SOMALIA

Enciclopedia Italiana (1936)

SOMALIA

Giuseppe STEFANINI
Nello PUCCIONI
Enrico CERULLI
Alberto BALDINI
Riccardo RICCARDI
Fabrizio CORTESI

(fr. Somalie [scritto anche Çomalie]; ingl. Somaliland; arabo barr al-Ṣūmāl. Il nome etnico "Somali" è in arabo Śūmālç; in amarico Sumālē; in somalo Sōmāli).

Sommario. - La Somalia in generale: Nome e confini (p. 99); Esplorazione (p. 99); Costituzione fisica (p. 100); Geologia (p. 100); Clima (p. 101); Acque (p. 101); Flora (p. 102); Fauna (p. 103); Etnografia (p. 103); Lingua (p. 106); Storia (p. 106). - Somalia Italiana: I confini (p. 109); Descrizione fisica (p. 109); Popolazione (p. 111); Condizioni economiche (p. 112); Comunicazioni (p. 112); Commercio (p. 113); Ordinamento (p. 113); Storia (p. 114). - Somalia britannica: Confini (p. 117); Descrizione fisica (p. 117); Popolazione e centri (p. 117); Condizioni economiche (p. 117); Storia (p. 117). - Somalia francese: Geografia (p. 118); Storia (p. 118). - Tavv. XIII-XXII.

Nome e confini. - Vasta regione dell'Africa orientale, detta anche Penisola dei Somali o Paese dei Somali e anche, dai primi esploratori, "Corno orientale dell'Africa", in quanto costituisce una massiccia e acuta penisola triangolare che sporge fortemente verso E., tra il Golfo di Aden e l'Oceano Indiano, con al vertice il Capo Guardafui. Questo nome, adoperato dai primi navigatori portoghesi, non è probabilmente che una storpiatura del nome di Ras Ḥafun. La base di questo ideale triangolo, cioè il limite occidentale della penisola verso il continente, è meno facile a definirsi: come tale si può considerare la zona, più o meno depressa rispetto ai paesi circostanti, che dal Golfo di Tagiura corre a occidente, ai piedi dell'altipiano di Harar fino alle valli superiori del Uebi e del Giuba, verso SO.; in mancanza di un limite naturale ben marcato, si può assumere come confine una linea ideale, che dal Lago Rodolfo scenda all'Oceano tra la foce del Giuba e quella del Tana. Il nome della regione è tratto, comunque, da quello del più importante gruppo di popolazioni che l'abita; i Somali alla loro volta, nelle loro più recenti tradizioni già islamizzate, lo fanno derivare dal nome di un tale Somal, che in epoca remotissima sarebbe sbarcato dall'Arabia sulla costa africana, per ragioni di traffico, ma avrebbe poi vinte e cacciate verso l'interno le tribù autoctone della regione, mentre dai suoi figli sarebbero derivate le numerose tribù e sottotribù, nelle quali i Somali sono divisi. In documenti scritti il nome di queste genti ci è noto per la prima volta da un documento etiopico del sec. XV (l'epinicio del negus Yesḥaq).

La Somalia così intesa comprende per intero la Somalia Italiana, la Somalia Britannica (o Somaliland), una parte della Somalia Francese (Côte Française des Somalis), un settore della colonia inglese del Kenya (Northern Frontier District e una gran parte della provincia del Tanaland).

Esplorazione. - Per i primi tentativi di viaggiatori italiani vedi appresso Storia: Rapporti con l'Italia.

L'esplorazione marittima della Somalia sull'Oceano Indiano cominciò con il viaggio di Vasco da Gama. Tanto Vasco, quanto più tardi Tristam da Cunha e Pedralvarez Cabral, navigarono lungo l'attuale Somalia Italiana. Vasco da Gama, nel suo viaggio di ritorno, nel 1499 fece tirare alcune salve di artiglieria contro Mogadiscio; nel 1507 Tristam da Cunha bombardava Mogadiscio; nel 1517 Lopo Soarez prendeva d'assalto Zeila e la saccheggiava; nei 1528 Antonio de Miranda e nel 1542 Vasconcellos riprendevano per qualche giorno Zeila, senza però mai riuscire a stabilirsi definitivamente sulla costa somala. Per il viaggio di Dom Estevam da Gama a Mogadiscio, v. gama, estevam da.

L'esplorazione della Somalia, nel senso moderno della parola, s'inizia nel 1848 con la campagna idrografica condotta lungo le coste somale dalla nave francese Ducouëdic agli ordini del comandante Guillain. Questi, oltre ad assolvere il compito specificamente affidatogli, raccolse con grandissima cura notizie sulle regioni costiere e i loro centri e commerci, sugli abitanti, sulla storia del paese, ecc. Nel 1854 il capitano R. F. Burton compiva un viaggio da Zeila a Harar e dopo un breve soggiorno in quella città, tornava per la via di Berbera. La relazione, pubblicata in due volumi, col titolo Primi passi nell'Africa Orientale, è un'opera fondamentale per la conoscenza di questa parte del paese. Nello stesso anno e nel successivo, il luogotenente Speke, partito da Lasgorè puntava sul Darror a Ghat e raggiungeva nuovamente la costa per l'alto Gidali, attraversando così i territorî degli Uarsangheli e dei Haber Gheragi e toccando quello dei Dulbahareti. Dopo avere risalito il Giuba fino oltre Bardera, terminò nel 1865 una serie di fruttuosissimi viaggi scientifici il barone Carlo Claus von de Decken, trucidato con diversi compagni dai Somali. La fine tragica della spedizione determinò la perdita della maggior parte dei dati e materiali da essa raccolti. Poco più tardi il Brenner incrociava i suoi itinerarî nell'Oltregiuba. Notevole sviluppo assume l'esplorazione e lo studio della Somalia e dei Somali fra il 1870 e il 1880: il Miles descrive Bender Maraya, il Hildebrandt il paese Uarsangheli, il Haggenmacher e il Kirk visitano varie parti della regione, il Graves la Migiurtinia, il Paulitschke, il Harar, il colonnello Mohammed Muctar, cui sono pure dovuti notevoli studî su Harar, tratta dei Gadabursi, ecc. In questo periodo s'inizia l'attività esploratrice degl'Italiani nel Mar Rosso e in Abissinia, e molti di essi, come il Chiarini, il Cecchi, il Giulietti, scelgono per recarsi allo Scioa la via di Zeila e dell'Harar, e ne dànno quindi cenni descrittivi interessanti. Anche nel decennio successivo viaggiatori italiani estendono le loro ricerche dallo Scioa alla parte più elevata e più interna della Somalia: così nel 1886 Leopoldo Traversi insieme con il conte Antonelli accompagna Menelik in una spedizione militare contro gli Arussi e ne approfitta per descrivere il Lago Zuai e per identificare per la prima volta, oltre il Monte Cillalo, la regione sorgentizia dell'Uabi o Uebi Scebeli; e l'anno successivo Vincenzo Ragazzi accompagna lo stesso Menelik nella sua spedizione militare alla conquista di Harar, rilevando e descrivendo gl'itinerarî percorsi da Entotto all'Harar.

Intanto nel 1878-79 Giorgio Revoil percorreva e descriveva itinerarî tra il Capo Guardafui, Bargal e Candala, poi nel retroterra di Bender Cassim e finalmente nella regione Uarsangheli fino oltre il Darror, alle falde del Carcàr. In un secondo viaggio (1882-83) egli mirava a spingersi da Mogadiscio a Lugh, ma non si poté inoltrare oltre il Dafet per l'ostilità del sultano di Gheledi. Il Revoil raccolse materiali scientifici e particolarmente avanzi e rilievi paletnologici interessanti.

Un primo tentativo di penetrazione dal nord verso l'interno della Somalia fu compiuto dal commerciante Pietro Sacconi, che partito nel 1882 da Harar e varcato il Sulul, fu trucidato dagli Ogadēn a Cara Nogal. Ebbe invece esito fortunato la traversata effettuata nel 1884-85 dai fratelli James, che partiti da Berbera raggiunsero l'Uebi a Barre negli Sciaveli, tornando per una strada un po' diversa a Berbera. Poco dopo, nel 1891, Baudi di Vesme e Candeo partirono anch'essi da Berbera, e per Ergheisa e Milmil, cioè per una strada ancora più interna, raggiunsero attraverso l'Ogadēn (il "Paradiso dei Somali") l'Uebi Scebeli a Ime, dove stipularono con quei capi indigeni accordi economici e politici: le loro raccolte sono specialmente botaniche.

L'azione politica italiana, iniziatasi nel 1888 con la dichiarazione dei protettorati sui sultani di Obbia e dei Migiurtini, è accompagnata da un intensificarsi dell'attività da parte dei viaggiatori italiani. Luigi Robecchi Bricchetti, che appunto nel 1888 si era recato nell'Harar e ne aveva riportato interessanti materiali scientifici e vivaci descrizioni, due anni più tardi, recatosi in Obbia, compì un nuovo e più notevole viaggio seguendo la costa dell'Oceano Indiano fin quasi al Capo Guardafui, e traversando la penisola da Hogat ad Alula. Finalmente nel 1891, dopo essersi intrattenuto alquanto a Zanzibar e al Benadir, specie a Mogadiscio, il Robecchi intraprese un terzo viaggio, e partito da Obbia raggiunse l'Uebi nella piana degli Addon Sciaveli, lo risalì fino a Barri, poi puntò a nord per il Fafan, Gorrahei, Marandab ed Ergheisa, raggiunse Berbera, riportando itinerarî, dati meteorologici, campioni di rocce e di piante.

A Uarandab il Robecchi incontrò il principe Don Eugenio Ruspoli, che con due compagni, il Keller e E. Dal Seno, si dirigeva da Berbera a Barri sull'Uebi: dopo averlo risalito per un poco egli fu però costretto a tornare a Berbera.

L'anno appresso partiva da Berbera la prima spedizione del capitano Bòttego, di cui faceva parte anche il capitano M. Grixoni. Guadato lo Seebeli a Imi, la spedizione traversò i monti Anatu, raggiunse un affluente del Giuba detto Ueb e che egli chiamò Uebi Gestro, di qui passò sull'Uelmal, poi sul Ganale Diggò e finalmente visitò il corso principale del Guiba o Grande Gudda. Rinviato alla costa il Grixoni, che sulla via del ritorno penetrò per il primo in Lugh, il Bòttego completò l'esplorazione dell'alto bacino dal Giuba, risalì il Grande Guddà, e discendendo poi parte del corso del Daua, rientrò per Lugh a Brava.

Due mesi dopo del Bòttego, partì ancora da Berbera la seconda spedizione Ruspoli, composta di cinque europei. Questa seguì presso a poco la strada del Bòttego fino all'Ueb, ne discese il corso fino a Dolo e poi quello del Giuba fino a Bardera, dove poco prima era pervenuto da Brava Ugo Ferrandi. Tornato a Dolo, lo stato di salute dei suoi compagni obbliga due di essi a ripiegare su Lugh, dove furono più tardi raccolti e salvati dal Bòttego: il Ruspoli invece con il Riva e il Lucca, risalì il Daua e attraversato l'altipiano Giam Giam penetrò nel paese degli Amhara Burgi. Quivi attraversò il fiume Sagan, affluente del Lago Stefania, e vide in lontananza il Lago Ciamo. Stretti cordiali rapporti con il sultano Guio di Burgi, questi riconobbe allora l'autorità del governo d'Italia. Da Burgi il Ruspoli s'incamminò a sud verso i grandi laghi, quando un fatale incidente di caccia ne troncò la vita. I suoi compagni scesero per Dolo e Lugh a Brava.

Alle spedizioni Bòttego e Ruspoli è dovuta per intero la conoscenza dell'alto e medio bacino del Giuba. Alla conoscenza dell'alto Scebeli, raggiunto già dal Traversi parecchi anni prima, recò un notevole contributo l'americano A. Donaldson Smith che partito da Berbera nel 1894, da Sassabaneh risalì l'Uebi per un certo tratto; poi, visitato il marabutto di Scec Hussein, ripiegò su Barri e di qui riprese la via del Giuba, raggiunse il Lago Abbaia, e per il Lago Stefania e il Lago Rodolfo sboccò nell'Africa Orientale Britannica, recando un pregevole rilievo dell'itinerario e interessanti dati geografici, etnografici e naturalistici.

La seconda spedizione Bòttego, organizzata al pari della prima dalla Società Geografica Italiana, mirava a risolvere i gravi problemi dell'idrografia interna dell'Omo e del Lago Rodolfo. Ne fecero parte, con il capo, il tenente C. Citerni, il tenente di vascello L. Vannutelli e M. Sacchi, e in un primo tratto Ugo Ferrandi. Partita da Brava nell'ottobre 1895, la missione, recatasi per Baidoa a Lugh, vi lasciò il Ferrandi con l'incarico di fondarvi una stazione italiana, risalì per un certo tratto l'Uebi Gestro; poi, tornata a Dolo, risalì brevemente il Daua e per Ascebo giunse a Burgi. Quì scoprì un nuovo lago, il Pagadè, cui diede il nome di Margherita, indi, varcata la catena del Gughè (4300 m.) calò all'Omo, di cui seguì il corso fino al suo sbocco nel Lago Rodolfo, e risolvendo così quell'annoso problema. Dal Lago Stefania il Bòttego proseguì il viaggio al margine occidentale dell'altipiano, raggiunse Gambela e aggredito nei pressi di Ghidami nel territorio dei Galla della tribù Lieka Kiellem da un gruppo di armati Abissini, cadde ucciso il 16 marzo 1897. Anche Maurizio Sacchi, staccatosi dalla spedizione per mettere in salvo i materiali raccolti nella prima parte del viaggio, fu ueciso a tradimento dagli Abissini presso il Lago Margherita; ma i materiali e i rilievi furono tratti in salvo. Nel 1898 e 1899 ebbero luogo le due spedizioni di C. O. Tanner e del Jenner nell'Oltregiuba, allora appartenente all'Inghilterra.

Alla fine del sec. XIX e nei primi anni del secolo XX si svolsero altre tre grandi spedizioni: la seconda spedizione Donaldson Smith, che mirando a collegare il Lago Rodolfo col Nilo, interessa la Penisola Somala nel solo tratto da Berbera al Lago Rodolfo, in gran parte su percorsi già noti; la spedizione Erlanger (1899-1901) che scese dall'Harar all'Uebi e toccò Scec Hussein, percorse poi la depressione dei laghi fino a Burgi e ripiegò su Dolo e Chisimaio, raccogliendo materiali e dati interessanti sebbene su itinerarî in gran parte ormai già noti; finalmente la spedizione Du Bourg de Bozas che partita da Harar nel 1901 scese per l'Errer e il Dacato a Imi, e divisa in due gruppi perlustrò tratti dell'alto Giuba e dell'alto Uebi Scebeli fino presso le sorgenti di questo, e fece capo poi a Addis Abeba, per riprendere quindi, lungo la regione dei laghi Galla e del Lago Rodolfo, il viaggio verso il bacino del Congo e l'Atlantico.

La commissione per il confine italo-etiopico (1910) diretta per la parte italiana dal capitano C. Citerni, seguì e rilevò l'itinerario Harar-Monti di Laggio-Gobà-Ghigner-Dolo-Brava: le osservazioni topografiche sul confine furono interrotte dopo circa 200 km., ai pozzi di Jet.

Nel 1912 I. N. Dracopoli diede una descrizione della regione meridionale dell'Oltregiuba, fino alle paludi Lorian.

Questi ultimi viaggi avevano già uno scopo precipuo di ricerca o di rilevamenti di dettaglio più che di esplorazione vera e propria, e tale carattere ebbero essenzialmente il viaggio di G. Stefanini e G. Paoli nella Somalia meridionale (1913), quello di V. Tedesco Zammarano nella regione dei Balli (1921-22), quello di Wyllie e Smellie nella Somalia Britannica (1923), quello di Glenday nell'Oltregiuba, ecc. Itinerarî in gran parte nuovi furono invece percorsi nel 1924 da G. Stefanini, N. Puccioni ed E. Coronaro nella Migiurtinia, seguendo prima il sentiero litoraneo Hafun-Eil, già percorso in senso inverso dal Robecchi Bricchetti, e da Ehil risalendo il basso Nogal fino a Taleh, da dove per Boran e il Carin i viaggiatori scesero al mare a Bender Cassim. Nel 1929-30 una missione italiana, di cui era a capo E. Cerulli, e una missione britannica, di cui era a capo il colonnello J. H. Stafford, avendo il compito di delimitare la frontiera italo-britannica nella Somalia, percorsero tutta la zona fra il Golfo di Aden e i limiti dell'Ogaden, rilevando tutta la regione con due squadriglie di aeroplani, per aereofotogrammetria. È stato questo il primo confine fra due stati interamente rilevato a mezzo dell'aviazione. La Migiurtinia fu poi, con scopi minerarî, percorsa dagli ingegneri Gerbella e Felsenhart nel 1929.

Carattere di grande esplorazione assunse il viaggio di S. A. R. il duca degli Abruzzi, nel 1928. Partita da Hadama sulla ferrovia di Gibuti la spedizione penetrò negli Arussi e puntò direttamente alle sorgenti dell'Uebi Scebeli, che vennero individuate al pari di quelle prossime dell'Ueb (Uebi Gestro). Di qui l'Uebi Scebeli fu seguito in modo quasi continuo e rilevato con gran cura al pari dei suoi affluenti di destra, fino al confine della Somalia Italiana.

Con questo grande viaggio si chiude la serie delle esplorazioni della Penisola Somala, la cui conoscenza è dovuta in modo di gran lunga preponderante all'opera di viaggiatori italiani.

Costituzione fisica. - La Somalia, nel suo assieme, si presenta come un vastissimo tavolato, disposto obliquamente a SE. dell'altipiano etiopico, che esso fronteggia in parte con la sua scarpata più ripida, essendone separato appunto da quella depressione del Hauasc e dei laghi galla, che abbiamo considerato come limite naturale della regione, mentre nella sua parte orientale questa scarpata sovrincombe prima alla zona depressa dell'Aussa, più oltre al Golfo di Aden, di cui forma la costa meridionale, continuandosi finalmente nel rilievo dell'Isola di Socotra e delle minori Samha e Abd el Kuri, che emergono dall'Oceano Indiano a oriente del Capo Guardafui, e geograficamente appartengono alla Somalia. Le maggiori elevazioni si dispongono al sommo di questa scarpata occidentale, che si presenta ripida, a scaglioni, e superano i 3000 m. nei Monti Giam Giam e Burgi, si avvicinano ai 4000 m. con i Monti Sidamo (M. Cillalo, m. 3655; M. Cocca, m. 3820) nell'alto Uabi e con i monti di Laggio e del Bale sulla destra di questo fiume; toccano i 3256 m. con i Monti Fagogi, i 1569 nei Cialanco, i 2896 nel Kundudo che domina la città di Harar; nei Golis donde si origina il Nogal, nell'Uagar, nei Surur Ad, si mantengono su per giù intorno ai 2000 metri, raggiungono appena i 1590 nell'Ahl Medò, risalgono oltre i 2000 nell'Ahl Mescad (Bogor, metri 2590) e tornano a decrescere avvicinandosi al Guardafui (M. Hoda, m. 1400; Ahl, m. 600). Socotra però emerge con il Monte Dryat a 1500 m. e più. Da questa cresta più o meno accidentata l'altipiano declina, nel suo insieme dolcissimamente, verso SSE., cioè verso l'Oceano Indiano: nella parte meridionale il tavolato si sommerge sotto una spessa coltre eluvio-alluvionale, dovuta ai depositi del Tana, del Giuba e dell'Uebi Scebeli, formanti una vasta pianura litoranea orlata di dune potenti e da una costa sabbiosa quasi rettilinea; più a nord il tavolato si avvicina al mare e finisce, a N. di Obbia, con essere troncato dall'erosione marina, che determina la formazione di una costa un poco accidentata e di una falesia calcarea o arenacea, a picco sul mare, di altezza crescente man mano che si procede verso Ras Hafun. Sul litorale del Golfo di Aden, il cui andamento è in gran parte dovuto a fratture geologiche, si alternano tratti in cui l'altipiano incombe sul mare, come presso Durbo, a Mahet, a Ras Ganzir, e tratti depressi, in cui più o meno se ne allontana.

Geologia. - Geologicamente, il tavolato somalo ha carattere prevalentemente sedimentare. Le rocce cristalline antiche - graniti e scisti cristallini della serie di Inda Ad - che formano l'imbasamento dell'altipiano, affiorano a tratti lungo la costa del Golfo di Aden: nel retroterra di Zeila e di Berbera fino al passo di Meraia (Miriya) e poi tra Heis e Elaia nella Somalia Britannica, e in piccoli lembi presso Bender Cassim e a Ras Hantara nella Somalia Settentrionale Italiana; attorno a Harar e poi a sud di questa città nel fondo delle valli dell'Errer, del Dacato, del Fafan e del Gerèr l'erosione torna pure a scoprire le rocce cristalline; le quali finalmente emergono dalla coltre eluviale in forma di spuntoni rocciosi, nella zona dei bur nella Somalia Meridionale Italiana. Su questo imbasamento cristallino riposa una serie di strati d'arenarie varicolori con gessi, riferibili al Triassico e al Giuraliassico (arenarie di Lugh) affioranti appunto intorno a Lugh e poi per lunghi tratti nelle valli del Ganale Doria e dell'Uebi Gestro e in quelle dell'Uebi Scebeli tra Imi e Bulo Burti, e inoltre nelle valli a sud di Harar e in qualche tratto della Somalia Settentrionale Britannica e Italiana. Il Giurassico medio e superiore è rappresentato da calcari marnosi (serie di Bardera) riccamente fossiliferi con Ammoniti e Brachiopodi, larghissimamente estesi nei tavolati a ovest del 45° meridiano, fra Harar e Bardera; minori lembi si osservano a Bio Caboba in territorio abissino e poi verso il Golfo di Aden a Meregalleh, a Colon, a Bihendula, a Las Gorè, in territorio britannico, e a Bender Cassim, a Ras Hantara, a Durbo, ecc., in territorio italiano.

