MALASPINA, Spinetta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MALASPINA, Spinetta (Spinetta il Grande di Fosdinovo)

Franca Ragone

Membro di spicco della stirpe feudale della Val di Magra, le cui origini si fanno risalire alla frammentazione del ceppo obertengo nel secolo XI, nacque quasi certamente nel 1282 nella terra lunigianese di Verrucola Bosi, da Gabriele di Isnardo; è ignoto il nome della madre.

Apparteneva al ramo della famiglia detto dello Spino Fiorito cui, dopo una divisione dei beni operata nel 1221, era toccato quanto del patrimonio già comune era situato a sinistra della Magra fino al mare. La storia della famiglia è segnata dall'ambizione a dominare un territorio difficile, in cui non si era sviluppato un vero movimento comunale, ma che rivestiva grande importanza strategica per il controllo delle vie di comunicazione che univano la Lombardia alla Toscana. I marchesi dello Spino Fiorito non avevano mantenuto nel tempo un orientamento politico stabile, mirando piuttosto al conseguimento di vantaggi territoriali con spregiudicate alleanze con forze locali ed extralocali. Particolare rilievo avevano avuto nel secolo XIII le aggressioni alla giurisdizione del vescovo di Luni, su cui insistevano gli interessi, oltre che dei Malaspina, del Comune di Lucca e di grandi famiglie dell'aristocrazia genovese. Negli ultimi anni del Duecento la famiglia versava in un periodo di crisi. Indebolita dai continui frazionamenti patrimoniali, essa non era riuscita a far fronte compatto contro l'invadenza di poteri più stabili, quale soprattutto il Comune di Lucca, che aveva eroso sia la giurisdizione episcopale sia quella feudale. Nel 1299 Lucca aveva poi stabilito il suo dominio anche su Verrucola Bosi.

Al 12 dic. 1301 risale la prima notizia documentaria sul M., quando egli compare in una carta come canonico della chiesa di S. Germano di Varzi; si trattava evidentemente di un canonicato onorario, di cui egli godette con il fratello Isnardo per breve tempo. La prima attestazione significativa del suo operato è però quella che lo vede schierato al fianco di Enrico VII da poco disceso in Italia: il 5 febbr. 1311, infatti, Enrico VII, un mese dopo la propria incoronazione regale (cui il M. avrebbe presenziato), lo inviò a Reggio perché vi facesse rispettare le condizioni di pace imposte alle parti cittadine; accolto con onore, il M. consentì il ritorno degli esponenti della famiglia da Sesso, capi del partito filoimperiale. Alla fine di febbraio, però, la fortunata ripresa dei guelfi allontanava dalla Lombardia alcuni dei vicari imperiali; tra questi vi era il M., cacciato il 27 febbraio in seguito a un tumulto che segnò la momentanea sconfitta dei da Sesso e dei loro seguaci. Il 16 aprile successivo, comunque, Enrico inviò nuovamente un funzionario, forse lo stesso M., per ristabilire le sorti dei ghibellini locali. Se un nuovo mandato vi fu, non fu però duraturo: il M. seguì infatti Enrico nell'impresa contro Firenze, nel 1312.

Il 15 dic. 1311 egli si era fatto intanto promotore in Fosdinovo, a nome dello zio Azzone e dei fratelli Isnardo e Azzolino, di una pace con un nobile locale, iniziativa che dà la misura del suo prestigio in ambito familiare. L'8 apr. 1312 sottrasse il dominio di Verrucola Bosi ai Lucchesi, che reagirono sferrando un attacco alle terre del marchese. Fallito l'assedio a Firenze nell'autunno, Enrico VII si ritirò a Poggibonsi, da dove comminava, in presenza di numerosi testimoni tra cui lo stesso M., il bando contro i vescovi di Firenze e di Luni, colpevoli di non averlo assecondato nella lotta contro i guelfi toscani (23-24 febbr. 1313). Del vuoto di potere - che, apertosi in Lunigiana con la partenza del vescovo Gherardino, si sarebbe protratto fino alla nomina di Castruccio Castracani a visconte del vescovato (4 luglio 1314) - il M. seppe avvantaggiarsi prontamente, occupando parte della regione. Poco dopo, approfittando della situazione di debolezza dell'imperatore, chiese in riconoscimento delle proprie prestazioni l'investitura feudale della vicaria di Camporgiano in Garfagnana, pertinente alle diocesi di Lucca e Luni, ottenendone ampia e solenne concessione il 19 marzo 1313.

