Sistemi stellari

Enciclopedia del Novecento (1982)

Sistemi stellari

WWallace L. W. Sargent e Renzo Sancisi

di Wallace L. W. Sargent e Renzo Sancisi

SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. Il sistema della Via Lattea: a) struttura della Galassia; b) rotazione della Galassia; c) sistema locale di quiete. □ 3. Dinamica stellare: a) l'ellissoide delle velocità; b) stelle di alta velocità; c) moto epiciclico nel piano galattico; d) orbite tridimensionali. 4. La funzione di luminosità stellare. □ 5. Ammassi stellari: a) introduzione; b) ammassi aperti; c) ammassi globulari. □ 6. Galassie normali: a) storia; b) classificazione delle galassie; c) gli spettri delle galassie; d) luminosità delle galassie; e) masse delle galassie; f) rapporto massa-luminosità; g) materia interstellare; h) struttura spirale; i) popolazioni stellari; l) evoluzione delle galassie. 7. Galassie attive: a) introduzione; b) galassie di Seyfert; c) radiogalassie. □ Bibliografia.

1. Introduzione.

I sistemi stellari hanno dimensioni molto diverse, da quelle degli ammassi di poche stelle a quelle delle galassie giganti contenenti fino a 1013 stelle simili al Sole. La nostra galassia, cioè il sistema della Via Lattea, costituita da circa 1011 stelle luminose come il Sole, è un esempio di sistema stellare. Si pensa che a sua volta l'intero Universo visibile contenga circa 1011 galassie simili alla nostra. Per la maggior parte le stelle della nostra galassia appaiono singole o in sistemi binari, ma ve ne sono anche molte riunite in ammassi, alcuni dei quali, come per esempio le Iadi e le Pleiadi, sono visibili a occhio nudo.

Durante gli anni cinquanta il lavoro compiuto in vari paesi da molti astronomi permise di comprendere assai meglio l'evoluzione che subiscono le singole stelle a mano a mano che esauriscono il loro combustibile nucleare. Oggi l'attenzione degli astronomi si sta spostando sul problema della formazione ed evoluzione delle galassie, che comporta studi approfonditi sulla popolazione stellare della nostra galassia e in particolare sul modo in cui è variata col tempo la composizione chimica iniziale delle stelle. Allo stesso tempo si stanno facendo i primi passi nello studio delle popolazioni stellari e della composizione di altre galassie vicine. Per questo lavoro sono necessari telescopi molto grandi e dovranno probabilmente passare decenni prima che si possa avere un quadro generale dell'evoluzione delle galassie.

2. Il sistema della Via Lattea.

a) Struttura della Galassia.

La visione della Via Lattea è una delle più spettacolari del cielo notturno. La Via Lattea appare come un grande cerchio attraverso il cielo e basta un piccolo telescopio per vedere che è composta di innumerevoli stelle.

Alle latitudini settentrionali la Via Lattea è più facilmente visibile nel tardo autunno, quando le costellazioni di Cassiopea e del Cigno sono quasi allo zenit. Al sud, invece, essa è più larga e luminosa nello Scudo e nel Sagittario, cioè nella direzione del centro galattico, come fu scoperto nel 1918 da H. H. Shapley, astronomo al Mount Wilson Observatory, in seguito a uno studio della distribuzione degli ammassi globulari nel cielo. Questi oggetti sono distribuiti in maniera uniforme da ambo le parti del piano definito dalla Via Lattea, ma con una forte concentrazione nella regione vicina al Sagittario. Shapley fece l'ipotesi che gli ammassi fossero distribuiti in maniera simmetrica rispetto al centro della Galassia e così poté stimare la distanza del Sole dal centro. Il risultato da lui ottenuto era di 45.000 anni-luce, cioè assai vicino al valore moderno di 30.000 anni-luce, o 10 chiloparsec (kpc). Il modello di Shapley di un sistema galattico molto appiattito con il Sole alla periferia sostituì un modello precedente, basato sui conteggi delle stelle, proposto da J. C. Kapteyn all'inizio del XX secolo. Kapteyn aveva osservato che la densità di stelle nello spazio diminuiva in tutte le direzioni con l'aumentare della distanza dal Sole: oggi sappiamo che questa impressione dipendeva dal fatto che egli non aveva preso in considerazione l'assorbimento interstellare. Nell'‛Universo di Kapteyn' il Sole era situato al centro di un sistema ellittico molto più piccolo di quello rappresentato dal modello di Shapley. Veramente neanche Shapley aveva preso in considerazione l'assorbimento interstellare, ma ciò fu di scarsa importanza, dal momento che le nubi opache interstellari si trovano nel piano galattico, mentre gli ammassi globulari sono più diffusamente distribuiti nell'‛alone' galattico. Nella fig. 1 è riportato un diagramma della distribuzione di stelle e di ammassi globulari nella Galassia secondo le vedute attuali. Si osservi che non si trovano ammassi globulari in una direzione molto vicina al centro galattico e in un cono opposto al Sole rispetto al centro. Ciò è dovuto all'oscuramento nel piano della Galassia.

b) Rotazione della Galassia.

Nel 1927, sviluppando idee avanzate qualche anno prima da B. Lindblad, J. H. Oort riuscì a mostrare, sulla base di dati di osservazioni, che la Galassia è in rotazione differenziale. A tal fine egli derivò importanti formule (v. Mihalas, 1968, p. 120) che descrivono le proprietà cinematiche della rotazione galattica. Nella fig. 2, che rappresenta il piano della Galassia, supponiamo che le stelle ruotino intorno al centro con una velocità angolare ω(r) dipendente dalla distanza r. Chiamiamo θ(r) la velocità lineare perpendicolare a r e supponiamo che il Sole si trovi a una distanza r = R0 dal centro e abbia una velocità circolare θ0. È facile dimostrare che una stella a una distanza d dal Sole, a una distanza r dal centro galattico e con una longitudine galattica l avrà componenti radiali e tangenziali della velocità

Formula

In prima approssimazione, per d R0, si ha che

Formula

Se ora definiamo le due ‛costanti di Oort' A e B,

Formula

troviamo che è vr = Ad sen 2l e vt = d(A cos 2l + B).

In pratica possiamo misurare vr spettroscopicamente, mentre vt è legato al ‛moto proprio' μ sul piano del cielo dalla relazione μ = vt/4,74 d, se si esprime μ in secondi di arco per anno, vt in km/s e d in parsec. Oort dimostrò che queste formule descrivono correttamente il moto medio delle stelle come funzione della longitudine galattica l, vicino al Sole. Egli dedusse anche i valori di A e di B. Quelli oggi generalmente accettati sono: A = 15 km/s kpc e B = − 10 km/s kpc. Si trova che vicino al Sole la Galassia è in rotazione differenziale, dal momento che dalle definizioni si ha che (dθ/dr)R0 = − (A + B). Studi compiuti sulla riga di emissione a 21 cm dell'idrogeno neutro del gas interstellare della Galassia hanno permesso di dare un valore preciso al prodotto AR0 (150 km/s) e di conseguenza, conoscendo A, anche a R0 (10 kpc). Infine, la velocità di rotazione del Sole è data da θ0 = (A − B)R0 = 250 km/s. Il periodo di rotazione galattica vicino al Sole è quindi: Prot = (2πR00) ≃ 2,45 × 108 anni.

c) Sistema locale di quiete.

In pratica le stelle non seguono semplici orbite circolari intorno al centro della Galassia. È utile quindi introdurre il ‛sistema locale di quiete', che è un sistema di coordinate che si muove alla velocità circolare locale sotto la forza gravitazionale dell'intera Galassia (v. Mihalas, 1968, p. 88). Il moto del Sole o il moto d'insieme di una data classe speciale di stelle sarà descritto allora in questo sistema di coordinate. In generale i moti delle stelle sono descritti da tre componenti della velocità: Z, perpendicolare al piano galattico e positiva verso il polo nord galattico, Π, radiale dal centro galattico verso l'esterno, e θ, tangenziale, positiva nella direzione della rotazione galattica. In pratica il sistema locale di quiete è difficile da definire; la migliore approssimazione porta a un ‛moto solare standard', relativo a questo sistema di coordinate, di velocità (Πstd, θstd, Zstd) = (−10,4, +14,8, +7,3) km/s.

