MALASPINA, Spinetta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MALASPINA, Spinetta

Franca Ragone

Figlio di Galeotto, marchese di Fosdinovo, e di Argentina di Andrea Grimaldi, già vedova di Moroello Malaspina, nacque intorno alla metà del XIV secolo.

Il padre, terzogenito di Azzolino che fu fratello di Spinetta il Grande di Fosdinovo, visse per lungo tempo a Verona (dove come i suoi più stretti congiunti godeva della cittadinanza), distinguendosi come giureconsulto e ricevendovi dai locali signori l'investitura a cavaliere. Fu in un'epoca imprecisata, posteriore al matrimonio, che Galeotto tornò a risiedere con la famiglia nel capofeudo dei possessi lunigianesi. Il M. era ancora minore alla morte del padre, che a Fosdinovo testò nel 1367 (vi morì il 15 marzo), lasciando i suoi tre maschi sotto la tutela della madre. Costei si impegnò in quegli anni di esercizio della tutela (che durò probabilmente fino al 1372) nella travagliata rivendicazione di alcuni diritti contesi ai figli e nella risoluzione di vertenze pendenti a proposito di una scomunica in cui era incorsa per danni arrecati al vescovato lunense.

Non abbiamo notizie della giovinezza del M.; è certo che, poco più che ventenne, si trasferì a Verona, città con la quale fin dall'epoca di Spinetta il Grande la famiglia aveva intessuto una robusta rete di legami politici e sociali, poiché alcuni membri avevano ricoperto incarichi presso la corte scaligera e acquistato proprietà immobiliari e in qualche caso diritti giurisdizionali su beni del contado. E del resto anche le notizie di transazioni effettuate in nome dei figli da Argentina nel periodo della loro minorità si riferiscono a interessi localizzati il più delle volte a Verona. Qui il M. fu armato cavaliere con il fratello Leonardo nel 1375, nel giorno in cui Antonio e Bartolomeo Della Scala assunsero il governo della città in seguito alla morte di Cansignorio.

Che fosse ormai maggiore, risulta peraltro anche da alcuni atti risalenti a quell'anno, nei quali agisce di concerto con i fratelli per definire questioni con certi congiunti; da quel momento è attestata pure qualche iniziativa personale di accrescimento del patrimonio immobiliare a Verona e nell'immediato circondario. Nel 1376 - ma sussistono legittimi dubbi espressi da G. Sandri (in Dorini) sull'autenticità del documento che trasmette questa notizia - si vide riconfermare con i fratelli le donazioni di cui già era stato beneficato l'avo Spinetta; in quello stesso anno figura tra i testimoni di un atto di pace rogato a Verona tra il vescovo e i canonici.

La sua attività presso la corte scaligera fu da subito, in linea con la tradizione familiare, di un certo rilievo. In particolare, dai signori della città ebbe incarico di recarsi a Milano quando, scoppiata nel 1377 la guerra con Bernabò Visconti (che, come marito di Regina Della Scala, sorella di Cansignorio, avanzava diritti su Verona), si prese in considerazione l'ipotesi di una delicata trattativa di pace; era al fianco in quell'occasione di Guglielmo Bevilacqua, uno degli uomini di maggior spicco della corte, colui al quale Cansignorio aveva lasciato, testando nel 1375, la reggenza dei figli minori; grazie all'operato di quella delegazione, la contesa fu appianata con un accordo stipulato a Milano il 26 febbr. 1379.

Nell'ottobre di quell'anno il M. è ricordato come membro del Consiglio scaligero. Beneficiò in quel periodo anche della donazione della Campagnola fuori della porta di S. Giorgio a Verona, dove egli e il fratello avrebbero costruito due splendidi palazzi in seguito abbattuti dai Veneziani. I suoi interessi continuavano comunque in questi anni a guardare anche alle terre d'origine, dove pare fosse designato un vicario; con un atto del novembre 1380, redatto a Pisa nella casa di Pietro Gambacorta (di cui non è noto se all'epoca fosse già suocero del M.), il fratello Leonardo a nome di entrambi acquistava da Bartolomeo e Bonifacio di Guglielmuccio dei nobili di Fosdinovo tutte le case, torri, palazzi, capanne, giardini, terre, mulini e acquedotti posti a Massa Lunense, e tutti i livelli e rendite che Bartolomeo aveva comprato da Guglielmo Malaspina nel 1371.