L'improvvisa morte di Enrico VII, il 24 ag. 1313, provocò tuttavia il rinfocolarsi dei contrasti tra gli schieramenti opposti; in quella situazione emergevano i nomi del signore milanese Matteo Visconti e di Uguccione Della Faggiuola, signore di Pisa, punti di riferimento del fronte filoimperiale. Se non è sicuro che si debba accogliere per vera la notizia tramandata dal solo Galvano Fiamma che il primo chiamò il M. a Milano come podestà nel 1314, certo è che egli, dopo una breve militanza nelle file dei guelfi, seguente alla pacificazione tra Lucca e i Malaspina dell'ottobre 1313, fiancheggiò Uguccione nella lotta contro Firenze e i suoi alleati. Intervenne alla battaglia di Montecatini del 1315, dove fu fra i primi in campo, quindi si rivolse verso la Toscana nordoccidentale per devastare le terre dei Lucchesi e dei guelfi di Garfagnana, e recuperare il controllo dei possessi aviti.

Prendevano nel frattempo una piega imprevista gli eventi a Lucca e a Pisa, dove il rapporto tra Uguccione e il Castracani, inizialmente improntato a collaborazione, si guastò al punto che quest'ultimo fu incarcerato proprio nel momento in cui Pisa si ribellava al Faggiolano: la situazione si capovolse a vantaggio del condottiero di Lucca, che si ritrovò alla testa delle milizie e poco dopo del governo della città, che della rivolta pisana aveva approfittato per rivendicare la propria libertà. In tale frangente il M. si schierò a fianco di Uguccione, che ospitò in Lunigiana prima che entrambi, estromessi dall'incalzante successo politico e militare di Castruccio, si trasferissero presso la corte di Cangrande Della Scala.

Nelle vicende di Lombardia il M. ebbe parte importante nell'estate 1317, quando, eletto capitano generale di guerra del Comune di Parma, respinse il tentativo di Giberto da Correggio di impadronirsi della città. Al termine dell'incarico, ordì a Pisa una congiura con i Lanfranchi e con i della Sassetta, cui era pure legato da interessi d'affari, per spodestare Gaddo Della Gherardesca e riportare al comando Uguccione. Scoperta però la congiura, quest'ultimo fu costretto a tornare a Verona, mentre il M. rimaneva a fronteggiare la reazione di Castruccio, alleato del Della Gherardesca, che colse l'occasione per muovere guerra al competitore lunigianese nell'estate 1319. Fulminea fu l'avanzata del lucchese in Lunigiana e in Garfagnana, dove il M. si vide sottrarre tra l'altro Fosdinovo, Verrucola, Fivizzano; ancora una volta prostrato, ripiegò su Verona. Al servizio di Cangrande, egli si distinse nelle azioni militari da costui intraprese ai danni di Treviso e di Padova (1319); nel 1320 fu, con Aldrighetto di Castelbarco e Pietro di Marano, uno degli inviati incaricati di trattare la pace.