3. Dinamica stellare.

a) L'ellissoide delle velocità.

Empiricamente si trova che la distribuzione delle velocità casuali delle stelle intorno al sistema locale di quiete è gaussiana. Ciò significa che, se ci sono N stelle per unità di volume e una qualsiasi stella ha velocità (u, v, w), è

Formula

dove σ1 rappresenta la deviazione standard di u, cioè 〈u2>1/2 = σ1/√-2, e così via. Inoltre, dato che

Formula

è l'equazione di un ellissoide, la distribuzione nello spazio delle velocità data dall'equazione (1) viene detta ‛ellissoide delle velocità' (v. Mihalas, 1968, p. 109). Se le stelle nella Galassia fossero in equilibrio statistico, ci si potrebbe aspettare che un asse principale dell'ellissoide delle velocità puntasse esattamente verso il centro galattico, che il secondo giacesse nella direzione tangenziale nel piano galattico e che il terzo passasse per i due poli galattici. Invece le stelle nella Galassia non sono in equilibrio statistico e gli ellissoidi delle velocità definiti da stelle di età, composizione chimica e distribuzione galattica diverse sono assai differenti. Inoltre, mentre in generale un asse dell'ellissoide delle velocità è perpendicolare al piano galattico, vi è una cosiddetta ‛deviazione di vertice' per i moti delle stelle nel piano galattico. La deviazione di vertice, come mostra la fig. 3, è particolarmente marcata per le stelle di tipo A. Le stelle più vecchie presentano in genere una deviazione di vertice minore delle stelle giovani. Di solito queste ultime hanno, rispetto alle stelle vecchie, una minore dispersione della velocità in tutte e tre le direzioni: esse hanno, infatti, orbite quasi circolari, come quelle del gas interstellare a partire dal quale si sono da poco tempo formate condensandosi. Generalmente le dispersioni nelle direzioni Π e θ sono diverse, con σΠ > σθ. Per le stelle vecchie si ha 0,55 ???54??? σθΠ ???54??? 0,75; soltanto le stelle più giovani di tipo O e B hanno σθ ≃ σΠ; anche questo dipende dal fatto che le nuvole di gas dalle quali queste stelle sono nate da poco tempo hanno orbite quasi circolari e velocità casuali isotrope.

L'esistenza della deviazione di vertice indica che le stelle giovani non sono distribuite casualmente nelle loro orbite, e ciò è forse dovuto alla struttura a spirale della Galassia, che introduce forze non simmetriche rispetto all'asse.

b) Stelle di alta velocità.

Nelle vicinanze del Sole vi sono stelle vecchie che si muovono ad alte velocità relative al sistema locale di quiete (v. Oort, 1965, p. 495). Queste stelle si muovono su orbite fortemente eccentriche e non presentano concentrazione sul piano galattico. Nel 1932 Oort mostrò che nel piano (Π, θ) queste stelle occupano un'area contenuta entro un raggio di 63 km/s rispetto al sistema locale di quiete e suggerì che questo limite potesse rappresentare la velocità necessaria per sfuggire dalla Galassia.

c) Moto epiciclico nel piano galattico.

Il potenziale gravitazionale nel piano galattico non è quello di una massa puntiforme e di conseguenza le stelle non si muovono su orbite chiuse a meno che queste non siano rigorosamente circolari. Tuttavia, nel caso di piccole deviazioni dal moto circolare, è possibile descrivere il moto specifico di una stella sul piano galattico nel sistema locale di quiete mediante un'ellisse (v. Mihalas, 1968, p. 216). Immaginiamo di aggiungere una piccola velocità di componente radiale Π0 al moto circolare con raggio R0 di una stella. Al primo ordine in Π0 la stella compie intorno a R0 delle oscillazioni radiali della forma ξ = (Π0/k) sen kt, dove k = 2 √-−-B- (-A-−-B-). Con i valori di A e di B riportati sopra troviamo che k è uguale a 31,6 km/skpc, cosicché, se Π0 = 15 km/s (una tipica velocità casuale), segue ξ = 500 pc. Nella direzione tangente la stella compie oscillazioni della forma η = − (Π0/2B) cos kt. Il verso di rotazione di una stella nel suo epiciclo è retrogrado rispetto alla direzione della rotazione galattica. Il periodo di oscillazione Pepi è (2π/k) = 1,93 × 108 anni un po' più breve del periodo di rotazione galattica. Tuttavia, la rotazione galattica differenziale è tale che si pensa che nella maggior parte delle galassie a spirale dovrebbero esserci due raggi ai quali Pgal = Pepi. A queste distanze dal centro, le stelle sono soggette a intense forze collettive che danno luogo alle cosiddette ‛risonanze di Lindblad' (v. Oort, 1965, p. 477). Queste risonanze possono avere un ruolo importante nel mantenere la struttura a spirale nelle galassie.

Nelle vicinanze del Sole una stella con un piccolo spostamento perpendicolare al piano galattico compie un moto armonico con un periodo di 6,6 × 107 anni, molto più breve di quello epiciclico nel piano.

d) Orbite tridimensionali.

Una descrizione completa della dinamica di una galassia o di un altro sistema stellare è rappresentata dalla funzione di distribuzione del numero di stelle, a un qualsiasi istante t, in un elemento di spazio delle fasi,

f(x, y, z, u, v, w, t) dx dy dz du dv dw.

Se si possono trascurare le collisioni tra le stelle, allora, per soddisfare la condizione che in media nessuna stella entri o esca da un particolare volume di spazio delle fasi, la funzione di distribuzione deve ubbidire all'equazione di Boltzmann senza collisioni

Formula

dove Φ(x, y, z, t) è il potenziale gravitazionale che a sua volta soddisfa l'equazione di Poisson

ΔΦ = 4πGρ. (3)

L'equazione (2) è spesso detta equazione fondamentale della dinamica stellare (v. Oort, 1965, p. 458). Essa trascura le collisioni il cui effetto principale è di produrre un interscambio di energia e di impulso tra le stelle. La scala temporale per queste collisioni è la scala di riferimento di Spitzer,

Formula

dove 〈v2>1/2 indica la dispersione di velocità delle stelle, R la dimensione caratteristica del sistema, N il numero di stelle per unità di volume ed M la massa di una stella (v. Spitzer e Härm, 1958). Questa scala temporale è molto più lunga del periodo orbitale della Galassia e di conseguenza è giustificato considerare le orbite individuali delle stelle. Dopo un sufficiente numero di incontri, la funzione di distribuzione stellare tende a diventare gaussiana:

Formula

Abbiamo visto che la distribuzione delle velocità stellari può essere descritta mediante una funzione gaussiana, anche se l'esistenza della deviazione di vertice e il fatto che tipi diversi di stelle abbiano dispersioni di velocità differenti indicano che il sistema non è rigorosamente in equilibrio statistico.

Negli ultimi anni, calcoli numerici delle orbite stellari tridimensionali hanno permesso di comprendere assai meglio la dinamica galattica. Per tali calcoli è necessario conoscere la distribuzione delle masse nella Galassia. Il principale dato ricavabile dalle osservazioni, per un modello galattico, è la dipendenza della velocità circolare dal raggio, la quale può essere ottenuta dalle osservazioni della riga a 21 cm dell'idrogeno neutro nel piano galattico. Per questo scopo la Galassia può essere convenientemente rappresentata come uno sferoide non omogeneo. M. Schmidt dimostrò nel 1956 che la velocità circolare θ(r) è data da

Formula

dove e indica l'eccentricità della distribuzione della massa sferoidale e ρ(α) la distribuzione della densità lungo l'asse maggiore del sistema. Schmidt e altri autori hanno trovato dei modi per risolvere l'equazione (5) e ottenere ρ(α) e il miglior valore di e (v. Perek, 1962). Per la massa dell'intera Galassia Schmidt ha ottenuto un valore pari a 1,86 × 1011 masse solari; nel suo modello circa la metà della massa totale si trova all'esterno di una sfera di raggio R0, pari alla distanza del Sole dal centro della Galassia.

