STATI generali

Enciclopedia Italiana (1936)

STATI generali

Georges Bourgin

È il nome dato all'antico parlamento feudale francese, le cui origini e il cui sviluppo, come una delle più importanti istituzioni dell'antico regime, che controllavano e limitavano nella sua volontà e nei suoi atti la monarchia, investono problemi di un'estrema complessità.

I giuristi hanno l'abitudine di considerare questi organismi come istituzioni caratteristiche del potere legislativo dell'antica Francia. In realtà, esse derivano dal comune diritto feudale e sono il risultato di date circostanze storiche. Il diritto feudale, infatti, comportava l'obbligo per il sovrano di consultare i suoi vassalli (ius consilii).

Il compito di queste consultazioni, sulle cui origini siamo male informati, andò precisandosi a poco a poco. E fu così che, sotto Filippo l'Ardito, un'assemblea di baroni e di prelati diede al re un parere motivato sulla spedizione aragonese. D'altra parte, i re erano stati indotti a consultare elementi della borghesia delle città, come Filippo Augusto, prima di partire per la crociata, e San Luigi per la redazione della legge sulla moneta nel 1262. E poiché già alla fine del regno di San Luigi, e poi sotto i successori, si manifesta la rapida decadenza dei comuni francesi, da allora alla borghesia municipale tende a sostituirsi una borghesia nazionale, le cui possibilità d'intervenire nella vita pubblica sono riposte precisamente negli Stati generali: ciò che si chiama il Terzo stato, è la nuova categoria di sudditi, alla quale, dopo la nobiltà e il clero, ricorreranno i re. E vi ricorreranno per due ragioni, affioranti contemporaneamente durante il regno di Filippo il Bello: da una parte, infatti, le grandi spese della politica d'autorità e d'espansione della monarchia di fronte alla Fiandra e all'Aquitania fanno considerare indispensabile ottenere, dalle diverse categorie di sudditi, i mezzi di questo finanziamento "straordinario" per mezzo di opportune trattative; d'altra parte, la politica antipapale del re lo spinge, per appoggiarsi su di un'opinione pubblica ben ferma, a creare e dirigere quest'opinione nel senso voluto per mezzo di informazioni inesatte, e false in parte, ch'egli diffonde nel paese per mezzo dei primi Stati generali.

Dal 1302, data dei primi Stati generali, convocati il 10 aprile 1302 a Notre-Dame di Parigi per sostenere il re minacciato dalla bolla Ausculta fili del papa Bonifacio VIII, al 1789, gli Stati generali non costituirono mai un'istituzione regolare. Qualche innovatore, sotto Giovanni II il Buono, cercò di organizzare la periodicità di queste assemblee, ma non vi riuscì; e il ricorso agli Stati generali rimase cosa eccezionale dei periodi di crisi: crisi politiche e nazionali, come durante la guerra dei Cento anni; crisi politiche e religiose, come nel sec. XVI; crisi politica, come nel 1614; crisi finanziaria e politica, come nel 1789. E l'obiettivo dei re e dei ministri, indotti a convocarli, fu sempre, una volta ottenuti i vantaggi desiderati, di scioglierli, senza nemmeno acconsentire all'istituzione di un organismo che portasse all'esecuzione delle misure chieste dagli stati e accettate dal potere.

Agli stati del 1302 seguirono quelli del 1307 (Tours), del 1317 (Parigi), che nel giurare fedeltà a Filippo V e ai suoi figli, proclamarono la legge salica (esclusione delle donne dal trono); del 1351 (Parigi). Nel periodo seguente ha inizio l'era degli stati sul tipo rivoluzionario, ma anche quella di riunioni che cessano di essere generali, poiché avviene la convocazione, talvolta sincrona, di stati della lingua d'oïl (nord della Francia) e della lingua d'oc (sud). Così nel dicembre 1355 e nel marzo 1356, riunione degli Stati della lingua d'oïl. Altri Stati generali nel febbraio e nel novembre 1357; nel gennaio-febbraio e nel maggio 1358, nel maggio 1359, nel novembre-dicembre 1363 (Amiens), nel maggio 1369 (Parigi), nell'aprile 1382 (Compiègne).

