STABILITÀ

Enciclopedia Italiana (1936)

STABILITÀ

Giovanni LAMPARIELLO

. Si consideri un corpo pesante, girevole liberamente intorno a un suo punto, tenuto fisso. È noto che, in quanto il peso si può riguardare come una forza (verticale e diretta verso il basso) applicata al baricentro del corpo, la condizione necessaria e sufficiente affinché sussista l'equilibrio è che il baricentro sia sulla verticale del punto fisso. Ora questa condizione può risultare verificata in tre modi diversi secondo che il baricentro si trova al disotto o al disopra del punto fisso o coincide con esso. Nel primo caso si dice che l'equilibrio è stabile, volendo con quest'attributo mettere in rilievo il fatto che il corpo, spostato - intorno al suo punto fisso - da una tale posizione di equilibrio ad un'altra posizione abbastanza vicina, tende sempre a tornare alla posizione di equilibrio. Se invece il baricentro, pur essendo sulla verticale del punto fisso, cade al disopra di esso, l'equilibrio si dice instabile, perché il corpo, spostato anche lievissimamente da una tale posizione di equilibrio, tende ad allontanarsene ulteriormente. Infine se il baricentro coincide proprio col punto fisso, l'equilibrio si dice indifferente, perché il corpo risulta in equilibrio in ogni possibile sua posizione intorno al punto fisso (v. equilibrio: Equilibrio meccanico).

Analogamente si definisce la stabilità dell'equilibrio per un corpo pesante girevole intorno a un asse fisso o appoggiato su di un piano orizzontale. Per es., un cono circolare retto, appoggiato su di un piano orizzontale con la base, è in equilibrio stabile, giacché, quando sia lievemente spostato da tale sua posizione di equilibrio e poi riabbandonato a sé stesso, tende sempre a tornare nella sua posizione iniziale. Invece, se il cono è appoggiato sul piano lungo una generatrice o col solo vertice e l'asse verticale, l'equilibrio è indifferente o instabile.

La stabilità dell'equilibrio del cono appoggiato sulla base è dovuta alla circostanza che il peso è equilibrato dalla reazione del piano di appoggio. Questa stessa condizione è soddisfatta, più in generale, da ogni solido pesante appoggiato su un piano, quando la verticale del baricentro attraversa l'interno della base di appoggio, come si verifica, ad es., per le torri pendenti di Pisa e di Bologna. L'equilibrio è allora tanto più stabile quanto più basso è il baricentro; ed è questa la ragione per cui una costruzione edile è tanto più stabile quanto maggiore è la quantità di materiale più pesante alla base.

Per chiarire e precisare le nozioni cosi adombrate occorrono sviluppi concettuali e algoritmici, di cui si darà appresso un rapido cenno, illustrato da opportuni esempî concreti.

1. Il concetto di stabilità in meccanica è stato considerato sotto differenti aspetti secondo che si riferisce a fenomeni di equilibrio o di moto, ma la sua schematizzazione è in ogni caso subordinata a considerazioni dinamiche. Anche nell'ambito della statica la stabilità viene discussa da un duplice punto di vista, quantitativo e qualitativo. Gli esempî che seguono faranno intendere il valore di questa affermazione.

Si consideri un corpo appoggiato ad una superficie supposta assolutamente indeformabile ed esso sia in equilibrio in una posizione che denotiamo con M. Allora le esperienze del Coulomb hanno condotto a caratterizzare le posizioni di equilibrio del corpo come quelle per le quali si verificano le condizioni

essendo Fn la componente della forza totale attiva agente sul corpo, secondo la normale alla superficie, orientata positivamente nel verso in cui al corpo è vietato il moto, mentre Ft è la componente della forza medesima secondo il piano tangente ed f il cosiddetto coefficiente di attrito.

