Soldanieri

Enciclopedia Dantesca (1970)

Soldanieri

Arnaldo D'addario

Antica consorteria fiorentina che Cacciaguida ricorda (Pd XVI 91-93) per l'importanza politica e l'antichità delle origini come già potente ai suoi tempi. Dei S. i cronisti (fra cui più diffusamente G. Villani IV 12, V 39, VI 33 e 65; Compagni II 25) elencano le case e le torri abitate nel sestiere di San Pancrazio e rievocano la tenace milizia politica ghibellina; anche a loro furono attribuite - oltre che dai cronisti, dagli eruditi e genealogisti del secolo XVI-XVIII, ma senza alcun serio fondamento - origini romane, facendoli discendere da un Sermione compagno d'armi di Uberto Cesare.

La consapevolezza della propria importanza politica e sociale autorizzò nell'alto Medioevo i S. ad adottare il rito caratteristico delle sepolture a cavallo che costituiva il privilegio ufficialmente concesso all'altra nobile stirpe dei Lamberti. I S. appartennero, infatti, al gruppo delle casate consolari (Rinaldesco di Mula fu console nel 1197) e aderirono alla linea politica degli Uberti, dei quali sono segnalati come seguaci nel 1215 un Mazzingo e un Chiarissimo, con Rinaldo suo figlio. La sconfitta della Parte ghibellina segnò anche per loro l'estrema rovina, insieme politica ed economica. L'esilio perpetuo da cui vennero colpiti nel 1268 non venne mitigato neppure nel 1280, quando, anzi, il bando fu espressamente rinnovato, trattandosi di avversari irriducibili. Solo a un ramo della consorteria, quello di Mula di Ruggero, fu accordato il perdono, che i suoi figli (specialmente Piero detto Qualino) mostrarono di voler meritare, partecipando attivamente alla difesa di Firenze contro Enrico VII. Gli altri S. presero parte a più riprese a congiure o a tentativi armati contro il comune, col solo risultato di rendere sempre più difficile il conseguimento del perdono politico. Questo venne concesso soltanto ad alcuni dei S. dopo la caduta del duca d'Atene, e alla condizione che i riabilitati si facessero " di popolo " mutando arma e cognome. È a questi avvenimenti che fu fatta risalire - ma senza darne prove sicure - l'origine dei del Mula e dei Romaneschi. Al ben noto (If XXXII 121) Gianni S., profugo a Prato dopo i fatti del 1266 insieme col fratello Pipino, fu attribuita la discendenza che prese nome dei Rinaldeschi (continuata fino al 1501); ritenuti, questi ultimi, a loro volta - ma con uguale incertezza di fondamento critico - matrice della casata dei Naldini. Altri S. non si conoscono dopo quel Filippo di Iacopo che nel 1416 rinunziò a favore degli abitanti di Greve al patronato sulla chiesa di San Lorenzo.

Bibl. - S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze 1615, 25 ss. (dell'Ammirato si consultino, per la conoscenza di queste fonti, gli spogli conservati nell'Archivio di Stato di Firenze, nella Biblioteca manoscritti); più concisi i profili storico-genealogici di L. Passerini, a commento del romanzo storico di A. Ademollo, Marietta de' Ricci, VI, Firenze 1845, 1952; di G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno, ecc., II, Documenti, Londra 1862, 585-586; e di Scartazzini, Enciclopedia 1834-1835. Si vedano inoltre: v. Borghini, Discorsi, con note di D.M. Manni, II Firenze 1755², 50, 89, 97; B. De' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli, nella quale si ragiona... delle famiglie e degli uomini di Firenze, ibid. 1585, 57; P. Mini, Discorso della nobiltà di Firenze e de' Fiorentini, ibid. 1593, 146; ID., Difesa della città di Firenze e de' Fiorentini contra la calunnie e maldicenze de' maligni, Lione 1577, 298, 306; U. Verini, De illustratione urbis Florentiae libri. III., Parigi 1583, 52. Per la considerazione dei S. nel quadro della storia fiorentina, cfr. Davidsohn, Storia, ad indicem.