Socialismo

Dizionario di Storia (2011)

socialismo


In senso generale, concezione della società in cui siano soppressi i privilegi sociali, attraverso la piena uguaglianza dei suoi membri, oltre che sul piano giuridico, su quello sociale ed economico, fino alla soppressione delle classi stesse. In senso più ristretto, la concezione e i movimenti che tendono nell’Età moderna alla realizzazione dell’uguaglianza sociale ed economica attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione e la distribuzione sociale dei beni prodotti. Nel significato più generale, comprende le teorie, i miti e i movimenti spesso di carattere religioso cristiano, che, specialmente nel Medioevo e in genere nel periodo precedente all’età industriale, puntavano, in molti casi, al fine dell’eguaglianza totale nella comunione dei beni o . Ma la corrente fondamentale del s. nel senso specifico che il termine assume nel movimento moderno delle classi lavoratrici è quella che, partendo dalle aspirazioni egualitarie manifestatesi nel corso della Rivoluzione francese, passa per i sistemi sociali di Saint-Simon, Owen e Fourier, e giunge prima a P.-J. Proudhon e poi a K. Marx: «fratelli nemici» questi ultimi, ai quali si ricollegheranno, più o meno conseguentemente, in diversi periodi di tempo e in diversa misura, le varie correnti del movimento socialista.