Il Cretacico è rappresentato da due facies: una facies arenacea e una facies calcarea. La facies continentale o litoranea, di arenarie varicolori con gessi del tipo delle arenarie nubiane è estesa specialmente nell'Oltregiuba (arenarie dei Merehàn) in vasti lembi nella Somalia Britannica (arenarie di Dubar) e in una lunga fascia attraversante obliquamente la penisola da Dauenle in territorio francese e poi da Bio Caboba, parallelamente alla sponda sinistra del Gerer, del Fafan e del medio Uebi Scebeli, fino all'altezza di Bulo Burti nella Somalia Italiana (arenarie di Jesomma). La facies prevalentemente calcarea, e francamente marina con Orbitoline e Rudiste, è distribuita in lembi nell'alto Uabi, tanto nel Bale quanto negli Arussi e nel Cercer, poi lungo il medio Uebi Scebeli e basso Fafan, tra la zona degli Ogadēn Abdalla e degli Sciaveli a monte di Barre, fino a valle di Bulo Burti a Missarole e Lammacad (serie di Giglei) e finalmente in lembi più o meno estesi nella zona litoranea del Golfo di Aden, tanto in territorio britannico, quanto in territorio italiano e nell'Isola di Socotra. L'Eocene è rappresentato da calcari compatti ad Alveolina, calcari grossolani, calcari compatti e calcari marnosi fogliettati nummulitici riccamente fossiliferi, talora selciferi (serie del Carcar, serie di Boran, strati di Auradle e di Allahkagid, strati di Daban) con interposto un complesso di marne talora selcifere, con gesso e anidrite (serie di Taleh, formazione gessoso-anidritica). Formano quasi per intero il tavolato nel triangolo a NE. della fascia di arenarie cretacee sopra descritta, a NE. cioè di un allineamento Ergheisa-Mereg. Un lembo di questa formazione calcarea eocenica, con imbasamento cretaceo o granitico, costituisce anche Socotra e le isolette vicine. L'Oligocene (serie di Hafūn) è rappresentato da marne gessifere, arenarie e sabbie quarzose e calcari marnosi fossiliferi, con Nummuliti e Lepidocicline facenti passaggio ai calcari marnosi e calcari coralligeni, talora ceroidi o cristallini, del Miocene. Questi depositi formano limitati lembi, distribuiti lungo le coste sia dell'Oceano Indiano, a N. di Obbia specialmente fra la foce del Nogal e il Capo Guardafui, sia del Golfo di Aden tra il Capo Guardafui e Bulhar. Depositi marini pliocenici non sono noti: al Pliocene e al successivo Quaternario appartengono però crostoni calcarei e calcari di steppa, travertini, sabbie eoliche, terre rosse più o meno lateritiche, depositi di sebca, depositi alluvionali, ecc. che velano il suolo per grandi estensioni un po' dappertutto. Tracce di una limitata risommersione e successiva emersione si osservano solo sui margini della penisola, e sono rappresentate da panchine litorali ora coralligene ora conchigliacee, distribuite in lembi su tutta la costa del Golfo di Aden e su quella dell'Oceano Indiano dal Capo Guardafui a Obbia; mancano nel tratto fra Obbia e la foce del Giuba, ma si ritrovano qui, presso Giumbo e Chisimaio e nella costa e nelle Isole dei Bagiuni (Oltregiuba). Rocce vulcaniche (specialmente basalti e tufi liparitici o riolitici) di diverse età terziarie e quaternarie, si estendono in vaste plaghe della parte elevata degli altipiani, nella zona di Lugh, nel retroterra di Berbera, tra Lasgore e Bender Ziade, a Bender Chor, ecc.

Clima. - Il clima della Somalia è, nel suo complesso, un clima arido o semiarido, assai caldo, e subdesertico nella parte settentrionale e nella occidentale dove l'altitudine fa anche sentire efficacemente la sua influenza. Il motivo dominante è rappresentato dai monsoni, venti periodici che nell'estate spirano dai quadranti meridionali marittimi, e sono perciò umidi e alquanto meno caldi, nell'inverno invece s'identificano con gli alisei e soffiano da NE., cioè da regioni continentali elevate, e sulle quali corre l'equatore termico, onde l'inverno è in quasi tutta la penisola più caldo e asciutto dell'estate. Le piogge cadono nelle due stagioni intermedie, di primavera e di autunno, e aumentano di quantità procedendo dalla costa verso l'interno, in ragione specialmente dell'altitudine. Così, mentre a Brava, nella regione marittima, si attribuisce una media di circa 300 mm. annui, e ad Afgoi, nella zona litoranea interna, una di 421 mm., Harar, al margine superiore del tavolato, a m. 1856 sul mare, ha 895 mm. di pioggia. Anche nella distribuzione delle piogge durante l'anno non si osserva uniformità: la distinzione in due periodi piovosi cui abbiamo accennato, e che è propria del clima monsonico, si avvera in pieno nella Somalia meridionale, per esempio a Mogadiscio o a Bardera; più a nord, verso l'Harar i due periodi si ravvicinano e si fondono in un unico massimo di piogge primaverili-estive, come sull'altipiano etiopico, in dipendenza del regime tropicale sudanese, mentre verso il sud, per es. a Chisimaio (mm. 384), si passa a un regime di tipo equatoriale.

Acque. - Queste condizioni climatiche, insieme con la natura calcarea o gessosa, carsica, delle rocce prevalenti e alla forma tabulare del rilievo, determinano il regime dei corsi d'acqua; è per questi motivi che tutti i corsi d'acqua della parte settentrionale della penisola - tanto quelli marginali del ristretto versante del Golfo di Aden, quanto quelli che volgono all'Oceano Indiano, taluni dei quali ragguardevolissimi per l'estensione del loro bacino e la lunghezza del corso, come il Giahel, il Darror e il Nogal - non sono in sostanza che torrenti temporanei, attivi generalmente solo pochi giorni dell'anno, e privi talvolta perfino di continuità morfologica nel loro letto attuale. I soli corsi d'acqua perenni sono quelli che attingono ai massicci più elevati e più interni dell'altipiano e attraversano la parte più meridionale e quindi meno arida della penisola: l'Uebi Scebeli e il Giuba. Il primo, sgorga dai Monti Malche nel paese dei Sidamo a 2860 m., descrivendo un grande arco di cerchio; la sua valle stretta e profonda, interrotta da pittoresche cascate, raccoglie da sinistra le acque degli altipiani Arussi e dell'Harar per mezzo di numerosi affluenti: Halal, Hadido, Daro, Scianan, Dungata, Ramis, Errer, Dacato. Il medio corso, a valle di Imi, attraversa una regione arida, nella quale non solo cessa ogni sensibile apporto di acqua, ma l'evaporazione e le inondazioni sottraggono sempre più acqua al fiume, finché questo si esaurisce prima di raggiungere il Giuba, cui sarebbe diretto.

Il Giuba o Ganana trae origine da tre rami principali, il Ganale Doria, il Daua Parma e l'Uebi Gestro, che con i loro affluenti formano un fitto e complesso sistema di valli solcanti profondamente l'altipiano dei Sidama, dei Giam Giam, dei Borana e degli Arussi. Il corso medio si può fare cominciare a Dolo, dove a breve distanza l'uno dall'altro confluiscono nel Ganale l'Ueb da sinistra e il Daua da destra. Nel medio e basso corso il fiume, largo e ricco di acque, non riceve tributi perenni e neppure temporanei, che siano di qualche importanza: esso è tuttavia navigabile e fiancheggiato di foreste o di coltivazioni. Sbocca nell'Oceano Indiano a Giumbo, poco a N. di Chisimaio (v. giuba). Verso il basso Giuba si dirige da S. il Lacderr, che l'emissario temporaneo delle paludi Lorian, nel Kenyaland, alimentate alla loro volta dall'Uaso Nyiro: il Lacderr spaglia vicino al Giuba in una depressione paludosa, il Descec Uama. Nell'Oltregiuba alcuni corsi d'acqua marginali, come il Bubasci e l'Anole, sboccano all'Oceano attraverso estuarî.

Laghi veri e proprî non esistono in Somalia; sono però numerosi i piccoli specchi d'acqua d'origine carsica o dovuti all'irregolare deflusso dei torrenti.

Le principali risorse idriche sotterranee sono in rapporto col corso subalveo dei torrenti, o con un sistema carsico che fornisce spesso acque discrete, o con l'assorbimento diretto da parte delle sabbie superficiali, e allora l'acqua è spesso più o meno carica di sali. Falde acquifere profonde, spesso salmastre, sono state identificate nelle pianure alluvionali dell'Uebi Scebeli e del Giuba.

Flora. - Con le condizioni del clima e delle acque, sia superficiali sia sotterranee, è in rapporto la distribuzione della vegetazione. In generale il clima della Somalia non è tale da consentire la vita di piante, che non siano specialmente adattate a concentrare nel breve periodo della stagione piovosa le loro funzioni di nutrizione e di riproduzione, passando spesso in una specie di letargo i lunghi periodi di siccità e difendendosi con ogni sorta di mezzi dal disseccamento.

Secondo E. Chiovenda, si possono distinguere nel territorio somalo tre regioni fitogeografiche, dotate di caratteri climatici e floristici assai peculiari: Somalia settentrionale, media e meridionale.

Nei monti Golis (Somalia Settentrionale) al disopra di 1500 m. vi sono foreste di ginepri che alcuni ritengono identici allo Juniperus procera dell'Abissinia e del Kenya, mentre O. Stapf li crede simili allo J. macropoda Beiss., specie asiatica che dai monti del Caucaso e della Persia giunge al Nepal e si trova anche nei monti dell'Omān; nella parte più orientale della catena fra i 500 e 1200 m. nel fondo delle valli vi sono o boschetti di Conocarpus lancifolius, cui si associano Grewia bicolor, Olea somalensis, Buxus Hildebrandtii, Ficus somalensis e salicifolia, Salvia somalensis, Tarchonanthus camphoratus, Pittosporum abyssinicum, Commiphora somalensis, Maesa lanceolata, Hyphaene carinensis, ecc.

Questi diversi elementi, quando sono isolati, hanno aspetto arbustivo e non superano i 3-4 m. d'altezza, mentre quando si riuniscono insieme in formazione boscosa assumono sviluppo simile a quello degli alberi dei nostri boschi: questo avviene specialmente presso i corsi d'acqua, dove sono frequenti specie scandenti come: Oxystelma Alpini, Salvadora persica, Caucanthus edulis, Ruthya fruticosa, Trematosperma cordatum.

Sulle rocce verticali fino a 1000 m. s. m. abbonda la Boswellia Freereana, che è l'albero dell'incenso e crescono insieme anche Lavandula pubescens, Senecio Gunnisii, Dracaena schyzantha, ecc.

Un esame della flora della Migiurtinia, ci rivela una grande abbondanza di alofite: Suaeda, Arthrocnemum, Nitraria, Statice, Avicennia, Juncus, ecc.: si vede che gli elementi legnosi hanno il sopravvento sulle piante erbacee e vi sono copiosi gli elementi fruticosi, che costituiscono la caratteristica di questa vasta e sterile regione. Inoltre, non manca un discreto numero di piante grasse, che accentuano lo xerofitismo del territorio.

La flora della Somalia centrale rivela la straordinaria scarsità delle precipitazioni atmosferiche, tanto che nelle piante che crescono anche nei territori adiacenti si osserva una grande riduzione in tutti gli organi, ma particolarmente negl'internodî caulinari. La foresta manca totalmente, la boscaglia si va riducendo, aumenta il numero delle specie endemiche, perché il clima e le condizioni fisico-chimiche del suolo esercitano un'azione limitatrice e isolante analoga a quella che il mare esercita sulle flore insulari. La presenza sulla duna litoranea mobile di un individuo di Lycium persicum di grandi dimensioni dimostra che molte essenze arbustive assurgerebbero a sviluppo arboreo se rispettate dagli uomini e dagli animali.

Nella Somalia meridionale la vegetazione presenta grandi punti di contatto con quella dell'Abissinia: circa il 60% delle piante conosciute sono comuni con l'Ogadēn e con il paese dei Boran.

La flora littoranea varia in rapporto con la costituzione della costa, a seconda cioè che si tratti di rocce prospicienti il mare, spiagge arenose con dune mobili che qui sono prevalenti, oppure spiagge pantanose che si trovano presso la foce del Giuba in vicinanza di Giumbo. La prima fissatrice delle sabbie è la Scaevola, che forma masse di vegetazione globosa a frangivento; alla foce del Giuba vi è qualche formazione a mangrovie, con Avicennia marina, Rhizophora mucronata, Bruguiera gymnorrhiza, Suaeda monoica, Xylocarpus obovatus. Sul Giuba sotto Bardera vi è una tipica foresta tropicale a galleria con Uvaria Denhardtiana, Garcinia Ferrandii, Sterculia Rivae, Grewia villosa, parecchie specie di Acacia, Albizzia, Combretum, Ficus, ecc.

Questa vegetazione forestale delle rive del Giuba giunge fin quasi a Dolo, ma con il procedere verso l'interno si aggiungono alcune specie dell'Abissinia meridionale quali: Tamarix aphylla, Maerua farinosa, Grewia Fenax, Cordia gharaf, Gymnosporia senegalensis, ecc.

La pianura per larghi tratti nella parte più interna è rivestita dalla boscaglia, che è una formazione più o meno densa di arbusti spesso spinosi: in alcuni tratti scompare lasciando una magra vegetazione erbacea di piante perenni con grossi tuberi, bulbi o rizomi atti a resistere alla siccità. Nella boscagiloa vi sono piante a portamento arboreo, arbusti alti 2-4 m., elementi scandenti, vegetali succolenti e fra questi vi è una vegetazione erbacea di Helichrysum glumaceum, Tribulus terrestris, Barleria acanthoides, Hypœstes verticillaris, Hibiscus cannabinus, Aerua lanata e brachiata, Conyza aegyptiaca, Crinum somalense, Sansevieria, e come parassite si trovano parecchi Loranthus e Striga.

Negli acquitrini della boscaglia vivono come galleggianti: Aponogeton abyssinicus, Lymnophyton obtusifolium, Wollfia hyalina, Nymphaea lotus, ecc.; nei pantani si trovano: Cyperus amabilis, distans, exaltatus; Scirpus articulatus, Heliotropium supinum. Nei Bur vi sono molte specie rupicole e nella boscaglia della regione interna dello Scebeli si riscontrano parecchie piante comuni con l'Ogadēn e l'Abissinia meridionale.

La Somalia floristicamente appartiene al dominio etiopico, che pel centro ha il nucleo montuoso dell'Abissinia, dal quale sembra s'irradiino gli elementi floristici fondamentali che si spingono sulle alte montagne equatoriali (Kilimangiaro, Kenya, Ruvenzori, Elgon, ecc.) e sugli altipiani esistenti fra il Kilimangiaro e il lago Vittoria.

Delle 189 famiglie di piante vascolari comprese nella flora etiopica, solo 112 esistono in quella somala e precisamente:

Le Pteridofite sono scarsissime anche nel numero di generi e specie; le Gimnosperme sono rappresentate solo da Juniperus e Ephedra con una specie per ciascuno. Delle Monocotiledoni mancano le famiglie acquatiche delle regioni temperate e fredde e quelle delle foreste tropicali; delle Dialipetale e Monoclamidee mancano le famiglie delle regioni temperate che in Etiopia vivono sulle alte montagne (Salicacee, Miricacee, Ranunculacee, Berberidacee, Papaveracee, Rosacee, Linacee, Ossalidacee, Cornacee, ecc.), alcune famiglie acquatiche (Ceratofillacee, Droseracee, Podostemonacee, Callitricacee) e altre famiglie tropicali (Piperacee, Opiliacee, Miristicacee, Monimiacee, Connaracee, Begoniacee, Dipterocarpacee, Canellacee, Oliniacee, Alangiacee, ecc.), le Frankeniacee e Cistacee che sono proprie delle regioni mediterranee e i cui rappresentanti si trovano nella parte più settentrionale dell'Etiopia. Le Lauracee sono rappresentate solo dal genere parassita Cassytha; le Barbeyacee e Hernandiacee che esistono nella flora eritrea qui mancano completamente.

Delle Gamopetale mancano le Ericacee, Primulacee, Loniceracee, Valerianacee, Mirsinacee, Ebenacee, ecc.

Notevole per le ragioni suesposte è il numero degli endemismi; le famiglie più ricche di specie endemiche sono: Capparidacee, Malvacee, Burseracee, Papilionacee, Rutacee, Composte, Acantacee, Euforbiacee, Gigliacee, Graminacee. Hanno invece una sola specie endemica: Violacee, Flacourtiacee, Tamaricacee, Guttifere, Rutacee, Simarubacee, Ramnacee, Sassifragacee, Turneracee, Acariacee, Aizoacee, Araliacee, Salvadoracee, Bignoniacee, Globulariacee, Poligonacee, Idnoracee, Santalacee, Buxacee, Iridacee.

Non mancano piante spontanee utili, fra le quali primeggiano alcune specie di Boswellia e di Commiphora che dànno le gommoresine e particolarmente l'incenso, la mirra, il molmol, il bdellio; i licheni da oricello che vivono a ciuffi sulle acacie della boscaglia e sul terreno (Roccella Montagnei e R. fuciformis), alcune acacie da gomma, ecc.

Fauna. - La fauna africana è rappresentata, si può dire, in pieno nella Penisola Somala: nelle foreste e sulle rupi abbondano cinocefali e cercopitechi e non manca qualche notturno lemuride. Elefanti e rinoceronti sono ancora abbondanti in certe regioni, frequente è il bufalo, abbondanti la zebra e la giraffa, comunissimo, nei due fiumi perenni, l'ippopotamo. Cinghiali e facoceri sono dovunque le condizioni di ambiente lo permettano. Innumerevole è la famiglia delle gazzelle, dal minuscolo dig dig della boscaglia alla massiccia balanca, che frequenta le vicinanze dei fiumi, dalla rara Ammodorcas, che dal Nogal si spinge all'Uebi, alle torme di Oryx e di Kudu che pascolano nelle praterie cespugliose accompagnate non di rado dal gherenuc, dal cobus, dal damalisco e, nell'Oltregiuba, dalla gazzella di Grant. Tra i felini, oltre al leone e al leopardo, sono frequenti il gattopardo, il ghepardo, la lince: tra i canidi le due specie di iene (crocuta e striata), lo sciacallo, il licaone che vive in torme numerose. Dei rosicanti ricordiamo l'istrice, la lepre e un curiosissimo rosicante sotterraneo, caratteristico della regione, l'eterocefalo. Gli uccelli sono copiosi specialmente nella Somalia meridionale e sugli altipiani: svariati palmipedi e trampolieri (fra cui i marabù e gli aironi candidi delle preziose aigrettes) vicino ai fiumi e agli stagni; ottarde e quaglie nelle praterie; galline di faraone, pernici, francolini nelle radure della boscaglia; colombi e tortore nei dintorni dei pozzi; struzzi nelle zone più aride e disabitate. Le acque correnti pullulano di coccodrilli e non vi mancano le tartarughe (Trionyx); un grande Varanus si osserva spesso nei luoghi freschi; sulle rupi littoranee, specialmente della Migiurtinia, vive il variopinto Aporoscelis, nelle boscaglie aride, specialmente di Obbia, camaleonti e altri piccoli rettili abbondano; abbondano anche i serpenti, tra cui grossi pitoni e trigonocefali velenosi; fino sotto le pietre e nel terreno si rifugiano le Anfisbene, rettili vermiformi apodi e ciechi. Finalmente tra i pesci, oltre ai numerosi e giganteschi siluridi e ai singolari prototteri del Giuba e dell'Uebi Scebeli, sono da ricordare i curiosi pesci ciechi di alcuni pozzi (Uegitglanis). Il mare è ricco di fauna e i bagiuni delle Isole Dundas nell'Oltregiuba effettuano la pesca della tartaruga per mezzo delle remore, mentre lungo tutte le coste si pescano oltre alle tartarughe gli squali, per le loro pinne.

Degl'Invertebrati ricordiamo solo la mosca tse-tse, che presso alle acque propaga negli animali la malattia del nagana; le zanzare ospiti intermedie della malaria, anche queste specialmente frequenti nella Somalia meridionale e nell'Oltregiuba; e poi scorpioni, scolopendre, giganteschi scarafaggi e finalmente le termiti, che edificano i loro nidi in forma di grossi mucchi di terra rossa, specialmente nella boscaglia.

Etnografia. - Gli abitanti della penisola somala si possono riportare a quattro gruppi principali: Somali, Galla, Negri e paria d'incerta origine. Lungo la costa si trovano gruppi arabi o di altre provenienze asiatiche.

I Somali si distinguono in cinque gruppi principali: nella Somalia settentrionale Isāq, Darod e Dir; nella Somalia meridionale Hauia (Hawiyya) e Dighil (v. voci corrispondenti); di questi cinque gruppi, soltanto i primi quattro si considerano di origine nobile e più pura, mentre l'ultimo è considerato inferiore, e infatti i Dighil sono dai gruppi più nobili accomunati con i negroidi ex-schiavi nell'appellativo di Sab. Nella Somalia meridionale i gruppi che abitano nel nord (Isāq, Dir e Darod) sono alla loro volta conosciuti col nomignolo di Heggi.

In vicinanza del corso dei due fiumi principali vivono i gruppi Negri. Sull'Uebi Scebeli se ne distinguono due nuclei principali: uno nell'alto corso del fiume (Sciavele), l'altro nel corso medio (Scidle); lungo il Giuba, specialmente nel suo corso inferiore, sono riuniti i cosiddetti Uagoscia, tribù negroidi appartenenti a varî e numerosi gruppi. Le popolazioni di bassa casta, le cui stirpi hanno origine etnica probabilmente analoga fra loro come formazione storica ma differente per elementi costitutivi, vivono generalmente insieme con le tribù somale che le hanno sotto il loro patronato (nel nord: gli Yibir, indovini; i Tumāl, fabbri; i Midgan, cacciatori che vivono con gli Isāq e con i Darod; i Giagi, pescatori, lungo le coste dell'Oceano Indiano, specialmente in territorio dei Migurtini; gli Yaḥḥar, e gli Eile cacciatori; i Darḍo, tessitori vivono con gli Hawiyya; i Ribi, cacciatori; i Musa Ḍēryo, vasai, vivono con i Dighil). Sul Giuba e nella regione fra Giuba e Tana le popolazioni di cacciatori Sanye e Boni hanno invece una propria autonomia, pure essendo ritenuti di bassa casta dai Somali che le circondano. In alcune località della costa si distinguono poi popolazioni che devono essere considerate assolutamente a sé, in quanto nulla hanno di comune tanto dal punto di vista somatico che da quello etnografico, con i gruppi somali e negroidi; fra queste popolazioni sono da citare i Bagiuni e gli Amarani. I primi vivono a Chisimaio e nell'arcipelago situato parallelamente alla costa fra quella città e Burgao; i secondi abitano a Brava dove costituiscono la grande maggioranza della popolazione cittadina.