L'anno dopo fu oratore del signore di Verona a Lodi, per convincere i cittadini a tornare sotto la signoria del conte di Fiandra. Intanto, il 4 apr. 1320 il Castracani aveva ottenuto da Federico d'Austria conferma del vicariato imperiale in Lunigiana; nello stesso mese muoveva guerra a Firenze. Benché ghibellino, il M. si fece allora promotore di un'alleanza con Firenze in funzione anticastrucciana, per recuperare i possessi lunigianesi. Passato dunque per opportunismo politico dalla parte dei guelfi, egli presenziò nell'aprile 1321 a Reggio a un'adunata degli alleati. Il testo del patto con Firenze, garantito dalla consegna di alcuni ostaggi da parte del M., non ci è pervenuto, ma dovette essere di poco precedente, se tra maggio 1321 e gennaio 1322 il governo fiorentino provvedeva al pagamento di alcune spese relative alla lega. Dopo un promettente successo iniziale tuttavia il M., mal sostenuto dai Fiorentini vessati dal solito Castruccio, subì rovesci che ancora una volta gli fecero imboccare la strada di Verona, dove affiancò Cangrande che riprendeva la guerra contro Padova, mettendone a sacco il territorio nel gennaio 1325. Ebbe modo così di segnalarsi ottenendo in breve tempo la resa del castello di Vighizzolo, lo stesso che Cangrande gli donò in riconoscimento dei suoi meriti il 16 sett. 1328.

Nel 1325 i Fiorentini subirono intanto a Montecatini a opera di Castruccio una dura sconfitta e di conseguenza affidarono la signoria della città a Carlo d'Angiò duca di Calabria. Questi si alleò con il M. che, con i soccorsi prestatigli dallo Scaligero e dal legato pontificio Bertrand du Poujet, affrontò nuovamente il Castracani che gli inferse l'ennesima sconfitta, costringendolo a fuggire a Parma e spadroneggiando su quelli che erano stati i suoi possessi lunigianesi, danneggiati in quell'occasione a scopo intimidatorio. Alleatosi con il competitore di Federico d'Austria, Ludovico il Bavaro, e ottenuti da lui nuovi privilegi, sconfitti duramente i Fiorentini ad Altopascio, al culmine, insomma, della propria potenza, Castruccio morì nel settembre 1328. La scomparsa dell'acerrimo nemico avrebbe consentito al M. di recuperare una posizione di forza in Lunigiana; forte comunque dei legami instaurati a Verona e a Padova, egli vi aveva avviato un'efficace azione di radicamento patrimoniale, alternativa e complementare a quella mai intermessa nei possessi aviti.

Fra 1328 e 1330 entrava in possesso di ogni diritto e giurisdizione sulla terra di Verrucola Bosi, mediante transazioni stipulate con i nobili di Dallo, già condomini per una parte; nello stesso periodo acquistò anche il castello di Piolo e, stavolta in comune con alcuni consorti, la villa e il castello di Fabbrica in Val di Curone. Altri acquisti di beni immobili effettuò nel Veronese (dal 1334 godette, con i fratelli Isnardo e Bastardo, con i figli naturali e con i nipoti figli del defunto fratello Azzolino, della cittadinanza di Verona e di Padova, con diritto di acquistare, esenti da ogni dazio). A Verona egli possedeva case in parrocchia di S. Benedetto e consistenti possessi vantava entro le mura della città e fuori, a Garda, a Bussolengo e altrove. Risalgono a questi anni numerose attestazioni di prestiti celati sotto la finzione giuridica del deposito, attività che il M. avrebbe sempre praticato in Lunigiana e in altre terre di sua pertinenza. Ottenne inoltre da Ludovico il Bavaro tra gennaio e aprile 1329 tre diplomi di investitura delle terre di Verrucola e di Camporgiano di Garfagnana, in riconoscimento dell'appoggio fornito alla causa imperiale. Presso gli Scaligeri il M. era sempre più accreditato per le sue doti di combattente e di oratore; frequenti furono gli incarichi conferitigli presso signori e Comunità come emissario del governo veronese. Nei momenti più delicati, non è raro vederlo affiancato ad altri maggiorenti dell'entourage signorile, come Bailardino di Nogarola e Marsilio da Carrara. Ebbe forse una parte importante nelle segrete trattative che portarono al matrimonio di Taddea, figlia di quest'ultimo, e Mastino Della Scala, nipote del signore di Verona: quell'unione, celebrata il 1 sett. 1328 a Venezia in modo non ufficiale, consentiva a Cangrande di porre termine con tutti i vantaggi alla guerra con Padova; non fu un caso, allora, che essa si realizzò alla sola presenza del doge, del M. e di Filippo da Peraga, emissari del signore. Nei giorni del pubblico festeggiamento, tenutosi a Padova dal 14 settembre, il M. fu nominato capitano delle soldatesche forestiere e gli fu donato Vighizzolo con amplissime pertinenze (16 settembre).