Per un dato potenziale gravitazionale Φ(r, z) a simmetria assiale, sulla base di un modello come quello di Schmidt si possono calcolare le orbite delle stelle a partire dalle tre equazioni

Formula

In teoria la soluzione di queste equazioni per un qualsiasi insieme di condizioni iniziali può essere scritta mediante sei integrali. Se Φ ha simmetria assiale ed è indipendente dal tempo, si possono subito determinare due ovvi integrali delle equazioni, che esprimono rispettivamente la conservazione dell'energia e quella del momento angolare. Agli inizi della dinamica stellare si pensava che questi fossero i due soli integrali del moto, ma recenti calcoli numerici fatti da A. Ollongren sulle orbite delle stelle nel modello galattico di Schmidt hanno portato a un risultato sorprendente (v. Oort, 1965, p. 506). Le orbite calcolate rientrano in tre classi distinte, dette orbite a guscio, a scatola (v., per es., quella della fig. 4) e a tubo. Ne consegue che esistono forti limitazioni per quanto riguarda i punti che l'orbita di una stella può occupare nello spazio delle fasi. Questo fa pensare che ci sia un altro integrale del moto. G. Contopoulos ha di recente proposto un'espressione di questo ‛terzo integrale' per mezzo di uno sviluppo in serie, la cui convergenza è però ancora da dimostrare (v. Ogorodnikov, 1965).

L'ultimo sviluppo importante nel settore della dinamica stellare è dovuto a D. Lynden-Bell, il quale ha fatto notare che un fattore importante nel rendere casuali i moti stellari è il ‛rilassamento violento' che si produce quando il potenziale gravitazionale di un sistema stellare varia in un tempo breve in confronto al periodo orbitale. Questo processo assume particolare importanza durante la prima fase del collasso di una galassia (v. Lynden-Bell, 1967).

4. La funzione di luminosità stellare.

Un importante parametro osservabile di un sistema stellare è la distribuzione di luminosità o di massa delle stelle. Particolarmente importante e la ‛funzione della massa iniziale' con la quale si formano le stelle dal gas interstellare. Per studiare l'evoluzione galattica è necessario sapere come vari da un punto a un altro e con il tempo la funzione della massa iniziale in una galassia e se essa sia uguale per tutte le galassie. Per adesso non esiste ancora una teoria che indichi come la distribuzione della massa delle stelle dipenda dalle condizioni del gas interstellare e perciò ci si deve basare su dati empirici.

In pratica è difficile determinare accuratamente perfino la funzione di luminosità generale nelle vicinanze del Sole, detta di solito funzione di van Rhijn (v., 1965; v. tab. I). Questa funzione comprende l'effetto integrato della formazione delle stelle nelle vicinanze del Sole durante i 1010 anni di vita della Galassia. Le stelle di massa elevata che si sono formate in questo periodo sono evolute da molto tempo negli stadi finali di buchi neri, di stelle a neutroni o di nane bianche, mentre soltanto le stelle con massa minore di 1 M, per le quali il periodo di evoluzione è maggiore di 1010 anni, costituiscono un indicatore collettivo della storia passata della Galassia.

La tab. I mostra che le stelle intrinsecamente luminose sono molto rare. La maggior parte della luminosità nei pressi del Sole è dovuta a stelle abbastanza luminose con Mp ≃ + 1, mentre gran parte della massa è dovuta a stelle assai più deboli, la cui funzione di luminosità è poco conosciuta.

Tabella 1

E. E. Salpeter ha usato la distribuzione della massa delle stelle negli ammassi giovani per determinare la funzione della massa iniziale nelle vicinanze del Sole, che può essere approssimativamente rappresentata dalla formula

N(M) dM = KM-2,45 dM,

dove N(M) è il numero di stelle per unità di volume con massa compresa tra M ed M + dM (v. Salpeter, 1955). Studi preliminari compiuti su altre galassie fanno pensare che la ‛funzione di Salpeter' possa essere applicata in generale alle galassie spirali.

5. Ammassi stellari.

a) Introduzione.

Gli astronomi suddividono gli ammassi stellari in due tipi: quelli ‛aperti', o ‛galattici' (v. tav. I), e quelli ‛globulari' (v. tav. II). Gli ammassi aperti sono oggetti di forma irregolare senza alcuna condensazione centrale ben pronunciata. Gli ammassi globulari, invece, sono sistemi simmetrici, condensati al centro e contenenti in genere molte più stelle di quelli aperti. Gli ammassi aperti si trovano soltanto nel piano della Via Lattea, mentre quelli globulari, come mostra la fig. 1, hanno una distribuzione galattica meno schiacciata, con una concentrazione verso il centro.

Tabella 2

I due tipi di ammassi hanno distribuzioni di età molto diverse. (Le età degli ammassi stellari sono determinate in base alla stella di massa più grande che si trova ancora sulla sequenza principale nel diagramma colore-magnitudine). Le età degli ammassi aperti sono distribuite in maniera continua: da 9 × 109 anni, per l'ammasso NGC 188, a 106 anni, per NGC 2264. Questa distribuzione si concilia bene con il fatto che il piano della Galassia contiene idrogeno interstellare, per circa il 17%, a partire dal quale continuano a formarsi, condensandosi, stelle e ammassi.

Le più recenti osservazioni indicano che invece tutti gli ammassi globulari hanno un'età di circa 10 × 109 anni. Questo è uno dei vari argomenti che si possono portare a dimostrazione del fatto che gli ammassi globulari e le stelle singole che costituiscono l'alone galattico si sono formati pressappoco all'epoca dell'origine della nostra galassia, quando essa collassò passando dalla forma sferica a quella a spirale rotante che possiede oggi.

b) Ammassi aperti.

La tab. II contiene un elenco degli ammassi aperti più luminosi e di alcune delle loro proprietà. Gli ammassi aperti nella nostra galassia sono circa 106. La fig. 5, che riporta la distribuzione delle età di quelli compresi entro un raggio di I kpc dal Sole, mostra come vi siano pochissimi ammassi molto vecchi, con età comprese tra 109 e 1010 anni. La distribuzione delle stelle singole in funzione dell'età fa pensare che, assai probabilmente, l'attuale processo di formazione delle stelle sia estremamente più lento di quanto non fosse quando si formò il disco della Galassia 1010 anni fa.

Gli studi dinamici degli ammassi aperti mostrano che questi ultimi si dissolvono in un tempo breve rispetto all'età della Galassia. Per l'ammasso delle Pleiadi ricaviamo dalla formula (4) che il tempo necessario per raggiungere l'equilibrio dinamico è di circa 2 × 107 anni, cioè sensibilmente inferiore all'età stimata dell'ammasso, che è di 108 anni. Il primo processo che fa ‛perdere' stelle a un ammasso è l'‛evaporazione', che si ha quando alcune stelle, attraverso interazioni con altre stelle, acquistano energia sufficiente per distaccarsi dall'ammasso. Spitzer ha calcolato che il tempo necessario perché, mediante questo processo, il numero di stelle di massa media in un ammasso si riduca a 1/e volte il suo valore è uguale a 88 Trif (v. Spitzer e Härm, 1958). Le stelle di massa inferiore evaporano più rapidamente. Il secondo processo che porta alla perdita di stelle è lo ‛smembramento mareale', causato sia dalle forze gravitazionali dell'intera Galassia, sia dagli incontri con nuvole di gas interstellare. Ambedue questi effetti dipendono dalla densità delle stelle nell'ammasso (v. Mihalas, 1968, p. 235). Calcoli dettagliati mostrano che l'assenza di ammassi molto vecchi nel piano galattico può essere spiegata come una conseguenza dell'evaporazione e dello smembramento mareale. Persino in ammassi giovani come le Iadi e le Pleiadi (108 anni) l'evaporazione ha già modificato in maniera considerevole la distribuzione di massa delle stelle.

Dato che dai diagrammi colore-magnitudine si possono determinare con grande precisione le età degli ammassi galattici, questi ultimi sono potenzialmente molto utili per studiare come è variata con il tempo la composizione del disco galattico. In effetti, però, essi non indicano in maniera certa che questa variazione ci sia stata. Tutti gli ammassi con età che vanno da quella di NGC 188 (9 × 109 anni) a quella di NGC 752 (109 anni) fino a quella delle Iadi (108 anni) hanno, nei limiti di un fattore 2, la stessa proporzione, rispetto all'idrogeno, di elementi pesanti. Esamineremo le implicazioni di questo fatto nel cap. 6, È 1.

c) Ammassi globulari.