Oltre ai gruppi finora citati che rappresentano la parte essenziale degli abitanti della Somalia, si deve rammentare un numero assai rilevante di Arabi, specialmente originarî dell'Arabia meridionale, sparsi un po' dappertutto nei centri abitati dove esercitano un minuto commercio; nelle città della costa e solo eccezionalmente in qualcuno dei centri dell'interno, il commercio più importante è nelle mani d'Indiani, dei quali i nuclei più numerosi sono fissati a Chisimaio e Mogadiscio; in numero minimo, nelle città della costa, si trovano anche raggruppamenti di Ebrei yemeniti.

I Somali sono principalmente pastori, con un seminomadismo che esercitano nel territorio relativamente ristretto riservato al pascolo delle greggi di ciascuna tribù; nelle vicinanze del corso dei fiumi e nelle regioni della cosiddetta "terra nera" che è di grande fertilità, posseggono anche campi che i gruppi più nobili fanno coltivare dai loro ex-schiavi, oggi servi liberti, appartenenti alle tribù negroidi. I gruppi Sab invece, coltivano in parte la terra, insieme con i loro schiavi liberti, e si dànno anche all'esercizio della caccia, che, dai gruppi nobili, viene considerata come un'occupazione degradante.

L'organizzazione sociale somala è basata sul sistema gentilizio della discendenza in linea maschile che viene trasmessa di generazione in generazione per tradizione orale, così che ogni Somalo, in qualsiasi momento, è capace di recitare esattamente la propria genealogia completa. L'elemento più semplice di questa formazione è il rer corrispondente alla famiglia agnatizia; i rer sono riuniti in tol, o tribù, generalmente conosciute, nel gergo degli uffici, anche col nome arabo di cabila, le quali fanno capo, secondo la tradizione, a un comune progenitore di tutte le rer che la compongono: le varie cabile formano le divisioni principali o gruppi ai quali è stato già accennato. I gruppi etnici possono adottare sia singoli individui sia famiglie di diversa origine. È questo un modo importante di rafforzamento dei singoli gruppi e ha conseguenze anche nel campo politico e giuridico. Gli adottati sono designati nel gergo della Somalia Italiana col nome di arifa, che è una storpiatura dell'arabo ḥalīf. La tribù o cabila e la rer obbediscono a un capo.

In molti gruppi il capo è ereditario e, in tal caso, egli (e la sua famiglia, in grado minore) hanno speciali prerogative derivanti dalle note idee sul potere magico del sovrano: sacrificio solenne delle vittime; "benedizioni" alla tribù impartite secondo formule rituali; potenza magica dello sguardo, ecc. In altri gruppi invece il capo tribù è elettivo e viene accettato dall'assemblea della tribù. Questa assemblea, composta degli uomini atti alle armi (gašān-qād: lett. "portatore di scudo") della tribù, si riunisce almeno una volta all'anno: presso le tribù Hawiyya, a una data e in una località tradizionali per ogni tribù. La continuità del governo della tribù è invece assicurata dal consiglio degli anziani che di solito assiste il capo. In alcune tribù vi era anche una particolare magistratura per l'ospitalità e l'assistenza agli stranieri (gogollà; marti-sōran, ecc.).

Il pastore nomade abita una capanna trasportabile, ad alveare, costituita da uno scheletro di rami curvati ad arco, ricoperto di stuoie; nelle regioni dove i gruppi somali posseggono coltivazioni, cioè lungo il corso dei fiumi, nella zona di terra nera e in vicinanza di sorgenti, si osserva la presenza di villaggi stabili con capanne cilindriche a tetto conico o, più raramente, quadrilatere a tetto con due spioventi. Questi ultimi due tipi di abitazione non sono, però, di origine somala, il primo essendo di origine negra; il secondo, assai diffuso lungo tutta la costa nord-orientale africana, è dai più, ritenuto di origine araba. La suppellettile che mobilia la capanna è, in genere, assai povera e sommaria: il letto è costituito da una stuoia di costole di foglia di palma, sostenuta da una rozza intelaiatura di bastoni e sollevata dal suolo su quattro piedi; nelle capanne stabili, tuttavia, questo letto è sostituito da una specie di angareb di tipo abissino; qualche sgabello di legno completa l'ammobigliamento. I recipienti per il trasporto dell'acqua, del latte e del burro sono, presso i nomadi, fabbricati in prevalenza con legno, o paglia o fibre di palma con intrecciatura quasi sempre a spirale. La ceramica è poco usata dai nomadi e, se mai, vengono adoperati recipienti piccoli: ne è però ignoto l'uso nella Somalia settentrionale (ex-sultanato dei Migiurtini e, in parte, ex-sultanato di Tìbbia). Nella Somalia meridionale si fabbricano ceramiche piuttosto fini e assai ben cotte a Danane e nella regione di Bur Hacaba. Il poggiatesta, usato largamente dai nomadi della Somalia meridionale, che lo portano sempre con sé, è di forma differente secondo debba servire all'uomo (sostegno semplice a colonna o doppio sostegno) o alla donna (sostegno largo e più solido): anche questo utensile, come la ceramica, non è conosciuto nella Somalia settentrionale.

Il vestiario, tanto per gli uomini quanto per le donne, consiste in due teli di cotonata lunghi ciascuno sette braccia e mezzo, cuciti insieme per uno dei lati più corti (somalo maro; arabo fūṭah o genericamente tawb; quest'ultima voce, nella forma dialettale tōb, è usata poi nel commercio e designare appunto la misura di 71/2 braccia): queste cotonate venivano, un tempo, tessute localmente, oggi sono importate dall'India, dall'Europa e anche dall'America, sebbene ancora, specialmente a Mogadiscio, si tessano le cosiddette "fute Benadir" con disegni lineari a colori vivaci, prevalentemente gialli e rossi. La quantità di cotonata necessaria alla confezione di un tōb costituiva, un tempo, un'unità di moneta ed era largamente adoperata per i cambi. La futa viene strettamente avvolta ai fianchi dagli uomini che portano sulle spalle e anche sulla testa una seconda futa: le donne, invece, annodandone un'estremità sulla spalla sinistra, avvolgono il rimanente intorno al corpo al disopra del seno fino a riportarne l'estremità libera sulla spalla destra: per l'abbigliamento femminile sono preferite le stoffe colorate. Gli uomini vanno a testa scoperta e lo stesso fanno le ragazze che prima del matrimonio portano i capelli tagliati, ma dopo le nozze, lasciatili crescere, avvolgono le loro trecce in due o tre fazzoletti di seta e si stima inverecondo che si mostrino a testa scoperta. Come calzatura sono adoperati i sandali di cuoio; in boscaglia si va spesso a piedi nudi; durante la stagione delle piogge e specialmente nei terreni paludosi si usano zoccoli di legno. Grandi pettini di legno a sei o sette denti a crinali di corno di antilope o di legno sono adoperati dagli uomini e dalle donne per curare la capigliatura che in talune tribù della Somalia meridionale è, fra gli uomini, acconciata in pettinature complicate. Le donne si adornano con orecchini, braccialetti e collane di stagno o di conterie o, tra le più ricche, di argento, opera di orefici per lo più arabi; uomini e donne portano al collo, oppure legati alla metà del braccio, sacchetti di cuoio contenenti scritture coraniche, oppure pietre colorate e frammenti di conchiglie che servono da amuleti. Deformazioni e mutilazioni non ne esistono all'infuori della circoncisione, di origine araba, per i maschi e della infibulazione (v. deformazioni e mutilazioni) per le femmine: operazioni eseguite in genere da individui di bassa casta sui bambini fra i sette e gli otto anni.

La caccia, praticata fra i Somali, come si è detto dai gruppi meno nobili, si esercita con semitrappole in battuta anche con l'ausilio di cani, oppure con le stesse armi che si adoperano per la guerra. Per la pastorizia si allevano bovini, cammelli, pecore e capre: i cammelli e gli ovini sono allevati dappertutto con notevole intensità, mentre l'allevamento dei bovini è più esteso nella Somalia meridionale nella zona compresa fra il corso dei due grandi fiumi. L'agricoltura, dove esiste fra i Somali, è di una forma molto rudimentale, ridotta cioè a una semplice agricoltura alla zappa, e si estrinseca specialmente con la coltura della dura e del mais, ma si coltivano anche le zucche, fagiuoli, sesamo, cotone, ecc. e in vicinanza di sorgenti o lungo i fiumi anche piante da frutto come la papaia e la banana. L'alimentazione dei nomadi è basata quasi esclusivamente sul prodotto del bestiame con grande consumo di latte e burro, più raramente di carne; la dura tiene il luogo del grano e viene pestata in grandi mortai di legno e macinata con piccole macine a mano; se ne fanno focacce non lievitate che servono come pane.

Delle armi da colpo sono adoperati: il pugnale-coltello (billao) a doppio tagliente con immanicatura a codolo e impugnatura di corno o di avorio a forma di I e la lancia con ferro, quasi sempre a foglia di lauro immanicato a cartoccio e con puntale di ferro a spirale. Le armi da getto a mano sono piccole clave da getto alle quali in qualche regione si aggiunge, infisso a codolo nella testa, un ferro da lancia; anche il giavellotto è comunemente usato: il ferro, immanicato a cartoccio, è a sezione quadrilatera. Fra le armi da getto per ordigno, si conosce la fionda che non è mai adoperata come arma da guerra, ma soltanto usata dai ragazzi a guardia delle piantagioni per spaventare gli animali che vorrebbero danneggiarle, e che, probabilmente, è l'ultimo residuo di un'arma in altri tempi adoperata per la guerra: l'arco è fra i Somali in uso soltanto nei gruppi che non sono di origine nobile e, sporadicamente, in poche altre cabile. È anatomicamente semplice, ma fisiologicamente conserva traccia di doppia curvatura, ha la corda di minugia di animali; le frecce sono impennate, con la punta di ferro immanicata a codolo, a doppie alette per le frecce da guerra, a foglia di ulivo per quelle da caccia; sono avvelenate con veleno di uabaio e si custodiscono in turcassi subcilindrici di legno con coperchio di cuoio. L'arma di difesa è lo scudo rotondo, piccolo, di pelle di giraffa o di rinoceronte, con impressioni a freddo sulla faccia anteriore e piccolo umbone centrale.

Qualsiasi importante avvenimento è celebrato con prolungate danze alle quali prendono parte uomini e donne; queste feste, conosciute con il nome di "fantasie" sono, nelle cabile nobili, eseguite - quasi dovunque - senza l'accompagnamento d'istrumenti musicali, mentre nelle cabile inferiori si usano tamburi e nacchere di legno di origine negra. La medicina viene esercitata da individui che usano una farmacopea primitiva a base di medicamenti vegetali e animali; qualcuno di questi medici-santoni si arrischia anche a esercitare la chirurgia con strumenti molto primitivi, ma i rimedî più apprezzati sono sempre gli amuleti.

La religione dei Somali è la musulmana di rito sciafeita. L'Islām si è sovrapposto all'antico paganesimo di cui rimangono notevoli residui nelle credenze popolari (la divinità suprema era, come in genere presso tutti i popoli cuscitici, il Dio-Cielo che aveva per occhio il sole). L'Islām somalo è sempre stato in diretta relazione con i centri culturali e religiosi dell'Arabia meridionale (specialmente Ḥadramūt) ed è intanto notevole che, nonostante l'occupazione da parte del ‛Omān e la sovranità successiva dello Zanzibar, non si trovino assolutamente ibāḍiti fra i Somali. Qualche relazione si è anche avuta con i centri religiosi degli stati musulmani dell'Etiopia meridionale (particolarmente con il Bālī per la zona di pellegrinaggio di Sheikh Ḥussēn e nella Somalia settentrionale con Harar). L'attività delle confraternite religiose musulmane, molto intensificata negli ultimi decennî, ha dato motivo anche a una piccola letteratura religiosa locale (in arabo) sia in prosa sia in versi. Non sono mancati nemmeno i tentativi di adattare l'alfabeto arabo per scrivere il somalo. L'Islām sta quindi progressivamente influendo sulla stessa struttura sociale delle popolazioni in quanto si cerca dovunque di far prevalere il diritto musulmano sul diritto consuetudinario somalo, che era a base gentilizia. Nello stadio attuale, alcuni istituti giuridici (matrimonio, composizione [guidrigildo], ecc.) permettono di riconoscere abbastanza bene gli elementi di diversa origine che si vengono storicamente a sovrapporre.

In conclusione, le usanze dei Somali si riconnettono, per la maggior parte a quelle delle altre popolazioni etiopiche, ma in special modo a quelle dei Danachil e dei Saho; si ritiene che rappresentino una sovrapposizione e una fusione dei cicli del totem e pastorale (Montandon), ma la presenza di alcuni oggetti come lo sgabello di legno, la clava da getto e il turcasso col coperchio, potrebbero far pensare anche all'influenza di culture paleo e neomatriarcali.

I Negroidi agricoltori stabili abitano in un tipo di capanna cilindrica a tetto conico; la cultura non differisce da quella dei Bantu, loro vicini, ed ebbe indubbiamente un riflesso notevole nell'evoluzione della cultura somala. Alcuni gruppi di cacciatori (Uaboni) conservano tuttavia, sebbene si vadano rapidamente mescolando con gli altri Negroidi e con i Somali, tracce di una cultura più arcaica con l'uso di un arco semplice a sezione circolare, con residui di ripari effimeri sotto le acacie della boscaglia; stanno però divenendo agricoltori e soltanto alcuni individui in ciascuna tribù esercitano ancora la caccia e la pesca.

Completamente differente da quelle fino a ora descritte è la cultura dei Bagiuni, specialmente dei Bagiuni isolani che abitano l'arcipelago in faccia alla costa dell'Oltregiuba, esercitando in particolar modo la pesca. Ben poco si conosce delle loro usanze, ma la presenza, anche recentemente constatata, della casa quadrangolare con pareti di muro a secco e tetto di foglie di palma a due spioventi, del canotto a doppio bilancere e la pesca della tartaruga per mezzo della remora, farebbero pensare piuttosto all'influenza di forme culturali proprie del lontano Oriente, anziché alla cultura araba o, come alcuni hanno supposto, persiana.

Quanto agli Amarani di Brava, che parlano una lingua bantu, ma hanno caratteristiche somatiche fortemente semitiche, ben poco si conosce intorno alla loro cultura la quale, piuttosto, somiglia notevolmente alla pura cultura araba; esercitano in Brava quasi esclusivamente il commercio.

In Somalia si trovano oggi soltanto i seguenti gruppi Galla:

a) alcune famiglie della tribù dei Worrā Dayā (del ramo dei Galla Borana) che abitano la parte sud-occidentale dell'Oltregiuba italiano. I Worrā Dayā sono stati uno degli ultimi gruppi Galla ad abbandonare la Somalia meridionale, e infatti i Somali Hawiyya e Dighil designano con il nome generico di Wordāy tutti i Galla;

b) i Bararetta, che vivono, all'estremo limite della Somalia, sul fiume Tana e a nord di Vitu. Essi si trovano oggi in territorio britannico (Tanaland); formano una confederazione di genti di varia origine (sia Borana sia Baraytumā) e, pure avendo una struttura sociale analoga a quella degli altri Galla (v. galla), hanno da una parte conservato alcuni tipi culturali arcaici e d'altra parte hanno risentito, sino a oggi, la vicinanza dei Bantu. Essi parlano uno speciale dialetto galla.

Lingua. - Il somalo è una lingua cuscitica (appartenente dunque alla famiglia semito-camitica). Entro il cuscitico, il somalo forma un gruppo con gli affini linguaggi ṣaho, dancalo e galla: gruppo che si suole designare con il nome di basso-cuscitico.

Il somalo ha tracce dell'influenza che ha per secoli subito da parte di gruppi parlanti arabo; e ciò lo differenzia dal galla cui è invece tanto vicino per altre particolarità. Il somalo non ha più le caratteristiche enfatiche del cuscitico seguite dalla chiusura delle corde vocaliche, ma invece il q somalo è soltanto un'esplosiva velare come il q arabo. Così anche è una esplosiva precacuminale senza l'occlusione glottale della galla.

Dal punto di vista della morfologia, il somalo ha una posizione intermedia fra il saho-dancalo e il galla. Esso, infatti, ha conservato entrambe le coniugazioni del verbo (quella per prefissi e suffissi e quella per suffissi soltanto), come il saho e il dancalo; ma la coniugazione per prefissi è oggi usata soltanto per pochissimi verbi (cinque nel dialetto isāq; tre nel dialetto hawiyya, ecc.), avvicinandosi quindi anche progressivamente al galla, nel quale la coniugazione per prefissi è del tutto scomparsa.

Lessicalmente, il somalo è molto vicino alle altre lingue basso-cuscitiche e conserva anche traccia dei suoi contatti secolari con le lingue sidama anteriormente alla invasione Galla in Etiopia nel sec. XVI.

I limiti del territorio in cui è parlato oggi il somalo non coincidono del tutto con i confini politici delle Somalie. Infatti il somalo è parlato:

a) nella Somalia Francese, nella zona a sud del Golfo di Tagiura (nella zona a nord si parla invece il dancalo);

b) nella Somalia Britannica;

c) nella Somalia Italiana (a eccezione della città di Brava e delle Isole Bagiuni nelle quali si parlano linguaggi bantu oltre al somalo);

d) nella Colonia del Kenya fra la frontiera della Somalia Italiana sino a una linea approssimata che parte da Gadaduma e raggiunge, per il Lorian, il fiume Tana;

e) nel governo di Harar al confine della Somalia Italiana, della Somalia Britannica e di quella Francese e una linea che passando poco a est di Harar raggiunge la linea ferroviaria fra Hurso e Dire Daua (Dirḍabo, in somalo) e di lì si dirige al lago Abbè.

Il somalo è anche parlato dai numerosi gruppi emigrati in Aden e da villaggi costituiti sporadicamente lungo la ferrovia di Gibuti con centri principali ad Afdam (Somali Hawiyya) e alla stazione Auasc (Ḥawāsh).

Il somalo, lingua di pastori nomadi, non è unitario. I dialetti differiscono notevolmente secondo i grandi gruppi etnici, ma non è possibile, nell'insieme, contrapporre un somalo settentrionale a un somalo meridionale.

I gruppi dialettali sono:

a) quello Isāq, che coincide con le tribù dello stesso nome e comprende la parte occidentale e centrale della Somalia Britannica e la colonia somala di Aden. Il dialetto Isāq si distingue dagli altri, nella fonetica per avere conservato la etimologica in tutti i casi e il q in parecchie parlate; nella morfologia: per la duplice prima persona plurale dei pronomi (distinguendosi il "noi" inclusivo di chi ascolta dal "noi" esclusivo di chi ascolta); per il durativo con il suffisso -ay, ecc.

b) quello Darod, parlato dalle genti Darod e da una parte degli Hawiyya del nord (Habar Ghidir). È il dialetto somalo più diffuso perché è parlato nella parte occidentale della Somalia Britannica; nella Migiurtinia, nell'Ogadēn e nell'Oltregiuba italiani; nella Colonia del Kenya sino al fiume Tana. Il dialetto Darod si distingue dagli altri, nella fonetica: per avere mutato la intervocalica in r (migiurtino) o in (Ogadēn); nella morfologia: per avere conservato la doppia prima plurale del pronome; per il durativo con -hay;

c) quello Hawiyya, parlato dalle popolazioni Hawiyya della media e bassa valle del Wēbi. Il dialetto Hawiyya muta la intervocalica in r; il q intervocalico in ó; ha perduto la distinzione di due prime plurali del pronome; ha il durativo in -hay;

d) quello Sab o Dighil, parlato dalle genti Dighil (dette Sab daglí altri gruppi somali) abitanti fra Uebi e Giuba. È il dialetto che, essendosi sovrapposto a un sostrato galla in epoca recente ha maggiormente sentito l'influenza del galla specialmente nella fonetica; ad esempio, il dialetto Dighil non ha più le laringali , ‛, che sono state rispettivamente sostituite da h e da '. Nella morfologia il Dighil ha conservato il modo relativo in -aw (che corrisponde al sussivo in -o degli altri dialetti somali); e forma l'imperativo negativo con il prefisso in- che precede il verbo, il quale è poi seguito dal suffisso -oy: dal verbo tum "battere" si ha in dighil in-tum-oy "non battere!" (negli altri dialetti somali ha-tum-in).

Storia. - La storia della Somalia, che, ancora all'inizio del secolo XX, era si può dire praticamente ignorata, si comincia ora a delineare abbastanza bene attraverso lo studio dei documenti raccolti negli ultimi anni e i monumenti studiati da orientalisti italiani.

Le fonti principali per la storia della Somalia sono:

1. i documenti arabi locali, i quali contengono generalmente notizie sullo stabilimento delle colonie arabe lungo la costa dell'Oceano Indiano e del Golfo di Aden e sulla relazione tra queste colonie e i centri della Penisola Arabica;

2. le tradizioni storiche locali, le quali sono oralmente trasmesse e conservate presso le varie tribù somale e le genti vicine;

3. i documenti storici e le cronache etiopiche, dai quali è lecito dedurre qualche circostanza che si riferisce ai rapporti tra la Somalia e l'Etiopia;

4. le iscrizioni arabe che si trovano nei monumenti scoperti specialmente a Mogadiscio e a Merca e che contengono dati specialmente sulla storia medievale di quei centri commerciali arabo-somali;

5. le monete di cui qualche raccolta ci ha già fornito dati interessanti su rapporti tra la Somalia Italiana e altri piccoli stati dell'Africa sudorientale.