In quel lasso di tempo il Bavaro si accingeva a tornare in Lombardia; abboccatosi con Cangrande a Marcaria nell'aprile 1329, corse voce che egli avesse offerto allo Scaligero la signoria di Milano. Per impedire la defezione di Azzone Visconti e placarne lo sdegno, Cangrande gli inviò a più riprese il M. accompagnato dal Nogarola. Le pratiche, tuttavia, non ebbero l'esito sperato e il Bavaro procedette all'assedio di Milano, da cui presto si ritirò; c'era con lui, con il duca di Carinzia e con il signore di Verona, anche il M. (giugno 1329). Cangrande, appena impadronitosi di Treviso, morì improvvisamente in luglio. Gli succedettero i nipoti Mastino e Alberto, che dimostrarono ben presto un atteggiamento diffidente nei confronti del Bavaro; quando questi convocò nel settembre a Trento gli alleati per programmare un'azione congiunta contro il legato pontificio che imperversava in Lombardia, gli emissari scaligeri, tra i quali il M., abbandonarono improvvisamente il convegno non impegnando dunque il governo veronese nella lotta contro il legato.

L'acquisto di Lucca effettuato nell'agosto 1329 da Gherardino Spinola, fratello del genero del M., segnò l'inizio di una nuova serie di vicissitudini che lo videro ancora coinvolto nei fatti di Toscana, non senza che nutrisse forse l'ambizione di farsi signore di Lucca.

Nell'aprile 1330 si unì alle armate dello Spinola in guerra contro i Fiorentini, che avevano occupato Montecatini. Benché la signoria di Gherardino fosse destinata a durare poco, il M. riuscì a trarre dall'alleanza vantaggi territoriali: risale infatti al biennio 1329-30 l'acquisto di Castiglione, sulla riva sinistra del Serchio. Alla dominazione dello Spinola seguì in Lucca quella del re Giovanni di Boemia, figlio di Enrico VII, che pretese dal M. la restituzione dei beni già soggetti alla giurisdizione lucchese di cui era stato investito precedentemente. Nonostante le proteste, espresse in un documento del 3 apr. 1331 in cui si rivendicava la legittimità della detenzione, il M. dovette accettarne nuova investitura in Parma il 12 aprile successivo. Contro Giovanni si coalizzarono nella Lega di Castelbaldo l'8 ag. 1331 Mastino e Alberto Della Scala, i marchesi di Ferrara, i Gonzaga, Azzone Visconti: il M. era presente alla stipulazione del trattato. Il 28 ag. 1332 si accordò con Firenze che puntava alla conquista di Lucca: il trattato prevedeva che egli fosse reintegrato nei possessi garfagnini che era stato costretto a riconoscere in feudo dal re Giovanni; a lui sarebbero spettati inoltre in caso di vittoria il possesso di Pontremoli, di Massa e di Montignoso, nonché un risarcimento dei danni subiti da parte dei discendenti di Castruccio; Firenze avrebbe infine sostenuto i suoi sforzi per conquistare beni lunigianesi appartenenti ad alcuni dei consorti.

