LEE, Spike

Enciclopedia del Cinema (2003)

Lee, Spike (propr. Shelton Jackson)

Francesco Zippel

Regista, attore, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, nato ad Atlanta il 20 marzo 1957. Considerato il più importante regista del cinema afroamericano, ha spesso posto al centro dei suoi film tematiche sociali legate ai rapporti interrazziali, prestando particolare attenzione all'interazione tra la comunità nera e quella italoamericana. Tutti i suoi lungometraggi sono ambientati a New York e ritraggono la metropoli come luogo di confronto e di scontro sociale, secondo un punto di vista che ricorda il cinema di Martin Scorsese. In particolare, per molti dei suoi film il regista ha scelto limitati spazi urbani, spesso quartieri, ripresi con uno stile sperimentale (dalle venature documentaristiche), combinando il colore dei luoghi con personaggi sempre fortemente caratterizzati. Basate su una struttura filmica sperimentale, le sue opere hanno dialoghi scanditi da uno stile sincopato che richiama quello della musica jazz, centro della sua ispirazione formale. La passione per il jazz, ereditata dal padre Bill, musicista raffinato e autore delle prime colonne sonore dei suoi film, emerge con particolare evidenza nel caratteristico modo di far parlare i personaggi all'unisono con un montaggio parallelo dove le voci degli uni e degli altri si rispondono come in un brano musicale. Fondamentale risulta inoltre l'apporto, per le colonne sonore, di importanti esponenti della musica nera come Terence Blanchard, suo collaboratore fidato, Branford Marsalis, Stevie Wonder, Prince e dei Public Enemy, gruppo storico del rap americano. Di grande rilievo anche il lavoro di L. come produttore: la sigla della sua casa di produzione, 40 Acres & a Mule Filmworks, caratterizza in maniera evidente i suoi film già a partire dai titoli di testa. Nel 1983 ha vinto l'Oscar riservato agli studenti con il mediometraggio di diploma Joe's Bed-Stuy barbershop: we cut heads (1982), e nello stesso anno ha ricevuto un premio al Festival di Locarno.

