LISTA, Stanislao

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LISTA, Stanislao

Federico Trastulli

Nacque a Salerno l'8 dic. 1824 da Giuseppe, ingegnere, e da Anna Maria Mastrocinque.

Sin dall'infanzia fu minato da una grave infermità fisica che gli pregiudicò l'uso completo delle gambe; per questo fu inizialmente avviato allo studio delle lettere, verso cui era portato, sebbene la passione per il disegno fosse per lui ben più forte. Alla sua formazione concorsero le lezioni di architettura e prospettiva impartitegli dal padre nonché quelle di figura presso F. Tamburrini, il quale, accortosi dell'abilità dell'apprendista, dopo due anni invitò il L. a recarsi a Napoli per studiare più approfonditamente; il trasferimento avvenne nel 1844, quando il L. cominciò a far pratica di pittura con G. Forte e "delle matematiche" (Gozzoli) con M. Zannotti. Trascorso un altro biennio, il L. affrontò la plastica sotto la guida di G. Calì.

Iscrittosi all'Istituto di belle arti (poi Accademia), il L. partecipò subito al concorso per il pensionato del 1848 con un saggio di pittura ispirato al primo canto della Gerusalemme liberata; non ebbe successo, ma ottenne comunque una sovvenzione da parte della provincia di Salerno. Soltanto nel 1851 riuscì ad avere un sussidio statale dell'importo di 4 ducati mensili; nel 1852 vinse, con il Davide che ammazza Golia, la medaglia d'argento di prima classe.

Tra le altre opere pittoriche, senza dimenticare la Pietà del 1845 (di cui si ignora la collocazione attuale: De Gubernatis), deve essere menzionato il Ritratto di padre Cappelloni (1859: Napoli, chiesa del Gesù Nuovo), che pur nella innovativa scelta della composizione tradisce un'eccessiva minuziosità, risultato dell'apprendistato del L. presso Forte, che fu allievo e principale collaboratore del fiammingo J.B. Wicar. L'estremo approdo della ricerca veristica del pittore può essere considerato l'olio dal titolo L'asmatico (Napoli, Galleria dell'Accademia di belle arti), in cui il soggetto rivela tutti i segni del disfacimento e del malessere attraverso gli zigomi tirati, gli occhi infossati, le labbra schiuse a mostrare la dentatura.

Alla metà degli anni Cinquanta il L. scelse di dedicarsi quasi esclusivamente alla scultura. Dopo l'esecuzione del Monumento al vescovo A.A. Zottoli (1854: Salerno, duomo, navata destra), partecipò ad alcune rassegne. Nel 1855 fu alla Mostra Borbonica napoletana con uno Studio di nudo e con il bassorilievo Le sante donne al Calvario, che gli valse il commento positivo del professor F. Citarelli il quale parlò di "studio accurato e soddisfacente intelligenza" (Lorenzetti, p. 301). Nello stesso anno espose un altro bassorilievo, L'ora desolata della Vergine, premiato con medaglia d'argento.

Nel 1856 tentò nuovamente il concorso per il pensionato triennale a Roma, optando per la classe di scultura, e finalmente ottenne il primo posto con Priamo che implora da Achille il cadavere di Ettore; fu però costretto a restare a Napoli alle dipendenze di F. Angelini per ragioni politiche. E ancora una medaglia d'oro ottenne con la realizzazione di due opere - il bassorilievo della Cena eucaristica (oggi distrutto, ordinatogli dalla Real Casa per la facciata di una chiesa di Gaeta) e il colossale gruppo scultoreo La guarigione del cieco nato - esposte entrambe alla Mostra Borbonica del 1859.

Sebbene la maggior parte di questi suoi primi lavori non sopravviva, non è impossibile, anche avvalendosi dell'aiuto di testimonianze dell'epoca, attribuire al L. il ruolo a lui spettante nel panorama artistico partenopeo di fine Ottocento, quello di iniziatore di una nuova prassi scultoria basata sull'acuta osservazione e sull'accurata trascrizione del dato reale. A ciò si aggiunga che il L. era solito plasmare e sbozzare all'impronta, senza ausilio di modelli in cera o di punti di riferimento. Più che dai bozzetti in terracotta donati dalla famiglia all'Accademia napoletana nel 1920 (La damina, Ritratto del barone Gallotti, Ritratto dell'arcivescovo Sutter, Ritratto di monsignor Acquaviva), i quali per le loro piccole dimensioni conservano qualità essenzialmente pittoriche, le doti e lo stile del L. emergono in opere come il Busto di Paisiello (1861), eseguito per il teatro S. Carlo e tuttora conservato nel vestibolo.