Il M., impegnatosi secondo la lettera dell'accordo a un'azione militare ai danni di Lucca, il 12 sett. 1332 mosse verso Barga, assediata dai Lucchesi. L'impresa non riuscì, ma il M. continuò a combattere in Garfagnana e nell'ottobre dello stesso anno recuperò, probabilmente per poco, il castello di Castiglione. Gli alleati di Castelbaldo subirono alcune sconfitte tra l'autunno e l'inverno; il legato, approfittando del vantaggio, attaccò Ferrara nel febbraio 1333. Accorso tra i difensori, il M. ebbe in quell'impresa un'importanza decisiva, ponendosi a capo di una schiera che ebbe la meglio sul potente sistema difensivo degli avversari. Questa vittoria capovolse la situazione a vantaggio del fronte dei nemici di re Giovanni e del legato. Si giunse alla tregua di Peschiera (19 luglio 1333), che anche il M. ratificò previo consenso dell'alleata Firenze. Alla ripresa del conflitto nei primi mesi del 1334, tuttavia, egli appare saldamente al fianco di Mastino Della Scala, proiettato a espandere i confini del suo dominio in direzione di Parma: per suo conto il M. si recò ambasciatore con Azzo da Correggio per convincere il papa Giovanni XXII e Giovanni di Boemia della legittimità delle mire territoriali del suo protettore.

Una parte non secondaria egli dovette rivestire nelle complesse pratiche che portarono Mastino nel giugno 1335 all'acquisto di Parma, dove entrò trionfalmente alla testa di un contingente scaligero; non è altrettanto chiaro invece come si adoperò per conciliargli l'acquisizione di Lucca, sottratta al dominio dei Rossi (cui Giovanni di Boemia l'aveva venduta lasciando la Toscana) nel novembre 1335, che doveva però passare agli occhi degli alleati come un'occupazione militare provvisoria.

Dopo un breve periodo in cui la città fu retta da un vicario, il bolognese Guglielmo Scannabecchi, proprio il M. fu investito del ruolo di vicegerente scaligero: il Collegio degli anziani gli conferiva ampi poteri nell'aprile 1336, alla vigilia della partenza di lui per l'assedio di Pontremoli, dove si sarebbe trattenuto tra la seconda metà di giugno e il luglio 1336. La scelta, operata direttamente alla corte veronese, era effetto della fiducia verso il M., artefice l'anno prima anche di due imprese ai danni di Pisa e Sarzana. Fallita la prima, una congiura per destituire Fazio Della Gherardesca (non è chiaro quanta parte ebbe in questa vicenda), il M., di concerto con il cugino Bernabò, vescovo di Luni, aveva occupato Sarzana il 4 dic. 1335, sottraendola al controllo pisano.

La mancata consegna di Lucca ai Fiorentini, uno dei patti di Castelbaldo, dette esca di lì a poco a un nuovo conflitto che contrappose Firenze allo Scaligero. I cronisti contemporanei, e segnatamente Villani e i Cortusi (cfr. Dorini), attribuirono allo scaltro e subdolo consiglio del M. il comportamento sleale di Mastino: questi, dopo aver preteso ben 360.000 fiorini per la consegna della città, dichiarò che avrebbe acconsentito solo a patto che i Fiorentini lo appoggiassero nell'aggressione contro Bologna; certo il M. si aspettava maggiori vantaggi dall'alleanza scaligera, e negli anni della guerra contro Firenze prese parte a tutte le operazioni: espugnata Pontremoli, fronteggiò nella Marca trevigiana l'attacco di Oderzo a opera di Gherardo da Camino (luglio 1336); inflisse quindi uno scacco ai Veneziani alleati di Firenze, sottraendo loro Mestre nell'autunno 1336.

Nei primi mesi del 1337, però, la lega antiscaligera prese il sopravvento. Alla fine di giugno, comunque, nell'imminenza di uno scontro cruciale, Mastino volle creare cavalieri il M. con il proprio figlio Cane e con Guido da Correggio e Paolo Alighieri.