Abbiamo già visto come il sistema di ammassi globulari sia stato usato da Shapley per definire la direzione del centro galattico e per determinarne la distanza dal Sole. Oggi si conoscono 120 ammassi globulari appartenenti alla nostra galassia, la cui distribuzione è riportata nella fig. 1; in più ce ne saranno una decina circa non ancora osservati a causa dell'assorbimento nel piano galattico.

La velocità del sistema locale di quiete, relativa al sistema degli ammassi globulari, è molto elevata e ciò riflette il fatto che gli ammassi globulari nel loro insieme ruotano molto lentamente intorno al centro galattico (v. Arp, 1965, p. 428). La valutazione migliore della loro velocità nelle vicinanze del Sole dà un valore di circa 70 km/s. Il numero di ammassi non è sufficiente per determinare se il sistema di ammassi globulari possieda una rotazione differenziale apprezzabile. In ogni caso, secondo la nostra concezione attuale, la Galassia consiste di un rigonfiamento, o alone, sferoidale praticamente stazionario e di un disco piatto in rotazione differenziale. Gli oggetti del sistema sferoidale, cioè le stelle e gli ammassi globulari, hanno orbite altamente eccentriche (non chiuse), mentre quelli del disco hanno orbite meno eccentriche.

Tabella 3

La tab. III dà un elenco di alcuni degli ammassi globulari più brillanti della Galassia e di alcune delle loro proprietà. Essi sono di forma approssimativamente sferica e contengono circa 106 stelle. È stato dimostrato che alcuni ammassi, per esempio ω Centauri, ruotano a una velocità di circa 6 km/s; questa rotazione è associata a un leggero appiattimento. Il ‛raggio' 〈R> di un ammasso globulare, definito come il punto in corrispondenza del quale l'intensità luminosa mediata su tutte le stelle è la metà del valore centrale, ha un valore di circa 10 parsec.

Le masse di alcuni ammassi globulari sono state misurate applicando il teorema del viriale alla dispersione misurata della velocità radiale 〈v2>1/2 delle stelle che ne fanno parte. La massa è data approssimativamente da

Formula

Per M 13, uno dei più brillanti ammassi dell'emisfero settentrionale, 〈v2>1/2 è uguale a 7,65 km/s ed 〈R> è uguale a 10 pc; se ne deduce così una massa di 1,4 ± 0,7 × 105 M. Le luminosità degli ammassi globulari arrivano fino a 105 L.

Per le stelle di un ammasso globulare, il tempo di rilassamento dinamico Trif dovuto agli incontri fra stelle è, nei casi tipici, di circa 109 anni, mentre l'età degli ammassi è circa 10 volte maggiore. Perciò ciascuna componente della velocità dovrebbe avere una distribuzione gaussiana, come si è detto trattando della dinamica stellare della Galassia. Il tempo di evaporazione per le stelle medie negli ammassi globulari è in genere lungo rispetto all'età della Galassia; gli ammassi hanno però già perduto una frazione considerevole di stelle con massa pari a 1/10 di quella media. Questo processo tende a eliminare le stelle della coda ad alta energia della distribuzione gaussiana di velocità e va quindi tenuto in considerazione nella costruzione di modelli dinamici dettagliati. Le densità stellari negli ammassi globulari sono abbastanza alte perché si possa trascurare, su una scala temporale di 1010 anni, lo smembramento mareale dovuto sia al campo gravitazionale sia alle nuvole interstellari.

Le composizioni degli ammassi globulari possono essere determinate mediante analisi spettroscopiche di stelle singole oppure confrontando la forma dettagliata del diagramma colore-magnitudine di un ammasso con i risultati dei calcoli teorici sull'evoluzione stellare. Si trova così che gli ammassi presentano una grande variazione nei rapporti di abbondanza tra gli elementi pesanti e l'idrogeno (v. Arp. 1965, p. 414). Gli ammassi a ‛metallicità' più alta hanno pressappoco la stessa composizione del Sole (che - come si è visto - è tipica del disco galattico), mentre, per la maggior parte di quelli a metallicità più bassa, l'abbondanza di elementi pesanti è circa 1/1.000 di quella del Sole. Inoltre, i primi tendono in genere a stare vicino al centro galattico, mentre i secondi occupano abitualmente le orbite lontane dell'alone. Questo risultato riveste una grande importanza per le teorie sull'evoluzione della Galassia, perché implica che in uno stadio molto antico della sua storia, il gas interstellare nel centro venne rapidamente arricchito di elementi pesanti.

6. Galassie normali.

a) Storia.

Si è visto che nel 1918 Shapley si servi della distribuzione degli ammassi globulari per confutare la concezione dell'Universo di Kapteyn, secondo cui il Sole si troverebbe al centro del sistema della Via Lattea. Anche se il suo era un modello realistico della Galassia, con il Sole lontano dal centro, Shapley considerava però ancora la Via Lattea come un universo-isola. Gli oggetti nebulosi del cielo, molti dei quali erano stati catalogati da W. Herschel e da C. Messier alla fine del XVIII secolo, venivano ancora considerati dalla maggior parte degli astronomi o come stelle in formazione, o come ammassi stellari troppo lontani per essere risolti in stelle, ma anch'essi appartenenti al sistema della Via Lattea. Altri studiosi seguivano la proposta avanzata da Kant, secondo cui questi oggetti nebulosi erano invece sistemi stellari lontani, simili alla Via Lattea. H. D. Curtis, del Lick Observatory in California, fu uno dei principali sostenitori dell'ipotesi che le nebulose fossero extragalattiche e nel 1920, a una riunione della National Academy of Sciences degli Stati Uniti, egli discusse il problema con Shapley. Uno degli argomenti principali di Curtis era basato sulle grandi velocità radiali misurate da V. M. Slipher per alcune nebulose. (Slipher aveva cominciato questo lavoro nel 1901 al Lowell Observatory nell'Arizona e nel 1914 aveva già misurato le velocità radiali di quattro nebulose spirali, una delle quali era M 31, la nebulosa di Andromeda).

Nel 1924 E. Hubble, astronomo al Mount Wilson Observatory, scoprì delle variabili cefeidi in M 33 e in M 31 ed espose le sue scoperte nel gennaio del 1925, in occasione di una riunione della American Association for the Advancement of Science. Egli pose fine alle annose discussioni tra gli astronomi (v. Hubble, 1936, p. 93), dimostrando che la nebulosa di Andromeda è un sistema stellare gigantesco - una galassia - di dimensioni simili a quelle della Via Lattea e situato a grandissima distanza (circa 106 anni luce) da quest'ultima.

La scoperta di Hubble portò a una rivoluzione nel nostro modo di concepire la struttura dell'Universo, perché divenne evidente che molte delle deboli nebulose lontane dal piano della Via Lattea, pazientemente catalogate dagli astronomi a partire dalla fine del XVIII secolo, dovevano essere galassie ancora più distanti di Andromeda. La struttura dell'universo di galassie è tuttora oggetto di studio.

b) Classificazione delle galassie.

Le galassie vengono generalmente classificate secondo un semplice schema ideato da Hubble e di recente perfezionato da Sandage (v., 1961). Lo schema originale di Hubble prevedeva tre tipi fondamentali di galassie: ellittiche, spirali e irregolari. Le spirali vengono ulteriormente suddivise nei tipi Sa, Sb ed Sc, ai quali corrispondono le spirali barrate SBa, SBb ed SBc. La sequenza delle spirali è definita secondo la regolarità e l'apertura angolare dei bracci. Le galassie ellittiche sono suddivise nelle classi da E0 a E7 secondo il loro grado di appiattimento; studi statistici sulla distribuzione della ellitticità apparente mostrano che queste galassie sono sferoidi oblati. Dopo che Hubble ebbe proposto la sua classificazione, divenne chiaro che esistono oggetti, detti galassie di tipo S0, che si collocano tra le Sa e le E7 ellittiche. Queste galassie assomigliano alle spirali in quanto sono formate da due componenti distinte, corrispondenti a un rigonfiamento centrale e a un disco, ma non hanno la struttura a spirale.

Vi sono due tipi di galassie irregolari. Le Irr I hanno una distribuzione sparsa di stelle e di regioni H II, mentre le Irr II, che sono molto rare, hanno una distribuzione stellare amorfa cui sono sovrapposte strisce scure e caotiche di polvere.