Se ora alla forza totale F agente sul corpo si aggiunge una nuova sollecitazione tangenziale, la cui intensità non superi la differenza non negativa

sussiste ancora l'equilibrio. Si può allora dire che il quoziente

misura il margine di sollecitazione tangenziale - in rapporto a quella normale - che è compatibile con l'equilibrio del corpo e fornisce quindi una valutazione quantitativa della stabilità dell'equilibrio.

Si consideri in secondo luogo un solido girevole intorno a un asse fisso a e appoggiato in uno o più punti a un piano orizzontale passante per l'asse e si orienti questo nel verso rispetto a cui appare destra la rotazione consentita al solido dal piano di appoggio. In statica si dimostra che le posizioni di equilibrio del solido sono caratterizzate dalla condizione che non risulti positivo il momento risultante Ma, rispetto all'asse a, delle forze attive sollecitanti il solido. Poiché allora ogni sollecitazione attiva che turba l'equilibrio ha, rispetto all'asse; momento positivo, si conviene di misurare la stabilità della posizione di equilibrio col numero ∣Ma∣. Questo dunque determina, in condizioni statiche, il margine del momento di sollecitazioni accidentali compatibile con l'equilibrio e si dice il momento di stabilità dell'equilibrio.

Infine si può procedere a una valutazione quantitativa della stabilità nel caso di un solido pesante appoggiato su un piano orizzontale di cui il baricentro sia sostenuto, cioè sia su una verticale non esterna al cosiddetto perimetro di appoggio (perimetro di un poligono convesso, avente tutti i suoi vertici in punti di appoggio e tale che nessun appoggio resti fuori di esso). Se si sottopone il solido a una trazione orizzontale che tenda a ribaltarlo, si dimostra che, in condizioni statiche, non è minore di 1 il rapporto di Pa a Ta, essendo −Pa e Ta ≠ 0 i momenti del peso e della trazione rispetto a una qualsiasi retta a intorno a cui il solido può ribaltarsi. Perciò, corrispondentemente ad ogni retta rispetto alla quale risulti Ta 〈 0, quanto maggiore è il rapporto Pa/Ta tanto più si è premuniti contro la possibilità di un ribaltamento intorno alla retta a cui il rapporto si riferisee. Si dice allora coefficiente di stabilità il minimo dei rapporti positivi Pa/Ta.

2. Dagli esempî addotti si rileva che il criterio di apprezzamento della stabilità di una posizione di equilibrio, applicato allo stato attuale delle conoscenze meccaniche nel caso di vincoli unilaterali e azioni dissipative, varia da caso a caso, e si intuisce come non sia possibile assegnarne una formulazione che sia valida per qualunque fenomeno di equilibrio. Si è piuttosto approfondito, per necessità di cose, il concetto della stabilità dal punto di vista qualitativo.

Così, quando una particella materiale P è in equilibrio in una posizione M sotto l'azione di forze e di vincoli, interessa stabilire se, spostando di quanto poco si vuole P da M compatibilmente con i vincoli, le forze tendano sempre a restituire la particella nella posizione di equilibrio. Questa tendenza delle forze agenti viene valutata calcolando il lavoro complessivo da esse effettuato per portare fino a M la particella da una qualsiasì posizione M′ infinitamente vicina a M e compatibile con i vincoli.

La posizione di equilibrio M si dice stabile se il lavoro calcolato risulta positivo. Se, invece, anche per una sola posizione M′ il lavoro risulta negativo, l'equilibrio in M si dice instabile; e si dice, infine, indifferente quando per qualsiasi spostamento infinitesimo da M′ ad M il lavoro risulta nullo.

È noto dalla meccanica che, quando le forze agenti in P sono conservative, il lavoro per lo spostamento della particella da M′ a M non dipende dal cammino percorso e risulta eguale alla differenza dei valori che il potenziale assume rispettivamente in M ed M′. Ne risulta il classico teorema, senz'altro invertibile, che in una posizione M di equilibrio stabile il potenziale è massimo.