Esaminando le varie fonti qui elencate, noi possiamo riassumere la storia della Somalia da due punti di vista: quello della storia interna della regione che chiamiamo Somalia e quello dei rapporti tra questa regione e gli altri paesi dell'Asia e dell'Africa.

Storia interna. - La più antica popolazione della Somalia, di cui abbiamo notizia, è quella dei negri Bantu; ma, a lato di queste popolazioni negre, troviamo una stirpe di paria che hanno per loro caratteristica il mestiere di cacciatori; stirpe che probabilmente rappresenta anche residui di gruppi umani anteriori ai Negri. Di questi nuclei di cacciatori vi sono tutt'oggi i resti, sia presso varie tribù somale come i Bon, viventi con le tribù Hawiyya, i Midgan viventi con le tribù Isāq e Darod, gli Eile e i Ribi viventi con le tribù Dighil e, infine, i Sanye e i Boni dell'attuale Oltregiuba.

I negri Bantu, che già consideravano come loro paria queste popolazioni di cacciatori di cui abbiamo parlato, ci sono attestati in modo sicuro da un documento storico, il cosiddetto libro degli Zengi, nella regione del Giuba e propriamente nella bassa valle di questo fiume.

I Negri avevano un tipo di cultura agricola, erano organizzati in una confederazione di tribù, che il documento ci attesta essere quella dei Wangika, oggi nel Kenya e nel Tanganica. Essi erano in rapporti con le prime colonie arabe lungo la costa e si può dire che fornivano agli Arabi la principale merce del loro commercio e cioè gli schiavi.

Ma, oltre a questi nuclei negri del Giuba, noi possiamo considerare, come residui attuali della permanenza dei negri Bantu, nella Somalia, altri gruppi umani che oggi si trovano molto più a nord, e cioè i cosiddetti "liberti del fiume", nella media e bassa valle dello Scebeli (Shidle, ecc.); i cosiddetti liberti Elai, che abitano anche oggi l'altipiano di Baidoa, e infine quella popolazione cittadina di Brava, che parla ancora oggi il bravano, che è una lingua bantu, formando così un'isola linguistica negra in territorio somalo.

I negri Bantu furono scacciati dall'attuale Somalia da un'invasione proveniente da NE. e cioè dall'invasione dei Galla. I Galla, dopo una lunga serie di lotte con i Negri, che probabilmente bisognerà fissare in più di un secolo, giunsero gradualmente a impadronirsi della regione dell'odierna Somalia Italiana compresa tra il Giuba e lo Scebeli, ricacciando sul Giuba e al di là i Negri loro nemici.

Questa lotta non restò tuttavia senza grandi influenze nella costituzione stessa dei Galla, i quali, sia per il lungo contatto avuto durante le guerre e dopo con i negri Bantu, e sia per avere assorbito stirpi vinte di Negri, adottarono a base della loro costituzione sociale l'ordinamento per classi di età, che era quello dei Bantu. Questo ordinamento, che le popolazioni vicine ai Negri ritengono particolarmente adatto per la guerra, fu considerato, prima dai Galla e poi dai Somali dell'Oltregiuba a loro succeduti, come una specie di mezzo di difesa per rafforzare la posizione militare della tribù, aggravandone la disciplina interna. La circostanza è particolarmente importante perché successivamente i Galla, partendo dalla Somalia, invasero nel sec. XVI l'altipiano Etiopico, portando con loro in Etiopia elementi culturali di quei Negri che erano stati da loro battuti nel bassopiano oggi somalo.

Ai Galla succedono dunque, nella regione che noi oggi chiamiamo dal loro nome Somalia, le popolazioni somale. Non è facile individuare gl'inizî e la prima costituzione di queste popolazioni tanto più che, molto probabilmente, il loro stesso nome di Somali non era in origine che un nome parziale di un determinato gruppo di tribù che successivamente fu esteso a tutte le altre affini. I Somali dovettero vivere nella regione compresa fra il Golfo di Tagiura e l'attuale Somalia Britannica, in zone particolarmente aride e inospitali, dove si trovano stretti tra i Dancali, loro tradizionali nemici, a nord, e i Galla a sud.

La pressione dei Somali verso sud, per giungere a terre che, come quelle lungo i fiumi, dovevano costituire una meta ambita per i pastori del Gúban (la "terra arsa" del Golfo di Aden), si esercitò probabilmente con una serie di razzie e depredazioni interrotte da accordi per i quali, come ci è attestato, ad esempio, per epoche recentissime, nuclei somali passavano come clienti delle tribù galla dalle quali erano adottati, salvo in un successivo momento ad aggredire i loro patroni e a riprendere le armi in una posizione più vantaggiosa.

Ancora nel sec. XI, i Somali non andavano al di là di Hafun, come ci attestano i geografi arabi; e nella regione che noi oggi chiamiamo Migiurtinia sono ancora vivi i ricordi del tempo nel quale essa era abitata dai Galla nemici dei Somali. Basti citare, ad esempio, le tradizioni storiche che hanno fatto attribuire alla nota località dell'interno di Obbia il nome di Gālka‛ayo ("Donde i Galla partirono"), in memoria di una sconfitta che i Galla avrebbero subito in quella località.

Invece il geografo arabo al-Idrīsī, che scriveva nella metà del sec. XII, dà già Merca come una città somala e pone i Somali Hawiyya lungo l'Uebi Scebeli.

Nel sec. XIII il viaggiatore marocchino Ibn Baṭṭütah trovava Mogadiscio capitale di un piccolo stato arabo-somalo.

L'ingresso dei Somali in quella che noi chiamiamo la Somalia Italiana può dunque essere all'ingrosso fissato dal sec. XII al XIII.

La prima popolazione somala che sia entrata nella regione compresa tra l'Uebi e il Giuba è stata quella dei Giddu (Ǧiddu), come concordemente attestano le tradizioni locali.

I Giddu hanno a lungo lottato contro i Galla nella regione litoranea; e di tali lotte è fra l'altro rimasto un curioso ricordo nel linguaggio delle popolazioni Galla Bararetta oggi sul fiume Tana nella Colonia del Kenya, perché i Bararetta dànno il nome di Giddu a tutti i Somali. I Giddu stessi devono avere assimilato nuclei abbastanza forti di popolazioni galla da loro vinte, ciò che è provato, non soltanto dalla struttura sociale della loro tribu, ma anche dallo stesso dialetto che oggi è parlato da essi.

Il passaggio dei Giddu nella regione a nord di Mogadiscio, che è oggi abitata dalle popolazioni somale Abgāl, ci è ricordato dal proverbio somalo che dice come in quella regione si siano succeduti: i nove Giddu, i nove Agiuran (Aǧurān) e i nove Abgal. Un altro ricordo delle lotte dei Giddu è la tradizione di Au Garwēn, scoglio presso Gonderscia tra Merca e Brava, che si racconta fosse stato assalito nelle guerre tra Galla e Giddu da cavalieri galla che tentarono di profittare della bassa marea per raggiungere gli armati nemici ricoveratisi sullo scoglio.

Come abbiamo detto, il proverbio somalo ricorda che ai nove Giddu successero i nove Agiuran. La popolazione degli Agiuran che va riconnessa a quelle somale del gruppo Hawiyya, avanzò effettivamente dal nord verso la valle dello Scebeli e la tradizione ricorda due distinte guerre degli Agiuran: una contro i Giddu, che furono ricacciati a loro volta dalla bassa valle dell'Uebi sino alla regione di Brava, donde essi avevano precedentemente scacciato i Galla; l'altra sostenuta dagli Agiuran contro i Galla, che al loro arrivo occupavano la parte alta dell'Uebi a monte dei Giddu.

Questo arrivo degli Agiuran nella valle dell'Uebi sembra da varî indizî che possa essere datata intorno al sec. XV; e ciò, sia perché le tradizioni accennano a venti generazioni trascorse dalla venuta degli Agiuran, sia perché esse ripetutamente alludono ai vincoli esistenti tra gli Agiuran impadronitisi della zona dell'Uebi e i sultani della dinastia Mudaffar di Mogadiscio, che risulta regnante nel sec. XVI.

Gli Agiuran vennero così a contatto con le colonie arabe di Mogadiscio e di Merca e assorbirono, non solo elementi culturali arabi, ma anche probabilmente gruppi di popolazioni di origine araba, come attestano le loro stesse tradizioni storiche.

Ma il predominio degli Agiuran non poté durare a lungo per la crescente pressione delle altre tribù somale Hawiyya che, procedendo da NE. verso SO., e quindi lungo la stessa via d'invasione degli Agiuran, premevano sulla regione del fiume.

Due dei principali gruppi Hawiyya, gli Hirabe e i Cuggunḍabo, con due separate invasioni riuscirono a distruggere il sultanato degli Agiuran e a obbligare costoro a rifugiarsi nella parte ancora più alta dell'Uebi, nella zona cui oggi diamo il nome di Sciaveli.

Mentre le popolazioni Darod e Hawiyya avanzavano così lungo la costa dell'Oceano Indiano sino a raggiungere l'Uebi, altri gruppi Somali, procedendo attraverso l'attuale Ogadēn, tentavano di sboccare anch'essi nell'altipiano dello stesso fiume.

Queste popolazioni ci sono note con il nome generico di Dighil. Esse giunsero nella regione dell'Uebi, occupandolo nel tratto in cui l'Uebi, uscendo dalla stretta gola dei monti, entra nel bassopiano somalo presso l'abbeverata nota col nome di Malka Dūbe.

I Dighil, pure padroni di una zona fertile dal punto di vista agricolo, restavano però stretti fra i Somali Agiuran che abitavano sul fiume più a valle, e le popolazioni galla residue, che abitavano sul fiume stesso a monte dei Dighil e a sud del fiume sino al Giuba e all'altipiano di Baidoa (Bay-ḍowa).

Cresciuti di numero, i Dighil ripresero quindi il loro movimento verso sud, sembra agl'inizî del sec. XVII, approfittando dunque dell'indebolimento delle tribù galla per la loro invasione in Etiopia, svoltasi appunto nella seconda metà del sec. XVI.

Rimasero sull'Uebi nelle antiche sedi i nuclei ancora oggi noti con il nome di Gherirre (Garirrä) e i liberti Dūbe, i quali parlano un dialetto del gruppo Dighil. Gli altri Dighil più numerosi scesero a Lugh e di là attaccarono i Galla del Baidoa, occupando quel fertile altipiano.

La situazione dunque, di quella che è oggi la Somalia Italiana, è attestata per il sec. XVII dalla tradizione ed è confermata da un documento storico: la lettera del missionario Padre Giovanni da Velasco del 25 luglio 1625, con questa distribuzione delle popolazioni sulla tradizionale via di comunicazione tra Mogadiscio e l'Abissinia: prima i Somali Hawiyya sul fiume Uebi; poi i Galla Baraytumā nella regione di Buracaba; poi i Somali Dighil da Baidoa a Lugh.

Successivamente, nel secolo XVIII, i Dighil ripresero la lotta contro i Galla e riuscirono, dopo una serie di guerre, a occupare Buracaba, a cacciare dalla regione dei pascoli del Doy la tribù galla dei Worrā Dayā, che oggi si trova nell'Oltregiuba e nella colonia del Kenya, e raggiunsero la media valle del Giuba, occupandola tutta da Lugh sino a Barḍēra.

Un'ultima invasione somala verso sud è stata quella che ha portato all'occupazione dell'attuale Oltregiuba. Gruppi di popolazioni somale del ramo Darod, provenienti dall'Ogadēn, si aprono una via tra gli Hawiyya Agiuran e gli Hawiyya Caranle, passano l'Uebi, occupano la regione tra Uebi e Giuba a nord dei Dighil e, varcato il Ḍawa, entrano nell'Oltregiuba tenuto dai Galla.

Anche qui la tradizione attesta che per un certo periodo nuclei locali preferirono farsi adottare dalle tribù galla per preparare il terreno alle vere e proprie invasioni avvenire. Solo nella seconda metà del sec. XIX i Somali riuscirono definitivamente ad allontanare con la forza dall'Oltregiuba i Galla, che furono così costretti a rifugiarsi lungo le rive del fiume Tana.

Si venne così a costituire quella che oggi è la fisionomia generale della distribuzione delle popolazioni somale e i limiti della Somalia, che partendo a nord dal Golfo di Tagiura, furono portati a sud sull'Oceano Indiano sino al fiume Tana. Dopo l'occupazione da parte delle potenze europee, i grandi movimenti migratori si possono dire cessati; proseguono tuttavia, con varî accorgimenti e metodi, i movimenti delle popolazioni somale che non si adattano alla nuova situazione. Questi movimenti, sia pure più lenti, in quanto ormai è escluso il ricorso alle armi, potranno a lungo andare modificare nuovamente la situazione della regione. Anzitutto i Somali tendono ancora a espandersi per piccoli gruppi verso il fiume Tana e al di là, premendo sulle popolazioni galla e sui Negri colonia del Kenya. Analogamente, all'estremo nord, lungo la ferrovia di Gibuti, i nuclei somali, procedendo dalla regione di Harar, hanno ormai raggiunto, nella zona della ferrovia, il fiume Auasc, mentre sull'altipiano Hararino l'espansione somala prosegue a danno dei Galla e si notano anche colà formazioni etniche somalo-galla che probabilmente sono destinate col tempo a diventare esclusivamente somale, come abbiamo visto che storicamente è sempre avvenuto.

Rapporti con la Penisola araba. - Dalla Penisola Araba sono giunti in Somalia, in ogni tempo, gruppi di emigranti, i quali si sono stabiliti lungo la costa dove giungevano e giungono, lungo la linea di navigazione che le condizioni naturali dei monsoni e delle correnti oceaniche creano dal Golfo Persico a Zanzibar. È probabile che, già nel periodo pre-islamico, sulla costa della Somalia settentrionale vi fosse qualche colonia sudarabica, come sembra si possa dedurre da alcuni indizî. Ed è stato supposto che dalla costa somala del Golfo di Aden sia partita, verso la regione di Harar, almeno una parte di quella migrazione araba che diede poi origine ai gruppi Harari e Gurāghie.

Nell'epoca islamica è accertato che i principali centri costieri dell'attuale Somalia Italiana sorsero come colonie arabe. Mogadiscio, in un periodo che può all'incirca essere fissato dal 900 al 1250 d. C., visse come colonia commerciale araba e uno dei principali gruppi che la popolò proveniva dalla regione di al-Aḥsā sul Golfo Persico, sembra a causa delle lotte cui diede luogo colà il prevalere dell'eresia dei Qarmaṭi.

Le tribù arabe di Mogadiscio avevano proprî capi elettivi ed esse non assunsero i loro nomi attuali somali, che alcuni secoli dopo. Il primo documento a noi noto nel quale si trovano usati i nomi somali delle genti di Mogadiscio, invece di quelli arabi, è del 1573.

Questa federazione di tribù arabe si trasformò, intorno al 1250, in un sultanato arabo-somalo, ma l'influenza araba e le migrazioni sia dal Ḥadramūt sia dallo Yemen sono continuate in Mogadiscio sino ai nostri giorni.

Analogamente Merca e Brava sono sorte come colonie arabe e le tre città succitate conservano una serie d'iscrizioni arabe medievali recentemente pubblicate in Italia.

Rapporti con la Persia. - È tradizione corrente sulla costa dell'Africa Orientale quella di emigrazioni persiane nella Somalia e nell'attuale Colonia del Kenya. La tradizione ricorda specialmente i principi Shirāzī, originarî dunque, come dice il loro nome, della città persiana di Shīrāz.

Questa tradizione, per quanto concerne la Somalia Italiana è stata verificata dalla scoperta fatta in Mogadiscio di due iscrizioni: una funeraria del 1217 che si riferisce a un persiano di Naysābūr, e una nella moschea di Arba-‛rukun del 1268, che si riferisce appunto a un persiano di Shīrāz.

I contatti tra Mogadiscio e la Persia meridionale continuarono del resto a lungo, tanto che, ancora in un documento di Mogadiscio del 1768, sono stati trovati registrati i numerali persiani.

Rapporti con l'India. - Oggi la colonizzazione indiana nell'Africa Orientale, di carattere esclusivamente commerciale, ha creato rapporti economici molto intensi tra la Somalia e l'India, particolarmente con la regione di Caraci e di Bombay. Comunità indiane esistono nelle varie regioni della Somalia e il gugerati è da esse correntemente usato come lingua parlata. Analogamente, durante il periodo della colonizzazione araba nel Medioevo, la Somalia aveva già rapporti con l'India, sicché, ad esempio, i geografi arabi Al Dimašqī e Ibn Baṭṭūta ci hanno conservato prove di una corrente commerciale che collegava Mogadiscio con l'India attraverso un emporio nelle Isole Laccadive. Questi rapporti avevano tanta importanza nei racconti dei navigatori arabi che il cartografo della repubblica veneta, Fra Mauro del monastero di S. Michele di Murano, nel suo famoso Mappamondo della seconda metà del secolo XV colloca Mogadiscio e altri paesi somali nella stessa isola Diabcheb.

Rapporti con l'Etiopia. - Le popolazioni somale, quando appaiono nella storia durante il Medioevo e cioè durante il regno del Negus Yesḥaq nel sec. XV, sono costituite da Beduini i quali vivono ai margini dello stato etiopico cristiano e dei piccoli stati musulmani del sud etiopico, spesso approfittando delle lotte tra cristiani e musulmani per compiere razzie e depredazioni contro entrambi i contendenti.

I Somali si accostano poi principalmente allo stato musulmano e durante l'invasione del Mancino Ahmad ibn Ibrāhīm in Etiopia, costituiscono una delle principali fonti delle sue truppe, tanto che oggi la tradizione somala attribuisce al Mancino l'origine della tribù somala dei Gheri e al suo successore, l'emiro Nūr, l'origine della tribù somala dei Marrēḥān.

Successivamente, nel sec. XVI, l'invasione galla separava i Somali dall'Abissinia cristiana, e la debolezza dello stato musulmano di Harar aveva come conseguenza l'occupazione somala di Zeila e di tutta la costa per la quale già passavano gli scambî commerciali dell'Harar.

I rapporti con l'Etiopia cristiana, si può dire non furono ripresi che nella metà del sec. XIX, quando il negus Menelik II, conquistata Harar nel 1887, spinse le truppe del ras Makonnen contro i Somali Ogadēn, i quali avevano già accettato il protettorato italiano. In questo modo, dal 1891-94 sino al 1936, una parte della Somalia è stata, per la prima volta nella sua storia, sottomessa ai negus.

Rapporti con l'Italia. - I rapporti della Somalia con l'Italia si potrebbero dire iniziati già nel sec. XIV, con il famoso viaggio del genovese Sorleone Vivaldi, il quale, secondo le testimonianze dell'anonimo spagnolo autore del Libro del conocimiento, partito alla ricerca dei suoi fratelli dispersi lungo la costa dell'Africa occidentale, sarebbe giunto a Magdasor, che è stata identificata con Mogadiscio, e di là avrebbe tentato invano di farsi dare il permesso di raggiungere il paese del Prete Gianni, e cioè l'altipiano etiopico.

Questa p0ssibilità di comunicare con l'Etiopia in partenza dalla costa somala, doveva più tardi far raccogliere, ai principî del secolo XVI, dal veneziano Alessandro Zorzi, notizie sulle valli che dall'Etiopia conducono all'Oceano Indiano; e soltanto un secolo dopo, un altro veneziano, Vincenzo Contarini, giunto dal Cairo attraverso l'Etiopia ai confini del Caffa, sollecitava invano dal capo dell'Ennaria il permesso di attraversare il Caffa per raggiungere la costa dell'Oceano Indiano.

Quest' antica aspirazione dei viaggiatori italiani spinse del resto il governo sardo, durante il ministero del conte di Cavour, a concordare nel 1858 con monsignor Massaia l'invio a Brava di un missionario savoiardo, il padre Leone Des Avanchers, con l'incarico di tentare di raggiungere da Brava i paesi Sidama e specialmente il Caffa, per collegare con la costa Somala le missioni che aveva là stabilite, procedendo dal nord, lo stesso monsignor Massaia (v. etiopia: Storia; leone des avanchers).

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Storia: C. Guillain, Documents sur l'histoire, la géographie et le commerce de l'Afrique Orientale, Parigi 1856; F. Storbeck, Die Berichte der arabischen Geographen des Mittelalters über Afrika, Berlino 1914; E. Cerulli, Iscrizioni e documenti arabi per la storia della Somalia, in Riv. di Studi Orientali, XI (1926-28), pp. 1-24; id., Nuovi documenti arabi per la storia della Somalia, in Rend. dell'Acc. Lincei, sc. m., s. VI, iii (1927), pp. 392-410; id., Le popolazioni della Somalia, nella tradizione storica locale, ibid., sc. m., s. VI, ii (1927), pp. 150-72; id., Tradizioni storiche e monumenti della Migiurtinia, in Africa italiana, 1931; id., Razzie e razziatori nella Somalia settentrionale, in Oriente moderno, 1930; id., Gruppi etnici negri nella Somalia, in Archivio per l'Antropologia ed Etnologia, LXIV (1934); id., La Somalia nelle Cronache etiopiche, in Africa italiana, 1927; id., Noterelle somale ad al-Dimasqī ed Ibn Arabī, in Orientalia, 1935; A. Mori, Storia delle conoscenze e dell'esplorazione, in L'Africa orientale, Bologna 1935.

Lingua: L. Reinisch, Somali sprache, voll. 3, Vienna 1901-1903; id., Der Dschäbärtidialekt der Somalisprache, Vienna 1904; A. Jahn, Somali Texte, ivi 1906; M. v. Tiling, Somali Texte, Berlino 1925; J. W. Kirk, Grammar, of the Somali language, Cambridge 1905; E. Cerulli, Nota sui dialetti somali, in Rivista Studi Orientali, 1921.

Somalia italiana.