Nel 1961 fu dimostrato che è possibile classificare le galassie di tipo Sc ed Sb e le loro controparti barrate secondo la loro luminosità intrinseca (v. van den Bergh, 1961). Le galassie di tipo Sc vengono suddivise in classi di luminosità che vanno da Sc I a Sc V, con una notazione analoga a quella usata per le stelle. Le galassie Sc V, cioè quelle meno luminose, hanno bracci corti e larghi, mentre le Sc I hanno bracci sottili e ben definiti, lungo i quali sono distribuite regioni H II e stelle luminose. M 51 (v. tav. III) ed M 101 (v. tav. IV) sono galassie di tipo Sc I vicine a noi.

Tabella 4

c) Gli spettri delle galassie.

Gli spettri delle galassie mostrano che queste sono composte di stelle e in alcuni casi anche di gas luminosi. Negli spettri si ritrovano naturalmente i vari tipi spettrali delle stelle che compongono una galassia o una sua regione. Così si è potuto stabilire che le galassie ellittiche e le regioni centrali amorfe delle spirali sono composte prevalentemente di stelle vecchie e fredde, mentre le galassie irregolari e i bracci delle spirali contengono anche stelle giovani e calde. Questa correlazione tra la forma della galassia e la sua popolazione stellare è evidentemente di grande importanza per le teorie sull'evoluzione delle galassie.

Grazie al progresso compiuto negli ultimi anni nella costruzione di spettrometri sensibili, che rendono possibili misure accurate dell'intensità della luce in funzione della lunghezza d'onda, si è in grado di dedurre la distribuzione della massa e la composizione chimica delle stelle nei sistemi lontani. Queste ricerche sono ancora in uno stadio preliminare, ma hanno già mostrato che le regioni centrali delle galassie sono in genere più ricche di elementi pesanti delle regioni esterne.

d) Luminosità delle galassie.

Le galassie spirali e quelle ellittiche obbediscono a leggi empiriche ben distinte per quanto riguarda il modo in cui diminuisce radialmente la brillanza superficiale I(r). Nel 1959 de Vaucouleurs trovò per le galassie ellittiche la relazione log I(r)/I0 r-14, mentre precedentemente Hubble aveva trovato I(r) = I0/[(r/a) + 1]2, dove a è il raggio in corrispondenza del quale l'intensità della luce si è ridotta a un quarto del suo valore centrale I0. Per alcune galassie questa legge è stata verificata fino a valori di r/a circa eguali a 20. I due parametri I0 e a della legge di Hubble variano notevolmente da una galassia all'altra. Per valori grandi del raggio, secondo questa legge si ottiene I(r) ∝ 1/r2, di modo che la brillanza totale della galassia

Formula

non converge. Studi riguardanti le regioni esterne molto deboli di alcune galassie, per valori di r/a superiori a 20 (studi assai difficili a causa della luminosità del cielo notturno), mostrano che, a un certo punto, I(r) diminuisce più velocemente di 1/r2.

Nelle galassie spirali e del tipo S0 la situazione è più complessa (v. Freeman, 1970). Infatti i rigonfiamenti centrali amorfi obbediscono alle leggi di Hubble o di de Vaucouleurs, mentre i dischi, nonostante la struttura a spirale, seguono una legge empirica, anch'essa trovata da de Vaucouleurs:

I(r) = I0 e-r/α.

Anche in questo caso α è una lunghezza che varia da sistema a sistema. Le galassie di tipo Irr I, che non hanno una componente sferoidale, sembrano obbedire alla legge esponenziale trovata per i dischi galattici.

Non esiste ancora una spiegazione teorica completa di queste leggi empiriche, anche se K. C. Freeman (v., 1970) ha fatto notare che la distribuzione del momento angolare nei dischi esponenziali è la stessa che si otterrebbe appiattendo una sfera in rotazione uniforme lungo il suo asse di rotazione.

Le luminosità intrinseche o le magnitudini assolute delle galassie variano entro un ampio intervallo. Le ellittiche giganti più luminose hanno Mp= − 23 e i sistemi nani meno luminosi hanno Mp = − 9, paragonabile a quella delle stelle singole più brillanti nelle galassie spirali. Originariamente Hubble aveva determinato la distribuzione delle luminosità tra galassie di campo (non facenti parte di gruppi) trovando una legge pressappoco gaussiana. Secondo F. Zwicky, invece, la funzione della luminosità galattica non ha un massimo, ma continua a crescere verso luminosità più basse; ciò è stato confermato da recenti lavori (v. tab. IV). Si noti che le galassie relativamente luminose (quelle, cioè, con Mp 〈 −19) hanno una densità di distribuzione nello spazio pari a circa 1 per 100 Mpc cubici. Di conseguenza il Gruppo Locale di galassie, che entro un volume di meno di I Mpc cubico contiene il sistema della Via Lattea, M 31 e altri oggetti più deboli, rappresenta una concentrazione di densità enorme rispetto al campo generale.

Nelle nostre vicinanze circa il 61% delle galassie brillanti è rappresentato da spirali, il 35% da ellittiche e soltanto il 4% da irregolari. Questa situazione non è però tipica: nell'insieme dell'Universo sembrano infatti predominare le galassie ellittiche e quelle di tipo S0.

e) Masse delle galassie.

Per determinare le masse delle galassie si usano tre metodi principali (v. Perek, 1962). Misurando le differenze ΔVR delle velocità radiali e le proiezioni ΔR sul piano del cielo è possibile ottenere le masse minime per le galassie binarie servendosi della relazione

M1 + M2 S = (ΔVR)2ΔR/G.

Inoltre, uno studio statistico della distribuzione di S su molti sistemi permette di determinare le masse medie, se si suppone che le orbite binarie siano orientate in maniera casuale. Evidentemente questo metodo dà i risultati migliori se applicato a coppie di galassie identiche vicine a noi; con esso si possono determinare pure (sebbene solo statisticamente) le masse ‛totali', compresa la materia nelle parti esterne delle galassie, dove la luminosità è bassa.

Specialmente nel caso delle galassie spirali, si usano le curve di rotazione, facilmente derivabili dalle righe di emissione dei gas ionizzati. Dalla misura della velocità circolare θ(r) in funzione del raggio è possibile dedurre la distribuzione di massa nel sistema, usando, per esempio, l'equazione (5). Recentemente, mediante la riga a 21 cm dell'idrogeno neutro è stato possibile estendere le curve di rotazione di alcune galassie vicine a regioni ben al di fuori dei limiti visibili (v. È g; nelle spirali il gas si trova tendenzialmente nelle regioni esterne del disco). Le curve di rotazione delle galassie dovrebbero seguire una legge approssimativamente kepleriana, cioè θ2(r) = GM/r per r sufficientemente grande. In alcuni casi, però, la curva di rotazione non è ancora kepleriana neppure a una notevole distanza oltre i confini ottici della galassia. Ciò significa che le parti esterne delle spirali contengono una grande massa (non sotto forma gassosa), che irradia poca luce. Questa massa è probabilmente costituita da stelle di piccola massa, ma nulla si sa sulla loro distribuzione; in particolare non si sa se esse occupino un volume sferoidale o se si trovino soltanto nei dischi delle spirali. Il metodo basato sulla curva di rotazione, per sua stessa natura, è in grado di indicare soltanto la massa che si trova all'interno del raggio corrispondente al punto più lontano cui si riferiscono le misure.

È possibile determinare la dispersione delle velocità delle stelle in una galassia misurando le larghezze delle righe di assorbimento negli spettri. La dispersione così determinata della velocità radiale varia da 60 km/s, per una nana ellittica come M 32, a 500 km/s, per un'ellittica gigante come M 87. Se si suppone allora che la distribuzione della massa sia simile a quella della luce, si può determinare la massa del sistema in maniera analoga a quella usata per gli ammassi globulari.

Le masse e le luminosità di alcune galassie rappresentative sono date nella tab. V.

Tabella 5

f) Rapporto massa-luminosità.

