegio senatoriale dell’Aquila contava 555.774 abitanti e quello di Pescara 751.535 abitanti; ancora, nei collegi uninominali della Camera, in Emilia-Romagna, quello di Cento contava 209.395 abitanti, mentre quello di Scandiano ne contava 298.51713. Non per nulla, il più avveduto legislatore elettorale del 1993 prevedeva uno scostamento percentuale massimo pari esattamente alla metà, vale a dire al 10%, in eccesso o in difetto, sia alla Camera (art. 7, co. 1, lett. b, l. 4.8.1993, n. 277), sia al Senato (art. 7, co. 1, lett. e, l. 4.8.1993, n. 276).

Note

1 Code of Good Practice in Electoral Matters, Guidelines on Elections II, 2, b (vedilo al sito internet www.venice.coe.int); si tratta del Codice adottato dalla European Commission for Democracy through Law nel luglio 2002 e successivamente approvato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

2 Lanchester, F., Il sistema elettorale e la novella dell’art. 122 della Costituzione, in Verso una fase costituente delle Regioni? Problemi di interpretazione della legge cost. 22 novembre 1999, n. 1, a cura di A. Ferrara, Milano, 2001, 28.

3 Vedi Di Genio, G., Legge elettorale, in Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017, 313.

4 Si veda Politi, F., Rappresentanza politica e riforme elettorali, in Libro dell’anno del Diritto 2018, Roma, 2018, 262-263.

5 Così: l. reg. Lazio 3.11.2017, n. 10; l. reg. Molise 5.12.2017, n. 20; l. reg. Lombardia 28.12.2017, n. 38; l. prov. Trento 12.3.2018, n. 4; l. reg. stat. Sardegna 20.3.2018, n. 1; l. reg. Veneto 25.5.2018, n. 19; l. reg. Basilicata 20.8.2018, n. 20.

6 Chiaramonte, A., Tra maggioritario e proporzionale. L’universo dei sistemi elettorali misti, Bologna, 2005, 89 e 99100.

7 Grosso, E., Art. 48, in Commentario alla Costituzione, I, 2006, 970; corsivo dell’A.

8 Zagrebelsky, G., La sentenza n. 1 del 2014 e i suoi commentatori, in Giur. cost., 2014, 2974.

9 Si vedano i risultati elettorali al sito internet https://elezionistorico.interno.gov.it.

10 Preti, L., Diritto elettorale politico, Milano, 1957, 111.

11 Bettinelli, E., Diritto di voto, in Dig. pubbl., V, 1990, 226.

12 Tarli Barbieri, G., Sistemi elettorali (Camera e Senato), in Enc. dir., Annali, X, Milano, 2017, 917, nt. 108.

13 Vedi Senato della Repubblica, Servizio studi, XVII legislatura, Determinazione dei collegi uninominali e plurinominali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, gennaio 2018, al sito internet www.senato.it.

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