STAGIONI

Enciclopedia Italiana (1936)

STAGIONI

Lucio GIALANELLA
Salvatore AURIGEMMA
Rosanna TOZZI

. Astronomia. - Definizioni. - Il Sole, nel moto apparente, descrive sulla sfera celeste un cerchio massimo detto eclittica, cerchio che è inclinato sull'equatore celeste di un angolo oscillante intorno ai 23°½ (obliquità dell'eclittica). L'equatore e l'eclittica si tagliano in due punti: si chiama punto vernale, o equinozio di primavera, o punto gamma (γ o ???) quello di questi due punti attraverso cui passerebbe un mobile che descrivesse l'eclittica da destra verso sinistra rispetto al polo boreale Pn (senso diretto, in astronomia) passando dall'emisfero australe in quello boreale (fig. 1); l'altro punto γ′ si dice equinozio di autunno. I punti S, S′ situati all'estremità del diametro dell'eclittica perpendicolare a γ γ′ si dicono solstizî, e precisamente il punto S, in cui il Sole raggiunge la massima declinazione boreale, si chiama solstizio d'estate, e l'opposto S′, in cui il Sole raggiunge la massima declinazione australe, si chiama solstizio d'inverno.

Il periodo di tempo impiegato dal Sole per tornare due volte al punto gamma si chiama anno tropico (365d 5h 48m 45s, 975), mentre ciascuno dei quattro intervalli che separano il passaggio del Sole da un equinozio al solstizio successivo e da questo all'altro equinozio, prende il nome di stagione. Si hanno così nell'anno (tropico) quattro stagioni: la primavera che s'inizia al passaggio del Sole all'equinozio γ (declinazione del Sole zero), l'estate che s'inizia al passaggio del Sole al solstizio S (declinazione +23°,5 circa), l'autunno che si inizia al passaggio all'altro equinozio γ′ (declinazione zero) e, infine, l'inverno che s'inizia al passaggio al solstizio S′ (declinazione −23°,5 circa).

Durata delle stagioni. - Se l'orbita (apparente) del Sole rispetto alla Terra fosse un cerchio avente per centro la Terra, e il suo moto fosse uniforme, le durate di tutte e quattro le stagioni sarebbero uguali; ma in realtà la sua orbita è un'ellisse di cui la Terra occupa un fuoco, e il Sole la percorre secondo la legge delle aree (è costante l'area descritta dal raggio vettore che congiunge la Terra col Sole nell'unità di tempo). Il moto del Sole sull'eclittica non è pertanto uniforme, bensì la sua velocità è maggiore nelle vicinanze del perigeo P, e minore nelle vicinanze dell'apogeo A (fig. 2). Questo fa sì che le due stagioni che comprendono tra di loro l'apogeo sono più lunghe di quelle che comprendono il perigeo. Ma le stagioni, oltre ad avere durate differenti tra loro, hanno anche una durata variabile da anno ad anno per il fatto che la linea degli apsidi PA non è fissa col tempo, poiché il perigeo P si muove continuamente (per quanto in modo molto lento) sulla sfera celeste rispetto al punto vernale γ. E questo per due motivi: 1. la precessione degli equinozî, che fa retrogradare la linea degli equinozî γγ′ di circa 50″,3 per anno (v. equinozî); 2. le perturbazioni secolari degli altri pianeti che producono uno spostamento del perigeo rispetto al punto vernale, spostamento che consiste in una lenta rotazione che trasporta il perigeo attraverso i quattro settori delle stagioni in 21.000 anni circa (per anno 11″,6). In complesso il perigeo si sposta rispetto al punto γ di 61″,9 per anno.

Attualmente, i periodi in cui il Sole sta nei settori γS (primavera) e Sγ′ (estate), sono più lunghi di quelli in cui sta in γ′S′. (autunno) e S′γ (inverno); e precisamente la primavera dura - in media - 92d 20h, l'estate 93d 15h, l'autunno 89d 19h, l'inverno 89d. In altre parole, ricordando che in primavera ed estate la declinazione del Sole è boreale (positiva), si può dire che attualmente il Sole resta nell'emisfero boreale otto giorni più che in quello australe.