Se è difficile, come si è visto, determinare le masse e le luminosità ‛totali' delle galassie, è invece molto più facile misurare la massa M e la luminosità L entro un raggio determinato e calcolare il rapporto M/L che viene generalmente espresso in unità solari (v. Faber e Gallagher, 1979). Per le spirali il valore di M/L è all'incirca eguale a 5, ma sembra dipendere dal tipo morfologico, decrescendo dalle Sa alle Sd; per le ellittiche giganti esso è pari a 30 e per le irregolari circa a 1. Il rapporto massa-luminosità è utile per lo studio della popolazione stellare totale di una galassia, dato che M/L è basso per stelle singole di massa grande e alto per stelle di massa piccola. Quindi, semplicemente dai valori dei rapporti integrati massa-luminosità, si può dedurre che le galassie spirali contengono una proporzione maggiore di stelle di grande massa delle galassie ellittiche.

Come si è già accennato a proposito delle curve di rotazione (v. È e), il rapporto M/L locale tende a crescere nelle parti esterne delle galassie spirali, indicando la presenza di una certa massa ‛invisibile', che però non è dominante entro le dimensioni apparenti della galassia. I valori alti di M/L derivati per le galassie binarie e per i gruppi piccoli di galassie (M/L ≃ 30) e quelli ancora maggiori trovati per gli ammassi di galassie (M/L ≃ 300) implicano invece che la maggior parte della massa dell'Universo è invisibile. Una piccola parte di questa massa probabilmente risiede nel gas ionizzato intergalattico presente negli ammassi di galassie, un'altra parte si pensa possa essere concentrata in aloni che circondano le singole galassie, ma in complesso la distribuzione e soprattutto la natura di questa massa ‛mancante' sono ancora ignote e costituiscono uno dei problemi più affascinanti dell'astronomia moderna.

g) Materia interstellare.

Le galassie sono composte, oltre che da stelle, in cui è concentrata la maggior parte della massa, anche da gas, prevalentemente idrogeno, neutro, ionizzato e molecolare, e dai raggi cosmici. Il gas interstellare non rappresenta che una piccola frazione, in genere non più del 5 o 10%, della massa totale delle galassie; tuttavia serve come traccia per lo studio della cinematica e della dinamica dell'intero sistema stellare e dei luoghi e dei processi di formazione delle stelle.

Lo studio dell'idrogeno neutro nelle galassie è stato reso possibile dalla scoperta, avvenuta nel 1951, della riga di emissione a 21 cm. Ciò portò alla misura della distribuzione delle nuvole di idrogeno neutro (regioni H I) dapprima nella nostra galassia e in seguito anche nelle galassie esterne. Il primo grande successo delle osservazioni a 21 cm nella Galassia fu la scoperta, negli anni cinquanta, della struttura a spirale; ciò è stato possibile perché a 21 cm la Galassia è praticamente trasparente e la distribuzione del gas può essere determinata su tutta la sua estensione, mentre alle lunghezze d'onda ottiche l'assorbimento da parte delle nuvole di polvere nel piano galattico impedisce di vedere a distanze maggiori di alcuni chiloparsec dal Sole. Negli anni settanta studi dettagliati di galassie spirali vicine, resi possibili dall'introduzione di tecniche radioastronomiche più avanzate, hanno mostrato in modo chiaro e con ricchezza di particolari che l'idrogeno neutro è generalmente distribuito in nuvole dense lungo i bracci a spirale (v. tavv. IV e V). Nelle parti esterne l'idrogeno neutro si estende spesso oltre i confini visibili, come mostra chiaramente l'immagine radio della galassia spirale M 101 della tav. IV, mentre nelle regioni centrali si osserva quasi sempre una diminuzione di densità di gas, di cui non si comprende ancora bene l'origine.

La distribuzione del gas in direzione perpendicolare al piano equatoriale è nota con precisione solo nel caso della nostra galassia e di alcune galassie vicine viste di taglio. Lo spessore dello strato di idrogeno neutro, dell'ordine di un centesimo del diametro, è leggermente maggiore di quello delle stelle più giovani di popolazione I (v. È i) e sembra aumentare in modo sistematico da circa 100-200 pc nelle parti centrali fino a 1-2 kpc nelle parti periferiche. Ai bordi del disco di gas, generalmente al di là dell'immagine ottica, si osserva una forte deviazione sistematica, a forma tipica di segno di integrale, dal piano di simmetria delle regioni interne. Uno dei casi più evidenti scoperti finora è quello della galassia NGC 5907 (v. tav. VI), che è vista di taglio. L'esistenza di una simile distorsione nelle regioni esterne della nostra galassia, nota da più di vent'anni, sembrava un fatto isolato, caratteristico della nostra galassia e spiegabile come residuo dell'effetto di marea esercitato dalle Nubi di Magellano durante un loro recente passaggio vicino alla Galassia. Ora la scoperta che invece si tratta molto probabilmente di un fenomeno diffuso e normale ha posto il problema generale della sua genesi e persistenza, cui però non si è riusciti ancora a dare una soluzione soddisfacente. In alcune delle ricerche più recenti e forse più promettenti si postula la presenza di aloni massicci, della cui esistenza si hanno varie indicazioni (v. È f).

Le misure della riga a 21 cm permettono di ricavare, oltre che la distribuzione, anche la velocità del gas e perciò forniscono i dati sperimentali fondamentali per determinare la massa totale e la distribuzione della massa nelle galassie. Dall'analisi dei profili della riga a 21 cm effettuata sfruttando l'effetto Doppler, si arriva alla distribuzione delle velocità apparenti nel piano della galassia e successivamente alla curva di rotazione. Le velocità di rotazione, quali si osservano normalmente nelle spirali, sono indicate, nella mappa dell'idrogeno della spirale M 81 (v. tav. V), dal caratteristico passaggio graduale del colore dal blu (avvicinamento) al rosso (allontanamento), da una parte all'altra del sistema. Si è visto che l'idrogeno neutro si estende spesso al di là dei confini ottici; ciò ha permesso di derivare le curve di rotazione e di conseguenza anche informazioni sulla distribuzione della massa, anche nelle parti esterne delle galassie. Attualmente esistono curve di rotazione, ottenute dai dati a 21 cm, per circa 25 spirali vicine.

Oltre che a ricavare precise informazioni sulle galassie più vicine a noi, le osservazioni della riga a 21 cm sono servite anche a determinare la quantità totale di idrogeno neutro nelle galassie più distanti. I risultati ottenuti da vari autori (per esempio M. S. Roberts) su alcune centinaia di galassie hanno mostrato che il rapporto tra la massa dell'idrogeno neutro e la massa totale di una galassia è legato al tipo morfologico. Nelle ellittiche, infatti, la proporzione di gas è estremamente piccola, inferiore allo 0,1%, mentre cresce dalle Sa alle Sc dall'1 al 10% e raggiunge un massimo del 20% circa nelle galassie di tipo Irr I; nelle SO invece varia enormemente da oggetto a oggetto, dai valori tipici delle ellittiche a quelli delle irregolari.

Di recente si è anche accertata la presenza di una certa quantità di idrogeno molecolare, H2, di altre molecole e di radicali come CO, OH, H2CO ecc. nelle nuvole dense e fredde della Galassia, dove si pensa si stiano formando nuove stelle; ma una stima attendibile della massa totale di gas in forma molecolare non esiste ancora. Per la maggior parte, le molecole osservate finora sono concentrate, diversamente dall'idrogeno neutro, nella regione del disco compresa fra 4 e 8 kpc, dove si trovano anche le stelle più giovani di popolazione I e le nubi di idrogeno ionizzato (regioni H II). Notevoli concentrazioni di molecole si trovano anche nella regione vicina al nucleo.

L'idrogeno ionizzato nelle galassie è facilmente rivelabile, perché il suo spettro di ricombinazione contiene intense righe di emissione Balmer. Altri elementi comuni producono righe di emissione ‛proibite', in particolare la riga a 3.727 Å di [O II], nelle regioni a bassa densità (da 1 a 100 atomi di H per cm3). Circa il 17% delle galassie ellittiche irradia dal centro righe di emissione provenienti probabilmente da gas espulsi dalle superfici di stelle evolute. Nelle spirali si identificano forti righe di emissione, legate alle regioni H II che si trovano nei bracci; vi è anche emissione diffusa dai loro rigonfiamenti centrali e dalle regioni che stanno fra i bracci. Infine circa il 10% delle spirali possiede estese regioni H II nelle zone nucleari. In generale, nelle galassie, la massa del gas ionizzato è trascurabile rispetto alla massa del gas neutro.

