SOCIAL NETWORK

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

SOCIAL NETWORK.

Paolo Marocco

– Differenze tra social network e community. Sviluppo e prospettive. Confronti tra social network. Ricadute commerciali e proliferazione dei social network. Bibliografia

Un social network digitale è una piattaforma di rete atta a creare e incentivare relazioni personali e sociali (legami) tra nodi virtuali (individui o organizzazioni), ossia nodi dotati di una loro rappresentazione, la quale costituisce un profilo dell’individuo o ente rappresentato. I s. n che qui prendiamo in esame sono quelli che utilizzano strutture di dati e modalità di comunicazione derivate da quelle del web (v.), nel cui ambiente sono integrati. Ogni nodo, per poter convivere con gli altri nodi in maniera stabile, deve aderire a un insieme di regole prestabilite: nel caso del s. n. oggi più diffuso al mondo, Facebook, la prima regola d’ingaggio di una comunicazione con altri individui è la ‘richiesta di amicizia’, attraverso cui è possibile iniziare a scambiarsi messaggi nella propria area (bacheca), oppure in quella degli amici (per amicizia intendiamo qui il legame formale, all’interno del grafo sociale del s. n, non tanto un reale sentimento di affetto e di coinvolgimento emotivo tra due individui).

Differenze tra social network e community. – Per chiarire che cosa sia un s. n. è interessante approfondire l’argomento secondo una prospettiva antropologico-sociale, a partire dalla contrapposizione con un’altra struttura sociale di base: la comunità (community). La prima differenza fondamentale tra s. n. e comunità è il modo con cui gli individui stringono legami. Nel caso del s. n., il punto di partenza sono le relazioni preesistenti, per es. la famiglia e i rapporti professionali, che poi si integrano con altre nuove. Le comunità hanno invece regole diverse: innanzitutto tendono a essere chiuse e non aperte a nuove amicizie come i s. n.; inoltre, sono focalizzate su un tema ben riconoscibile, che è il principale attrattore di nuovi adepti, al contrario dei s. n., che sono generalisti. L’amicizia può essere un valore aggiunto ulteriore, ma non è il motore primario. La differenza tra s. n. e comunità può essere altresì misurata attraverso il diverso livello di dinamicità dei legami tra individui, e attraverso i meccanismi di composizione di questi legami (forti o deboli).

Questa analisi relazionale è necessaria per introdurre due concetti chiave, quelli della performatività e stabilità di un sistema. In altre parole, per comprendere come mai alcuni s. n. hanno iniziato a crescere sempre più, mentre altri sono collassati, vuoi per implosioni interne, vuoi per erosioni causate dalla scarsa competitività con nuovi s. n. più performanti. Assumiamo come esempio il successo iniziale di Facebook. Questo ambiente venne creato nel 2004 nell’Università di Harvard, per opera di uno studente del primo anno, Mark Zuckerberg, e dei suoi colleghi di stanza. Il s. n. nasceva quindi come campus network, i legami forti erano banalmente quelli dei corsi frequentati dagli studenti di Harvard, a partire da quelli cui erano iscritti Zuckerberg e i suoi amici. I legami deboli erano invece costituiti dalle relazioni con gli altri ragazzi del campus, che un utente iscritto poteva aver visto magari sulla bacheca del campus ed era curioso di conoscere (il nome Facebook dato al s. n. deriva dalla consuetudine delle università statunitensi di pubblicare raccolte di fotografie di studenti e membri della facoltà). Il primo livello di legame è quello tipico della community, che chiude un cerchio rispetto all’individuo (nodo di partenza), il cui confine è la stanza e i corsi frequentati. Si tratta di una comunità particolare, dato che è quella di partenza. Il s. n. vero e proprio sorge successivamente: ogni utente (nodo) deve cercare di percorrere a raggiera quelle vie che più facilmente lo possono portare a conoscere un potenziale nuovo amico, tra gli amici degli amici. In altre parole, il compito è provare a contattare qualcuno tra i possibili contatti consentiti dalla struttura comunicazionale del s. n., per creare nuovi legami, dapprima deboli ma potenzialmente trasformabili in forti. E così via. Si possono quindi dedurre le seguenti regole euristiche per un s. n.: i legami forti sono rigidi, stabili e piuttosto privi di aspettative, mentre quelli deboli sono variabili, instabili ma ricchi di piacevoli sorprese (nella percentuale in cui si trasformano in legami forti e duraturi). Molti legami deboli sono utili per soddisfare esigenze facilmente consumabili, e non vincolate da contratti troppo stretti (per tornare a Facebook, farsi prestare, per es., il bollitore da colleghi di un’altra stanza). L’offerta di molti legami deboli facilita il successo iniziale di un s. n.; nelle fasi successive entrano in gioco intrecci più complessi, come le modalità di un s. n. di intersecare più comunità, quindi la possibilità di creare nuovi legami deboli, ognuno dei quali è tematicamente chiuso in una comunità. Per es., un gruppo di amici (con legami forti) fonda la nuova comunità, gli amici della squadra di baseball di Harvard, attraendo nuovi legami (deboli) tra i fans della squadra. Qualcuno di questi legami però sarà forte rispetto a un membro di un’altra comunità, che potrà così alimentare la precedente. I s. n. complessi e stabilmente in crescita, come Facebook, possono essere visti come un insieme eterogeneo di comunità virtuali, i cui legami extracomunitari dei relativi membri sono costituiti da legami forti. In questo modo, la possibilità di interagire con diverse comunità accresce sia le comunicazioni intercomunitarie (le comunità crescono in numero e in volume) sia quelle intracomunitarie (nascono nuovi relazioni di amicizia stretta che permettono all’utente di interagire facilmente con più comunità).