Come si è detto, questi periodi non sono costanti, bensì nel corso dei secoli subiscono lente variazioni per effetto del movimento del perigeo rispetto al punto vernale. Quando il perigeo S coincide con γ la primavera ha la stessa durata dell'inverno, come pure l'estate e l'autunno. Questo avverrà verso il 6485. Quando poi il perigeo coincide con il solstizio d'inverno S., vengono ad essere uguali le durate dell'autunno e dell'inverno da una parte, e quelle della primavera e dell'estate dall'altra. Ciò è avvenuto verso il 1250 della nostra era. All'epoca presente il Sole è al perigeo circa il 1° gennaio e all'apogeo circa il 6 luglio.

Diamo, infine, l'inizio delle stagioni per il 1937 (tempo medio dell'Etna): Primavera: il 21 marzo a 1h 45m 17s; Estate: il 21 giugno a 21h 12m 10s; Autunno: il 23 settembre a 11h 12m 48s; Inverno: il 22 dicembre a 6h 21m 42s.

Effetti delle stagioni. - L'influenza astronomica delle stagioni si esplica essenzialmente con la variazione della durata del giorno, intendendo per giorno il periodo di tempo in cui il Sole (per effetto della rotazione diurna della Terra) resta al disopra dell'orizzonte di un determinato luogo (insolazione). Ma anche questa variazione, che dipende adunque (nel moto reale) dall'inclinazione dell'asse della Terra sull'orbita che la Terra descrive intorno al Sole, inclinazione oscillante intorno ai 66° e mezzo (complemento dell'obliquità dell'eclittica), è differente per i diversi luoghi della Terra a seconda che dall'Equatore si va verso i Poli.

Detto arco semidiurno ω la metà dell'arco descritto dal Sole dal suo levarsi al suo tramontare sull'orizzonte di un determinato luogo, risulta dalla considerazione del triangolo fondamentale o astronomico PnZS della sfera celeste, avente per vertici (fig. 3) il Polo elevato, lo Zenit e il Sole (v. astronomia: Astronomia sferica; Astronomia Nautica), la formula seguente:

essendo ϕ la latitudine del luogo e δ la declinazione del Sole.

All'Equatore (ϕ = 0) è sempre ω = 6h, e quindi il giorno è sempre uguale, in ogni stagione, alla notte (donde il nome di Equatore). Considerando poi un luogo dell'emisfero boreale, risulta: a) all'equinozio di primavera (δ = 0) è ω = 6h: giorno uguale alla notte (per tutti i punti della Terra); b) dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate (δ > 0) è ω > 6h: giorno maggiore della notte, con durata sempre crescente, che raggiunge il valore massimo al solstizio d'estate; c) dal solstizio d'estate all'equinozio d'autunno (δ = 0) è ω > 6h: giorno maggiore della notte, ma con durata decrescente; d) all'equinozio d'autunno (δ = 0) è di nuovo ω = 6h: giorno uguale alla notte (per tutti i punti della Terra); e) dall'equinozio d'autunno al solstizio d'inverno (δ 〈 0) è ω 〈 6h: giorno minore della notte, con durata sempre decrescente, che raggiunge il valore minimo al solstizio d'inverno; f) dal solstizio d'inverno all'equinozio di primavera (δ 〈 0) è ai ω 〈 6h: giorno minore della notte, ma con durata sempre crescente.

Da luogo a luogo della Terra, la durata del giorno varia poi anche per il variare della latitudine ϕ. Considerando per un momento i luoghi dell'emisfero boreale, si osserva che nelle stagioni di primavera ed estate, in cui la durata del giorno è maggiore di quella della notte, la differenza tra queste durate è tanto maggiore quanto più alta è la latitudine, finché al Polo il Sole non tramonta mai. Nelle stagioni di autunno e inverno la durata della notte è sempre tanto più grande di quella del giorno quanto più alta è la latitudine, fino al Polo in cui il Sole non sorge mai.

Nell'emisfero australe, naturalmente, gli effetti delle stagioni sono capovolti, quindi, a parlare in senso generale, sarebbero improprie le locuzioni usate di equinozio di primavera, solstizio d'estate, ecc. mentre sarebbe più rigoroso parlare di equinozio di marzo, solstizio di giugno, ecc.