3. La definizione di stabilità dianzi posta si estende a un sistema materiale qualunque. Valga ad illustrarla l'esempio elementare, cui ci siamo riferiti nell'introduzione. Si consideri un corpo solido con un punto fisso, sottoposto alla sola azione del proprio peso. Quando la verticale del baricentro passa per il punto fisso, e solo allora, il corpo è in equilibrio. Le forze di cui bisogna calcolare il lavoro in uno spostamento del solido sono il peso, la reazione che si desta nel punto fisso, le forze interne. La reazione non lavora per la fissità del punto, e le forze interne compiono un lavoro complessivo sempre nullo per qualunque spostamento infinitesimo. Ne segue la stabilità dell'equilibrio nel solo caso che il baricentro sia al disotto del punto fisso.

4. Ma, come già si è avvertito, l'analisi qualitativa del concetto di stabilità dell'equilibrio può essere condotta in modo completo solo se si considera il comportamento del moto dovuto alle forze agenti quando l'equilibrio viene lievemente perturbato.

Limitandoci almeno per ora a considerare una particella materiale P comunque sollecitata, sia M una posizione di equilibrio. Questa deve essere qualificata come stabile se, quando si abbandoni P alla sollecitazione attiva da una posizione M′ infinitamente vicina ad M con una forza viva abbastanza piccola, la particella si muove indefinitamente nella prossimità di M con una forza viva che non supera un limite prestabilito.

Se si suppone che la forza totale agente su P sia conservativa si può dimostrare, con G. Lagrange e P. G. L. Dirichlet, che ogni posizione in cui il potenziale assume un massimo effettivo è di equilibrio stabile. La definizione di stabilità or ora introdotta e il classico teorema ricordato si estendono senz'altro ai sistemi; e sulla base delle equazioni dinamiche del Lagrange nasce l'importante capitolo della dinamica analitica concernente, nella sua prima fase di sviluppo, la stabilità e le vibrazioni che, sotto assegnate sollecitazioni, compie nella prossimità di una posizione (o, come meglio si dice, configurazione) di equilibrio stabile.

Notevoli ricerche sono state istituite allo scopo d'invertire il teorema del Dirichlet. Il matematico russo A. Ljapunov ha dimostrato che una configurazione di equilibrio di un sistema olonomo ad un numero qualsiasi di gradi di libertà è instabile se in corrispondenza ad essa il potenziale non è massimo, aggiungendo però la condizione che l'assenza del massimo si possa riconoscere dall'esame dei valori numerici locali delle derivate seconde.

Vale l'instabilità anche in gran parte dei casi eccezionali in cui l'assenza del massimo del potenziale si riconosce dall'esame delle derivate di ordine superiore al secondo. Ma allo stato attuale della teoria non è possibile dimostrare l'instabilità sotto la sola condizione che nella configurazione di equilibrio il potenziale non sia massimo. T. Levi-Civita vi è riuscito nel caso dei sistemi a un sol grado di libertà e a vincoli indipendenti dal tempo.

Come conclusione riassuntiva si può rilevare che le ricerche fin qui istituite conducono a riconoscere che l'instabilità è la regola, mentre la stabilità è soltanto l'eccezione. E questa verità non solo si riferisce alla stabilità dell'equilibrio di cui si è soltanto parlato in ciò che precede, ma vale anche riguardo agli stati di moto, come il Levi-Civita ha dimostrato.

5. Per passare al concetto di stabilità nei fenomeni di moto è necessario premettere qualche breve richiamo di meccanica analitica.

Un sistema materiale si dice olonomo (v. cinematica, nn. 32-36) se le sue configurazioni sono determinabili mediante un numero finito di parametri indipendenti q1, ..., qn (coordinate generali o lagrangiane). Ad ogni n-pla di valori delle q e in ogni istante t il sistema assume una ben determinata configurazione C e questa può variare col tempo, indipendentemente dalla considerazione di qualunque moto che possa avere il sistema. Ciò significa che le configurazioni C′ e C″ del sistema relative agli stessi valori delle q e a due istanti diversi t′ e t″ possono essere differenti.