Nonostante la riluttanza e l'abile tergiversare, lo Scaligero fu costretto a intraprendere pratiche di pace, in cui ancora una volta si servì della collaborazione del Malaspina. Nei due trattati (alla stipulazione del secondo, a Venezia, il M. fu delegato con Azzone da Correggio e Ugolino Gonzaga) che portarono alla conclusione delle ostilità tra l'ottobre 1338 e il gennaio 1339, egli ottenne di veder garantiti i diritti sulle terre nel distretto di Lucca, sotto qualunque dominio si decidesse di porre la città; non altrettanto accadde per Vighizzolo, che dovette essergli sottratto poiché non si trova più nominato, in seguito, tra i suoi possessi. A Lucca il M. accompagnò Mastino nell'aprile 1339, poco prima che costui intraprendesse trattative per cederla ai Fiorentini. Egli intanto si era assicurato l'acquisizione di ulteriori possessi e diritti in Lunigiana e Garfagnana. Già nel gennaio 1338 aveva stipulato con Lucca un accordo in base al quale gli era riconosciuto il possesso di Camporgiano, mentre non vi si faceva cenno a Castiglione. Chiesta e ottenuta la cittadinanza lucchese nell'autunno 1339, concluse un cospicuo numero di acquisti (ben 295 ne sarebbero stati stipulati tra 1339 e 1347), tutti concentrati nel territorio massese. L'acquisto più notevole fu però quello della giurisdizione feudale sui castelli e nelle terre di Fosdinovo, Tendola e Zuccano, risalente all'8 ott. 1340. Mastino vendette Lucca ai Fiorentini con un atto stipulato a Ferrara il 4 ag. 1341: il M. si sarebbe incaricato della consegna della città, delle sue terre e dei suoi castelli. Otto giorni dopo, però, egli, al prezzo di 12.000 fiorini, cedeva a Firenze Camporgiano e Castiglione che avrebbe ricevuto immediatamente indietro a titolo di feudo: ragioni di evidente pragmatismo lo spingevano ora, nel naufragio della politica veronese, ad allearsi con Firenze, che del resto pure nella transazione con Mastino si era impegnata a difendere i possessi del Malaspina. Firenze si vide però contrastare validamente l'acquisto di Lucca dai Pisani, che si impegnarono in un conflitto da cui uscirono avvantaggiati nell'ottobre 1342. Gualtieri di Brienne, duca d'Atene, stipulò con Pisa un trattato in base al quale essa, nonostante il riconoscimento formale della sovranità fiorentina su Lucca, diveniva di fatto signora di Lucca. Un capitolo delle convenzioni prevedeva la restituzione di Sarzana, di cui il M. deteneva ancora il possesso dal 1335. Il 14 apr. 1343 il M. addiveniva con il governo pisano - mantenendosi stavolta i termini dell'accordo al di fuori del linguaggio feudale - a una soluzione delle reciproche vertenze, cedendo Sarzana ma ottenendo numerose concessioni e rendite, nonché il riconoscimento dei diritti su Camporgiano (non su Castiglione, di cui i Pisani concedevano solo il vitalizio).

Nel maggio 1345 i Pisani, che per impulso del M. erano stati indotti ad allearsi a Mastino in lotta contro Milano, raggiunsero con Luchino Visconti un accordo di cui egli dovette fare le spese, cancellati per sempre i diritti sulle terre garfagnine di Camporgiano e Castiglione che le sue genti avevano occupato. A titolo di indennizzo e di ricompensa dei servigi resi, Pisa nel giugno seguente gli cedette Massa Lunense e tutta la sua vicaria, con l'aggiunta di un compenso annuale di 1200 fiorini.

Ormai avanti con gli anni, il M. si trovava signore di vaste proprietà in Lunigiana, a Massa e nel Veronese; le sue cospicue finanze gli permisero l'erogazione di prestiti a interesse: rimane notizia certa di quelli elargiti a Pisa tra il dicembre 1345 e il gennaio 1346, per 5000 fiorini; e probabilmente dalle sue casse arrivarono a Mastino i 4000 fiorini mutuati nel 1349 al vescovo di Trento da cui riceveva in pegno alcune terre, se è vero che nel suo testamento egli rimetteva agli eredi dello Scaligero 1000 fiorini sopra una debito di 4000 appunto.