Altro effetto delle stagioni è la variazione dell'altezza meridiana h del Sole durante il corso dell'anno. Questo risulta dalla formula seguente che si ricava dalla considerazione del solito triangolo astronomico:

per cui la massima altezza h, per un luogo di latitudine ϕ, si ha al solstizio di giugno (per l'emisfero boreale) e la minima a quello di gennaio. I luoghi posti alla latitudine ϕ = 23°,5 (tropico del Capricorno) - uguale cioè alla massima declinazione del Sole - hanno in un solo giorno dell'anno il Sole allo zenit (h = 90°). I luoghi con latitudine minore l'hanno per due volte all'anno. I luoghi con latitudine maggiore non possono mai avere il Sole allo zenit, ma esso culminerà sempre più in basso, man mano che la latitudine cresce.

Da questa variazione dell'altezza del Sole col variare delle stagioni segue il variare dell'angolo d'incidenza dei raggi solari con la superficie della Terra.

Terza e ultima conseguenza astronomica delle stagioni è la variazione dell'azimut A del Sole al sorgere e al tramonto, cioè la variazione del punto dell'orizzonte in cui, nelle differenti stagioni, il Sole sorge e tramonta. Dallo stesso triangolo astronomico risulta:

Perciò, in un dato luogo dell'emisfero boreale, si ha: a) agli enuinozî è A = 90°, cioè il Sole sorge esattamente a Est e tramonta esattamente a Ovest; b) nell'autunno e nell'inverno è A 〈 90°: il sole sorge in punti dell'orizzonte situati tra Est e Sud e tramonta tra Ovest e Sud (in autunno l'azimut decresce, in inverno cresce di giorno in giorno); l'azimut è minimo al solstizio d'inverno; c) in primavera e in estate è A > 90°: il Sole sorge in punti dell'orizzonte situati tra Est e Nord, tramonta tra Ovest e Nord (in primavera l'azimut cresce, in estate decresce); esso è massimo al solstizio d'estate.

Le stagioni e la temperatura. - La temperatura dipende da fattori terrestri locali e dal movimento del Sole: precisamente dalla sua distanza dalla Terra, dall'incidenza dei raggi solari, dalla durata dell'insolazione. In inverno il Sole è alla minima distanza dalla Terra, ma i giorni (nell'emisfero boreale) sono corti e di più l'incidenza dei raggi, il cui massimo valore ha luogo al momento del passaggio del sole al meridiano (mezzogiorno vero; culminazione), ha un valore molto piccolo.

Senza entrare in particolari, si può dire che la temperatura s'innalza quando la perdita per irraggiamento è minore della quantità di calore ricevuto. Per questo i più forti calori (sempre nell'emisfero boreale) hanno luogo non in giugno, bensì nella seconda metà di luglio, come il massimo freddo si ha in gennaio, anziché in dicembre. Naturalmente la variazione della temperatura con le stagioni dipende - e in maniera non trascurabile - da fattori locali, che sfuggono a ogni legge generale.

Nell'emisfero australe le stagioni climatiche sono capovolte rispetto a quelle dell'emisfero boreale.

Le stagioni negli altri pianeti. - Gli altri pianeti, Mercurio, Venere, Marte, ecc., hanno come la Terra delle stagioni, anch'esse di durata più o meno diverse, poiché essi pure descrivono, al pari della Terra, intorno al Sole, delle orbite ellittiche con la legge delle aree, e, come quella, hanno il loro asse di rotazione più o meno inclinato rispetto al piano di quest'orbita.

Mercurio e Venere, per cui quest'inclinazione raggiunge, rispettivamente, i 70° e i 55°, hanno stagioni di caratteristiche ben definite, mentre in Giove, in cui l'inclinazione è di 3° soltanto, esse sono appena distinguibili. Su Marte, di cui l'inclinazione dell'equatore sull'orbita è di 24° 52′ circa, le stagioni sono analoghe a quelle della Terra. Soltanto la durata ne è molto più ineguale a causa delle maggiori dimensioni dell'orbita: l'anno marziano è di 668 giorni, la primavera dura 191 giorni, l'estate 181, l'autunno 149, l'inverno 147.