Frequenti pure le adunanze degli stati nel sec. XV: nel gennaio-febbraio 1413 (Parigi), nel dicembre 1420 (Parigi), nel gennaio 1423 (Bourges e Salles), nell'ottobre-novembre 1428 (Chinon), nell'aprile 1434 e nel febbraio 1435, nell'ottobre-novembre 1439 (Orléans), nel settembre 1440 (Bourges). Sotto Luigi XI, dalle tendenze assolutiste, gli stati furono convocati una sola volta, nell'aprile 1468 (Tours); ma appena terminato il suo regno, si hanno gli stati di Tours (gennaio-marzo 1482), tra i più importanti che si siano mai avuti, più per le dottrine che vi si espongono che per i risultati reali che se ne ottengono.

Nel sec. XVI si hanno convocazioni: nel gennaio (o febbraio) 1501 (o 1502), a Blois (di questi nulla si sa); nel maggio 1506 (Tours), nel gennaio 1558 (Parigi), nel dicembre 1560 (Orléans), nel 1567 (Pontoise), nel dicembre 1576-febbraio 1577 (Blois), nel settembre 1588-gennaio 1589 (Blois), nel gennaio-maggio 1593 (Parigi).

Finalmente, dall'ottobre 1614 al febbraio 1615 vi fu, a Parigi, una convocazione degli stati che fu l'ultima, prima del 1789. Il periodo dell'assolutismo monarchico è infatti caratterizzato dalla messa a riposo - si potrebbe dire - degli Stati generali. Solo a crisi aperta si ricorre nuovamente alla vecchia assemblea: voluti dall'opinione pubblica per fronteggiare il deficit crescente, richiesti dall'assemblea dei notabili nel maggio 1787, promessi da Luigi XVI nella seduta solenne del 24 novembre 1787, annunciati dalle assemblee provinciali istituite allora da Loménie de Briennes, gli Stati generali furono convocati dal Necker secondo le modalità votate dalla seconda assemblea dei notabili (novembre 1788) e da lui modificate. Egli decise che, se si votava per ordine, come per il passato, il Terzo stato avrebbe tanti rappresentanti quanto i due ordini privilegiati (doublement des voix), ciò che avviava obliquamente la decisione in favore del voto per testa.

L'apertura degli stati ebbe luogo a Versailles il 5 maggio 1789; il 7 giugno il Terzo stato si costituiva in Assemblea nazionale, e dopo il giuramento della Pallacorda e l'insuccesso della seduta reale, i deputati dei nobili e del clero, il 27 giugno, vi aderirono (v. francese, rivoluzione).

Dal 1302 al 1789, gli Stati generali subirono, durante il loro svolgimento, cambiamenti notevolissimi nelle loro funzioni. Tuttavia è da notare in essi qualcosa di costante, e cioè che essi rappresentano l'insieme della nazione francese, divisa in tre categorie distinte, i due ordini privilegiati della nobiltà e del clero, e il Terzo stato. Ma bisogna riconoscere che gli elementi sociali del Terzo stato non erano tutti rappresentati, specialmente i contadini e la plebe dei sobborghi. D'altronde, quando si riunirono i primi stati, su convocazione indirizzata alle persone dei due ordini privilegiati e alle collettività del terzo, l'elezione divenne sempre più necessaria per designare i rappresentanti di quest'ultimo. Gli individui nominalmente convocati potevano, anche, delegare dei "procuratori" in loro vece. Infine quando le città, sotto Luigi XI, ebbero perduto le ultime tracce della loro autonomia, gli abitanti dei "bailliages" presero indistintamente parte alle elezioni. Fin dal sec. XVI la procedura normale consisteva nell'eleggere i deputati di ciascun ordine nel capoluogo del baliaggio, dove si trovavano accentrate nel contempo le suppliche e le "lagnanze" (doléances) che venivano poi riassunte nei "cahiers" generali da presentarsi al re. Bisogna notare che il sistema elettorale variava secondo gli ordini e variò secondo i tempi. I deputati erano sottoposti a un mandato imperativo, applicazione politica del mandato civile propriamente detto. La riunione doveva aver luogo nella città designata dal re; i lavori si svolgevano secondo le procedure più varie, poiché gli ordini deliberavano normalmente a parte, votando separatamente. Gli stati esercitarono anche poteri straordinarî, come durante la cattività di Giovanni il Buono, e ancora nel 1420 e nel 1593; ma in genere il loro compito essenziale fu di approvare le imposte, avendo in cambio il diritto, o meglio ancora, l'obbligo del "consiglio", cioè di dare dei pareri al re. Da questo parere, chiesto dal re per cose determinate, gli Stati generali, nei periodi di grande crisi, passarono, per logico svolgimento, alla rivendicazione di riforme politiche, a vere e proprie esigenze rivoluzionarie: a questo li conduceva la logica dell'istituzione, e dall'incapacità della monarchia francese di adattarsi al sistema rappresentativo, regolare e periodico, degli Stati generali derivò infine la rivoluzione francese. La monarchia tentò tuttavia di evitare l'azione degli Stati generali ricorrendo alle assemblee della nobiltà o dei Notabili, o anche accettando il controllo del parlamento: ma parlamento e notabili aiutarono essi stessi l'esplosione rivoluzionaria del 1789.