È un governo (dal 1° giugno 1936 si chiama ufficialmente Governo della Somalia) dell'Africa Orientale Italiana, già colonia autonoma posta nella parte orientale della Penisola Somala sul Golfo di Aden e sull'Oceano Indiano, e limitata dalla Somalia Britannica, dai governi di Harar e dei Galla e Sidama e dalla colonia inglese del Kenya. La costa pertinente alla colonia corre dal confine del Somaliland presso Bender Ziade in direzione OSO.-ENE. fino ad Alula, sul Golfo di Aden; qui s'incurva rapidamente fino al Capo Guardafui, dove assume sull'Oceano Indiano una direzione di NNE.-SSO., che mantiene fino al Ras Chiambone a Dicks Head, al confine del Kenya. Complessivamente lo sviluppo costiero è di circa 2350 km. L'area del governo è di 702.000 kmq.; l'antica colonia ne comprendeva 600.000 circa.

I confini. - I confini non corrispondono ad alcuna linea naturale di demarcazione. Essi sono segnati, rispetto alla Somalia Britannica: dall'accordo anglo-etiopico del 4 giugno 1897, per la regione compresa fra il punto d'incrocio con la frontiera italo-francese a sud di Gibuti e la Migiurtinia, dal Protocollo italo-britannico del 5 maggio 1894 per il tratto compreso fra l'incrocio del 47° meridiano E. e dell'8° parallelo N. e il Golfo di Aden. Questa seconda parte del confine è stata delimitata sul terreno e la delimitazione è stata conclusa con l'accordo italo-britannico (Cerulli-Stafford) del i° giugno 1931. Il confine si stacca dal Golfo di Aden a O. di Bender Ziade e di qui volge a SE. fino a raggiungere il 49° meridiano; da quel punto segue il 49° meridiano fino alla sua intersezione col 9° parallelo presso Las Uaruar, lasciando a est ‛Ēl Ḍonfar e Gardò (Qarḍow). Da Las Uaruar corre a sud fino all'incrocio del 48° meridiano con l'8° parallelo, poi segue questo fino all'incrocio del 47°.

I confini tra la Somalia Italiana e l'Etiopia erano stati indicati nelle loro grandi linee nella convenzione del 1908, la quale alla sua volta, per il tratto fra il confine inglese e l'Uebi Scebeli lasciava il territorio degli Ogadēn alle dipendenze dell'Abissinia e il territorio delle tribù verso la costa (Migiurtini, Habar Ghidir, ecc.) all'Italia. Il punto di frontiera sull'Uebi Scebeli era al confine fra la tribù Baddi Addo, che rimaneva in territorio italiano, e quelle a monte che restavano all'Etiopia. Sul Giuba il punto di confine era a Dolo, alla confluenza del Daua con il Ganale; e fra l'Uebi Scebeli e Dolo il confine lasciava i Rahanuin in territorio italiano, i Di Godia, gli Afgab e i Giagele alla dipendenza degli Abissini. Questo confine, in un paese in gran parte abitato da pastori nomadi e seminomadi, non poteva che dar luogo a incertezze e dispute; e infatti la missione italo-etiopica inviata nel 1910 a stabilirlo praticamente sul terreno e comandata per la parte italiana dal capitano C. Citerni, iniziati i suoi lavori a Dolo, dovette tosto interromperli dopo circa 200 km., nei pressi di Jet, per difficoltà insorte; dopo ciò gl'incidenti di frontiera e gli sconfinamenti da parte etiopica non mancarono di moltiplicarsi, anche perché le tribù nomadi cercavano riparo nel nostro territorio contro le vessazioni abissine. Dopo la conquista italiana dell'Etiopia, il confine della Somalia Italiana è stato spostato più nell'interno, venendo così aggregati al territorio dell'antica colonia l'Ogadēn e la parte più bassa e pianeggiante del Bale abitata da Somali.

In seguito al trattato italo-britannico del 15 luglio 1924, con il quale restava acquisito all'Italia il territorio dell'Oltregiuba, il confine della Somalia Italiana rispetto alla colonia inglese del Kenya si diparte dai pressi di Malca Ri sul fiume Daua, circa 25 km. a sud di Dolo; di là volge in linea retta a SO. fino allo stagno di Damàs e da questo, deviando leggermente, allo stagno di El Gale, che è quasi sul 41° meridiano e resta in territorio inglese, mentre El Sciamma (40° 59′44″) è in territorio italiano. Il confine segue poi il meridiano di El Sciamma fino al 0° 50′ lat. S. presso Casce Gugurdè, donde devia a SE., diritto su Ras Chiambone, così da includere le cinque isolette di Dicks Head, che si trovano a SO. di questo capo. Questo confine è stato successivamente delimitato sul terreno; e la delimitazione si è conclusa con l'accordo italo-britannico (Coluca-King) di Firenze del 1927.

Descrizione fisica. - Fisicamente la Somalia Italiana si può dividere in quattro regioni, sensibilmente diverse per la costituzione geologica, per la forma e l'altitudine del suolo, per le condizioni climatiche, e quindi anche per quelle biogeografiche, antropogeografiche ed economiche: la Somalia settentrionale, la Somalia centrale, la Somalia meridionale e l'Oltregiuba.

Somalia settentrionale. - La Somalia settentrionale o Migiurtinia si affaccia a N. sul Golfo di Aden, a E. sull'Oceano ed è limitata a S. dalla Valle del Nogal (Nūgāl), mentre a O. confina con la Somalia Britannica. È divisa trasversalmente in due grandi lembi dalla Valle del Darròr. È in sostanza un paese di altipiani, in gran parte di mediocre o modesta altitudine, di clima assai arido e quindi assolutamente privo di corsi d'acqua perenni, ricco di acque sotterranee salmastre, povero di vegetazione.

Geologicamente è costituito da un grande tavolato di calcari eocenici, rotto da fratture, ma nel suo complesso inclinato dolcemente da NO. a SE., per modo che la scarpata dell'altipiano che fronteggia l'Oceano Indiano è assai più bassa di quella che fronteggia il Golfo di Aden. In quest'ultima affiorano anche a tratti i terreni sottostanti all'Eocene: arenarie e calcari cretacei, calcari marnosi giurassici, scisti cristallini e graniti. Le rocce più recenti dell'Eocene (arenarie, calcari marnosi e coralligeni dell'Oligocene e del Miocene) formano numerose placche disseminate nelle zone litoranee, tanto sul Golfo di Aden quanto sulla costa oceanica. Ad esse si associano panchine quaternarie e, presso Càndala, grandi colate basaltiche. Gran parte della regione è poi coperta di ciottolami silicei arrossati dal clima, e derivanti dalle rocce sottostanti; né mancano i ciottoli fluviali, le sabbie eoliche spinte dal vento fino a parecchie decine di metri sul mare e i travertini delle sorgenti.

Il lembo settentrionale dell'altipiano migiurtino, compreso fra il Golfo di Aden e il Darror (Ḍarōr) è assai accidentato, e vi si distinguono alcuni gruppi montuosi come il massiccio e complesso gruppo dell'Al Mescat (‛Al Maskad) separato dall'Al Medò ('Al Mado) per l'orrida e caotica stretta del Carin, ove si raccolgono le acque del Degahan, che mette foce tra Bender Ziade e Bender Cassim. L'Al Mescat raggiunge nel Monte Bogor m. 2590, e si divide in varî contrafforti (Habeno, Faddisoma, Hor Bogor, ecc.) dai quali traggono origine i torrenti Baladè, Merero e Hogheir. A E. l'Al Mescat è limitato dall'ampio bacino del Tog Uen che sbocca a Càndala. Fra la depressione del Toguen e quella del Gal Uen, che scende ad Alula, è un altro gruppo montuoso (M. Hoda, 400 m.) che a Durbo sovrincombe addirittura alla costa. Un terzo gruppo dei Monti Ahl (Monte Tagis, m. 800) sorge tra Bèreda e Tohen, mandando un suo sperone fino al Capo Guardafui; dopo si ricollega al secondo per un'elevata dorsale formante nell'Oceano Indiano il Ras Shenaghel o Falso Guardafui. Un lembo di questo tavolato calcareo, alto oltre 200 metri e congiunto alla terraferma da un basso istmo sottile, forma il promontorio di Hafun, unica sporgenza accentuata di tutta la costa. A N. di esso sbocca al mare il Giahel, a S. il Darror.

Il lembo meridionale dell'altipiano migiurtino fra Darror e Nogal, detto il Sol, culmina a poco più di 1000 m. a NE. di Gardò, e ha un andamento dolce e regolare: esso fronteggia a N. la depressione del Darror con la ripida scarpata del Carcàr, a S. quella del Nogal con la scarpata di Dul Medove. Anche al mare termina a picco, con una falesia alta 100-200 metri. Pochi sono i torrenti che lo incidono un po' addentro con le loro valli: il Gono Jer o Tudi, che sfocia subito a N. di Bender Beila, e il Codmo o Dudo a S. di questo villaggio; gli altri sono torrenti marginali che hanno le loro origini a 30-40 km. dal mare.

La vasta depressione del Darror, che s'interpone tra i due lembi del tavolato, ha origine tettonica, sebbene s'identifichi dai più, anche nel nome, col corso d'acqua principale che lo percorre, il Dut o Luth (Dūd). Questo si origina con molti rami dal versante meridionale dell'Al Medò, in territorio britannico, e dopo avere ricevuto da destra le acque del Carràr e del Sol per il Boran, il Lohodà, il Dalmedò e il Raghì, e da sinistra quelle dell'Al Mescat per l'Uadiaimo, sbocca nell'Oceano a S. di Hafun.

Una consimile depressione, quella del Nogal, limita a S. il tavolato del Sol, ma nel Nogal tutte le acque si perdono, comprese quelle del corso principale, il Tug Derr, proveniente da territorio britannico, e solo a circa 70 km. dal mare il solco si rifà attivo per il confluire delle acque dei torrenti marginali, e si apre al mare con una gola scavata nel tavolato costiero.

L'altipiano è orlato lungo mare da una fascia litoranea a tratti discontinui, ma talora assai ampî, sul Golfo di Aden; più stretta, salvo in corrispondenza del Darror, sull'Oceano Indiano.

Tutta la Migiurtinia è un paese molto caldo e arido; e tutti i corsi d'acqua sono temporanei, salvo per breve tratto in vicinanza di qualche sorgente.

Le rocce calcaree della fascia litorale e dei primi gradini costieri sono quasi interamente nude di vegetazione, e spazzate dai venti, solcate dalle sabbie eoliche, che nelle depressioni accumulano dune mobili. Vi abbondano a tratti i cespugli di aloe e sulle rupi gli arbusti dell'incenso. Più nell'interno gli altipiani si rivestono di un'intricata prateria di graminacee spinose (Schizachyrium), o di boschetti di acacia (A. Bussei, ecc.). Le piante d'alto fusto, specialmente angèl (Mimusops) e damàs (Conocarpus), si allineano nei fondo valle, ove possono usufruire di una falda freatica più o meno povera, e si associano a palme striscianti, tamerici, Ficus, ecc., per formare piccoli boschetti, specie di oasi in una magra steppa se non in un vero deserto. Nei fondovalle, presso alle sorgenti e dove affiora la corrente subalvea, si concentrano le scarse coltivazioni indigene, piccoli palmeti di Hyphaene, di damàs, di palma da datteri, che è qui presso il suo limite estremo di habitat, con colture di ignami, canna da zucchero e poca dura. Se ne hanno nella stretta del Carin e al suo sbocco, nel retroterra di Bender Cassim, a Càndala, a Alula, a Handa, ecc.

A parte queste modeste attività agricole, esercitate da servi domestici o operai salariati per conto dei proprietarî, e prescindendo dalla raccolta dell'incenso, delle gomme, delle foglie di palma, ecc. la sola importante attività della popolazione che è omogenea, e appartiene alla grande tribù dei Migiurtini, consiste nella pastorizia nomade, la quale fornisce pelli, latte, burro (ghee) e carne. Alcune famiglie di bassa casta erranti lungo le coste (giagi) pescano squali, tartaruga, madreperla e si cibano di pesci e di molluschi.

Somalia centrale. - La Somalia centrale comprende l'antico sultanato di Obbia e l'Ogadēn: è limitata a NE. dal Nogal, a SO. dall'Uebi Scebeli, mentre ad E. la bagna l'Oceano Indiano. In questa regione, che almeno nella sua parte litoranea è aridissima, l'altipiano calcareo si allontana gradatamente ma assai rapidamente dal mare, il quale è così orlato a N. da una costa tabulare poco elevata, poi da rilievi poco marcati e da vaste plaghe di dune mobili, o appena fissate da una magra boscaglia di acacie.

Oltre questi modesti rilievi stanno larghe zone depresse, in cui si perdono tutte le acque provenienti dall'interno all'epoca delle piogge, formando stagni salmastri o salati con incrostazioni saline o depositi gessosi, limitate da terrazze sabbiose vestite di boscaglia, finché il terreno ricomincia gradatamente a salire verso l'interno e a coprirsi di arbusti. La fascia litoranea al disotto di 300 m., che poco a S. di Ilig è larga una sessantina di chilometri, si estende a 200 km. all'altezza di Obbia, a 250 km. all'altezza di Harardere. È questa la regione più ingrata, più sterile, e la meno nota di tutta la colonia. La scarsa popolazione, costituita specialmente da gruppi della tribù Habaer Ghidir (Hauìa), e nell'interno da Marrehàn (Darod) è dedita alla pastorizia nomade e seminomade, che fornisce i soliti prodotti: si allevano specialmente ovini, più limitatamente bovini e cammelli. In alcune zone, come presso Harardere, gli Habar Ghidir coltivano sciambe, e producono un po' di dura, fagioli, cocomeri.

Somalia meridionale. - La Somalia meridionale (il nome di Benadir è riserbato alla sua fascia costiera) è limitata a E. dal medio Uebi Scebeli, a O. dal medio e basso Giuba, e si differenzia nettamente dalla Somalia settentrionale e dalla centrale, non solo per la costituzione geologica e per la morfologia, ma anche per il clima e la vegetazione, e soprattutto per la presenza di due grandi fiumi perenni e di numerose sorgenti, laghetti e stagni. Qui mancano i terreni terziarî e affiorano specialmente le rocce cristalline antiche (graniti rossi, gneiss, scisti, concentrazioni di quarzo), le arenarie varicolori gessifere dette di Lugh, i calcari marnosi giurassici, le arenarie e i calcari del Cretacico, né mancano le rocce eruttive: specialmente basalti e tufi. Vastissime aree sono occupate da sabbie di duna, da sabbie eluviali, da argille alluvionali, da calcari di steppa, ecc. Si possono distinguere una regione alluvionale costiera e una regione interna. La regione alluvionale costiera è formata da una catena ininterrotta di dune antiche, fissate, coperte di boscaglia (vegetazione di arbusti e alberelli spinosi, con prevalenza delle Acacie a ombrella associate a rari baobab, euforbie a candelabro, ecc.) cui si addossano qua e là dune mobili e germinanti, con il litorale in parte arenoso in parte formato di banchi calcarei alti pochi metri sul mare. Questa zona costiera, che s'innalza con le dune fino a 100 e 150 m. e si estende per oltre 400 km. per una larghezza da 5 a 20 km., è adibita a pascolo (ghel ghel) da pastori transumanti, della tribù Hauìa (Uadàn, Mursola), dai Bimàl o Rahanuin (Tuni). Internamente ad essa è la zona alluvionale, costituita prevalentemente dai depositi argillosi del basso Giuba e del basso e medio Uebi Scebeli e occupata in parte da fooreste a galleria lungo le sponde dei fiumi, in parte da praterie e da coltivazioni indigene di mais, dura, sesamo, tabacco, fagioli, zucche.

I villaggi, abitati specialmente da genti di tipo negroide (Scidle, Sciaveli) o protocamiti (Uaboni, Gobauin, ecc.) vi sono numerosi, e qui sono localizzate le concessioni. La regione interna, con ossatura rocciosa e con precipitazioni alquanto più abbondanti, si può a sua volta suddividere in due zone: la zona delle rocce cristalline o zona dei bur, costituita da un piano inclinato di sabbie lateritiche, da cui emergono colline isolate granitiche dette dagl'indigeni bur (Bur Acaba, m. 350; Bur Eibi, m. 571; Bur Dinsor, m. 623; Bur Cur Egherta, m. 345) e coperta di boscaglia generalmente folta e fiorente; e la zona degli altipiani calcarei o arenaceo-gessosi, in parte con copertura basaltica, rivestiti di boscaglia spesso piuttosto magra, ed estesi verso l'interno anche oltre confine, ove si continuano negli altipiani galla. La regione interna ha acque sotterranee diffuse se non copiose ed è abitata in parte da pastori seminomadi Hauìa (Galgiàl, Di Godìa, Giagele) e Dighil o Rahanuin (Gherra, Lissan, Jantar, Ober), in parte, nelle zone più favorevoli per natura del suolo e quantità di precipitazioni, da genti dedite anche all'agricoltura e abitanti in villaggi fissi, come gli Èlai del Baidoa, di Molimàt di Tigieglò, gli Eile di Bur Eibi, ecc.

La zona interna raggiunge la massima elevazione nota entro il confine italiano a Budulca a S. di Oddur (m. 710).

La fonte di ricchezza della Somalia meridionale è specialmente costituita dalle acque: non solo dalle acque freatiche o subalvee, che alimentano pozzi e piccole sorgenti, ma soprattutto dalle acque correnti. I corsi d'acqua locali (bohòl) hanno tutti regime temporaneo, e interessano più che altro i ristagni d'acqua (uel) che dopo le piogge permangono per qualche tempo nel loro letto: a questi, del pari che ai pozzi (el) e alle abbeverate dei fiumi (som. hele, galla: malca), si recano i pastori con le loro mandrie. I due corsi perenni, Giuba o Ganana e Uebi Scebeli, si originano fuori del territorio italiano, e in questo s'impoveriscono più o meno, per evaporazione e per infiltrazione, per modo che il secondo non raggiunge il mare e solo indirettamente mescola le sue acque a quelle del Giuba. Le portate di massima piena dell'Uebi Scebeli misurate ad Afgoi sono di 183 mc. al secondo: e in quell'epoca dilaga, nel suo basso corso, in vastissimi stagni paravallivi: le perdite giornaliere nei 700 km. di percorso in territorio italiano si calcolano a 500.000 mc. al giorno. L'Uebi Scebeli è navigabile per un certo tratto del suo corso medio buona parte dell'anno, ma in massima magra si riduce a un filo d'acqua, che congiunge vaste pozze, nelle quali si ritirano in copia pesci, coccodrilli, e ippopotami. Il Giuba ha portate maggiori: a Matagassile, 30 km. a monte di Bardera, dove per causa di alcune rapide cessa la navigabilità, si avrebbe una portata di piena pari a 721 mc.; a Mofi presso Margherita, nella Goscia, sono state misurate piene di 602 e 544 mc. La marea rimonta il fiume per oltre 20 km. e ne rende le acque più o meno salmastre da quel punto fino alla foce, che si apre a uncino presso i villaggi di Giumbo e di Gobuen.

Oltregiuba. - L'Oltregiuba è il territorio compreso fra il Giuba e il confine occidentale, che per gran tratti segue il 41° meridiano. Esso presenta caratteri fisici analoghi a quelli della Somalia meridionale, differenziandosene in sostanza per una piovosità leggermente più elevata, almeno verso la costa. Questa è orlata da una serie d'isolette, le Isole di Dundas, dette anche dei Baiuni dalla popolazione di pescatori che le abitano, e che si ravvicina per taluni caratteri somatici ed etnici a genti della Malesia. La catena delle dune fisse, coperte di boscaglia, si estende anche qui lungo la costa ed è abitata da pastori Harti, del grande ceppo Darod; essa perciò s'interrompe alla foce dei principali corsi d'acqua: il Lac Bodana dinnanzi all'isoletta Ciuai; l'Anole, che sbocca in mare a Porto Tula e il Burgao, estuario navigabile, comune del Cimoti e del Bubasci a Porto Durnford. Internamente alla zona delle dune si estende una vasta pianura in gran parte alluvionale, e dipendente dal Lac Derr, torrente temporaneo, che viene a morire nel Descec Uama o L. Hardinge. È abitata da pastori del grande gruppo degli Ogadēn (Mohammed Zubien, Bartireh, Macabùl): limitate coltivazioni si hanno nell'interno attorno al Descec Uama (Uardai, Scecal) e lungo l'alto Anola (Bagiuni); intensamente coltivate sono le alluvioni del Basso Giuba (Goscia), da Uagoscia e Uaboni, e quelle del medio Giuba e del Daua da Gobauìn e Gasar Guddà. Più all'interno ancora è l'altipiano in riva destra del Giuba, formato da calcari giurassici, arenarie variegate con gessi e lembi di rocce eruttive. L'altipiano è coperto di boscaglia e abitato da pastori Merehàn e Aulihàn.

Il clima, come fu accennato, è arido o semiarido, ma, salvo che sul Golfo di Aden, più o meno mitigato dai monsoni che soffiano per circa 8 mesi dell'anno da NE. nell'inverno, da S. o SO. nell'estate. Nella zona costiera la temperatura media annua è intorno ai 27°, nell'interna 35°: le variazioni stagionali sono più modeste, la stagione più calda e asciutta essendo l'inverno, la più fresca e alquanto umida l'estate; le variazioni diurne piuttosto marcate, specie nelle regioni interne un po' elevate; l'umidità atmosferica notevole, soprattutto lungo mare e sui fiumi. Le piogge oscillano tra 700 mm. (Brava) e 300 (Lugh) e cadono in due stagioni, dette dagl'indigeni gu (marzo-maggio) e der (settembre-novembre); le stagioni intermedie sono il gilàl (dicembre-febbraio) caldo asciutto e l'agaio (giugno-agosto) più mite e con qualche pioggerella. Sotto l'aspetto igienico il clima è assai salubre, salvo lungo i fiumi dove è frequente la malaria e non mancano forme di dissenteria amebica. Quivi esiste anche il nagana che fa strage degli animali: la malattia del sonno è fortunatamente ignota. Rare o rarissime, quasi sconosciute negli Europei, sono la framboesia, la febbre ricorrente dovuta alla puntura delle zecche, l'ulcera tropicale, la lebbra, l'elefantiasi, il beri-beri.