L'esistenza di regioni H II nelle galassie permette di valutare la composizione del gas interstellare. Si trova così che, in generale, i rapporti delle abbondanze di ossigeno e di azoto rispetto all'idrogeno decrescono leggermente al crescere della distanza dal centro delle spirali e che vi è poca differenza di composizione tra una galassia e l'altra. Inoltre il rapporto di abbondanza He/H è uguale (circa il 10% in numero di atomi) in tutte le galassie finora esaminate, mentre vi sono piccole ma indiscutibili variazioni delle abbondanze di altri elementi (v. Roberts, 1970). Questa costanza nell'abbondanza di He, benché sia stata accertata finora solo in una minima parte dell'Universo, costituisce già un forte elemento a conferma della tesi secondo cui l'elio fu sintetizzato in una fase iniziale dell'Universo, prima della formazione delle galassie.

I raggi cosmici (nuclei, protoni, elettroni ecc.) costituiscono una frazione del tutto trascurabile della massa di una galassia, ma possiedono una quantità di energia considerevole, paragonabile all'energia cinetica del gas. La loro presenza nelle galassie è rivelata dalla radiazione continua non termica (di sincrotrone) che viene emessa dagli elettroni relativistici nei campi magnetici interstellari. Questa emissione, scoperta nella nostra galassia nel 1935 da Janski e osservata in seguito anche nella maggior parte delle galassie spirali, proviene per il 90% circa dalla regione del disco e dell'alone e ha un'intensità proporzionale alla luminosità della galassia; tuttavia, non si sa ancora con certezza quali corpi galattici (se, per esempio, stelle o resti di supernove) siano le sorgenti delle particelle relativistiche e come queste si propaghino nella galassia. La distribuzione dell'emissione è alquanto diversa da quella del gas neutro: è più concentrata verso le parti interne delle galassie e più estesa in direzione perpendicolare al piano equatoriale. Benché nella nostra galassia non sia possibile stabilire con certezza la forma e l'estensione della regione di emissione radio, data la nostra collocazione all'interno del sistema, si ritiene che esse siano dello stesso tipo. In particolare la presenza di un alone radio intorno alla Galassia, già predetta quasi trent'anni fa ma ancora oggi oggetto di discussioni, ha acquistato maggiore credibilità a seguito delle scoperte avvenute di recente di aloni radio di forma schiacciata intorno a due galassie viste di taglio, NGC 4631 (v. tav. VII) e NGC 891.

h) Struttura spirale.

Il problema dell'origine della struttura spirale, struttura che costituisce un carattere preminente di molte galassie, è assai vecchio. Dopo vari anni di discussioni è stato dimostrato in maniera definitiva che le spirali ruotano trascinandosi dietro i bracci. Il problema è dunque costituito dal fatto che, se le stelle che si trovano in rotazione differenziale occupano punti fissi rispetto alla spirale, dopo pochi periodi di rotazione (circa 2,5 × 108 anni, vicino al Sole) questi bracci dovrebbero avvolgersi su se stessi. Negli ultimi dieci anni C. C. Lin e i suoi collaboratori hanno proposto una teoria plausibile secondo la quale la forma a spirale sarebbe propria di un'onda di densità, cioè di una perturbazione nel campo gravitazionale della galassia, in rotazione rispetto alle stelle (v. Contopoulos, 1970). È stato dimostrato che in certe condizioni ideali quest'onda di densità è stabile, ma non è ancora chiaro come essa si produca e si mantenga. È stata fatta l'ipotesi che le risonanze di Lindblad (v. cap. 3, È c) contribuiscano in una certa misura a fornire energia all'onda di densità e alcuni studiosi pensano che l'origine di quest'ultima sia effettivamente dovuta alle interazioni con altre galassie.

i) Popolazioni stellari.

Per quanto riguarda la loro struttura, le galassie spirali possono essere divise in due componenti: il disco, con i suoi bracci prominenti a forma di spirali, e il rigonfiamento sferoidale amorfo al centro. Le basi concettuali moderne per la determinazione della composizione delle galassie sono state poste da W. Baade intorno al 1944 (v. Blaauw, 1965). Dopo molto lavoro paziente (agevolato dall'oscuramento in vigore, a causa della guerra, nella città di Los Angeles, vicina al Mount Wilson Observatory, dove egli lavorava), Baade ottenne delle fotografie in cui il rigonfiamento centrale di M31 era risolto in stelle rosse, tutte pressappoco della stessa magnitudine. Baade ne dedusse che questi oggetti erano giganti K, simili alle stelle più brillanti presenti negli ammassi globulari, e fece poi l'ipotesi che le galassie contenessero due popolazioni stellari ben distinte. La popolazione I di Baade occupa le regioni dei bracci a spirale delle galassie e le stelle più brillanti che la compongono sono supergiganti blu. La popolazione II occupa i rigonfiamenti centrali e gli aloni delle spirali ed è composta di stelle il cui diagramma colore-magnitudine è simile a quello di un ammasso globulare. Secondo questa concezione, le galassie ellittiche sono composte esclusivamente da stelle della popolazione II, le Irr I esclusivamente da stelle della popolazione I. La sequenza di Hubble viene allora interpretata come dovuta a rapporti di quantità variabili di popolazione I e popolazione II.

Entro la nostra galassia gli ammassi globulari sono gli archetipi della popolazione II e le associazioni stellari giovani (per esempio l'associazione di Orione) sono archetipi della popolazione I.

Ricerche astrofisiche più recenti hanno complicato e modificato il concetto originale di Baade. Dall'inizio degli anni cinquanta è diventato possibile determinare l'età degli ammassi stellari e le composizioni chimiche delle stelle. Si è così trovato che le galassie ellittiche e le componenti sferoidali delle spirali sono costituite per la maggior parte da stelle vecchie; infatti la formazione di stelle in quei sistemi è praticamente cessata subito dopo la nascita delle galassie, avvenuta circa 1010 anni fa. Questi sistemi, però, non sono ovunque poveri di metalli, come si era in un primo tempo creduto. Come si è visto per gli ammassi globulari, all'interno del sistema sferoidale della nostra galassia vi è un gradiente di composizione: le parti esterne, infatti, sono estremamente povere di metalli, mentre le parti interne possono essere perfino leggermente ricche di metalli in confronto alla regione vicina al Sole. I dischi delle galassie, invece, contengono stelle con una distribuzione continua di età e non vi è praticamente nessuna indicazione che vi sia stata una variazione nel tempo della composizione del gas interstellare contenuto nei dischi. La distinzione fatta da Baade tra sistemi stellari in cui le stelle più luminose sono deboli e rosse e quelli in cui sono blu e brillanti è stata estremamente fruttuosa, poiché ha fornito una relazione tra la composizione, gli effetti cinematici, l'età e la posizione delle stelle. Le idee di Baade costituiscono la base del nostro modo di concepire l'evoluzione delle galassie.

l) Evoluzione delle galassie.

Una teoria sull'evoluzione delle galassie deve essere in grado di spiegare come queste abbiano avuto origine, perché abbiano forme caratteristiche, in quale modo il loro gas iniziale si sia trasformato in stelle e come vari la composizione del gas a mano a mano che vengono espulsi nel mezzo interstellare gli elementi pesanti sintetizzati all'interno delle stelle. In un primo tempo si pensava che gli elementi pesanti fossero stati sintetizzati a partire dall'idrogeno in uno stadio primordiale dell'Universo in espansione, ma ora si è dimostrato in maniera definitiva che soltanto l'elio è stato sintetizzato prima della formazione delle galassie.

Anche se generalmente si pensa che le galassie si siano condensate da un gas omogeneo di idrogeno e di elio in una fase iniziale dell'evoluzione dell'Universo, non esiste ancora una teoria soddisfacente sulla loro formazione. La difficoltà essenziale è che in tutte le fasi l'espansione dell'Universo supera l'attrazione gravitazionale delle perturbazioni infinitesime nella distribuzione continua del gas di fondo, qualunque sia la loro scala di lunghezza. Nonostante questa difficoltà teorica, l'Universo mostra una notevole tendenza a formare oggetti condensati, cioè stelle e galassie. Nell'Universo non vi è alcuna traccia di gas intergalattico in nessuna forma; soltanto all'interno degli ammassi di galassie le osservazioni di raggi X hanno dimostrato l'esistenza di piccole quantità di gas molto caldo.