Stati provinciali.

L'evoluzione amministrativa e politica dei feudi periferici, che furono i più lenti a essere assorbiti dal regno, portò alla costituzione di assemblee locali, del tutto analoghe, nel loro formarsi e nel loro evolversi, agli Stati generali: questo fu il caso della Borgogna, della Bretagna, della Provenza; ed è naturale che, per facilitare ai nuovi sudditi il passaggio dall'amministrazione locale autonoma all'amministrazione reale, i re abbiano mantenuto in vita questi stati provinciali. In altri casì i re li hanno invece soppressi, come nell'Alsazia, nella Franca Contea, in Fiandra, trattandosi di provincie di frontiera. Ma anche nelle antiche provincie annesse al regno, si tennero degli Stati provinciali: l'origine di questi, però, dovendo ricercarsi altrove, non può essere rintracciata che nelle assise solenni tenute dai baili e dai siniscalchi, durante le quali, alla presenza dei nobili e dei prelati della regione, venivano discussi gli affari del baliaggio. Gli stati provinciali della Linguadoca si riallacciano, infine, alle "inchieste" che S. Luigi ordinò si facessero nella "sénéchaussée" di Beaucaire nel 1254. Tuttavia, fra Stati provinciali e Stati generali c'è questa differenza: che nei primi, restando essi fedeli al tipo primitivo di rappresentanza, la rappresentanza dei tre ordini non era elettiva che in minima parte, il Terzo stato non essendovi rappresentato che dalle città le quali delegavano uno o più ufficiali municipali. Gli stati che si mantennero in vita oltre il sec. XV acquistarono, sotto riserva di dover essere convocati dal re, una reale periodicità, e furono riuniti tutti gli anni od ogni due o tre anni. Il modo di deliberare fu, di regola, per ordini; in principio, gli stati si riservarono il diritto di votare l'imposta, detta comunemente "don gratuit": diritto puramente apparente, poiché il re poteva a piacer suo trascurare la resistenza degli stati. La cosa più notevole sta in questo: che le imposte dei "pays d'états" erano stabilite, ripartite ed esatte secondo le usanze e per mezzo di funzionarî provinciali; e che, fra una sessione e l'altra, funzionavano delle "commissioni intermediarie" con poteri non soltanto in materia fiscale, ma anche in materia di lavori pubblici. Malgrado gli innegabili vantaggi amministrativi di questo sistema, i re - in quanto esso si opponeva alle regole dell'amministrazione reale - si sforzarono ininterrottamente di sostituire le "elezioni" agli stati. Nella seconda metà del sec. XV, l'Alvernia, il Limosino, il Maine, l'Angiò e la Guienna perdettero i loro stati; nel 1628 furono create le "elezioni" nel Delfinato. Richelieu soppresse, nel 1638, gli stati della Normandia, i quali, ristabilitisi temporaneamente nel 1643, scomparvero definitivamente nel 1653. Gli stati della Provenza, soppressi nel 1630, si ricostituirono in "communautés de pays" nel 1639. Gli stati della Linguadoca videro limitati i proprî diritti dall'editto di Béziers del 1632. La Bretagna perdette la periodicità annuale dei suoi stati nel sec. XVII. Nel sec. XVIII non rimangono che gli stati della Bretagna, Artois, Lilla, Tournaisis e Hainault, Borgogna, Charolais e Mâconnais, Bresse, Bugey, Provenza-Linguadoca, Foix, Nébousan, Les Vallées, Bigorre, Labour, La Soulle, Bearnese e Bassa-Navarra, i soli però che contano veramente sono quelli di Bretagna, Borgogna, Provenza e Linguadoca. Ma il successo accentratore della monarchia riuscì a rallentare la vita delle provincie. Gli economisti e gli scrittori politici del sec. XVIII condussero delle campagne a favore dell'autonomia provinciale, e Turgot, divenuto controllore generale delle finanze, fu indotto a disegnare il piano di assemblee rappresentative sovrapposte, i cui intermediarî erano precisamente le municipalità provinciali. Ma non ebbe tuttavia il tempo di realizzare questo progetto, che fu ripreso, un po'attenuato, dal Necker: nel 1778 fu creata, nel Berry, un'assemblea provinciale, nella quale l'elemento elettivo era ridotto al minimo; nel 1779-80, alcuni decreti del consiglio ne istituirono altre, mediante diverse elezioni, ma non funzionò che quella della "généralité" di Montauban. Infine, dopo l'assemblea dei notabili del 1787, con l'editto del 22 giugno dello stesso anno, completato da alcuni regolamenti, furono create varie assemblee provinciali, debolmente elettive, ma con il compito di apportare il massimo contributo all'amministrazione. Questa nuova formazione di assemblee pare debba rimanere fra le cause della rivoluzione, poiché scatenò immediatamente un gran fermento nel paese. Si può quindi affermare che la monarchia, con le sue esitazioni in materia di autonomia amministrativa, preparò il cataclisma, che doveva distruggerla.