In ogni moto particolare del sistema le q sono funzioni del tempo

e queste funzioni debbono soddisfare il sistema delle equazioni differenziali di Lagrange o, come si dice in analisi, costituiscono una soluzione di quel sistema differenziale.

In ogni generico istante t0 la configurazione del sistema corrisponde alla n pla di valori che assumono le funzioni q (t) per t = t0; e le velocità dei singoli punti del sistema sono determinabili attraverso le derivate ó delle funzioni q. Durante il moto restano così associati al sistema materiale in ogni istante due n-ple di numeri, quella dei valori delle coordinate (lagrangiane) q e quella dei valori delle derivate ó che definisce la distribuzione delle velocità.

Se si pensa di sostituire a queste due n-ple un punto di uno spazio astratto a 2n dimensioni - spazio degli atti di moto A2n - si può dire che, in virtù del sistema di convenzioni adottate, ogni atto di moto è rappresentato da un punto P dello spazio A2n. Un moto del sistema è perciò rappresentato da una curva del medesimo spazio.

Si supponga allora che in un istante t2n il sistema sia in equilibrio. Come risulterà caratterizzata la stabilità della configurazione C0 di equilibrio con le convenzioni adottate?

Sia M il punto di A2n rappresentativo dello stato di equilibrio in C0; sia P0 il punto rappresentativo dell'atto di moto che il sistema assume in un istante t0 assunto come iniziale e si fissi ad arbitrio un numero ε > 0. L'equilibrio si dice stabile, se si può coordinare ad ε un numero η > 0 tale che se P0 è interno alla sfera di centro M e raggio η il punto P resta indefinitamente entro la sfera concentrica di raggio ε. Se invece, comunque sia piccolo η > 0, nella sfera di centro M e raggio η esiste sempre qualche punto P0, a partire dal quale il punto P finisce con l'uscire da una sfera concentrica di raggio indipendente da η, l'equilibrio si dice instabile.

6. Alle considerazioni precedenti si può attribuire una portata generale ed astratta. Basta pensare che le equazioni di Lagrange si possono considerare come un sistema di 2n equazioni differenziali del 1° ordine di cui le funzioni incognite sono le q e le ó.

Siano allora x1, ..., xn n parametri indipendenti ed arbitrarî, atti a caratterizzare in ogni istante un qualsiasi fenomeno. Si ammetta che, durante il tempo in cui questo si verifica, le x soddisfino un sistema differenziale normale

i cui secondi membri siano funzioni note dei parametri x stessi ed eventualmente del tempo, e si supponga che

sia una soluzione del sistema (1). Se si elimina la t dalle equazioni di (σ), si ha una curva dello spazio S delle variabili x1, ... xn, che si dice una traiettoria del sistema differenziale. Mentre nello spazio S′ delle n + 1 variabili x, t la soluzione (σ) rappresenta una curva integrale di (1). Si può anche dire, con ovvia allusione meccanica, che la (σ) definisce un moto, di cui la curva integrale or ora considerata fornisce la curva oraria. Uno stato di equilibrio è rappresentato da una soluzione di (1) costituita da tutte costanti. Si chiama una soluzione statica di (1) e in questo caso la traiettoria si riduce ad un punto dello spazio S, mentre la curva integrale (dello spazio S′) è una retta parallela all'asse dei tempi.

Per ogni punto (P0, t0) di S′ passa, in generale, una sola curva integrale. L'unicità consegue da certe condizioni di regolarità cui debbono soddisfare le funzioni X nella prossimità del punto (P0, t0). Invece, per un punto P0 di S passeranno, in generale, ∞1 traiettorie; ne passa una sola nel caso in cui le X non dipendano dal tempo.