Sulla Luna, infine, il cui equatore è inclinato soltanto di 1°,5 sull'orbita, le stagioni astronomiche sono, al pari di quelle di Giove, ben poco marcate.

Iconografia. - Antichità. - Assai prima del secolo IV a. C. fanno la loro comparsa nell'arte greca le Horai, che s'identificano in età ellenistica e romana con le stagioni. Nelle figurazioni dell'arte arcaica e anche in qualche opera più recente esse appaiono in numero di due. Successivamente figurano in numero di tre; ma talora - come nel vaso François - esse non sono caratterizzate da nessun attributo, così che nulla, fuorché i nomi apposti, le distinguerebbe dalle Grazie o dalle Parche; talora, come nella coppa di Sosia, portano per attributi rami fioriti e frutti.

Infine, allorché nel sec. IV a. C. si ha la divisione dell'anno in quattro stagioni, e le Horai ne divengono le personificazioni, gli artisti si preoccupano di fissare per ciascuna di esse speciali attributi, partendo però sempre dal presupposto che caratteristica essenziale di esse è quella di farsi dispensatrici agli uomini di doni benefici.

Attributi consueti della Primavera, divengono il corno d'abbondanza con fiori, o i fiori sparsi nella capigliatura o raccolti in un lembo del vestito, il vincastro pastorale, il secchio per mungere, il paniere coi formaggi o le fiscelle di ricotta, i capretti, ecc.; l'Estate è caratterizzata dai fasci di spighe, dalla falce, ecc.; l'Autunno dai grappoli d'uva, da cesti di frutta, da rami d'olivo, ecc.; l'Inverno dalla selvaggina, e specie dagli uccelli acquatici. In rapporto con la rigidità del clima invernale, l'immagine dell'Inverno si mostra spesso avvolta in vestiti di stoffa pesante, o ha la testa velata.

Messi gli artisti per la china delle allegorie, essi finirono col figurare le stagioni non solo sotto l'aspetto di giovani donne nel pieno della giovinezza, ma anche sotto l'aspetto di genî alati, anche maschili. Numerosissime sono le figurazioni delle stagioni, specie nell'arte decorativa romana.