Popolazione. - La popolazione della Somalia Italiana ammontava nel 1931 a 1.021.572 ab., di cui 1658 Europei, e questi nella quasi totalità Italiani. Il più ampio Governo della Somalia si ritiene abbia una popolazione di 1.300.000 ab. Gl'indigeni sono in grandissima maggioranza Somali; si hanno anche un certo numero di Arabi e pochi grossi commercianti Indiani. La lingua parlata dalla quasi totalità della popolazione della Somalia Italiana è il somalo. Nella città di Brava si parla il bravano, che è una lingua bantu: l'arabo è anche diffuso nelle città della costa e si adopera comunemente nei rapporti commerciali e nella scrittura. L'italiano è generalmente compreso e parlato alla meglio dagl'indigeni abitanti vicino ai centri.

I centri principali sono: Mogadiscio, capoluogo della colonia e sede del governo, con 27.887 ab. indigeni e 675 Europei. Alla zona litoranea della Somalia meridionale appartengono altresì Merca (12.000 ab.) e Brava (9000 ab.). Questi tre sono i principali centri - scali e mercati al commercio arabo di cabotaggio - che valsero a questa costa il nome di Benadir (sing. bender, emporio commerciale). Alla foce del Giuba, su una ridente collina della riva sinistra, è Giumbo (1000 ab.) diminuita d'importanza dopo l'annessione dell'Oltregiuba. Nell'interno della Somalia meridionale, oltre ai centri agricoli di Genale, Vittorio d'Africa e Villaggio Duca degli Abruzzi, sono da ricordare Afgoi-Gheledi, grosso villaggio indigeno a 30 km. da Mogadiscio; poi, più a valle, sempre sul basso Uebi Scebeli, Audegle, Caitoi, Avai; più a monte, sul medio corso, Balàd, Mahaddei Uen, Bulo Burti, Giglei, ecc. Sul basso Giuba sono i centri agricoli di Margherita e di Gelib; sul medio corso è Bardera; più a monte ancora è Lugh (3500 ab.), già importante emporio dei commerci dei Boran, Sidamo, ecc. e meta d'importanti spedizioni di esplorazione, fino dalla metà del sec. XIX; e finalmente Dolo, alla confluenza del Daua nel Ganale e sull'ex-confine italo-etiopico. Nell'interno sono anche da ricordare: Uanle Uen nella regione agricola del Dafet, Bur Acaba e Dinsor al piede dei monti omonimi; Iscia Baidoa (3500 ab.), Tigieglò, Oddùr (1000 ab.) sull'altipiano calcareo. Jet e El Goràn sono posti di bande sulla linea avanzata, nella regione dei gessi.

Nell'Oltregiuba il centro principale è Chisimaio (5460 ab.) sulla rada omonima. Bur Gao (Porto Durnford) è alla foce dell'estuario navigabile del Cimoti. I centri più notevoli dell'interno sono Gobuen e Alessandra nella Goscia, Serenli sul medio Giuba quasi in faccia a Bardera, Afmedò nella zona alluvionale, Garba Hare sull'altipiano dei Merehàn, ecc.

Sulla costa a N. di Mogadiscio, nella Somalia centrale, l'abitato di maggiore importanza è Obbia, fondata nel sec. XIX in paese hauìa dal migiurtino Iussuf Ali, che poi nel 1889 chiese e ottenne il protettorato italiano. Altri centri costieri, tra Mogadiscio e Obbia, sono Uarscèc, Itala (El Adaleh) e Mereg; a N. di Obbia la costa non ha centri stabili fino al Nogal. All'interno ricordiamo: Harardere, nella regione agricola dello stesso nome; El Bur, villaggio di poche capanne attorno alla residenza; Sinadogò presso il pozzo omonimo e finalmente Rocca Littorio (Galcaio), capoluogo del commissariato del Mudùg con 500 ab., noto come centro di resistenza delle truppe inglesi nella campagna contro il Mullah, durante la quale quelle avevano preso per base il territorio (allora sultanato protetto) di Obbia.

La Somalia settentrionale o Migiurtinia ha parecchi scali frequentati dai velieri (sambuchi) che fanno il traffico con lo Yemen, con Aden, con l'Hadramôt, con il Golfo Persico, con l'India. I più notevoli sono: Alula (2000 ab.) capoluogo della Migiurtinia, sulla laguna formata dall'estuario del torrente Galuen, 60 km. a O. del Capo Guardafui, con ottimo rifugio per i sambuchi e buon ancoraggio in rada per i piroscafi, campo di aviazione, ospedale, ecc.; Bender Ziade, al confine della Somalia Britannica; Bender Cassim - detta dai Somali Bosaso - con 2800 ab., al termine della grande arteria longitudinale della Somalia; Bender Chor (la Càndala dei Somali) presso la foce del Tog Uen; Bender Meraio, villaggio di Migiurtini dediti alla pesca del pescecane e della madreperla e alla raccolta dell'incenso, ecc. Presso al Capo Guardafui sono Bèreda sul Golfo di Aden e Tohen sull'Oceano Indiano. Su questo sono da ricordare Bargàl (400 ab.), già sede dello spodestato sultano dei Migiurtini; Hordío con le saline di Dante, presso il promontorio di Hafun; Hafun sulla costa meridionale di questo; Bender Beila al piede della scarpata calcare dell'altipiano del Sol; Eil alla foce del Nogal. L'interno della Migiurtinia non aveva alcun centro stabile, prima che il sultano e il Mullah vi edificassero qua e là delle garese (forti) a difesa dei pozzi e dei pascoli. I centri dell'interno sono ora Iredami, nel Darror; Carin nella gola omonima nel retroterra di Bender Cassim; Gardò sull'altipiano del Sol; Callis e Garoe nel Nogal, ecc.

Condizioni economiche. - La Somalia Italiana non ha rivelato finora giacimenti minerarî; alcune piccole saline naturali dell'interno, come quelle di Aggherràr presso Lugh, forniscono sale molto impuro, che viene anche trasportato e venduto sui mercati. Grandi saline, denominate Dante, sono state impiantate dalla Società Migiurtinia nella Laguna di Hordío presso Hafun.

La boscaglia somala abbonda di prodotti spontanei, alcuni dei quali vengono già raccolti e in parte esportati: così è della gomma che si può estrarre da certe acacie, della mirra e dell'incenso che abbonda specialmente sulle rupi della Migiurtinia. La pesca del pescecane e della tartaruga esercitata dai Bagiuni dell'Oltregiuba e dalle popolazioni costiere in genere e quella della madreperla in Migiurtinia fornisce anche materia di esportazione, e così pure le pelli di leopardo e di dig dig e altri prodotti della caccia come piume di marabù e di aigrette, ecc.

L'industria principale delle genti di razza somala è la pastorizia seminomade, e la ricchezza del patrimonio zootecnico è veramente cospicua. Si allevano principalmente bovini (oltre 1 milione di capi), cammelli (615 mila), ovini (circa 1 milione), capre (1.200.000), equini (12 mila), e se ne traggono latte, burro (ghee), pelli. I cammelli rappresentano un ottimo mezzo di trasporto per le merci, ma non sono ordinariamente adibiti come cavalcature; i bovini sono addestrati dagli Europei ai lavori agricoli; un mezzo economico di trasporto è fornito dagli asini. Come cavalcatura si importano muletti eritrei, i cavalli, allevati specialmente nella Migiurtinia e dagli Ogadēn, essendo vivaci, ma piccoli e scarsi.

L'agricoltura indigena è esercitata specialmente da liberti e liberi di razze negroidi (Sciaveli, Scidle, Uagoscia) o protocamitiche (Uaboni, Gobauin) e anche da Somali, specialmente Rahanuìn (Èlai, Èile, ecc.). L'aratro è ignoto agl'indigeni, che adoperano solo una zappetta di ferro. Lungo i fiumi, con l'aiuto dell'irrigazione o dell'inondazione periodica, si coltivano specialmente mais, sesamo, fagioli, zucche, un po' di tabacco, un po' di banane; nelle zone interne non irrigue (Bur Acaba, Bur Eile, Baidoa, Molimàt, Uddùr, Tigieglò, ecc.) è specialmente coltivata la dura. L'area coltivata nella Somalia meridionale e Oltregiuba si valuta grossolanamente a 120.000 ha. Nella Somalia centrale le coltivazioni sono limitatissime (Harardere), nella settentrionale anche più ristrette, e ridotte ai piccoli palmeti dei fondovalle, dove si coltiva un po' di dura, canna da zucchero, ecc.

La Somalia meridionale e l'Oltregiuba si prestano ottimamente per colture coloniali ad alto rendimento: cotone, sesamo, ricino, arachide, canna da zucchero, banani, palme da cocco, piante da fibra come il kapok e l'agave sisalana, piante cauccifere, piante da frutto come la papaia, il mangus, l'anona, ecc. I terreni demaniali sono vastissimi, profondi, di natura alluvionale generalmente argillosa, ricchi di sostanze organiche, in gran parte suscettibili di irrigazione per le acque dei due fiumi - Giuba e Uebi Scebeli - sulle cui rive si estendono. Opere di derivazione furono già eseguite sull'Uebi Scebeli; la prima al Villaggio Duca degli Abruzzi era Mahaddei e Balàd, dove la Società Agricola Italo-Somala (SAIS) ha una concessione di 25.000 ettari, di cui 5000 già messi a coltura; l'altra a Genale, nel retroterra di Merca, dove per iniziativa di C. M. De Vecchi di Val Cismon è stato distribuito in concessione un territorio di circa 18.000 ettari, in lotti varianti da 100 a 700 ettari. Un'azienda agraria sperimentale governativa costituisce, pure a Genale, un centro di ricerca sperimentale e di consulenza tecnica. Altre concessioni si trovano, sempre sullo Scebeli, nella zona di Havai presso Brava, e ad Afgoi presso Mogadiscio, nonché lungo il basso Giuba, dove già nel 1906 iniziò la coltura del cotone con ottimi risultati il conte Enrico Frankenstein, un pioniere della Somalia, polacco di nascita, ma italiano d'adozione, e dove (ad Alessandra) esiste anche un'azienda sperimentale.

A Tadova Jak presso le dune di Merca, non lungi da Genale, sorge un'azienda zootecnica, con lo scopo di migliorare le razze indigene, specialmente dei bovini, con selezioni e incroci: alla conduzione dell'azienda stessa provvede l'Istituto sierovaccinogeno di Merca.

Comunicazioni. - Le comunicazioni marittime della colonia con l'Italia sono assicurate da una compagnia di navigazione, con servizî regolari. Nessun punto della lunghissima costa presenta insenature adatte a un facile approdo, e specialmente nel periodo del monsone estivo le rade aperte della costa oceanica sono spesso anche inaccessibili: una scogliera talvolta a fior d'acqua, talaltra emergente in isolotti, orla a distanza di alcune centinaia di metri la spiaggia, ma il canale che ne risulta è poco profondo e va soggetto a insabbiamenti. Lavori foranei furono iniziati a Brava e a Mogadiscio. Oltre a questi due e a Merca, nella Somalia meridionale, altri scali sono nella Somalia settentrionale sul Golfo di Aden, Bender Cassim e Alula; sull'Oceano Indiano Hafun e altri minori come Bender Beila, Bedei, Illig, Obbia, adatti per imbarcazioni indigene; nell'Oltregiuba, Chisimaio, la cui bella rada, protetta naturalmente, potrebbe essere adattata a porto, e Burgao (Porto Durnford). La costa è assai bene illuminata: oltre ai fari di alcuni degli scali anzidetti e di quelli minori di Mereg, Itala e Uarscèc, si hanno i due, assai importanti anche per la navigazione internazionale, del Capo Guardafui (Faro F. Crispi, della portata di circa 30 miglia) e del Ras Hafun (circa 18 miglia).

Il traffico totale della Somalia nel 1931 fu di 443 piroscafi e 780 velieri in arrivo, e circa altrettanti in partenza, battenti bandiera italiana, inglese e araba, con un totale generale di stazza di 1.174.317 tonn., 5201 passeggeri e 34.980 tonn. di merce sbarcati, 5266 passeggeri e 103.332 tonn. di merce imbarcati.

Le comunicazioni interne sono costituite solo in modesta misura dalla navigazione dei due fiumi, potendo i battelli a vapore risalire sia il Giuba da Gobuen a Bardera, sia l'Uebi Scebeli da Afgoi al Villaggio Duca degli Abruzzi. Un tronco ferroviario congiunge Mogadiscio con Afgoi-Adalei e Villaggio Duca degli Abruzzi (113 km.). Una vasta rete di rotabili, solo in piccola parte a fondo artificiale, collega i varî centri con Mogadiscio: una grande arteria lunga 220 km. si stacca da Bender Cassim sul Golfo di Aden e, attraversato il Darror a El Donfar, sale sull'altipiano del Sol, per Gardò scende a Singif nel Nogal, di qui per Gherroè passa nella Somalia centrale, tocca Rocca Littorio (Galcaiu) e per Sinadogò e Ferfèr scende a Belet Uen sull'Uebi Scebeli; segue poi il fiume per Afgoi, Audegle, Brava, Gelib sul Giuba, Chisimaio, e per Afmedò raggiunge il confine del Kenya a Diff. Da Ferfèr si stacca un altro tronco di circa 600 km. che per El Goràn, Jet, Dolo e Malca Ri tocca pure a El Uac il confine del Kenya. Un tronco trasversale (km. 565) va da Mogadiscio a Dolo per Afgoi, il Dafèt, il Baidoa e Lugh. È in progetto una grande strada Dolo-Addis Abeba. A questi tronchi principali s'innestano numerosi altri tronchi minori, per raggiungere tutte le principali località. Il Giuba ha traghetti a Dolo, Lugh, Alessandra, Gobuen; l'Uebi è scavalcato da ponti ad Avai, Audegle, Afgoi, Balàd e Mahaddei; a Bulo Burti e a Mustahìl esistono traghetti. Il commercio indigeno si svolge tuttora in parte sulle carovaniere, con carovane di cammelli.

Fino dal 1910 la Somalia ha una rete radiotelegrafica, che si è andata mano mano perfezionando: oggi essa conta 22 stazioni, ed è il primo esempio di radiocomunicazioni sostituenti in tutto un paese il telegrafo con fili (i fili telegrafici hanno una lunghezza di 30 km. soltanto). Per essa la Somalia comunica con l'Italia e con l'Estremo Oriente, e Mogadiscio costituisce una delle 34 stazioni mondiali (di cui 3 sole africane) addette ai segnali orarî.

Commercio. - Il movimento commerciale della Somalia Italiana nel 1931 raggiunse complessivamente il valore di L. 207.612.287, di cui le esportazioni per circa 78,8 milioni, e le importazioni per 128,8 milioni di lire. Si esportano principalmente sale, pelli, specialmente di dig dig, banane, incenso, e inoltre pescecane secco, burro indigeno, avorio, gomma, corna di rinoceronte, ecc.; nell'importazione figurano tessuti, zucchero, riso, semi oleosi, benzina, lavori in ferro, macchine, petrolio, tabacco; per lo zucchero, i cereali, gli olî vegetali, la Somalia tende sempre più a coprire il suo fabbisogno.

Qualche industria locale, oltre quella già accennata delle saline, tende a costituirsi per la elaborazione di prodotti agricoli e zootecnici: lo zuccherificio della Società saccarifera somala e l'oleificio della SIAS, ambedue al Villaggio Duca degli Abruzzi; uno sgranatoio governativo a Genale, per la sgranatura e pressatura del cotone; un'Azienda elettro-industriale con centrale elettrica, oleificio, saponificio e lavorazione dell'oricello a Mogadiscio; concerie a Brava, ecc.

Ordinamento. - La Somalia Italiana è retta e rappresentata da un governatore, che dipende dal viceré d'Etiopia e risiede a Mogadiscio ed ha alle sue dirette dipendenze un segretario generale e un comandante delle truppe. Il governo è costituito da varie direzioni generali: Affari civili e politici; Affari corporativi; Affari finanziarî; Affari generali e personale; Ragioneria. Il territorio è diviso in commissariati regionali, in numero di otto: Basso Giuba (capoluogo Chisimaio, residenze: Afmedò, Gelib, Bardera, Margherita); Alto Giuba (capoluogo Oddur, residenze: Lugh, Baidoa e Bur Acaba); Basso Uebi Scebeli (capoluogo Merca, residenze: Brava, Vittorio d'Africa, Audegle, Afgoi, Uanle, Genale); Alto Uebi Scebeli (capoluogo Bulo Burti, residenze: Balàd, Villaggio Duca degli Abruzzi, Itala, Mereg, Belet Uen); Mogadiscio; Mudug (capoluogo Rocca Littorio, residenze: Obbia e El Bur); Nogal (capoluogo Eil); Migiurtinia (capoluogo Dante, residenze: Alula, Bender Cassim, Càndala). Durante le operazioni militari del 1935 e 1936 nei territorî conquistati all'Abissinia sono state istituite le residenze di Neghelli per i Boran, Callafò per gli Sciaveli, e Gorrahei per gli Ogadēn.

La giustizia è amministrata dai residenti e dal giudice della colonia per gli Europei; dai cadi, dai residenti e dal tribunale indigeno per gl'indigeni. Ai servizî sanitarî presiede una direzione civile di Sanità e igiene: oltre all'ospedale di Mogadiscio si hanno 4 ospedali coloniali e 18 infermerie civili diretti da medici, una colonia agricola per lebbrosi a Gelib, ecc. Scuole elementari sussidiate esistono presso le varie missioni in varî centri; a Mogadiscio esistono un asilo infantile, un orfanotrofio, una scuola d'arti e mestieri. Dal provveditorato agli studî dipende il ginnasio di Mogadiscio. L'ordinamento militare comporta in tempi normali: il R. Corpo di truppe coloniali, il corpo zaptiè, le bande armate di confine (dubat), il comando di marina e un reparto autonomo della M .V. S. N. Il bilancio della colonia del 1933-34 era di circa 22 milioni di lire d'entrate, di cui 14 da proventi doganali; il pareggio era raggiunto con un contributo del Tesoro.

Storia. - Gl'inizî della colonizzazione. - Quando l'Italia iniziò la propria attività coloniale nel Mar Rosso, sulla costa della Somalia esercitavano il loro dominio, procedendo da nord a sud, gli Egiziani nelle regioni di Zeila e Berbera; i sultani dei Migiurtini e degli Obbia; il sultano di Zanzibar, che possedeva i porti di Chisimaio e Mogadiscio e altri minori. Nel retroterra si spartivano il dominio le varie tribù somale.

Fu così che subito dopo l'occupazione di Massaua, il governo italiano inviava a Zanzibar una nave da guerra (il Barbarigo). Esplorate le foci del Giuba, gl'inviati italiani riuscivano a stabilire a Zanzibar un consolato generale e a concludere col sultano locale un trattato di commercio (28 maggio 1885). L'azione successiva dell'Italia si volse, di qui, a ottenere il protettorato sui sultanati della Somalia settentrionale. Si giunse così alla convenzione di protettorato con il sultano di Obbia (8 febbraio 1889) e col sultano dei Migiurtini per una parte della Migiurtinia con l'impegno di non accettare la sovranità di altri stati per l'altra parte del sultanato (7 aprile 1889). Un anno dopo, nelle regioni somale più meridionali sotto la sovranità nominale di Zanzibar, una ricognizione della nave Volta nella rada di Uarsceich (aprile 1890) si dovette ritirare dopo un proditorio attacco contro i pochi uomini sbarcati. Rimasero uccisi il sottotenente di vascello Zavagli e un marinaio, il macchinista Bertorello.

Decisosi a reagire, il governo di Roma diede incarico al console di Zanzibar, capitano Filonardi, di occupare in nome dell'Italia il villaggio di El Athale (divenuto poi Itala). Ciò avvenne nel febbraio del 1891. Iniziatasi così l'occupazione territoriale dell'Italia, i governi di Roma e di Londra si accordarono per la delimitazione delle rispettive zone d'influenza (protocollo del 5 maggio 1894). Nel frattempo l'Italia aveva ottenuto in affitto dal sultanato di Zanzibar i porti di Brava, Merca, Mogadiscio, Uarsceich. L'esercizio di tale concessione fu per un triennio affidato a una società privata (Compagnia Filonardi) la cui opera fu insufficiente a dominare le turbolente tribù locali. Questa compagnia aveva assunto, fra gli altri obblighi quello di pagare 160.000 rupie (pari a circa 270.000 lire) al sultano di Zanzibar, mentre aveva avuto una sovvenzione annua di sole 300.000 lire; condizioni queste non certo favorevoli là dove era necessario cominciare tutto dal nulla.

Si aggiunga a queste difficoltà il quasi completo disinteressamento del governo del tempo e la scarsità di mezzi bellici destinati alla difesa dei componenti della compagnia. Il paese era in condizioni molto misere mentre i vali, senza nessun controllo che li frenasse, si abbandonavano a vessazioni di ogni sorta. Ciò nondimeno il Filonardi riuscì a porre parziale rimedio agli abusi e soprattutto a conferire una certa regolarità al funzionamento della giustizia. Inoltre furono aumentati i traffici e migliorati i proventi doganali. Però i risultati furono, nel complesso, assai scarsi, per la penuria dei capitali (la sottoscrizione sperata di un milione non raggiunse neppure il terzo di quella somma) e la società venne, inoltre, accusata di essere tiepida nei riguardi della soppressione della schiavitù, e troppo indulgente di fronte all'ingordigia dei vali.

Allo scadere del termine, un nuovo contratto affidò la gestione dei porti per 48 anni alla Società commerciale italiana Benadir, previo un periodo di trapasso, con gestione provvisoria governativa, che fu affidata al console Cecchi, affiancato da un rappresentante della società concessionaria. Ma il 26 novembre 1896, a pochi chilometri da Mogadiscio (a Lafolè) il Cecchi e un piccolo corpo armato che lo accompagnava, venivano attaccati. Il Cecchi, 9 ufficiali di marina, 6 bianchi e 70 ascari venivano uccisi. Inviato subito sul posto, il comandante Giorgio Sorrentino faceva bombardare dalla costa i villaggi di Nimo e Gezira e incendiare villaggi interni, mentre dall'Eritrea s'inviavano, a rinforzo, due compagnie del 5° battaglione indigeni. Con queste truppe, il Sorrentino riuscì ad infliggere ai colpevoli una dura lezione.