Ciò posto, una soluzione

del sistema (1) si dice stabile, se, comunque si fissi un numero ε > 0, si può determinare un numero η > 0 tale che, se Ä0 (x01, ..., x0n) è un punto qualunque della traiettoria corrispondente a ???σ, relativo al valore t0 di t e P0 (x10, ..., xn0) è un punto per il quale sia

la soluzione

caratterizzata da

soddisfa per ogni possibile valore di t, da - 00 a +, alla limitazione

Geometricamente, ciò vuol dire che se in S si considerano la traiettoria Γ di ???σ e una traiettoria Γ passante per un punto P0 infinitamente vicino a Γ, si può stabilire una corrispondenza biunivoca tra i punti di г̄ e Γ relativi ad uno stesso istante, tale che due punti corrispondenti siano infinitamente vicini al variare del tempo da −∞ e +∞.

7. È compito della dinamica analitica di assegnare i criterî per decidere la stabilità di una soluzione statica o, più generalmente, di una soluzione qualunque. Le ricerche di siffatti criterî furono iniziate da H. Poincaré e condotte al più alto grado di sviluppo dal Ljapunov e dal Levi-Civita. Il Poincaré ha insegnato ad associare ad ogni soluzione (σ) del sistema (1) un sistema differenziale lineare, che egli chiama delle equazioni alle variazioni di (1) rispetto a σ. Se la (σ) è una soluzione statica, le equazioni alle variazioni sono a coefficienti costanti e si è condotti a definire certi numeri che si dicono gli esponenti caratteristici della soluzione. Il Ljapunov ha dimostrato che per la stabilità della soluzione statica è necessario che tutti gli esponenti caratteristici siano immaginarî puri (salvo, al più, uno eguale a zero).

Risulta così acquisito il seguente criterio di instabilità: una soluzione statica è instabile se uno almeno degli esponenti caratteristici ha parte reale non nulla. T. Levi-Civita ha dimostrato la possibilità di soluzioni statiche instabili con esponenti caratteristici tutti immaginarî puri.

8. Notevoli nella meccanica analitica sono le soluzioni periodiche e le ricerche relative alla loro stabilità.

Questa volta le equazioni alle variazioni del Poincaré sono a coefficienti periodici, e la ricerca degli esponenti caratteristici offre difficoltà analitiche di carattere molto elevato. I teoremi di Ljapunov e Levi-Civita si estendono senz'altro a questo caso e si perviene così al seguente criterio di instabilità: una soluzione periodica è instabile se uno almeno degli esponenti caratteristici ha parte reale non nulla.

Il caso in cui gli esponenti caratteristici di una soluzione statica ???σ sono tutti immaginarî puri, se pure non assicura la stabilità, dev'essere considerato a parte perché bisogna osservare che nella schematizzazione della realtà si può ritenere soddisfacente una rappresentazione approssimata dei fenomeni che si mantenga valida per un intervallo di tempo abbastanza lungo. Ora va appunto rilevato che il divario tra (???σ) e una (σ) inizialmente prossima alla (???σ), se anche non si mantiene sempre infinitesimo, si accentua solo a scadenza più lunga che negli altri casi. Si ha così la stabilità che il Levi-Civita chiama lineare, in quanto nasce dalla considerazione delle equazioni alle variazioni delle (1) rispetto alla soluzione statica.

9. Nella pratica si è spesso condotti a studiare la stabilità di certi moti detti merostatici, relativamente ai quali accade che solo una parte dei parametri che definiscono le configurazioni del sistema si mantengono costanti al variare del tempo. Il moto merostatico corrisponde ad una soluzione statica di un sistema differenziale che non involge tutti i parametri.

Più generalmente, quando in un giudizio di stabilità si limita la considerazione ad una parte dei parametri caratteristici del fenomeno, si dice che si tratta di stabilità ridotta o alla Routh (da E. J. Routh). Talvolta si dice stabilità incondizionata o alla Dirichlet quella dianzi stabilita.

A T. Levi-Civita si debbono notevoli ricerche sulla stabilità di soluzioni particolari dei più classici problemi della meccanica. Citiamo, per es., quelle riguardanti le soluzioni periodiche rigorose di Eulero e Lagrange nel problema dei tre corpi, le questioni di stabilità delle precessioni nel moto del giroscopio pesante e di altre soluzioni nel moto di un solido fissato in un punto.