Assai scarse sono le notizie negli ultimi sette anni della sua vita, quando solo di due avvenimenti di rilievo rimane memoria coeva: è infatti citato tra i testimoni dello strumento di mutuo appena ricordato, ed è menzionato al fianco di Alberto Della Scala che nel 1351 guidava un esercito nel Trentino. Il 1 marzo 1352 testava, gravemente ammalato, a Fosdinovo, dove sarebbe morto il 3 dello stesso mese.

Nel suo lungo testamento dava disposizioni per la sepoltura, che voleva in una "honorabili arca marmorea" (non si tratta del monumento conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, certo di molto posteriore alla data della sua morte e voluto dai suoi successori a scopo celebrativo), nella chiesa maggiore della città dove si fosse trovato. Tra le altre disposizioni degne di nota la fondazione di un ospedale a Verrucola Bosi e quella di un ospizio per nobili decaduti presso la chiesa di S. Giovanni in Sacco a Verona, da lui patrocinata. In mancanza di figli maschi, nominava eredi universali i figli dei defunti fratelli Azzolino e Isnardo, per i quali aveva predisposto una divisione di beni a eccezione di quelli veronesi; furono esecutori delle sue volontà Bernabò Visconti, il nipote Gabriele Malaspina, vescovo di Luni, i pisani Neri Papa e Lotto Gambacorta, Pietro Dal Verme, Francesco Bevilacqua.

Aveva sposato una Beatrice della quale è sconosciuto il casato (da scartare l'ipotesi, a lungo accreditata, che si trattasse di una sorella di Luchino Visconti, come afferma Giovanni Villani). Ne ebbe tre femmine: Novella, che sposò Lucemburgo Spinola, Chidda, che sposò Feltrano da Montefeltro, ed Elisabetta, moglie di Federico Malaspina. Ebbe inoltre figli maschi naturali, Franceschino, Giovanni, Gualterotto, Borraccio e Chiaro. Il giudizio sul M., celebrato con accenti fortemente emotivi da Umberto Dorini nella sua monografia, deve essere mantenuto entro i ranghi di una personalità rappresentativa soprattutto dell'azione di una feudalità intenta ad avvantaggiarsi di spregiudicati collegamenti per guadagnare ai propri possedimenti grandezza e continuità territoriale. Egli mirò a costituirsi, più che un potere politico, una fortuna personale e familiare.

Fonti e Bibl.: G. Fiamma, Manipulus florum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XI, Mediolani 1727, col. 723; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, III, Parma 1991, p. 98; E. Gerini, Memorie storiche dell'antica e moderna Lunigiana, Massa 1829, II, pp. 100-107; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, III, Pistoia 1898, pp. 447-464; U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento: S. M., Firenze 1940 (con l'indicazione delle fonti e di ulteriore bibliografia); Storia di Milano, V, Roma 1955, ad ind.; E. Armanini, Il trattato di pace stipulato il 14 apr. 1343, in Annuario della Biblioteca civica di Massa, 1968, pp. 47-56; M. Luzzati, Castracani degli Antelminelli, Castruccio, in Diz. biogr. degli Italiani, XXII, Roma 1979, pp. 203-208; G. Zanzanaini, I Malaspina di Lunigiana, Lucca 1986, pp. 47-99; A. Acordon, Sul sepolcro di S. M., in Giorn. stor. della Lunigiana, n.s., XXXVIII (1987), pp. 117-136; E.M. Vecchi, Per la biografia del vescovo Bernabò Malaspina, in Studi lunigianesi, XXII-XXIX (1992-99), pp. 115, 117, 133, 138-140.

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