Il 12 luglio 1381 fu coinvolto in un episodio che avrebbe brutalmente segnato il suo distacco dalle sorti dei signori di Verona. Antonio Della Scala, infatti, nell'intento di dominare da solo sulla città, si liberò del fratello Bartolomeo facendolo uccidere e addossando, tra gli altri, al M. la colpa dell'assassinio: accusato di avere una relazione con la figlia di Antonio Nogarola, che si disse amante di Bartolomeo, egli fu inquisito e posto sotto tortura con il fratello e altri congiunti. Una volta rilasciati, tutti costoro, raggiunti dalle ritorsioni promosse da Antonio Della Scala, furono costretti a lasciare la città con altri cittadini eminenti, colpiti dal bando e dalla confisca dei beni; pare comunque che una parte delle proprietà del M. e del fratello Leonardo sfuggisse alla confisca, come risulterebbe da alcune vendite e locazioni di beni, agite per procura, risalenti agli anni successivi al bando.

Allontanatosi dal Veronese, intraprese la carriera di capitano di ventura, arruolandosi al servizio di Carlo III d'Angiò Durazzo, investito dal papa del Regno nel 1381, che muoveva alla conquista del Regno contro la regina Giovanna I di Napoli. Nella sua veste di uomo d'armi, il M. si distinse al punto che Carlo volle valersene come consigliere, nominandolo poi viceré d'Abruzzo nel 1383, allorché Luigi d'Angiò tentò di conquistare il Regno di Napoli, e il M. ne contrastò validamente le ambizioni insieme con i migliori condottieri.

Nell'esercizio della vicereggenza il M. si rivelò uomo energico e severo al limite della crudeltà: della sua opera di amministratore restano infatti due documenti del 1384, che ne ricordano lo spietato rigore nell'esazione del denaro della colletta generale. Guadagnatosi ulteriormente i favori del Durazzo, ricevette l'8 apr. 1385 l'investitura feudale della città di Gravina in Puglia, per sé e per i suoi discendenti. Fu probabilmente proprio a quell'epoca che egli strinse con Alberico da Barbiano, il più stimato tra gli uomini d'armi del pretendente angioino e da questo particolarmente ascoltato, stabili e durature relazioni, che un decennio dopo avrebbero tra l'altro fruttato il matrimonio con una nipote di lui, Margherita di Francesco da Barbiano dei conti di Cunio.

Nel 1386, dopo la morte di Carlo III d'Angiò Durazzo, essendogli contestati i diritti sui proventi di Gravina, egli fece ritorno in Lombardia, dove ben presto si intromise nelle vicende dei potentati settentrionali - impegnati a contendersi territori compresi tra l'area lombarda e quella della Marca - nelle quali si faceva sentire il peso delle mire espansionistiche di Gian Galeazzo Visconti. A quest'ultimo si raccomandarono nel dicembre del 1386 il M. e il fratello Leonardo, ottenendo a Pavia il riconoscimento della giurisdizione sulle terre lunigianesi di Monzone, Cassana, Ajola, Equi, Ugliano, Argigliano, Vinca e Isolano, i cui abitanti si erano precedentemente (5 giugno 1386) affidati alla protezione viscontea.

Intanto l'espansione padovana verso il Friuli aveva provocato la reazione di Venezia, che aveva sobillato, spingendolo contro Padova, Antonio Della Scala, che però fu sconfitto sotto le mura di questa città nel 1386 e di nuovo presso Castagnaro l'anno successivo. Gian Galeazzo Visconti entrò allora in guerra a fianco dei Carraresi, con l'intento di avvantaggiarsi dell'auspicata rovina scaligera.

Alla notizia che Milano muoveva guerra ad Antonio Della Scala, il M. assunse un ruolo di primo piano tra gli uomini d'arme di Gian Galeazzo, "ben contento - commenta Branchi - di potersi vendicare di chi con ignominiose calunnie gli aveva fatto tanto male" (p. 537); e certo il movente dell'animosità personale non fu estraneo alla disponibilità con la quale egli si prodigò tra la fine degli anni Ottanta e il decennio successivo come agente di assoluta fiducia del Visconti, entrando anche a far parte, come sembra, del suo Consiglio: si può anzi affermare che il M., unitamente a personaggi come Antonio Nogarola, Iacopo Dal Verme e Guglielmo Bevilacqua, fu tra i maggiori artefici del successo visconteo nella Marca, in particolare a Verona.