Tra i modelli esplicativi che sono stati proposti per spiegare il motore di questo meccanismo, uno di recente successo è basato sulla teoria dei giochi, una branca della matematica che studia le scelte strategiche rispetto alle convenienze economiche (nel senso di ottimizzazione del rapporto costi/benefici) e analizza i punti di equilibrio dove il gioco rimane stabile rispetto a ogni possibile nuova scelta razionale. Secondo questo modello, la creazione di un nuovo legame di amicizia in un s. n. viene preso in esame da due individui connessi tra loro, e valutato come conveniente oppure non conveniente, nel senso di candidato a portare più benefici oppure più perdite. Se non consideriamo i legami forti già esistenti (i parenti, amici e colleghi della vita reale), la stima benefici/costi, nella sua asetticità razionale, funziona bene a livello statistico per spiegare il passaggio tra legame debole e quello forte (i benefici sono ciò che si ottiene in cambio: nuove conoscenze, nuovi legami sentimentali, nuove scoperte ecc.; i costi sono fondamentalmente il tempo da investire per mantenere il legame). Il rapporto benefici/costi è anche quello che spiega la convenienza a mantenere la propria identità reale, oppure simularne diverse (un fenomeno molto diffuso nel web del primo decennio, per via delle comunità improvvisate nelle chat-line, dove i rischi di essere scoperti erano molto bassi). In un s. n., dove si hanno molti legami, si tende a essere identificati come unici. Ovviamente è possibile mentire, ma la rete delle relazioni tende a verificare continuamente la credibilità della propria identità sociale.

Sviluppo e prospettive. – L’ambizione di ogni s. n. è quella di espandersi fino a mettere in contatto tutti. Si tratta del noto concetto dei gradi di separazione, uno dei fattori chiave della network distance tra due persone. La questione è stata affrontata da diversi punti di vista, dapprima in ambito sociologico e poi socioeconomico e matematico, e si basa sull’ipotesi che ognuno possa connettersi con qualsiasi altro attraverso una catena composta al massimo da sei livelli di congiunzione. Supportate da nuove teorie matematiche sui grafi, i modelli sui s. n. predicevano alcuni aspetti interessanti: innanzitutto, che tramite una piccola moltiplicazione locale dei legami era possibile ridurre le distanze tra punti remoti, in modo molto più pervasivo rispetto alle aspettative dettate dal senso comune.