Medioevo ed età moderna. - L'arte cristiana primitiva si servì delle stagioni per esprimere la sua simbolica religiosa, rimanendo fedele alla tradizione classica nella forma esteriore, come in molte altre rappresentazioni. Tertulliano chiarisce perfettamente il significato che i cristiani davano alle stagioni quando dice: "...... hic ordo revolubilis rerum testatio est resurrectionis mortuorum". L'arte nelle catacombe di Priscilla, di Callisto, di Pretestato, ecc., attenuò nella rappresentazione l'esaltazione bacchica pagana: nel cimitero di Pretestato, rose, spighe, uva, lauro sono avvicendate nelle zone della vòlta, senza alcuna personificazione, mentre scene d'agricoltura, proprie delle quattro stagioni, accompagnano e chiarificano questo insieme decorativo. Assai frequenti le stagioni nei sarcofagi cristiani, al pari che in quelli pagani, nelle forme consuete all'arte classica. Nel Medioevo elementi ereditati dalla cultura classica, misti a nuove dottrine astrologiche venute dall'Oriente, generano rappresentazioni più complesse. Nell'arte bizantina pure troviamo personificazioni delle stagioni; in miniature dell'Ottocento le stagioni sembrano derivare da un'illustrazione originale di provenienza siriaco-egiziana, mentre nella "Guida della Pittura" una specie di carta delle divisioni del tempo, di derivazione molto antica, introduce le stagioni, munite degli attributi soliti ma con aggiunte, e un affresco di una chiesa in Tessaglia deriva direttamente da tale composizione. All'arte carolingia anche la letteratura del sec. VIII poté fornire nuovi motivi alla personificazione delle stagioni, descrivendone l'inseguirsi e il contrasto. Nell'età romanica le immagini delle stagioni appaiono qualche volta con quelle dei mesi nella decorazione delle chiese; ma quasi sempre i mesi sostituiscono le stagioni, e numerosi monumenti testificano che le due rappresentazioni ebbero vita indipendente. Nelle pitture della cripta della cattedrale di Anagni i quattro tempi dell'anno sono strettamente legati agli elementi e alle età dell'uomo. I musaici romanici di Saint-Rémi a Reims e di Sant'Ireneo a Lione avevano rappresentazioni oggi scomparse delle stagioni. Meno numerosi gli esempî gotici di questo tema. Segnaleremo, per il sec. XIII, i rilievi di Notre Dame di Parigi, le pitture del Battistero di Parma; per il sec. XIV, le personificazioni nel fregio degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena, coi soliti attributi, ma trasfigurate dall'arte personale del pittore; le rappresentazioni naturalistiche nelle miniature del Tacuinum sanitatis. La pittura del sec. XV non rifugge dal tema delle stagioni, trasfigurato, per quanto riguarda la Primavera del Botticelli, nella più pura idealità, pur attraverso le ispirazioni classiche di Lucrezio e del Poliziano. Si tratta di una esaltazione di Venere, figura centrale della composizione, verso cui tendono Amore, le Grazie e Mercurio, mentre la Primavera è a sua volta simboleggiata da una giovane donna, coperta di un velo leggiero, posta in risalto nella parte destra della tela. In una pittura del Museo Condé di Chantilly, l'Autunno appare in forme femminili, accompagnato da due bimbi che portano sulla testa un paniere colmo di frutti. A varî maestri della scuola ferrarese risale un ciclo completo delle stagioni (Primavera del Tura, nella Galleria di Londra; Autunno del Cossa nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino, Inverno ed Estate nella collezione Strozzi). In queste opere l'alta ispirazione si libera da ogni astrazione simbolica. Nel sec. XVI le stagioni divengono tema preferito dalla decorazione interna di ville e palazzi, sia in affreschi sia in tappezzerie. Basti citare fra gli affreschi quelli di Paolo Veronese a Villa Maser, dove le stagioni aggruppate in due lunette hanno un carattere puramente mitologico. Jacopo Tintoretto ne fece soggetto di sue pitture nella Scuola di S. Rocco e nel Palazzo Ducale. Il Romanino non le dimentica fra le allegorie del castello di Trento, mentre Cristoforo Gherardi le dipinse nella Sala d'Opi in Palazzo Vecchio a Firenze. Specialmente nelle tappezzerie le stagioni ebbero diffusione; ma non meno nella statuaria (statue di Alessandro Vittoria nella Villa Pisani a Montagnana; statue del Francavilla e del Caccini nel ponte a S. Trinità in Firenze, ecc.). Possiamo dire, però, che nel Rinascimento e nelle età successive la rappresentazione delle stagioni, isolata da tutto quello che era stato il mondo della cultura medievale e della primitiva ispirazione pagana e cristiana, e trattata in svariatissimi modi (allegorie, putti, paesaggi), finisce con l'atrofizzarsi dal lato del suo valore simbolico, per divenire, come ogni altro soggetto d'arte, pura espressione artistica.

Bibl.: Antichità: J. A. Hild, s. v. Horae, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités gr. et rom., III, i, Parigi 1900, pp. 249-56; P. Stengel, s. v. Horai, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, Stoccarda 1913, coll. 2300-13; Rapp. s. v. Horai, in Roscher, Lex. griech. u. röm. Mythologie, I, coll. 2712-41; Ch. Diehl, Manuel d'art byzantin, Parigi 1925-26; R. van Marle, Iconographie de l'art profane au Moyen Âge et à la Renaissance, L'Aia 1932; A. Colasanti, Le stagioni nell'antichità e nell'arte cristiana, in Rivista d'Italia, IV (1901), p. 669 segg.; A. N. Didron, Manuel d'iconographie chrétienne, guide de la peinture du Mont Athos, Parigi 1845; F. Piper, Mythologie und Symbolik der christlichen Kunst, ecc., Weimar 1847-51; P. D'Ancona, L'uomo e le sue opere nelle figurazioni italiane del Medioevo, Firenze 1923.