L'azione del Bevilacqua fu particolarmente incisiva nella lotta del Visconti contro Antonio Della Scala; fu costui che avviò infatti segrete trattative con il signore di Padova in funzione antiscaligera fin dal 1386 e fu ancora lui a essere investito della carica di commissario e provveditore dell'esercito visconteo quando scoppiarono le ostilità contro Verona nell'autunno 1387. Il suo intervento, date le antiche relazioni che prima della morte di Bartolomeo Della Scala lo avevano legato al giovane M., avrà certo avuto un peso decisivo nel diretto coinvolgimento di quest'ultimo nell'impresa. Dopo la vittoria di Castagnaro, il M. era stato inviato a Padova per congratularsi con Francesco il Vecchio da Carrara e sollecitarlo alla conclusione di una lega con il Visconti, adducendo il pretesto che Venezia premeva per un'alleanza di quest'ultimo con Verona a danno del Carrarese. Benché costui si mostrasse assai circospetto temendo le ambizioni di Gian Galeazzo, si giunse in breve alla capitolazione di Verona, nella notte tra il 17 e il 18 ott. 1387. Quando Guglielmo Bevilacqua, alla testa di 300 armati, entrò in città per la porta di S. Massimo apertagli dai partigiani viscontei, lo accompagnavano il M. e Giovanni degli Ubaldini.

La conquista di Verona rappresentò quasi certamente per il M., oltre alla rivincita sull'antico signore, anche la possibilità di essere reintegrato a pieno titolo nel possesso dei beni che gli erano stati confiscati. Dal 1387, infatti, si fanno numerose le notizie di compravendite di beni da parte di lui e del fratello Leonardo nel Veronese e, poco più tardi, nel Vicentino.

Dopo la caduta di Verona, il M. ne fu eletto capitano e nel dicembre successivo figurava a Pavia come agente visconteo alla presenza dei commissari fiorentini Biliotto Biliotti e Benedetto Peruzzi allorché Gian Galeazzo offrì la propria mediazione per rappacificare Giovanni degli Ubaldini con la sua patria, Firenze. Milano procedeva nel frattempo all'acquisizione di nuovi domini. Contrariamente alle aspettative del signore di Padova, che si richiamava ai patti di spartizione dei territori scaligeri, la città fu assoggettata al controllo milanese il 22 ottobre, tre giorni dopo la capitolazione di Verona. Anche in Vicenza, pare, il M. rivestì per qualche tempo l'ufficio di governatore. Il malumore del Carrarese fu pretesto all'avvio di un conflitto che avrebbe portato nel 1388 alla caduta di Padova in mano di Gian Galeazzo. Pure in questa circostanza, in cui molta parte del successo milanese si deve ancora all'abilità diplomatica del Bevilacqua che riuscì a isolare Padova da ogni possibile alleanza, il M. ebbe un ruolo di primo piano.

Fu infatti l'emissario visconteo a cui fu affidata la principale responsabilità nella missione di tenere sotto controllo le mosse di Francesco Novello da Carrara, intese alla rivendicazione delle sue pretese, ritardandone le iniziative e impedendo la comunicazione con il padre Francesco il Vecchio, che si tratteneva a Treviso. Al Novello egli si fece incontro fuori di Verona nel 1388, quando questi si mosse per raggiungere il Visconti, e, trattenendolo con la forza in città, gli notificò che aveva l'ordine di non lasciarlo partire se non avesse ratificato la cessione di Treviso a Gian Galeazzo. Fu quindi incaricato di estorcere all'ostaggio una lettera di esortazione al padre affinché si recasse a Pavia per consegnare Treviso a Iacopo Dal Verme; ottenutala, si recò a Treviso che trovò corsa e saccheggiata in quei giorni dalle genti del Visconti. Il vecchio signore di Padova, rifugiatosi con i suoi nel castello della città, accolse con sdegno le proposte degli ambasciatori. Ad alcune condizioni da lui imposte per la cessione della città, il M. accondiscese promettendogliene l'integrale osservanza; lo avrebbe pure avvertito che i rettori veronesi avevano notificato al Visconti il suo arrivo a Verona e avevano l'ordine di non lasciargli proseguire il viaggio. Il resoconto della Cronaca carrarese dei Gatari, a cui si deve dovizia di dettagli non sempre scevri da arbitrarie amplificazioni, non conferisce limpidezza alle ragioni dell'operato del M., che appare anzi agire talvolta in contrasto con il compagno Paolo da Lion, e sempre comunque dominato da un'indole ambigua e malvagia. Al di là di tale dubbia interpretazione, gioverà ricordare che il M. aveva allora in moglie Giovanna di Pietro Gambacorta, signore di Pisa, e che le conseguenze di questo parentado avranno avuto ripercussioni nell'intricata situazione che, creatasi in Veneto, non poteva ora che allarmare anche Firenze, alleata del signore di Pisa. Già all'epoca dell'assedio di Verona, Pietro riceveva dal M. missive e legazioni relative ai progressi dell'impresa. Se, pur con le cautele del caso, possiamo prestar fede al racconto dei Gatari, risulta significativo che Francesco Novello, progettando nel marzo del 1389 di recarsi a Pisa per una richiesta di aiuto, dichiarasse che là sarebbe stato ascoltato con particolare favore in grazia di antichi e tenaci legami: "il signor fu già al modo ch'io son io: el signore mio padre lo ricievete in Padoa, lui e' suoi figliuoli maschi e femine, e sempre quilli fe' nodrigare e amaistrare in sienza e in arme e dandolli grande provisione sempre e molto gli onorò, ed io gli vidi tuti due suo' figliuolli, l'uno de' qualli avia nome misser Andrea Ganbacurta, l'altro misser Benedetto Ganbacurta" (p. 375). Francesco il Vecchio, inoltre, avrebbe fornito il denaro della dote per maritare al M. in Verona la figlia di Pietro Gambacorta e il signore di Pisa avrebbe avuto il ruolo cruciale di mediatore nell'autunno 1389, quando si trattò di scongiurare il pericolo di una guerra tra Firenze e Milano conseguente alla sconfitta dei Carraresi, e si giunse alla lega di Pisa del 9 ott. 1389.