In altre parole, se nel nostro gruppo di amicizie conosciamo qualcuno in più, che vive in un’altra città o, meglio ancora, in un’altra nazione, abbiamo molta più facilità di entrare in contatto con le persone ‘giuste’ (gli hubs, ossia i nodi di distribuzione), che ci consentono, dopo qualche passaggio di conoscere in teoria, per. es., un inuito il presidente degli Stati Uniti. L’idea di far parte di un mondo molto più connesso di quanto si creda ha avuto conferme nel cosiddetto small world experiment, grazie al quale il sociologo Stanley Milgram dimostrò che, nonostante ognuno tenda ad avere prevalentemente relazioni con pochi altri (legami forti), questo non impedisce di intrecciarne di nuove con qualsiasi altro elemento di una rete sociale (legami deboli, quelli che alla fine ne decretano il successo espansivo). Una cifra sempre vicina a sei caratterizzava i collegamenti di molte reti di tipo diverso: autostradali, tubazioni petrolifere, linee elettriche e altre; il fatto che il numero sei resti associato anche a nodi non umani, ma solo costruiti dall’uomo, rimanda a una regola euristica di una provata affidabilità e utilità.

utenti

Tra le ragioni del successo di Facebook, arrivato a 200 milioni di utenti nel 2010, e a quasi 2 miliardi nel 2015, vi è sicuramente quella di aver scelto il momento giusto per entrare in gioco. Quando nacque Facebook, i s. n. erano ancora una novità, sebbene ne fossero già sorti a decine. Il più importante nei primi anni (sicuramente fino al 2008) era MySpace, fondato da Tom Anderson nel 2003, l’anno prima di Facebook. MySpace era però troppo orientato alla cultura musicale, un meccanismo indubbiamente di forte spinta iniziale, tanto da creare un sapiente intreccio tra giovani gruppi o solisti, e i loro fans, ma di carattere troppo tematico e comunitario per diventare un grande e stabile s. n.; inoltre fondava la sua capacità di intrecciare percorsi simili tra gli utenti incentivando la condivisione di pagine comuni (le group pages spesso dedicate a gruppi musicali) ma non l’inserimento di video di social media esterni, quali YouTube (v.), probabilmente per paura di perdere traffico interno. Questa modalità di trinceramento faceva parte della cultura confinata tipica delle communities, e non di quella aperta di un social network. Facebook agì invece in direzione opposta, dando la possibilità di inserire messaggi, foto e video ereditati da comunità di altre piattaforme, ed estendendo il proprio contenuto informativo all’interno di siti web esterni. La strategia era quella di usare le connessioni iniziali di Facebook per espanderle il più possibile fuori da sé stesso, sfruttando il fatto che l’engagement (ossia il traffico di messaggi attorno a un post, un individuo, un’immagine o un altro elemento) alla fine sarebbe caduto maggiormente verso l’interno, rispetto alla dispersione verso l’esterno.