Le ideologie socialiste

Per C.-H. Saint-Simon il fine generale della società era il miglioramento fisico e morale della classe più numerosa, quella dei poveri, dei lavoratori, miglioramento attuabile con l’instaurazione di un «nuovo cristianesimo», in cui la scienza, cioè gli intellettuali, e l’industria, cioè i mercanti, i banchieri e i borghesi attivi, cooperassero insieme con gli operai all’organizzazione della produzione. Con F.-M.-C. Fourier si ha la prima critica radicale della società capitalistica, con la denuncia della falsità che si nasconde sotto il manto della civiltà industriale, l’analisi delle contraddizioni e dei mali che sussistono nei vari campi della vita economica e sociale. Dopo aver sottolineato la contraddizione esistente fra l’interesse collettivo e quello individuale, nel campo dell’industria, Fourier mostra come la libera concorrenza significhi la schiavitù del salariato, che è costretto ad accettare a vil prezzo un lavoro troppo disputato. Sicché il progresso dell’industria finisce con l’aggravare sempre più la povertà dell’operaio, in un circolo vizioso per cui in quel settore la povertà nasce dalla sovrabbondanza. A questa situazione va posto rimedio col giovarsi del principio dell’associazione: considerato che la vita dell’umanità procede, dalle età primitive alla civiltà industriale, attraverso gradi di sviluppo che devono superarsi l’un l’altro, talché quando «una società langue troppo lungamente in un periodo o grado del suo sviluppo, si genera la corruzione», la soluzione dei mali del suo tempo Fourier la poneva nella «industria societaria», che doveva avere per suo elemento base il falanstero, nucleo di associazione semplice, su cui andava costruito l’ampio edificio di una società nella quale fossero in comune i benefici sociali, e comune il lavoro, ma diversa, secondo gli apporti, la retribuzione. Nel e fourierismo occorre distinguere ciò che appartiene ancora al piano dell’utopismo tradizionale, che perviene alla descrizione di una società migliore seguendo la pura via della ragione, e ciò che è critica concreta della società del tempo, talora ricca e penetrante. Per quanto riguarda R. Owen, occorre tener presente che egli giunse alla sua concezione comunista seguendo la via del calcolo economico sulla parte di ricchezza prodotta che veniva sottratta ai produttori, cioè ai lavoratori; e se cercò di attuare il suo sistema con un esperimento limitato, d’altra parte non esitò a svolgere un’azione di lotta e a esercitare la sua influenza per strappare alla classe dominante quello che era possibile ottenere a favore della classe operaia. Il e il movimento sindacale organizzato in Inghilterra in tutto il primo quarantennio del 19° sec. si svolgono in rapporto all’azione e all’influenza di Owen, che è, per questo aspetto, uno dei grandi pionieri del movimento socialista moderno. Nell’intreccio di ideologie e movimenti che andavano formando il movimento operaio francese, nel periodo dal 1830 al 1860, un posto a parte e influenza notevole ebbe il pensiero di P.-J. Proudhon. In Qu’est-ce que la propriété? (1840), egli aveva attaccato alla base la forma tipica della società borghese capitalistica: la proprietà privata. Attraverso un rapido sguardo storico, Proudhon affermava che la proprietà in genere era da considerare illegittima nella sua genesi e nella sua natura, e come la causa prima del privilegio e del dispotismo. Non questa o quella parte della proprietà ma la proprietà in genere era la causa della falsificazione di tutti i rapporti economici e sociali; perciò la società che già ha ristretto il primitivo diritto di proprietà deve procedere oltre, alla soppressione totale della proprietà. Dalla critica serrata della proprietà in quanto assicura al proprietario il godimento di una rendita senza lavoro, Proudhon passava a delineare un sistema economico che fosse fondato su tre principi: il possesso (in luogo della proprietà), il mutualismo e il credito gratuito. Nella «mutualità», sorta di sintesi delle contraddizioni economiche della società capitalistica, che si presta peraltro a molte critiche sul piano economico, si esprimeva l’esigenza di trasformare i rapporti di proprietà, di ripartire il lavoro e la distribuzione dei prodotti, partendo dal seno stesso di questo ordinamento; e realizzando il passaggio alla nuova società, nella democrazia e nella libertà, anziché attraverso una rivoluzione violenta e una dittatura. Egli contrapponeva infatti al comunismo, che porterebbe fatalmente all’iniquità e alla miseria, una società nella quale, mediante la mutualità, sia possibile realizzare la distribuzione del lavoro e la ripartizione dei suoi frutti fondate sul principio: «da ciascuno secondo le sue facoltà, a ciascuno secondo i suoi bisogni». E alla dittatura comunista che «non concepisce la rivoluzione sociale come effetto possibile delle istituzioni e del concorso delle intelligenze», ma tende a perpetuare l’assolutismo col pretesto che esso sarà transitorio, Proudhon contrapponeva una società in cui «lo Stato non sarebbe che una riunione di uomini devoti ed intelligenti, liberamente scelti dai loro pari, per svolgere nella società il ruolo che nell’organismo umano ha la testa rispetto al corpo». I motivi della concezione di Proudhon continuarono in varia forma a circolare nel movimento operaio internazionale per molto tempo ancora, specialmente alimentando le varie correnti antiautoritarie e anarchiche del s. in seno alla Prima Internazionale, in contrasto soprattutto con la posizione e la concezione di Marx. La concezione socialista di