Bibl.: Rathery, Histoire des États généraux de France, Parigi 1845; A. Desjardins, Les États généraux de 1355 à 1614, ivi 1871; H. Hervieu, Recherches sur les premiers États généraux, ivi 1870; M. R. Jallifier, Histoire des États généraux 1302-1614, ivi 1888; G. Picot, Histoire des États généraux, 2ª ed., ivi 1888, voll. 3; id., Documents relatifs aux États généraux et assemblées sous Philippe le Bel (coll. des doc. in.), ivi 1901; A. Thomas, Le Midi et les États généraux sous Charles VII, in Annales du Midi, 1889, 1892; Meyer, Des États généraux et autres assemblées nationales, recueil de documents, Parigi 1789, voll. 17; A. Brette, Recueil des documents relatifs à la Convocation des États généraux de 1789 (coll. des doc. in.), ivi 1804-1904; A. Esmein, Cours élémentaire du droit français, ivi 1892; P. Viollet, Histoire des institutions politiques et administratives de la France, III, Parigi 1903; Ch. V. Langlois, nella Grande Encyclopédie, XVI, ivi s. a.

Per gli Stati provinciali: H. Prentout, Les États provinciaux, in Bulletin of the international committee of historical sciences, I (1928), p. 633 segg.; L. F. I. Laferrière, Étude sur l'histoire et l'organisation comparée des états provinciaux, in Séances et travaux de l'Acad. des sciences morales et politiques, LIII (1860-61): L. de Lavargne, Les Assemblées provinciales sous Louis XVI, Parigi 1864; P. Renouvin, Les assemblées provinciales de 1787, Parigi 1921; A. Esmein, Cours élémentaire d'histoire du droit français, Parigi 1892; P. Viollet, Histoire des institutions politiques et administratives de la France, III, Parigi 1903; Ch. V. Langlois, in Grande Encyclopédie, XVI, ivi s. d.