Ma i motivi del successo di Facebook e di altri s. n. in quegli anni sono anche altri. Questo tipo di organizzazione di utenti e informazioni giungeva in un momento particolare dell’evoluzione del web. Per analizzare questo fenomeno, assumiamo come punti di partenza da un lato i ‘gruppi di discussione’ (Usenet newsgroups) e dall’altro le chat-lines. I gruppi di discussione nacquero nel 1987, in una rete (Usenet) precedente la nascita del web (1991-92). I gruppi di discussione possono essere visti come le prime comunità digitali di larga diffusione planetaria, sovente molto specialistiche e dedicate ad argomenti tecnici (ricordiamo che l’utenza di Internet negli anni Ottanta era prevalentemente quella di ricercatori e studenti di facoltà scientifiche e di sociologia). I legami erano deboli e l’entrata di un nuovo membro avveniva attraverso elenchi esterni consultabili nei laboratori, e più raramente con il passaparola. Nel decennio successivo, precisamente nel 1994, i gruppi di discussione confluirono nei web forum, e alla fine degli anni Novanta nelle piattaforme di web blogging, nei quali i principi di base della comunicazione rimanevano gli stessi, ma venivano estesi a tematiche più allargate (turismo, automobili, sport, musica, animali domestici ecc.) ed erano dotati di una confezione grafica più ammiccante, poiché l’ambiente non era più solo testuale ma integrato all’evoluzione multimediale del web. L’altro punto di partenza che abbiamo fissato, le chat-lines, fecero la loro apparizione come sistema di messaggistica in tempo reale (IRC, Internet Relay Chat) nel 1995, e si svilupparono in seguito come applicativi a sé stanti (MSN Messenger, Skype ecc.), quindi disgiunti dai browsers web. Le chat-lines si sono evolute quasi subito in due categorie: quelle costituite solo da legami forti, ossia amici e parenti, che le utilizzavano per comunicare a distanza, e quelle costituite da legami deboli e casuali, afferenti a fenomeni di subcultura (in genere ammiccanti a incontri sentimentali e sessuali). Il grande contributo portato dai s. n. digitali, a differenza delle altre strutture comunicative qui esaminate, è stato il vantaggio di essere autosufficienti rispetto alla forza e versatilità dei legami, e la capacità di autoalimentarsi internamente. Un s. n. simula ed estende (a volte sostituisce) i rapporti della vita di tutti i giorni. Non solo, dato che un s. n. digitale permette un controllo dei legami basato su algoritmi e modelli formali, la sua struttura di base (amico/non amico) diventa la prova sperimentale della possibilità di estendere e analizzare fenomeni reali, in una cornice questa volta controllata e controllabile (il che aggiunge una serie di problematiche etiche e sociali).

Confronti tra social network. – Per analizzare l’evoluzione dei s. n. utilizziamo una classificazione basata sul sistema di comunicazione interno: s. n. monodirezionali (one-way) oppure bidirezionali (two-directions). Nei primi, alcuni nodi, gli influencers, rilasciano informazioni che vengono lette da una moltitudine silenziosa, che non interagisce quasi mai con il nodo principale. I secondi, invece, crescono grazie al continuo scambio delle informazioni tra utenti: non viene favorito un s. n. in particolare, ma, al contrario, vengono privilegiati quelli che creano discussioni continue tra più amici, facendoli interagire tra loro. Twitter è il più famoso s. n. monodirezionale: uomini politici, rockstar, organizzazioni rilasciano continuamente messaggi istantanei ai fans che li seguono. Facebook è ovviamente il rappresentate principale dei s. n. bidirezionali.: qui l’opinion leader ricopre già questo ruolo esternamente e le sue azioni non favoriscono la crescita del social network.

La strategia adottata dai fondatori di Twitter, Jack Dorsey e Biz Stone, è stata quella di creare uno strumento che emettesse informazione da una fonte privilegiata, dando la possibilità a molti utenti (followers) di rimanere in ascolto, senza che la fonte primaria dovesse rilasciare un permesso (ovvero una richiesta di amicizia, nei termini di Facebook). Questo aspetto veniva correlato insieme a un’altra idea molto efficace: i messaggi scambiati (tweets) dovevano essere lunghi al massimo 160 caratteri, quanto un SMS (Short Message Service), per permettere l’utilizzo di Twitter a un’utenza vastissima, considerando anche che nei Paesi africani ed emergenti mancavano dispositivi multimediali. Questi due fattori decretarono il successo di Twitter attorno al 2010, in corrispondenza delle vicissitudine rivoluzionarie della ‘primavera araba’, nelle quali i leader delle organizzazioni avverse al regime avevano la possibilità di adottare uno strumento molto flessibile per comunicare notizie e azioni ai loro adepti, dal momento che bastava fossero dotati di un cellulare rudimentale. Nella vita quotidiana però, subentrano differenti fattori chiave di successo (come la possibilità di includere facilmente immagini e video), mentre il limite della lunghezza del post diventa eccessivamente restrittivo, da cui il diverso utilizzo di Twitter (v. anche società dell’informazione).

