Sòfocle

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Poeta tragico greco, di Atene (forse 497-406), figlio di Sofillo, del demo di Colono agoràios. Secondo la tradizione che riconnetteva la vita dei tre grandi tragici ateniesi alla battaglia di Salamina (Eschilo vi partecipò, Euripide sarebbe nato nel giorno stesso della battaglia), S. guidò giovinetto il coro che cantava il peana della vittoria. Difficile, per la cronologia, è accettare la notizia che il suo maestro di musica e danza fosse Lampro; egli stesso fu ottimo citarista e come tale lo ritrasse Polignoto. Benché non fosse per temperamento un uomo politico, partecipò alla vita pubblica: fu tra gli ellenotamî nel 443-42, stratego con Pericle nel 441-40, partecipò alla spedizione contro Samo ribelle; forse nuovamente stratego nel 428-27, fu, dopo la disastrosa spedizione di Sicilia, uno dei dieci incaricati di preparare il governo dei Quattrocento. Su di lui sono tramandati molti aneddoti, dai quali emerge come uomo di carattere sereno e di spirito amabile; significativa è la tradizione che narra come S., giuntagli la voce della morte del rivale Euripide, si presentasse in lutto alla rappresentazione (406). Dopo la morte, gli fu tributato culto eroico, come Dexione ("l'accoglitore"), poiché nel 420 aveva ricevuto nella sua casa la statua di Asclepio proveniente da Epidauro. Il suo ritratto ci è stato tramandato in molte copie risalenti a varî originali: uno del 380 a. C. circa, idealizzato; uno riferibile alla statua bronzea innalzata da Licurgo nel teatro di Dioniso ad Atene, riprodotta fra l'altro in quella celebre marmorea del Laterano; uno noto come tipo Farnese; uno del 1° sec. a. C., in cui appare più vecchio. ▭ La filologia ellenistica conosceva 130 drammi attribuiti a S., dei quali 7 considerava spurî. Di tanti, ce ne restano 7, frutto di una scelta scolastica della tarda grecità: Aiace, Antigone, Edipo re, Elettra, Trachinie, Filottete, Edipo a Colono. Del dramma satiresco I cercatori di tracce (᾿Ιχνευταί; in it. anche I segugi) ci rimane oltre la metà, dai papiri; molti altri frammenti vengono da citazioni antiche e dai papiri. La cronologia dei drammi di S. è incerta; la prima delle 24 vittorie negli agoni drammatici attribuitegli dalla tradizione è del 468 (ma egli doveva aver cominciato prima a scrivere e rappresentare); continuò a comporre fino all'estrema vecchiaia (il Filottete fu rappresentato nel 409, quando S. aveva 88 anni; l'Edipo a Colono, postumo, nel 401). Nella tecnica drammatica, l'antichità attribuisce a S. tre innovazioni importanti: l'aumento del numero dei coreuti da 12 a 15; l'aggiunta del terzo attore; la composizione di drammi indipendenti, liberi dal legame della trilogia (ma solo la prima di queste innovazioni è certamente sua). ▭ La poesia di S. fu considerata già dagli antichi come il vertice raggiunto dal genere drammatico. Il Romanticismo convalidò dapprima lo schema retorico che concepiva Eschilo come l'iniziatore della grande arte tragica, S. come colui che ne raggiunse il culmine, Euripide come il pensatore critico dei miti e dei valori tradizionali in un'epoca che prelude alla decadenza. Questo schema è stato poi naturalmente abbandonato, e la poesia altissima di S. non si considera più in un inutile paragone con Eschilo ed Euripide, bensì nei suoi valori autonomi e originarî. E S. è certamente degno della fama che lo ha sempre accompagnato e che non ha subito mai oscuramenti. La perfezione formale si accompagna in lui all'impeto gigantesco della passione, che contiene in misura di sublime equilibrio. La trama dei suoi drammi non ha molta importanza, ai fini della costruzione poetica; il peso di tutta la tragedia sta sulle spalle del protagonista, mirabile creatura di complessità psicologica e, al tempo stesso, di coerente essenzialità umana. In S. il pathos tragico (che ispira allo spettatore pietà, ansia e terrore per le sventure del protagonista) raggiunge l'espressione perfetta. Nel protagonista soprattutto è concentrato tutto l'animo di S., pieno di profonda religione, ma anche dolorosamente pensoso dinanzi alle sofferenze umane provocate dalla misteriosa potenza del fato: mai però crudamente amaro, anzi alla fine sempre capace di ritrovare nell'impeto dei cori o, come nell'Edipo a Colono, nella pace di un finale carico di mistero, l'equilibrio e la rassegnazione. I personaggi secondarî, con la loro più limitata umanità, servono per mettere in risalto i protagonisti e, in sé stessi considerati, vivono anch'essi della piena vita della poesia sofoclea, lirica, pensosa e dolente.

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