L'aggressione del Mullah. - Tuttavia, la nuova società concessionaria si trovò di fronte ad una situazione abbastanza difficile, anche per la coesistenza della sovranità zanzibarita e quindi per la permanenza dei vali del sultano a fianco delle autorità italiane.

Mentre il governo italiano si preoccupava di tutto ciò e stava studiando il modo più conveniente per porre fine a tale stato di cose (la gestione della nuova Società commerciale cominciò a svilupparsi in pieno verso gl'inizî del 1900. Le forze difensive erano allora alquanto aumentate e migliorati i più importanti servizî: ospedaliero, delle comunicazioni, dei lavori pubblici, ecc.), si manifestò l'offensiva del Mullah Sayed Mohammed ben Abdullah, nativo della Somalia Inglese e stabilitosi dopo un pellegrinaggio alla Mecca a Bohotleh, che divenne centro di propaganda e di attacchi armati contro gl'infedeli. Obiettivi di queste feroci, ripetute aggressioni furono tanto i possedimenti inglesi, quanto quelli italiani. Spedizioni punitive pertanto furono a più riprese condotte contro il Mullah dagl'Inglesi, dagl'Italiani e anche dagli Abissini. Dopo che reparti inglesi e italiani ebbero raso al suolo il forte e il villaggio di Ilig (21 aprile 1903), s'iniziavano con il Mullah laboriose trattative, concluse il 5 marzo 1905 con accordi con l'Italia e il 24 marzo con accordi con l'Inghilterra. Si otteneva con queste stipulazioni la cessazione di atti ostili contro i sultanati della costa. Ma il Mullah continuò, nondimeno, a eccitare l'aggressività delle tribù dell'interno e a inviare armi e bande di razziatori nella valle dell'Uebi Scebeli.

La gestione diretta dello stato italiano. - Tutto ciò richiedeva l'ingerenza diretta dello stato. Ragioni d'inadempienza da parte della società concessionaria, indussero il governo d'Italia (19 marzo 1905) ad assumere la gestione della colonia, che fu affidata al Mercatelli con funzioni di governatore, e titolo di Commissario generale per la Somalia. Egli fu autorizzato a effettuare un riordinamento provvisorio della colonia da durare fino alla promulgazione di leggi definitive. A lui successero il Cerrina-Feroni (1906) e poi il Carletti (1907). Si dovette nel 1905 inviare una spedizione (capitano Pentano) per liberare il presidio di Merca, accerchiato dai ribelli. Dopo successive azioni vittoriose a Gilib (26 agosto) e Mellet (14 ottobre) il presidio delle armi italiane veniva rafforzato. Un altro tentativo di duemila Bimàl, compiuto nel febbraio 1907 a Danane, veniva eroicamente respinto da parte italiana da un pugno di uomini.

L'incidente italo-abissino di Lugh e lo scontro di Baqallè. - Nel dicembre 1907 avvenne il grave incidente di Lugh, provocato da razzie di truppe etiopiche, le quali erano state inviate contro il Mullah di nuovo inquieto e avevano poi finito per aggredire e derubare ai pozzi di Berdale (pressi di Lugh) tribù soggette all'Italia. I capitani Molinari e Bongiovanni essendo intervenuti con 200 uomini di truppe somale e 115 ascari eritrei per ottenere con vie pacifiche la restituzione del bottino, ed essendo fallite le trattative, decisero di attaccare le forze abissine sebbene molto superiori in numero. Ebbero la peggio e gli ufficiali e quasi tutti i soldati lasciarono la vita sul campo (Baqallè, 15 dicembre 1907). Fu chiesta al negus Menelik immediata soddisfazione. Il negus riconobbe che i capi avevano agito arbitrariamente e, dopo un difficile negoziato, concluse poi, il 16 maggio 1908, un trattato con l'Italia per la delimitazione dei confini fra la Somalia Italiana e l'Etiopia. Questi erano stati indicati in modo approssimativo da Dolo verso nord-est fino all'Uebi Scebeli, di qui fino alla Somalia Inglese.

L'incidente di Lugh diede luogo a numerose interpellanze al parlamento italiano che reagì vigorosamente approvando la legge del 5 aprile 1908 sull'ordinamento della Somalia Italiana. Si trattava di un vasto programma di lavori, subordinato però all'aumento delle forze militari destinato a garantire la tranquillità dei lavori stessi. A questo fine il maggiore Di Giorgio fu nominato comandante delle truppe coloniali della Somalia.

L'occupazione del basso Scebeli. - Rinforzi giunti dall'Eritrea e arruolamenti d'indigeni portarono la disponibilità di armati a oltre tremila uomini. Con questi il Di Giorgio decideva di operare nel basso Uebi Scebeli a danno dei Bimàl che avevano ripreso la loro attività ostile, e inoltre con lo scopo d'impossessarsi della regione, chiave di vòlta del piano di occupazione che il governo di Roma aveva ormai stabilito di attuare.

Dopo avere battuto i ribelli a Mellét (11-12 luglio 1908) e avere liberato Merca accerchiata, il piccolo corpo di spedizione si dirigeva a Merca dove si sapevano concentrate forze Bimàl e dervisci somali in gran numero; incendiava il villaggio, inseguiva i ribelli per buon tratto, occupava il 2 settembre Afgoi e il giorno dopo accettava, con solenne cerimonia, la sottomissione del sultano di Gheledi e di 5000 suoi armati. Lasciata a presidio di Afgoi una compagnia di ascari arabi e una compagnia di ascari eritrei, il corpo del Di Giorgio rientrava il giorno seguente in Mogadiscio, di dove però muoveva di nuovo, in seguito a ordine del governatore Carletti, per operare oltre il basso Scebeli contro grossi nuclei di Bimàl tuttora aggirantisi non lontano da Afgoi. Il passaggio del fiume fu compiuto nella notte sul 23 settembre; il mattino del 24 avvenne ad Araré uno scontro con i ribelli, i quali avanzavano in formazione rada. La quadrata formazione riuscì a disperdere gli avversarî dopo mezz'ora di fuoco.

Verso la fine del 1908 (22 e 27 novembre) i combattimenti di Bulalò e Sengagle condotti dal maggiore Rossi, succeduto al Di Giorgio, chiudevano le operazioni per il possesso del basso Scebeli. I Bimàl facevano atto di sottomissione.

Il Mullah riprende l'azione. - Mentre i Bimàl erano messi fuori causa, si facevano sempre più aggressive le ostilità del Mullah, riaccese nella primavera del 1908. Il Mullah dopo l'accordo di Ilig aveva cessato di aggredire direttamente gl'Italiani e gl'Inglesi, ma in compenso si era dedicato ad una intensa politica clandestina di sobillazione e di eccitamento delle varie tribù. La sua apparente remissività ebbe però termine ben presto e le aggressioni, specialmente ai danni dei protetti Italiani e degl'Inglesi, furono tali e tante da costringere l'Inghilterra a mantenere in crociera continua tre corazzate (Fox, Philomel e Diana) e a tenere sul piede di guerra quattromila uomini di truppa.

Scorrerie nel territorio italiano e britannico avevano procurato al focoso capo severe lezioni. Tanto l'Inghilterra quanto l'Italia provvedevano a sostenere la lotta. Il governatore britannico incoraggiava e aiutava le tribù soggette perché si difendessero da sé; e nel territorio italiano si attuavano efficaci bombardamenti da mare.

Intanto nel 1910 era nominato governatore della Somalia Italiana Giacomo de Martino, il quale - coadiuvato principalmente da Iacopo Gasparini - iniziava un'intensa azione politica per preparare l'occupazione italiana dell'intera colonia riconosciuta dai trattati sino al confine etiopico. Quest'azione aveva due aspetti: uno esterno contro il Mullah e il movimento dei dervisci del Mullah (ciò che condusse all'organizzazione degli armati dei sultani protetti di Obbia e dei Migiurtini, i quali ben presto furono in grado di opporre una ferma resistenza ai dervisci battendoli in sanguinosi scontri) e uno interno, cioè il potenziamento politico dei gruppi etnici somali in modo che l'organizzazione avita della tribù fosse in grado di resistere all'azione livellatrice del movimento dei fanatici musulmani del Mullah. In tal modo l'Italia poté pacificamente occupare dal 1912 al 1914 la regione del medio Uebi e tutta la zona tra l'Uebi e il Giuba, chiudendo, anche a sud, ogni sbocco al movimento dei dervisci: questo fu un grave colpo per il Mullah, tanto più perché le zone della Somalia Italiana meridionale divennero presto basi, dalle quali bande armate partivano per audaci incursioni nei territorî ancora controllati dal Mullah. L'essenziale contributo dell'Italia alla disfatta dei Dervisci dev'essere tenuto ben presente. Intanto il Mullah volle profittare della inspiegabile rilassatezza degl'Inglesi, che avevano lasciato sguernita di forze la propria colonia, ridotta al presidio di un centinaio di armati indigeni. La scarsa truppa muoveva indrappellata (agosto 1913) presso Del Madoba, quando il Mullah l'aggredì e la distrusse. L'Inghilterra inviò rinforzi, che al principio del 1914 ebbero sui seguaci del Mullah facile rivincita.

La Somalia Italiana durante la guerra mondiale. - La colonia italiana della Somalia non si poteva sottrarre interamente al dannoso influsso della guerra mondiale. Gli avversarî dell'Italia trovarono appoggio nel giovane erede del trono d'Etiopia, Ligg Iasu, il quale - convertitosi a una politica filomusulmana e recatosi a Harar - voleva fare di questa regione confinante con la Somalia la base di azioni aggressive, in accordo col Mullah e con i sultani dell'Aussa e della Dancalia. Quando masse armate scioane massacrarono i Somali e i musulmani abitanti in quel territorio, parve che il Mullah dovesse proclamare la guerra santa contro tutti gl'infedeli, Bianchi e di colore; tanto più che le forze inglesi presenti nel Somaliland erano apparse sufficienti per contenere le razzie dei dervisci. Ma il Mullah non seppe cogliere il momento opportuno e, a guerra finita (1919), vide disciogliersi per diserzione la massa dei suoi armati e diminuire i rifornimenti, mentre l'azione italiana s'intensificava sia in Migiurtinia sia dal Benadir e gl'Inglesi (gennaio-febbraio 1920) spingevano a fondo la repressione con pieno successo. Contro il territorio italiano durante la guerra mondiale si erano intensificate le razzie; e i dervisci dell'alto Scebeli, attaccavano di sorpresa a Buloburti (27 marzo 1916) un minuscolo presidio e ne uccidevano il comandante, capitano Battistella, e alcuni gregarî. Inseguiti da maggiori forze guidate dal colonnello Bessone, i ribelli venivano duramente puniti e dispersi a Belet Uèn, loro luogo di concentramento. Più tardi il Mullah, battuto dagl'Inglesi, si rivolgeva di nuovo contro gl'Italiani; ma colpito da malattia cessò di vivere il 23 novembre 1920.

Dopo la guerra mondiale. - Gli alleati dell'Italia, approfittando del periodo di confusione interna che caratterizzò in Italia, come altrove, l'immediato dopoguerra, avevano fatto sì che a questa rimanesse solo una minima parte dei compensi coloniali che le erano dovuti. Furono poche e insignificanti modificazioni dei confini della Libia e la cessione di territorio inglese nell'Oltregiuba. Tale promessa fu realizzata dopo laboriose trattative; solo il 15 luglio 1924 fu firmato a Londra il trattato (ratificato dal parlamento inglese nel febbraio 1925) che cedeva all'Italia quel territorio britannico come compenso per gli acquisti coloniali dell'Inghilterra in dipendenza della vittoria comune. Il trapasso dei poteri avvenne il 29 giugno 1925 a Chisimaio. Il nuovo territorio fu affidato a un governatore (Corrado Zoli) e il i° luglio 1926, l'Oltregiuba entrò a far parte integrante della Somalia Italiana, col vantaggio di unificare il sistema economico-agricolo della valle del Giuba.

Occupazione della Somalia settentrionale. - Dopo la morte del Mullah, il territorio del Nogal fu conteso dai sultani di Obbia e dei Migiurtini. Il governatore De Vecchi di Val Cismon decise di agire con energia per metter tregua alle contese fra i protetti dell'Italia nocive agl'interessi e al prestigio italiano.

Il 1° ottobre 1925 s'iniziavano le operazioni con l'occupazione di Hordio, seguita nei giorni successivi dall'occupazione di Alùla, nella Migiurtinia, di El Bur e di Obbia. Mentre nel sultanato di Obbia la resistenza degli abitanti fu superata con relativa facilità, nella Migiurtinia fu necessario ricorrere al blocco delle coste, al bombardamento navale e all'occupazione armata di Afgalaio, di Bereda, di Gallacaio, di Bender Cassim e di Bender-Zidda. Dopo di che, concentrate nella Migiurtinia anche le forze di Obbia, oltre al 3° battaglione eritreo giunto da Massaua (mentre il concentramento avveniva, i presidî italiani ebbero a subire attacchi cruenti) nel marzo del 1926 si svolsero le prime operazioni nel territorio del Nogal con due colonne che si riunirono a Buballe (15 aprile) per procedere oltre il Gullalè - strenuamente difeso dal nemico - fino all'occupazione di Eil e di Callis. Durante l'estate le operazioni proseguirono nella regione del basso Darror. Gli ultimi ribelli, dispersi, passarono in territorio britannico sullo scorcio del 1926, e quivi furono disarmati.

Ai protettorati succedeva la sovranità territoriale italiana e la colonia veniva ripartita nelle regioni seguenti: Giuba (capoluogo Chisimaio), Centro (Mogadiscio), Uebi Scebeli (Mahaddei), Confine (Oddur), Obbia, Nogal e Migiurtini.

Le operazioni militari italiane per la conquista dell'impero. - La sopravvenuta insicurezza nelle colonie italiane dell'Africa Orientale - soprattutto a partire dalla fine del 1914 - e la confermata impossibilità d'intrattenere con l'Abissinia relazioni economiche e commerciali pacifiche, imposero all'Italia la necessità di provvedere ad alcune misure precauzionali che si concretarono in un primo tempo (gennaio 1935) nell'invio di due divisioni nazionali, rispettivamente in Eritrea e in Somalia. Perdurando e accrescendosi via via lo stato di tensione fra l'Italia e l'Abissinia, sorretta e mal consigliata da potenze europee, diminuirono nel corso dell'annata le possibilità di composizione pacifica, dati l'intransigenza del governo di Addis Abeba e lo spirito di assoluta incomprensione dimostrato dalla Società delle nazioni a riguardo dei diritti e degl'interessi italiani in Africa Orientale. Fu pertanto necessario, dopo aver provveduto all'invio e all'attrezzatura di un adeguato corpo di spedizione, opportunamente dislocato in Eritrea e in Somalia e composto di divisioni dell'esercito e di camicie nere, nonché di grandi unità di truppe indigene, parare all'eventualità di un'aggressione abissina in forze, prima che fosse troppo tardi.

Sul fronte somalo, oltre a operazioni minori che diedero all'Italia il possesso di Dolo, nel settore occidentale, e di Gherlogubi, a circa 40 chilometri da Ual Ual, venne sferrata un'offensiva nel settore centrale a NE. di Mustahil, con obiettivo l'occupazione della regione degli Sciaveli. Contro Dagnerei chiave delle posizioni abissine fu sferrato il 18 ottobre, dopo bombardamento aereo, un attacco di bande dubat e d'irregolari al comando di Olol Dinle, sultano degli Sciaveli, che si era precedentemente sottomesso al generale Graziani, comandante delle forze italiane in Somalia. Occupata Dagnerei, dopo lotta accanita, il possesso si estese al nord sino a Callafò.

Dopo la vittoriosa azione contro Dagnerei, le forze italiane occupavano i villaggi rivieraschi dell'Uebi Scebeli e nel settore Giuba sostenevano vittoriosamente alcuni scontri. Ai primi di novembre, il comando italiano, avuto sentore che gli Etiopici stavano compiendo forti concentramenti di truppe e di materiali nella zona di Gorrahei, sul Fafan, decise d'investire la posizione, saldamente fortificata con apprestamenti moderni. Due colonne, moventi rispettivamente da Gherlogubi e da Belet Uen, eseguirono un'avanzata convergente su Gorrahei, mentre l'aviazione eseguiva efficacissimi bombardamenti in seguito ai quali il nemico abbandonava la posizione. Nella notte sul 6 novembre 1935, elementi celeri italiani entravano in Gorrahei, l'oltrepassavano e inseguivano il nemico in fuga. Il giorno 11 un'autocolonna prendeva nell'alta valle del Fafan contatto con il nemico rinforzato da un migliaio di regolari autocarrati provenienti da Dagabur. Lo scontro - il primo che si svolgesse contro le forze etiopiche modernizzate - si concluse con la piena vittoria, che condusse alla conquista di Gorrahei, caposaldo avanzato della linea difensiva Giggiga-Dagabur e principale centro militare di un vastissimo settore dell'Ogadēn.

Le forze abissine sul fronte somalo erano così valutate: un corpo di 50.000 uomini al comando del degiac Nosibù concentrato nella zona Giggiga-Sassabaneh; una massa centrale, di forza alquanto minore, in lenta avanzata lungo l'Uebi Scebeli al comando del degiac Bejenè Merid; una massa di 30.000 uomini, al comando di ras Destà, concentrata a circa 80 km. a nord di Dolo.

Di tutti i movimenti nemici, quello di ras Destà appariva come il più pericoloso. Il 22 novembre, avanguardie dell'armata di ras Destà erano state battute dagl'Italiani a Lamma Scillindi, che era stata occupata, e grossi concentramenti erano stati scoperti e bombardati dall'aviazione tra Neghelli e Filtu. Il piano di ras Destà, concepito non senza larghezza di vedute, mirava ad operare contro il settore di Dolo, per scardinare il fronte somalo e togliere poi all'Italia i porti di Mogadiscio e Chisimaio, o quanto meno puntare contro il settore orientale, nell'Ogadēn. Ras Destà aveva quindi proceduto dai suoi centri di raccolta - il paese degli Arussi e la regione dei Laghi Galla - lungo le carovaniere che seguono i tre fiumi confluenti nel Giuba presso Dolo. Ai primi del gennaio 1936, attestate le sue colonne tra il Daua Parma e il Ganale Doria, e posto il quartier generale a Galgalo, lasciò ai suoi capi libertà d'azione.

Conscio di tale situazione favorevole, il generale Graziani operò per staccare l'armata di ras Destà dai confini della colonia del Kenya, dalla quale traeva i rifornimenti. Il 12 gennaio, il generale Graziani faceva avanzare una colonna lungo il Ganale Doria, una seconda, autocarrata, sulla camionabile di Neghelli, e una terza lungo il Daua Parma. Il nemico oppose su quelle direttrici di marcia aspra e accanita resistenza, sfruttando caverne e un completo sistema difensivo (ridotte, trincee, reticolati e nidi di mitragliatrici). I combattimenti durarono con crescente ardore fino al giorno 16, quando il nemico, decisamente sopraffatto, abbandonò precipitosamente le posizioni di Bogol Magno e Galgalo, inseguito dalla colonna autocarrata, che si dirigeva verso la piana di Filtù, mentre le altre due colonne proseguivano verso i rispettivi obiettivi. Frattanto il generale Graziani con un distaccamento celere autocarrato marciava su Neghelli, capitale dei Galla Borana, dove entrò il 20 gennaio. Anche le altre colonne proseguivano l'avanzata, e quella del Daua Parma occupava Malca Murri. Il nemico aveva subito perdite ingentissime.

L'attività dell'aviazione italiana veniva spiegata su larga scala sul fronte somalo. Le azioni furono svolte nei giorni compresi fra il 22 marzo e il 10 aprile avendo quali compiti principali quelli di riconoscere le possibilità di ricostituzione del fronte etiopico meridionale; di fissare il nucleo centrale delle forze etiopiche nel settore del Bale, martellandole metodicamente nei centri vitali di rifornimento; e d'iniziare, infine, l'opera preventiva di distruzione delle basi dell'armata del degiac Nasibù che sbarrava la via di Harar. Allo scopo di assolvere il primo compito, si ebbero azioni di ricognizione accompagnate da qualche azione di bombardamento contro nuclei etiopici avvistati. Il martellamento delle forze etiopiche nel Bale venne effettuato con particolare violenza, e un rilievo speciale merita l'incursione sull'importante centro logistico di Goba i cui depositi vennero distrutti. Infine, si ebbero bombardamenti violentissimi contro Giggiga, Harar, Sassabaneh, punti nevralgici della resistenza avversaria. Gl'impianti logistici, magazzini, depositi, edifici militari, e le opere di fortificazione vennero sottoposte a durissima prova dagli apparecchi dell'aviazione italiana che svolgevano azione di massa.

Dopo l'efficace preparazione aerea, il generale Graziani il 15 aprile 1936 disponeva l'avanzata nell'alto Ogadēn, che si effettuò lungo tre direttrici; la occidentale, da Danane per Gianagobò, Bircut, Segag, Dagamedò; la centrale, da Gebradarre, per Uarandab e Sassabaneh; e la orientale, da Gherlogubi, Biat-Dida, Curati. Vinte le prime resistenze nemiche a Gianagobò in una caratteristica battaglia d'incontro, che si protrasse dal 15 al 17 aprile, il comando italiano lanciò decisamente tutte le colonne verso il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Risultava dalle informazioni raccolte che il degiac Nasibù aveva concentrate le sue forze nel quadrilatero, saldamente organizzato a difesa, di Hamanlei-Bullale-Sassabaneh-Guna Gadu. Il giorno 24 l'azione entrava nella sua fase decisiva, procedendosi all'investimento del campo trincerato di Sassabaneh, mentre venivano occupate Hamanlei e Guna Gadu. L'imperversare del maltempo causava alle forze italiane notevoli difficoltà cui si aggiunse l'accanita resistenza del nemico, ma le colonne, riuscite finalmente a superare le difese di Sassabaneh, si poterono concentrare il 30 aprile a Dagabur, aprendosi così la via su Giggiga e Harar, abbandonate ormai dal nemico che volgeva in rotta precipitosa. La sera del 5 elementi autocarrati occupavano Giggiga, mentre altri reparti puntavano su Harar, dove il generale Graziani entrava l'8 maggio. Subito dopo un'altra colonna si spingeva su Dire Daua, prendendone possesso il 9 e congiungendosi con un reparto di fanteria proveniente da Addis Abeba per mezzo della ferrovia di Gibuti. In tal modo, le estreme avanguardie degli eserciti del nord e del sud venivano a contatto, realizzando il congiungimento dei due fronti. Per tutta la campagna 1935-1936 dell'Africa Orientale, v. App.