Marx e di Engels (➔ ) si presentava come «s. scientifico» in quanto derivava i suoi principi dalla premessa che solo un’analisi scientifica dei rapporti economici esistenti rendeva possibile elaborare il programma di azione rivoluzionaria del proletariato in lotta con la borghesia, e per l’attuazione del s.; dato che l’esistenza stessa delle classi era legata a determinate fasi di sviluppo storico dei rapporti di produzione e solo il rivolgimento della struttura economica era la condizione del rinnovamento delle soprastrutture giuridiche, politiche, ideologiche e morali della società. La questione centrale di questa analisi era per Marx ed Engels costituita dalla contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico fra il carattere sociale della produzione, fatta in grandi fabbriche con il concorso di mezzi e attraverso rapporti di natura sociale, e la proprietà privata dei mezzi di produzione, come le industrie e il capitale finanziario appartenenti ai privati. Il s. per Marx ed Engels doveva consistere nell’eliminazione di questa contraddizione. E sarebbe stata la struttura economica stessa a creare, con l’accentuarsi di questa contraddizione e di tutte le sue conseguenze negative, le condizioni per il rivolgimento rivoluzionario della soprastruttura sociale e dello Stato. Ma per attuare il s. è necessario che il , impadronendosi dello Stato, eserciti per un certo tempo la dittatura più ferrea per eliminare le forme della vita economica e politica borghese. Ma dal momento stesso in cui la classe operaia prende il potere si inizia una nuova fase, quella della scomparsa graduale delle classi degli sfruttatori da un lato e degli sfruttati dall’altro; e il proletariato stesso finisce col cessare di essere proletariato. Dall’ampio quadro di questa visione della via «scientifica» al s., discendono tendenze e correnti diverse e talora opposte, secondo che si accentui l’uno o l’altro momento di essa: dall’importanza preminente data dal marxismo ai mutamenti nella struttura economica, prodotti e regolati da leggi necessarie, derivò un certo fatalismo sul fine lontano della rivoluzione sociale, e la tendenza a vedere perciò nelle lotte sindacali immediate, e in quelle politiche democratiche, il contenuto più sostanzioso del movimento socialista; tendenza che predominò nel periodo della seconda Internazionale. Al contrario un’importanza essenziale e preminente assegnò, specialmente la corrente bolscevica (maggioritaria) formatasi nel 1903 in seno alla socialdemocrazia russa per opera di Lenin, al problema della conquista dello Stato e della dittatura del proletariato, dando così inizio al movimento comunista. Le ideologie socialiste si diffusero in Italia in conseguenza e per riflesso di quanto si verificava in Francia. Giuseppe Montanelli nei suoi Appunti storici sulla rivoluzione d’Italia del 1851 si proclamava socialista e di un s. che oscillava fra la concezione di Saint-Simon e quella di Proudhon. Giuseppe Ferrari, vissuto a lungo in Francia e amico di Proudhon, sostenne la necessità di propugnare in Italia le «ardite teorie del socialismo», puntando soprattutto sul programma della «legge agraria», che avrebbe dovuto spingere le masse a sollevarsi energicamente e a realizzare una rivoluzione democratica. Anche i Saggi storici-politici-militari sull’Italia (1858-60) di Carlo Pisacane, di cui il più famoso è quello sulla rivoluzione, traggono ispirazione dal dibattito sul s. in Francia. Benché non possa dirsi un marxista, Pisacane però si spinge in certe espressioni fino ad affermare che «le idee derivano dai fatti», che nella società «la ragione economica domina la politica», e compie il primo tentativo di considerare la storia d’Italia dalle origini al suo tempo come una storia di lotta delle classi. Per Pisacane, una delle questioni fondamentali in quell’abbozzo del patto sociale che doveva fornire la base alla nuova società italiana era la questione della terra. La società deve avere a suo fondamento la proprietà comune della terra lavorata socialmente. Egli inoltre si proponeva la nazionalizzazione e la regolarizzazione in genere dell’attività economica. Ma la particolare importanza di Pisacane nel quadro del suo tempo sta nel fatto che egli tentò di abbozzare un metodo e una concezione strategico-militare della rivoluzione italiana, al cui centro doveva essere l’esercito nazionale popolare sorto sulla base del soddisfacimento delle rivendicazioni sociali popolari. Gli inizi di un movimento socialista in Italia non si ebbero però che intorno al 1868, e per effetto della propaganda delle sezioni della prima Internazionale. In questo primo periodo in seno al movimento socialista italiano si formarono due tendenze: quella anarchica bakuniniana, influenzata dall’agitatore russo M.A. Bakunin, che fu la dominante, e la tendenza democratico-socialista, che si mantenne legata al comitato di Londra, cioè a Marx e a Engels, dopo la scissione dei bakunisti, e fu rappresentata dal gruppo della Plebe di Lodi e del Povero di Palermo. Una nuova fase fu segnata dalla nascita nel 1882 del Partito operaio. Sciolto nel 1886 il Partito operaio, si misero in opera vari tentativi per la fusione del movimento operaio con i circoli socialisti; e il 16 agosto 1892 si giunse alla creazione del primo partito socialista italiano: il Partito dei lavoratori italiani, che nel Congresso di Reggio nell’Emilia nel 1893 prese il nome di Partito socialista dei lavoratori italiani (➔ Partito socialista italiano).

Si veda anche Il socialismo reale

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