Ricadute commerciali e proliferazione dei social network. – Uno dei fattori di maggiore vantaggio economico di Face book è quello di fare profitto tramite meccanismi indiretti: la pubblicità, ma ancor di più il passaparola su prodotti e servizi, e l’utilizzo stesso del s. n. attraverso applicazioni su dispositivi mobili (v.). L’equazione è, molto banalmente, quella che correla il massivo utilizzo di un s. n. all’incremento dei ricavi commerciali, per es., attraverso la vendita di smartphone e tablet. Questo meccanismo si aggiunge a quello del traffico in entrata verso altri media, grazie ai clic degli utenti su immagini e video originari di questi ultimi. Ci si chiede se l’ecosistema Facebook sia in grado di creare opportunità commerciali per le aziende. Nella sua accezione popolare, Facebook è un ambiente di chiacchiericcio diffuso e fine a sé stesso, che grazie alla sua diffusione e pervasività funziona molto bene, da un lato, come cassa di risonanza rispetto a news, eventi e beni, in particolare prodotti culturali come musica e film, mentre dall’altro, sul versante commerciale, è diventato il maggior contenitore di piccole aziende del pianeta (ogni attività commerciale può creare il suo spazio di informazione e promozione) e hobbystica: dall’alta tecnologia ai gadget di ogni categoria merceologica. Per quanto riguarda Twitter, sebbene le informazioni raccolte, almeno quelle generate da fonti qualificate (politiche, commerciali, professionali ecc.) siano mediamente di qualità più elevata (e infatti le società di analisi di mercato e sociale tendono a raccogliere queste informazioni, più di quanto lo facciano su Facebook), non creano un modello di business particolarmente efficiente. Twitter non rappresenta la simulazione più verosimile di un s. n. reale, semmai è una grande fonte di news, comunicati stampa e battibecchi tra vip, divisa per categorie, con cui è possibile interagire limitatamente. La comunicazione arriva sempre dall’alto, e mai sparsa nel confuso chiacchiericcio quotidiano. Gli utenti attivi rimangono perciò una percentuale molto bassa rispetto agli iscritti, e soprattutto consultano il s. n. raramente. Tutti fattori che creano poco profitto, rispetto ai costi di gestione.

Tra gli altri s. n., YouTube è una piattaforma di videosharing che somiglia molto al modello monodirezionale: pochi inseriscono i video e molti li vedono. Per molti anni è stata in perdita, dato che i costi di gestione dei server video erano molto alti e i profitti pubblicitari bassi, ma di recente, l’obbligo di pagare i diritti di pubblicare i video da parte dei canali ufficiali ha ribaltato le carte in gioco. LinkedIn è la più nota piattaforma professionale di servizio assimilabile in parte ai s. n., non tanto perché il grafo di LinkedIn espone fondamentalmente dei profili professionali, consultabili gratuitamente, ma perché negli ultimi anni sono cresciuti i servizi aggiuntivi, quali un sistema di mailing e molti forum-communities, che fungono da supporto ‘energetico’ per creare aggregazione tra gli utenti.

Le nuove frontiere sociali sembrano vertere molto sulle immagini: per es., Instagram, una piattaforma di foto e video di tipo sharing basata sulla condivisione di elementi amatoriali realizzati mediante lo stesso smartphone dove risiede l’applicazione, è dotata di una community proprietaria, ma alimentata grazie all’integrazione all’interno di s. n. più grandi, come Facebook. La panoramica diventa complessa perché negli ultimi anni è in corso una proliferazione di s. n. molti simili tra di loro, e soprattutto un intreccio degli uni negli altri, allo scopo di creare mutui fenomeni che siano ‘volano’ di spinta verso una nuova utenza. Per certi aspetti, il mercato è saturo, dato che difficilmente nasce una nuova originalità, in assenza di ‘salti’ tecnologici significativi. Uno di questi potrebbe essere quello dei traduttori automatici in tempo reale, non solo testuali ma vocali, per superare le barriere linguistiche e consentire veramente il raggiungimento dell’utopia dei sei gradi di separazione.

Bibliografia: M. Cavallo, F. Spadoni, I social network: come internet cambia la comunicazione, Milano 2010; G. Riva, I social network, Bologna 2010; E. Menduni, G. Nencioni, M. Pannozzo, Social network. Facebook, Twitter, YouTube e gli altri:relazioni sociali, estetica, emozioni, Milano 2011.

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