Bibl.: Istituto Coloniale Fascista, Annuario delle colonie italiane, Roma 1935; Rassegna economica delle colonie, 1935; Touring Club Italiano, Guida d'Italia. Possedimenti e colonie, Milano 1929; G. Stefanini, Saggio di una carta geologica dell'Eritrea, della Somalia e dell'Etiopia, Firenze 1933; Ministero delle colonie, Bollettino meteorologico delle colonie italiane 1932, Tripoli 1934; G. Chiesi, La colonizzazione europea nell'Est Africa, Torino 1909; G. De Martino, La Somalia Italiana nei tre anni del mio governo, Roma 1912; G. Sorrentino, Ricordo del Benadir, Napoli 1912; Missione Stefanini-Paoli, Ricerche idrogeologiche, botaniche ed entomologiche fatte nella Somalia Italiana meridionale, Firenze 1916; G. Scassellati-Sforzolini, La Società agricola italo-somala in Somalia, ivi 1926; Commissariato Generale dell'Oltre Giuba, Notizie sul territorio di riva destra del Giuba, Roma 1927; id., Oltre Giuba, ivi 1928; G. Stefanini e A. Desio, Le colonie e Rodi, Torino 1928; id., I possedimenti italiani in Africa, 2ª ed., Firenze 1929; R. Governo della Somalia Italiana, Il Giuba, Torino 1926; id., La vallata del Giuba, ivi s. a.; id., La Migiurtinia e il territorio del Nogal, ivi s. a.

Somalia britannica.

Confini. - Colonia inglese posta nella parte nord della Penisola Somala sul Golfo di Aden, e limitata a E., SE., S. e SO. dall'Africa Orientale Italiana (governi della Somalia e di Harar), a O. dalla Costa francese dei Somali o Somalia Francese. La costa appartenente alla colonia corre per circa 640 km. da El Ayo presso Bender Ziada fino ai pozzi di Loyi Hada, presso Gibuti; nell'interno la colonia si estende per una profondità di 340 e 120 kmq. con un'area pari a circa 176.000 kmq.

Descrizione fisica. - Il territorio può essere diviso in tre zone morfologicamente e altimetricamente ben distinte: la fascia litoranea, la regione molto accidentata che costituisce nel suo complesso la fronte settentrionale dell'altipiano, e la piattaforma interna. La fascia litoranea, detta Guban, è tutt'altro che regolare: geologicamente è costituita da strati di rocce cristalline antiche, giurassiche, cretaciche, terziarie, rotte da sistemi di fratture in numerosi bloccchi, in parte sommersi nelle alluvioni e nelle sabbie, in parte emergenti sotto forma di catene collinose, delle quali nel retroterra di Berbera si distinguono specialmente tre serie più o meno parallele al mare; quella di Dubar, esterna, quella di Bihin e Dagah Shabell mediana, e quella di Daimoleh interna. A occidente di Berbera l'ascesa dalla costa alle alture, che non sono se non le propaggini orientali degli altipiani di Giggiga e di Harar, è più dolce, a scaglioni; a oriente invece, tra Hais e il confine orientale, la scarpata si avvicina molto al mare e i monti Ahl Sangheli che la costituiscono, a tratti, per esempio verso Lasgorè, cadono quasi a picco sulla costa. La scarpata, salvo nel lembo occidentale, è dappertutto ripida e alta: dietro Berbera essa costituisce i Monti Golis, coronati da arenarie cretaciche e calcari eocenici, e vestiti in alto da foresta (M. Fodier, m. 1952; M. Gan Libah, m. 1707). Analoghi sono i gruppi dell'Uagar (m. 1998) e del Negegr (m. 1565); i Monti Ahl Sangheli culminano presso Mahet con il M. Surur Ad (m. 2408), ma la catena si prolunga a oriente nei Monti Ahl Medò, sempre superiori ai 1500 m., fin oltre confine.

A S. di questa cresta l'altipiano, calcareo e gessoso, declina monotono nella regione del Haud, che è in territorio in parte britannico, in parte italiano. Il Haud trae il suo nome da una parola somala, che significherebbe boscaglia spinosa, ed è infatti per larghi tratti coperto da questa formazione vegetale; a tratti invece è coperto di praterie e in parte quasi nudo e semidesertico. Sul versante meridionale degli Ahl Sangheli sono le regioni relativamente fertili del Ghebi e del Gid Ali: la prima è una valle che scende con i suoi affluenti verso il Darror, l'altra invece, il Gid Ali, è uno dei tanti tributarî del Tug Derr o alto Nogal. Il Tug Derr ha le sue origini sul versante meridionale dei Golis e con i suoi tributarî affluenti quanto il Ghebi sono torrenti impetuosi durante le piogge, secchi nelle stagioni asciutte e a valle disperdono interamente le loro acque nelle aride pianure del Dohdi e del Darror, indizio palese dell'aridità di questo clima non appena si abbandonino le grandi altitudini, oltre i 1500 m., dove le precipitazioni si condensano in maggior copia.

In queste parti più aride, sulle rupi si aggrappano i magri arbusti degli aromi, specialmente dell'incenso.

La piovosità media a Berbera è di circa 200 mm., distribuita in pochissimi giorni, spesso concentrata in rari violenti acquazzoni, specialmente in primavera, tra febbraio e maggio. La massima assoluta quivi osservata nel 1927 fu di 47°,8. A Scec, che si trova nei Golis, a circa 1500 m., cadono invece oltre 500 mm. di pioggia, specialmente da aprile a novembre. Sul Guban soffiano spesso dalle creste dell'altipiano violentissimi e caldissimi venti notturni.

Popolazione e centri. - La popolazione della Somalia Britannica è costituita da Somali dei gruppi Isāq e Darod, tra i quali i più importanti sono, nella zona ad O. e a SO. di Berbera, i Habar Yūnis e i Habar Auwal, il cui nome si ricollegherebbe a quello di Aualites sinus, dato dagli antichi al Golfo di Tagiura; nel retroterra a S. e SE. della città vivono i Haber Garḥagis e i Haber Tolgia‛le; sugli altipiani del Haud e del Sol i Dulbahana (Ḍūlbahanta), infine i Warsangheli nomadizzano nella parte orientale della colonia.

I centri abitati principali sono sulla costa: Berbera, la capitale, che è il porto principale della colonia, esaurendo circa il 58% del traffico totale. Circa 70 km. ad O. di Berbera è la rada di Bulhar. Da Zeila sulla costa O. presso il confine francese, partono due carovaniere per il Harar: l'una settentrionale, per Bio Caboba e Gildessa, fu spesso battuta dai primi esploratori; l'altra, meridionale, trasformata ora in rotabile, per Buramo e Giggiga, è un'arteria importante del commercio di Harar. A oriente di Berbera sulla costa sono: Ancor, Hais, Mahet, Lasgorè, tutti piccoli scali più o meno adatti all'ancoraggio dei sambuchi che fanno na. vigazione di cabotaggio lungo la costa e con gli scali prospicienti dell'Arabia. Nell'interno presentano un certo interesse Ergheisa (m. 1338), detta anche dagli Arabi Harar es Seghir (la piccola Harar) centro carovaniero verso l'Ogadēn e l'Uebi Scebeli, e anche da Berbera a Giggiga e al Harar; Scec, Burao, Bohotle sono pure centri distribuiti su una seconda carovaniera più orientale, che per il Haud scende a Gherlogubi e Gorrahei nell'Ogadēn e di qui all'Uebi. Taleh (m. 609) nel Nogal fu un importante centro del Mullah durante la ribellione di questo: la garesa e le tombe in muratura da lui costruite furono bombardate con aerei e distrutte dagl'Inglesi nella campagna del 1920 e il luogo rimase interamente abbandonato.

La popolazione della Somalia Britannica ammonta a circa 344.700 ab. (1932), di cui circa 50.000 nei centri costieri, oltre a 1519 Arabi, 466 Indiani varî e 60 Europei.

Condizioni economiche. - Le sole industrie indigene, oltre l'allevamento del bestiame sono costituite dai lavori in fibre vegetali e dalla raccolta di gomma, mirra e incenso, che si esportano a Aden e in India. Sulla costa fra Zeila e Berbera si pescano le conchiglie della madreperla: anche la pesca del pescecane, praticata dagli Arabi, è assai redditizia. Dalla Somalia Britannica, oltre alle resine, alle stuoie, alle pelli, si esportano bestiame, il ghee (burro indigeno), la madreperla, e anche caffè; nonché avorio e oro provenienti dall'Etiopia; s'importano invece tessuti di cotone, riso, datteri, zucchero.

Nel 1934 il valore delle importazioni fu di 316.450 lire sterline, quello delle esportazioni di 193.026 sterline. Giacimenti minerarî in sfruttamento non ve ne sono: nelle pegmatiti sono segnalati giacimenti di mica biotite pallida a Scec e a Mandera, muscovite con berillo e graniti a Lafferug; negli scisti cristallini si osservano fìloncelli e concentrazioni sporadiche di galena argentifera presso Lasgorè. Esisterebbero anche tracce d'oro. Carboni fossili e ligniti si trovano nelle arenarie del Cretacico e nell'Eocene presso Ancor e nel retroterra di Berbera. Sabbie terziarie favorevolmente indiziate come petrolifere si trovano a Dagah Shabell: la roccia madre sarebbe un sottostante scisto giurassico. Finalmente alcune isolette costiere, e particolarmente quella di Mahet presso Hais, contengono depositi di guano, e a Zeila esistono saline.

Storia. - L'importanza della Somalia Britannica è piuttosto politica che economica. La Gran Bretagna, specialmente attraverso i suoi funzionarî e ufficiali dell'India, segnò trattati con i capi somali del Golfo di Aden fino dal principio del sec. XIX, ma non si stabilì a Zeila, Berbera e Bulhar che nel 1884, quando questi porti furono abbandonati dagli Egiziani, dopo le disfatte della guerra con il Mahdi nel Sudan. Nel 1888 fu delimitata l'opera d'influenza rispetto al finitimo possedimento francese; nel 1894 rispetto alla Somalia Italiana (cui seguì una precisa confinazione nel 1929-30), e nel 1897 fu stabilito un accordo simile con l'Impero Etiopico, rispetto al quale la delimitazione del confine era in corso nel 1934, quando scoppiò l'incidente di Ual Ual, che diede origine alla tensione italo-etiopica sboccata poi nella guerra. Amministrativamente la Somalia Britannica passò nel 1898 dalle dipendenze di Aden a quelle del Foreign Office, poi nel 1905 del Colonial Office. Nel 1899 s'iniziò un movimento di ribellione, capeggiato da Mohammed ben Abdulla, della tribù Bah Gheri (Ogadēn), che gl'Inglesi chiamarono il Mullah pazzo (Mad Mullah) per la sua insana ferocia.

Questi eccitò il fanatismo degl'indigeni, specialmente Dulbahanta, si proclamò Mahdi e occupò Burao, che venne riconquistata dal colonnello Swayne solo l'anno successivo, mentre il Mullah si rifugiava in territorio italiano, fra i Migiurtini. Tornato attorno a Burao, nel 1902 egli fu nuovamente ricacciato dal colonnello Swayne e inseguito, con il permesso dell'Italia, nel territorio del Mudug; ma non mancarono vicende avverse per gl'Inglesi, che subirono gravi perdite a Erigo, e dovettero ritirarsi. Nel 1903, previo accordo con l'Italia, gl'Inglesi presero come base delle operazioni Obbia, da dove il generale Manning marciò a occupare Galadi e Bohotle, mentre un corpo di truppe abissine operava a SO.; ma reparti inglesi furono ripetutamente sopraffatti attorno a Gumburu, e alla fine il Mullah con arditissima manovra, defilando fra quei due centri tenuti dalle truppe inglesi, passò a N. nella valle del Nogal, dove occupò il villaggio di Ilig. Nella nuova campagna (1903-04), al comando del generale Egerton, gli armati del Mullah furono duramente provati e battuti a Gidbali; e per qualche tempo le forze navali inglesi tennero occupata Ilig. Per evitare i danni e i pericoli di queste campagne combattute tra mullisti e inglesi in territorio italiano, il governo italiano, che aveva concesso agl'Inglesi le maggiori agevolazioni, offrì la sua mediazione; e le trattative con il Mullah, concluse nel 1905 a Ilig, condussero a un accordo (v. Somalia Italiana), per cui il Mullah otteneva una zona di territorio italiano (Territorio del Nogal) e prometteva di astenersi dal turbare più oltre la pace. Questa durò infatti tre anni; ma nel 1909, essendo ricominciate le scorrerie mulliste nel retroterra, fu deciso il ritiro dell'amministrazione inglese ai centri della costa. Ciò determinò gravissimi disordini delle tribù, che adoperarono le une contro le altre le armi date loro per difendersi contro il Mullah: si stima che non meno di 1/3 dei maschi adulti perissero in queste lotte fratricide. Intanto il Mullah si spostò verso l'interno, prima a Gorrahei, poi a Bohotle, finalmente (1913) a Taleh. Nel 1913 furono riprese le ostilità, e gl'Inglesi agli ordini del Corfield, furono aspramente battuti a Dul Medove nel medio Nogal.

Nel marzo 1914 un piccolo gruppo di cavalieri dervisci (come venivano chiamati) calarono dall'altipiano per il passo di Meraya e fino alle porte di Berbera, ritornando tosto alla loro base di Shimber Berris senza potere far danno alla città, ma distruggendo i villaggi attraversati e trucidandone gli abitanti. Questo episodio, che qualcuno suppose simulato, per forzare la mano al governo di Londra, indusse il nuovo commissario Archer a iniziare la riorganizzazione delle forze militari, e dopo varie vicende i forti di Shimber Berris furono espugnati. Durante la guerra mondiale il Mullah fu in rapporti col negus Ligg Iasu, che, sobillato da consiglieri turchi e tedeschi, prefiggeva di porsi a capo di un grande dominio musulmano, e in tutti quegli anni continuarono, saltuariamente, le lotte fra Inglesi e dervisci, sinché questi nel 1916 giunsero a impadronirsi per sorpresa di una parte della città di Lasgorè, che fu tosto liberata dall'assedio da una nave inglese sopraggiunta da Aden. Allora i dervisci si fortificarono a Boran sul Carcar. Finalmente dopo varie azioni, tra le quali specialmente notevoli quelle del passo di Endow (1917) e del passo di Ok (1919), nel 1920, con il concorso dell'aviazione e della marina, una breve campagna che culminò con il bombardamento di Taleh, permise agl'Inglesi di liberarsi dal Mullah, il quale fuggì con pochi fidi prima a Gorrahei nell'Ogadēn, poi nel medio Scebeli a Imi, dove morì d'influenza il 23 novembre 1920, rimanendo con lui estinto del tutto il movimento che egli aveva capitanato. Per l'azione italiana contro il Mullah, vedi sopra Somalia Italiana: Storia.

Bibl.: W. A. Macfadyen, The Geology of British Somaliland, Londra 1933; Colonial Office, Annual Reports. The South and East African Jear Book and Guide, for 1935; D. Jardine, The Mad Mullah of Somaliland, Londra 1923.

Somalia francese.

Geografia. - È chiamata ufficialmente Côte Française des Somalis e comprende un territorio che si estende a semicerchio intorno alla baia di Tagiura (280 km. di costa), il quale dopo gli accordi italo-francesi del 1935 (in seguito ai quali passò all'Eritrea la parte meridionale del sultanato di Raheita, di circa 800 kmq.) ha una superficie di 21.163 kmq. Tale territorio è in parte basso e pianeggiante (vi si trova anzi la profonda depressione assoluta del Lago Assal, 174 m. sotto il livello del mare), e in parte collinoso e montuoso. Nella parte settentrionale, a N. di Tagiura, i Monti Guda superano i 1600 m. Il clima è torrido e aridissimo: nelle bassure il mese più caldo (luglio) ha una media di circa 32°, e il mese più fresco (gennaio), di 26°; le piogge non superano i 100 mm. annui, e gran parte del paese, quindi, è desertica o coperta da una magra steppa. Boscaglie, che presentano però anch'esse caratteri xerofili, si rinvengono soltanto nelle zone più elevate, sulle quali le precipitazioni sono meno scarse.

La popolazione risultò nel 1931 di soli 68.965 ab. (e fu calcolata di 70.000 nel 1935), dei quali 46.687 Somali, 2992 Arabi, 18.552 Danachili, 499 Indiani, 157 Abissini e 78 Ebrei. Gli Europei erano 628 (356 Francesi), risiedenti quasi esclusivamente a Gibuti (11.366 ab.), capoluogo della colonia, nella quale sono pure notevoli i centri di Tagiura (670 ab.) e di Obock, l'antico capoluogo (250 ab.). Gibuti è il capolinea marittimo della ferrovia che raggiunge Addis Abeba (783 km., dei quali 90 nel territorio della colonia) e che assicura alla Somalia Francese la maggior parte del traffico etiopico. Questa linea, ultimata nel 1917, è esercita da una compagnia francese (Compagnie du Chemin de fer franco-éthiopien); in seguito ad accordi italo-francesi l'Italia ha acquistato partecipazione al capitale azionario della compagnia.

Nell'interno della colonia le comunicazioni si effettuano generalmente per mezzo di carovane. Carovaniere importanti sono quelle per Assab e per Harar. Varie linee di navigazione francesi, italiane, inglesi, tedesche, norvegesi, svedesi e olandesi fanno scalo a Gibuti, che è collegata da servizî di cabotaggio con Perim e Aden.

La colonia non si presta all'agricoltura, per la quasi totale mancanza di acqua. Nei dintorni di Gibuti si coltivano un poco legumi e tabacco; dalle acacie, frequenti nelle boscaglie della zona montuosa, si ricava gomma arabica. Si allevanti pecore, capre, bovini e cammelli. L'esplorazione mineraria è ancora superficiale, ma si conoscono notevoli giacimenti di ferro. Dal Lago Assal, di origine vulcanica, si estrae cloruro di potassio, e dalle saline di Gibuti si ricavano dalle 20 alle 25 mila tonn. annue di sale. Le industrie sono rappresentate da una fabbrica di ghiaccio, una centrale elettrica e dagli stabilimenti meccanici della Compagnia ferroviaria.

La pesca fornisce un discretto prodotto, e vi è una certa esportazione di pesce secco e salatto verso l'Etiopia. Si pescano pure spugne e ostriche perlifere.

Il commercio estero è quasi esclusivamente di transito e costituito da caffè, pelli, cera, avorio e metalli preziosi all'esportazione, e da cotonate, petrolio, benzina, zucchero, alcoolici, spezie, cemento, sapone e automezzi all'importazione, che di solito ha un valore più alto di quello dell'esportazione (media del periodo 1931-34, 157,4 milioni di franchi all'importazione e 148,9 all'esportazione, per oltre la metà dati dal caffè). La Francia partecipa al commercio della colonia con appena il 7-8% del valore.

Storia. - L'occupazione francese della Costa dei Somali è di data relativamente recente. Fino dal regno di Luigi Filippo vi erano stati contatti fra il governo di Parigi e il Negus dello Scioa, e missioni francesi (Rochet d'Héricourt, Lefebvre, D'Abbadie, ecc.) avevano percorso l'Etiopia centrale e meridionale, ma nessuna parte della costa africana orientale era stata occupata; e nella Somalia stessa la lunga crociera del comandante Guillaim si era conclusa senza risultati politici concreti. Soltanto quando l'azione dell'Italia e dell'Inghilterra s'intensificò sulle coste del Mar Rosso e del Golfo di Aden, gli avvenimenti fecero precipitare anche la realizzazione di un programma coloniale francese in Somalia e fu allora deciso senz'altro di mettere in efficienza il porto di Obock. L'azione francese si svolse sulla base di una convenzione, che il governo di Parigi pubblicò, firmata l'11 marzo 1862 fra il ministro degli Esteri di Francia e un rappresentante del sultano di Tagiura; convenzione che era rimasta per oltre vent'anni non eseguita.

La missione venne affidata a un uomo di molto tatto e di molta energia, M. Lagarde. Sbarcato nel luglio del 1884 con 27 uomini di fanteria, il funzionario francese riuscì in breve tempo a stipulare accordi e trattati che ponevano sotto il protettorato francese i sultanati di Raheita, Tagiura e Gobad.

Dal 1884 al 1888 la Costa dei Somali fu oggetto di un intenso lavoro di penetrazione: Obock e Gibuti furono i centri maggiormente interessati. Nel 1897, anno di eccezionale importanza nella storia coloniale francese, venne firmata la convenzione per la determinazione delle frontiere con l'Abissinia (le frontiere con i possedimenti inglesi furono fissate nel febbraio 1888; la delimitazione delle frontiere con i possedimenti italiani risalgono invece al componimento amichevole concluso nel 1900).

Dopo il 1900, nella storia della Costa dei Somali si deve registrare solo un'intensa ripresa delle missioni francesi nelle contrade di confine e nell'interno dell'Etiopia, iniziative queste consigliate allo scopo di stabilire nuovi contatti e migliori motivi per consacrare maggiormente il trattato commerciale già precedentemente stipulato. Missioni rimaste per lo più assolutamente inefficaci e che si confondono con un'ultima odissea nella storia di questa colonia: la ferrovia franco-etiopica.

Bibl.: Ministero delle Colonie francesi, La Côte Française des Somalis, Parigi 1930; ibid., ivi 1931; G. Grandidier, Atlas des Colonies françaises, ivi 1934 (cfr. il cap. Côte Française des Somalis annesso alla tav. XXXVIII, dove la colonia è rappresentata alla scala di 1 : 1 milione); G. Joutel, Le port de Djibouti, in L'Afrique française, 1928, pp. 635-39; M. Ortolani, Gibuti, in Boll. R. Soc. Geogr. ital., 1935, pp. 480-99.

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