Quali che siano le origini delle galassie, le proprietà cinematiche delle stelle più vecchie della nostra galassia indicano che esse si sono formate quando il gas si stava ancora addensando radialmente. Molto presto (cioè entro i primi 108 ÷ 109 anni) deve essersi avuto un periodo di rapida formazione di molte stelle al centro della Galassia, poiché le stelle più vecchie vicino ai centri delle galassie sembrano essere ricche di metalli.

Dopo il collasso iniziale e la formazione dell'alone, la Galassia rimase con un disco di gas in rotazione differenziale. Questo gas ha permesso la continua formazione di stelle e si è via via ridotto; sembra però che nella maggior parte delle galassie spirali il processo di formazione di stelle nel disco sia stato molto più rapido all'inizio di quanto non sia ora.

Le galassie spirali sembrano possedere un momento angolare considerevolmente più alto di quelle ellittiche e, inoltre, l'attuale processo di formazione delle stelle nei dischi delle spirali di tutti i tipi non è sufficiente per esaurire il gas interstellare disponibile su una scala temporale di 1010 anni. Per queste ragioni si ritiene che le galassie non evolvano lungo la sequenza di Hubble; tuttavia non si conoscono ancora i fattori che determinano il tipo di galassia in cui evolverà una condensazione primordiale.

Si ritiene che un ruolo importante nell'evoluzione delle galassie, specialmente negli ammassi più densi, possa essere svolto da altri effetti, quali l'interazione col mezzo intergalattico e l'incontro e l'eventuale fusione con altre galassie. La fotometria delle galassie negli ammassi più lontani offre la possibilità di guardare indietro nel tempo (fino a circa 5 miliardi di anni fa) e quindi di osservare oggetti che si trovano nelle fasi iniziali dell'evoluzione. Così si è scoperto di recente che alcuni ammassi remoti contengono una popolazione di galassie blu, cioè del tipo delle spirali più avanzate, molto più numerosa di quanto ci si sarebbe aspettato sulla base della composizione degli ammassi più vicini, ricchi di S0 e di ellittiche.

7. Galassie attive.

a) Introduzione.

Oltre alle galassie ‛normali', descritte finora, si conoscono anche categorie di galassie ‛attive', che si distinguono principalmente per l'eccezionale attività dei loro nuclei. Queste galassie vanno sotto i nomi di galassie di Markarian, galassie compatte, galassie N, galassie di Seyfert e radiogalassie (v. van den Bergh, 1975). Si ritiene inoltre che anche i quasar siano della stessa natura e che in realtà rappresentino i casi più estremi.

b) Galassie di Seyfert.

Le galassie di Seyfert, che formano uno dei gruppi fisicamente più omogenei di galassie attive, furono descritte per la prima volta da C. Seyfert nel 1943 (v. Weedman, 1977). Si tratta di una classe di spirali caratterizzate da un nucleo brillante, a cui si deve la maggior parte della luminosità del sistema, e da uno spettro di alta eccitazione con righe larghe che, se sono dovute all'effetto Doppler, implicano moti dell'ordine di migliaia di km/s. Nella classificazione spettroscopica le Seyfert si suddividono in due classi: quelle di tipo 1, il cui prototipo è NGC 4151, hanno righe di emissione dell'idrogeno molto più larghe (104 km/s) delle righe proibite (per es. [O III]); quelle di tipo 2, come NGC 1068, hanno righe dell'idrogeno e righe proibite della stessa larghezza, con velocità dell'ordine di 500-1.000 km/s. La distinzione fra queste due classi, anche se fisicamente valida e confermata anche da altre caratteristiche, non è però molto netta, e molte caratteristiche di questi oggetti sembrano variare in modo continuo dall'una all'altra classe. Le galassie di Seyfert note sono circa un centinaio e rappresentano quasi l'1% di tutte le galassie. Ciò implica che l'attività dei nuclei Seyfert rappresenta o uno stato di eccitazione permanente di un numero limitato di spirali, oppure una fase transitoria in cui molte galassie passano parte del loro ciclo evolutivo. La pressoché totale assenza di galassie di tipo ellittico fra le Seyfert dimostra però che il fenomeno Seyfert, per ragioni ancora sconosciute, rimane confinato alle spirali.

L'eccezionale luminosità dei nuclei Seyfert proviene dalla radiazione continua, non termica, emessa da una regione estremamente piccola, di dimensioni inferiori a 1 parsec. L'indicazione più importante sulle dimensioni viene dalle variazioni dell'emissione, che si osservano sia nello spettro ottico e infrarosso, sia in quello radio. L'emissione copre una vasta zona dello spettro dall'ultravioletto fino all'infrarosso, a lunghezze d'onda comprese tra 10 e 30 micron. Per lo più le Seyfert non sono sorgenti intense di radiazione X e neppure alle lunghezze d'onda radio si distinguono particolarmente dalle altre spirali: in generale non sono molto più intense, né possiedono radiosorgenti a struttura estesa doppia del tipo di quelle osservate nelle radiogalassie.

Il problema principale posto dall'esistenza di oggetti come le Seyfert è quello del meccanismo di produzione delle enormi quantità di energia dei loro nuclei. La potenza irradiata, in molte Seyfert dell'ordine di 1045 erg/s, è circa 1012 volte quella corrispondente alla luminosità del Sole. Questa energia deve essere generata in un nucleo di dimensioni inferiori a 1 parsec. Al confronto la Nebulosa del Granchio, ben noto resto di supernova simile per dimensioni e altre caratteristiche ai nuclei Seyfert, emette una quantità di energia 107 volte inferiore.

c) Radiogalassie.

Le radiogalassie sono sistemi quasi invariabilmente del tipo ellittico a cui sono associate radiosorgenti di grandi dimensioni, generalmente costituite da regioni o lobi molto estesi (v. Miley, 1980). Anche il fenomeno delle radiogalassie, come quello delle Seyfert, è in qualche modo legato all'attività violenta dei nuclei delle galassie. Per il resto, la distinzione fra radiogalassie e galassie di Seyfert appare netta (eccezioni sono NGC 1275 e 3C 120): quasi nessuna Seyfert è di tipo ellittico o presenta il tipo di emissione radio delle radiogalassie e nessuna radiogalassia è di tipo spirale.

Quasi trent'anni fa si scoprì che l'emissione della più forte radiosorgente extragalattica, Cygnus A, era dovuta a due regioni molto più estese dell'immagine ottica della galassia e disposte simmetricamente rispetto alla galassia stessa. Ben presto apparve evidente che tale struttura doppia è una caratteristica comune a molte radiosorgenti. In seguito, osservazioni interferometriche, che risolvevano completamente la componente ‛estesa', mostrarono anche la presenza di componenti ‛compatte', ossia di zone ad alta emissione nei lobi radio. Di recente, infine, sono state scoperte componenti compatte anche nei nuclei delle radiogalassie (e dei quasar), e ‛getti' di radioemissione lunghi e stretti che procedono dal nucleo fino alle parti esterne dei lobi (v. tav. VIII, A e B). Questi getti e le componenti compatte dei lobi sono spesso accompagnati anche da emissione ottica.

Oltre al tipo di struttura doppia e simmetrica osservata in Cygnus A, si conoscono oggi varie altre forme, come per esempio quelle ben note delle radiosorgenti dette a ‛testacoda'. Le morfologie più complesse di sorgenti associate a galassie, specialmente negli ammassi, vengono generalmente spiegate col movimento della galassia nel mezzo intergalattico e con l'interazione gravitazionale con altre galassie. Le dimensioni variano enormemente, da pochi chiloparsec per le radiosorgenti che sono più piccole dell'immagine ottica della galassia fino a 4 o 5 megaparsec per quelle giganti, come 3C 236.

È indubbio che all'origine sia dei getti che delle sorgenti estese ci sia l'attività violenta dei nuclei, che si manifesta attraverso l'espulsione di nuvole di plasma o di un ‛fascio' quasi continuo di particelle relativistiche in direzione fissa e generalmente vicina a quella dell'asse di rotazione della galassia. Però il meccanismo responsabile della produzione dell'energia totale richiesta (dell'ordine di 1060 erg per un periodo di 108 anni) è, nonostante le ipotesi avanzate finora, fra cui quella ben nota dei buchi neri nei nuclei galattici, ancora ignoto. (V. anche stelle).

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