Non sembrano note, allo stato attuale delle conoscenze meccaniche, questioni di stabilità di qualche interesse che non si riferiscano a soluzioni statiche o merostatiche.

10. Lord Kelvin ha indagato se la stabilità di una configurazione di equilibrio continui a sussistere quando, come avviene nella realtà fisica, si considerino, oltre le forze conservative agenti sul sistema, le resistenze passive. Egli è stato così condotto a distinguere la stabilità ordinaria da quella secolare, che si conserva inalterata al sovrapporsi di azioni dissipative; e ha dimostrato, a complemento del teorema del Dirichlet, che l'equilibrio sotto l'azione di forze conservative, in una configurazione di massimo effettivo per il potenziale, è stabile anche secolamiente.

Non altrettanto accade quando accanto alla sollecitazione conservativa intervengano azioni cinetiche di carattere girostatico. Un esempio tipico di questa circostanza si ha nella cosiddetta trottola dormiente la quale, quando sia abbandonata a sé stessa su di un suolo orizzontale in rapidissima rotazione intorno al suo asse disposto verticalmente, appare immobile a chi la guardi di lontano.

In assenza di rotazione assiale, la posizione di equilibrio ad asse verticale è instabile, essendo il baricentro al disopra del punto di appoggio. Quando s'imprime alla trottola una rotazione e la velocità angolare diviene abbastanza rilevante, si ha uno stato di rotazione merostatica che è stabile non solo linearmente, ma rigorosamente, in quanto si consideri come unica forza agente il peso.

Ma tenendo conto della resistenza dell'aria si riconosce che la velocità angolare diminuisce e la trottola finisce col cadere. Non si ha dunque stabilità secolare.

11. Il concetto di stabilità ricorre ancora in dinamica in altre forme molto differenti da quella che fin qui si è considerata. Così i grandi cultori della meccanica celeste posero il problema della stabilità del sistema planetario, detta di Laplace. Si tratta di decidere se le mutue distanze di due astri del sistema siano funzioni che al crescere indefinitamente del tempo si mantengano comprese tra due limiti ben determinati e finiti, essendo il minore di essi maggiore di una quantità assegnabile, allo scopo di evitare l'urto.

Il Poincaré nelle sue celebri ricerche di meccanica celeste ha studiato in modo approfondito la stabilità alla Poisson. Il Lagrange aveva dimostrato che, trascurando i quadrati delle masse, gli assi maggiori delle orbite planetarie restano compresi tra certi limiti. Ne segue che il sistema planetario non può passare per tutte le configurazioni compatibili con gli integrali delle forze vive e delle aree e passa infinite volte vicino quanto si vuole alla sua configurazione iniziale. Il Poisson dimostrò che questa forma di stabilità completa sussiste quando si tenga conto del quadrato delle masse e si trascurino i cubi. Analizzando questo risultato si perviene alla conclusione che in realtà la stabilità considerata dal Poisson è molto differente da quella di Lagrange. Il Poincaré definì esattamente la stabilità alla Poisson, ammettendo soltanto che il sistema nel suo movimento ripassi infinite volte vicino quanto si vuole alla sua configurazione iniziale e quindi ad ogni sua configurazione assunta durante il moto. La stabilità completa deve essere considerata quindi come risultante di quella secondo Laplace e secondo Poisson.

Infine dobbiamo limitarci a segnalare ricerche recenti di stabilità nel campo della meccanica tecnica, dovute principalmente ad E. Trefftz.

Bibl.: T. Levi-Civita e U. Amaldi, Lezioni di meccanica razionale, I, 2ª ed., Bologna 1930; II, i, 1926; E. T. Whittaker, A treatise on the analytical dynamics, Cambridge 1927; P. Frank e R. v. Mises, Die Differential- u. Intelgralgleichungen der Mechanik u. Physik, II, 2ª ed., Brunswick 1935.