In questo ritratto marmoreo si realizza il suo enunciato teorico, il verismo nella scultura: la postura è antimonumentale, spontanea e vivace soprattutto laddove il volto è sfiorato da un sorriso; l'annotazione dei particolari è di grande effetto, specialmente negli spartiti musicali accartocciati; i contrasti di luce superano la monocromia del bianco e suggeriscono di trovarsi davanti a una statuina da presepe colorata (prerogative, queste, che sarebbero rimaste una fondamentale conquista antiaccademica alla base dell'attività di alcuni allievi del L., come V. Gemito).

Altra opera capitale del L. è il Leone ferito (1864: Napoli, Galleria dell'Accademia di belle arti), grande gesso, fuso in bronzo da C. Siviero negli anni 1930-35. Il soggetto fu commissionato dal Municipio per collocare la versione marmorea, insieme con altri tre leoni, alla base della Colonna dei martiri in piazza dei Martiri, dove ancora oggi si trova, come simbolo delle rivoluzioni antiborboniche.

Un rapido confronto visivo con le realizzazioni degli altri artisti che vi parteciparono rivela la netta superiorità di quanto elaborato dal L. per ricordare la Rivoluzione del 1820. La belva, intenta a strappar via con la bocca una spada conficcata nel dorso, rompe definitivamente ogni modulo accademico ed è notevole per chiaroscuro, per l'incredibile carica di dinamismo e soprattutto per il senso di grande realismo di lontana matrice fiamminga.

Di pari, o superiore, livello è il busto marmoreo del 1867 Ritratto del padre (Napoli, Galleria dell'Accademia di belle arti), all'epoca esposto a Napoli, Parma, Parigi e Roma.

Le ridotte dimensioni dell'opera non impediscono alla composizione di comunicare una sensazione di verità, scaturita anche dalla sapienza con cui luce e materia si fondono. Le guance flosce e il mento cadente, i capelli in disordine e gli abiti gualciti si armonizzano in questo busto che accoglie un volto fermo e largo; nella loro crudezza tali particolari sono ben più che un saggio di tecnica e piuttosto indicano dignità e grandezza interiore, tanto che per questo Ritratto la critica ha accostato l'abilità del L. a quella di G.L. Bernini.

Il L. fu molto attivo nella vita artistico-culturale partenopea. Fu tra coloro che elaborarono il primo statuto della Società promotrice di belle arti, del cui consiglio direttivo fece parte ben otto volte; fu quindi membro della giuria in occasione dell'Esposizione nazionale del 1877, un anno prima di ottenere la nomina a cavaliere della Corona d'Italia.

Il L. profuse il suo impegno anche nella docenza a favore delle categorie sociali disagiate. Dopo aver insegnato nelle scuole operaie (1865) e nelle scuole del collegio della Carità, si dedicò alle scuole serali di disegno per operai gestite dal Municipio, di cui nel 1871 divenne ispettore. Il L. fu insegnante presso l'Accademia di belle arti: professore onorario nel 1871, fu nominato docente aggiunto al corso di pittura ornamentale insieme con G. Toma nel dicembre 1878; e con regio decreto del 28 dic. 1885 fu assegnato al disegno di frammenti presso la Scuola di architettura. Ebbe molti e famosi allievi, tra i quali, oltre a Gemito, A. Mancini e V. Migliaro.

Nel 1878 diede alle stampe a Napoli un'agile raccolta di riflessioni legate alla sua attività: Intorno all'arte del disegno. Pensieri.

Il L. morì a Napoli il 12 febbr. 1908.

Fonti e Bibl.: C. Abbatecola, Guida e critica della grande Esposizione nazionale di belle arti di Napoli del 1877, Napoli 1877, pp. 201-203; G. Gozzoli, Gli artisti italiani viventi. Cenni biografici, Roma 1882, p. 8; A. De Gubernatis, Diz. degli artisti italiani viventi, Firenze 1906, pp. 262 s.; C. Miola, S. L. nell'arte e nell'insegnamento, in Arte e storia, XXVII (1908), 11-12, pp. 81-85; C. Siviero, Questa era Napoli, Napoli 1950, pp. 101, 105; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti di Napoli, Firenze 1953, pp. 135, 141, 144 s., 299-303; Id., Introduzione, in W. Nespoli - M. Napoli - F. Caiazzo, Accademia di belle arti di Napoli.Mostra celebrativa del bicentenario 1752-1952 (catal.), Napoli 1954, pp. 13, 20 s.; M. Biancale, Arte italiana Ottocento-Novecento, I, Roma 1961, pp. 175 s.; E. Lavagnino, L'arte moderna dai neoclassici ai contemporanei, II, Torino 1961, pp. 686, 690-692; A. Caputi - R. Causa - R. Mormone, La Galleria dell'Accademia di belle arti in Napoli, Napoli 1971, pp. 112 s.; M. De Micheli, La scultura dell'Ottocento, Milano 1992, pp. 259-261; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 289.

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