Dopo essersi diplomato al Morehouse College in comunicazioni di massa, L. ha intrapreso la carriera cinematografica iscrivendosi al prestigioso Institute of Film and Television della New York University. In questo periodo ha realizzato i primi cortometraggi: The answer (1980), forte attacco contro The birth of a nation (1915) di David W. Griffith accusato di razzismo, Sarah (1980) e Joe's Bed-Stuy barbershop: we cut heads. Nel 1986 ha diretto il primo lungometraggio, She's gotta have it (Lola darling), inserendosi nella tradizione del cinema indipendente americano: capitale quasi inesistente, scelta del bianco e nero e di attori semiesordienti, tutti afroamericani. Il consenso ottenuto con questo film, che lo ha fatto conoscere anche all'estero, gli ha poi consentito di realizzare la sua seconda opera, School daze (1988; Aule turbolente), un coloratissimo musical che punta l'attenzione sulle divisioni di classe che separano gli studenti afroamericani. Ma è stato soprattutto Do the right thing (1989; Fa' la cosa giusta) a consacrarlo come uno dei cineasti più interessanti del periodo. Il quartiere di Bedford-Stuyvesant, in cui è ambientato il film, è ridotto alle dimensioni di una strada e costituisce il luogo in cui si scontrano personaggi di diversa nazionalità, gli abitanti afroamericani del quartiere e la famiglia italoamericana proprietaria della pizzeria, e si intrecciano voci e suoni. L. costruisce progressivamente la 'tragedia' (la rivolta e la conseguente morte di Radio Raheem) attraverso un accumulo di elementi e la perfetta interazione tra la colonna sonora e la calura opprimente che rende il quartiere sempre più claustrofobico. Grazie a questo film L. è stato scoperto e valorizzato dai critici dei "Cahiers du cinéma", che hanno cominciato a seguire con attenzione la sua opera. Con Mo' better blues (1990), elegante incursione nel mondo della musica jazz ma, secondo una lettura più polemica, anche "analisi dello sfruttamento dei musicisti neri da parte dei manager bianchi" (Crespi 2001, p. 192), L. ha affrontato nuovamente il tema dei rapporti interrazziali, attraverso la dolorosa storia della relazione tra un architetto e la sua segretaria bianca, compiendo una spietata analisi dei pregiudizi razziali e sessuali e un efficace studio sui rapporti di classe. Nel film sono presenti anche quei tipici lunghi monologhi che hanno il ritmo e una musicalità quasi 'rap' e costituiscono uno degli elementi distintivi del suo cinema. Con Malcolm X (1992), fortemente voluto da L. e incentrato sulla figura del leader nero e sulla lotta per l'emancipazione afroamericana, ha realizzato un'opera per molti aspetti irrisolta, ma con la quale si è messo decisamente in gioco in prima persona da un punto di vista sia politico sia emozionale. Prodotta dalla Warner Bros., è stata segnata durante la lavorazione da accesi e frequenti scontri tra il regista e la major, e ha dato inizio al rapporto conflittuale del regista con gli studios hollywoodiani. Tornato agli standard del cinema indipendente con un film dai riflessi autobiografici, Crooklyn (1994), su una famiglia afroamericana di Brooklyn nei primi anni Settanta, subito dopo L. ha diretto Clockers (1995), tratto dal romanzo omonimo di R. Price, una delle sue opere più dure, ambientata anch'essa nel quartiere di Brooklyn, rappresentato però come uno spazio senza uscita. Nell'analisi di personaggi (tra cui Strike, un giovane spacciatore, e il detective Rocco Klein), attraverso i quali emergono il contrasto criminalità/legge e il problema dei rapporti interrazziali, L. si è avvicinato a quel realismo ossessivo e a quella istintività tipici del cinema di Scorsese, non a caso produttore del film. Dopo lo sperimentale Girl 6 (1996; Girl 6 ‒ Sesso in linea), su un'attrice afroamericana che trova provvisoriamente lavoro come 'voce' di una chat line erotica, L. ha diretto Get on the bus (1996; Bus in viaggio); il film, ispirato alla Million Man March, indetta da L. Farrakhan nel 1995, e prodotto da quindici personalità afroamericane dello spettacolo e della cultura, è stato accusato di sostegno alla politica segregazionista e ha avuto scarsa circolazione. È invece basato su un episodio di violenza razzista avvenuto a Birmingham nel 1963 il successivo documentario 4 little girls (1997). Nel 1998 ha diretto l'ottimo He got game, presentato alla Mostra del cinema di Venezia, storia in parte autobiografica ambientata nel mondo del basket, altra grande passione di L., metafora esistenziale e atto di denuncia della corruzione imperante nell'ambito dello sport. Con Summer of Sam (1999; Summer of Sam ‒ Panico a New York) ha realizzato invece una feroce critica della capacità dei media di creare il panico collettivo e di stimolare l'intolleranza verso ciò che è 'diverso', narrata attraverso la ricostruzione degli eventi della torrida e sanguinosa estate newyorkese del 1977, mentre con Bamboozled (2000) ha elaborato una satira sul mondo della televisione statunitense e sulla classe media afroamericana che lo ha riportato alle tematiche degli inizi. Nel 2002 ha diretto 25th hour (La 25a ora), sofferta e sentita riflessione sulla New York dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, raccontata attraverso le ultime ore di libertà di uno spacciatore. Prodotto dalla Buena Vista, il film fonde magistralmente le esigenze di committenza e il respiro d'autore, caratteristico del cinema di L., ma rivela contemporaneamente un'altissima maturità nel ricostruire la lunga giornata del protagonista, trascorsa nell'attesa di consegnarsi all'autorità, nell'alimentare i ricordi del passato e nell'accavallamento progressivo dei desideri; l'ultimo di questi (il padre che prospetta al figlio come potrebbe essere la sua vita se non si consegnasse alla polizia) assume la forma di una grande, interminabile, visione onirica.

Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Five for five. The films of Spike Lee (1991); By any means necessary. The trials and tribulations of the making of Malcolm X (1992) e Best seat in the house: a basketball memoir (1997), entrambi scritti in collaborazione con R. Wiley.

Bibliografia

B. Bernotas, Spike Lee: filmmaker, Hillside (NJ) 1993.

K.M. Jones, Spike Lee and the African American filmmakers: a choice of colors, Brookfield (CT) 1996.

J.A. Rhines, Black film, white money, New Brunswick 1996.

Spike Lee. Tutti i colori del cinema, a cura diG.A. Nazzaro, Roma 1996.

M. McDaniel, Spike Lee: on his own terms, New York 1998.

F. Moneta, Spike Lee, Milano 1998.

A. Crespi, Spike Lee, in Hollywood 2000, 2° vol., Autori, a cura di L. Gandini e R. Menarini, Recco 2001, pp. 186-95.

Spike Lee: interviews, ed. C. Fuchs, Jackson 2002.

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