Intanto, l'11 marzo di quell'anno, il M. aveva ottenuto presso Gian Galeazzo soddisfazione di una supplica con cui aveva chiesto di rientrare in possesso dei beni veronesi che erano stati oggetto di confisca all'epoca dell'assassinio di Bartolomeo Della Scala. Dopo la conquista di Padova (21 nov. 1388) il M. vi era stato inviato dal Consiglio di Gian Galeazzo come capitano, nel gennaio 1389. In quella veste egli dovette far fronte al tentativo compiuto da Francesco Novello, sfuggito alla custodia del signore di Milano, per rimpossessarsi della città. Nell'estate 1390 Padova e Verona si ribellarono al dominio milanese. Mentre l'impresa di Verona falliva grazie alla spietata repressione attuata fulmineamente per conto del Visconti da Ugolotto Biancardi, Francesco Novello ebbe la meglio sui difensori di Padova: il M., ingloriosamente asserragliato con pochi altri ufficiali nel castello della città fino all'agosto seguente, fu costretto a deporre le armi e l'8 settembre Francesco venne proclamato signore della città.

Scarse e frammentarie si fanno le notizie a partire dall'inizio degli anni Novanta. Sappiamo che nel 1390 la moglie Giovanna Gambacorta testava lasciandolo erede e negli anni seguenti rimangono del suo operato attestazioni relative per lo più alla gestione del patrimonio, costituite da compravendite e locazioni di immobili in Lunigiana e nel Veneto. Il 7 febbr. 1393 divise possessi e diritti con il fratello Leonardo, benché ancora nel 1398, stando alle parole del cronista lucchese Giovanni Sercambi (II, pp. 135 s.), molte delle loro terre lunigianesi fossero di fatto amministrate pro indiviso. Comunque a partire dal 1393 la documentazione lo mostra effettivamente agire da solo nella cura del patrimonio, ancora ampiamente distribuito tanto nei distretti veronese e vicentino quanto in quelli lunigianesi, dove avrebbe risieduto negli ultimi anni. Nel 1395 nominava un procuratore per trattare della dote di 1500 ducati d'oro, da sborsare per il matrimonio con Margherita da Barbiano. Indizio del prestigio rivestito in seno al casato è un atto del 1 genn. 1397, con cui Marco marchese di Olivola lo nominava arbitro in una contesa che lo divideva dal congiunto Niccolò di Isnardo.

Sullo scorcio del secolo si guastarono i rapporti con Gian Galeazzo che, acquisito il titolo ducale (1395), ammantava ora di pretese giuridiche le proprie ambizioni al controllo delle vie e delle terre lunigianesi che conducevano all'alta Toscana, cui ora si volgeva. In conseguenza degli inevitabili dissapori sopravvenuti, il M. passò dalla parte dei Fiorentini, ed era unanimemente riconosciuto come capo dello schieramento guelfo in Lunigiana alla fine del secolo.

Morì alla fine di luglio 1398, in circostanze che Sercambi ci riferisce sospette.

Aveva contratto poco prima della morte il consistente debito di 4000 ducati con Francesco Gonzaga, che la vedova avrebbe estinto attraverso una serie di rateazioni e l'obbligazione di una parte delle rendite dei possessi veronesi. Da Giovanna di Pietro Gambacorta ebbe Gabriello, morto nel 1405; e da Margherita da Barbiano ebbe Antonio Alberico, alleato dei Fiorentini.

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